1799, L’ECCIDIO DI ARCE PER VOLONTA’ DELL’ECERCITO INVASORE GIACOBINO FRANCESE
Il 1799, che sarà un anno luttuoso come pochi, si apre sotto i peggiori auspici. L’11 gennaio troviamo registrata la morte violenta, avvenuta in campagna, senza sacramenti, di Rocco Sementilli fu Eleuterio, di anni ventuno.
Il 15 marzo 1799 è registrata la morte violenta, senza sacramenti, di Bernardo di Mezza fu Giuseppe, di anni quarantacinque. Il giorno immediatamente successivo, rinveniamo la morte violenta, senza sacramenti, di Giuseppe Cacciarella fu Ambrogio, di anni venti circa.
Il 28 marzo 1799, morì ucciso (occisus) con un colpo di schioppo (ictu sclopi) Tommaso Donfrancesco. Si fece in tempo a confessarlo (sacramento confessionis refectus). Chissà, forse, ebbe modo di rivelare il nome del suo assassino.
Sei giorni dopo, il 3 aprile 1799, troviamo registrata la morte violenta di Orazio da Rodio fu Francesco di anni quarantacinque, del paese (terrae) popolarmente detto (vulgo dictae) Pietra Majorana. Si fece in tempo a confessarlo (solo sacramento poenitentiae refectus). Il suo corpo, come tutti gli altri, fu sepolto nella chiesa di San Pietro. Prima di procedere oltre, è opportuno accennare agli eventi avvenuti nel Regno di Napoli, di cui Arce faceva parte. Il 22 novembre 1798, proveniente da San Germano (odierna Cassino), giunse nel nostro paese il re Ferdinando IV di Borbone alla testa di un poderoso esercito agli ordini del generale Mack. Con tale esercito marciò su Roma, dove i Francesi avevano proclamato la Repubblica. Liberò, quindi, occupò, dipende dai punti di vista, la Città Eterna.
Non appena, però, l’esercito francese, comandato dal generale Championnet, organizzò una controffensiva, l’esercito napoletano si dissolse come neve al sole e il re Ferdinando riparò in Sicilia. Il generale Championnet, con i suoi uomini, occupò o liberò, alle solite, dipende dai punti di vista, Napoli, dove fu proclamata la Repubblica. Alla stessa, a Arce, aderirono alcuni elementi della locale borghesia, di cui ci è pervenuto il nome: i dottori in utroque jure (come allora venivano indicati gli uomini di legge): Eleuterio Calcagni, Gaetano Ciolfi, Giovanni Germani, Eleuterio Simonelli nonché il dottor fisico (= medico) Antonio Grossi. Costoro si allontanarono da Arce per occupare posti di responsabilità nel nuovo Stato repubblicano.
Nel nostro paese si venne a creare una situazione di sostanziale anarchia, testimoniata dal fatto che il regio governatore, in precedenza nominato da Ferdinando IV, di nome Tommaso Fontana, abbandonò il suo posto.
La rivolta antifrancese/antirepubblicana a Arce ebbe inizio il 22 febbraio 1799: in tale giorno fu abbattuto l’Albero della Libertà, simbolo della Repubblica. Tale Albero, con ogni probabilità, era stato eretto, nel precedente mese di gennaio, dall’esercito francese allorché era passato per il nostro paese diretto a Napoli.
Fra i principali animatori della rivolta fu il dottore in utro jure Sebastiano Corsetti, insieme con i figli Gaetano, anch’egli dottore in utro jure, e Nicola. Lo stesso Sebastiano Corsetti, inoltre, dal momento che il regio governatore Tommaso Fontana, come visto, aveva abbandonato il suo posto, si autoproclamò luogotenente dello Stato di Arce. Tale carica, peraltro, ebbe l’avallo popolare nel corso di un pubblico Parlamento, come allora veniva indicata l’assemblea dei capifamiglia, antenata dell’odierno consiglio comunale, in cui venivano prese le decisioni di interesse collettivo.
Se il dottore in utroque jure Sebastiano Corsetti era divenuto il capo politico dello Stato arcese, che oltre ad Arce comprendeva Rocca d’Arce con l’odierna Colfelice, Fontana e Santopadre, capo militare ne divenne il fabbro Pietro Guglielmi, che, durante un pubblico Parlamento, fu nominato capo della massa di Arce. Col termine “massa”, in quei frangenti, si indicava un gruppo di uomini armati, organizzatisi per contrastare la Repubblica. Era questa, nelle grandi linee, la situazione a Arce, quando il 13 aprile 1799 vi giunse una colonna dell’esercito francese, proveniente da Napoli e diretta in Alta Italia. Di tale passaggio rinveniamo notizia dal registro che stiamo esaminando. Nello stesso, infatti, alla detta data troviamo annotata la morte di alcune persone “uccise dai francesi” (negli atti è scritto occisus/a a Gallis). Esse sono, nell’ordine:
- Giuseppe Mastro Mattei fu Agostino, di anni 53;
- Eleuterio Colantonio fu Antonio
- Alessandro Colantonio di Sisto, di anni 17 circa;
- Pasqua Tedeschi, di anni 60;
- Sossio Polselli, di anni 70;
- Anna Maria Majni fu Francesco Antonio, di anni 63;
- Luigi Majni fu Arduino, di anni 26;
- Un certo Marco della Terra di Fontana, di anni 72;
- Francesco Cerrone, di anni 79 circa;
- Giuseppe di Razza, di anni 65. Per costui, nell’atto, vi è la sola indicazione di occisus (= ucciso), manca la precisazione a Gallis (= dai Francesi), ma penso si tratti di una dimenticanza del sacerdote che ha redatto l’atto;
- Nicola Marcocci fu Giuseppe, di anni 20.
Costoro furono tutti sepolti il successivo giorno 14 aprile 1799 nella chiesa di San Pietro.
Nel Liber mortuorum (= Libro dei morti) della Parrocchia di Caprile di Roccasecca, alla data del 13 aprile 1799, è annotato il decesso di Felice, figlio di Domenico De Ruzza e Angela Antonia Baccari, dell’età di trentatré anni, avvenuta in territorio Arcani in proelio cum Gallis dum aufugeret necatus est a quodam dicti Arcani (= nel territorio di Arce durante un combattimento con i Francesi, mentre fuggiva, è stato ucciso da un tizio della detta Arce). Il suo corpo il giorno successivo fu sepolto in Ecclesia S. Mariae Victoriae Insulettae pagi Arcani (nella chiesa di S. Maria della Vittoria di Isoletta villaggio di Arce). Come si vede Arce è indicata come Arcanum. Questo atto ci conferma che Isoletta, pur dipendendo anche dal punto di vista ecclesiastico da Arce, fruiva di un luogo autonomo per le sepolture costituito dalla chiesa di S. Maria della Vittoria, che sicuramente era dotata di propri registri.
Nulla sappiamo circa le circostanze particolari in cui gli undici malcapitati innanzi elencati fu- rono uccisi dai soldati francesi. Il fatto che si tratti, per lo più, di persone avanti negli anni (all’epoca, come vedremo meglio in seguito, la vita media era molto più bassa dell’attuale) induce a ritenere che si tratti probabilmente di persone che si siano opposte al saccheggio della propria casa.
Vi è da aggiungere che, nel passato, erano le comunità locali che dovevano farsi carico di ali- mentare gli eserciti in transito per il proprio terri- torio. E per Arce, a novembre 1798, erano passate le truppe dell’esercito napoletano diretto a Roma. Lo stesso esercito era ripassato poco dopo, in rotta, diretto a Napoli. Nel gennaio 1799, poi, era passato l’esercito francese, anch’esso diretto a Napoli. Quello del 13 aprile 1799 era il quarto passaggio di eserciti nel giro di pochi mesi. Se a ciò aggiungiamo che l’ultimo raccolto di cereali aveva avuto luogo nell’estate del 1798, ci rendiamo conto che le scorte alimentari degli arcesi erano ormai prossime all’esaurimento, se non proprio già esaurite. I soldati francesi, però, avranno avuto sicuramente fame e avranno scambiato il rifiuto degli arcesi di fornire loro i viveri per un atto di resistenza.
Non passa neanche un mese, che l’11 maggio 1799 rinveniamo un altro eccidio posto in essere dai soldati francesi ai danni della popolazione civile. A tale data rinveniamo “uccisi dai Francesi” (occisus/a a Gallis), nell’ordine:
- Gregorio Gianfermo, di anni 60;
- Scipione Nardone fu Bernardo, di anni 60;
- Giovanni Mollica fu Eleuterio, di anni 60;
- Rocco Mollica figlio di Dionisio, di anni 24;
- Rocco Corsetti fu Giuseppe, di anni 55 circa;
- Antonio Quattrucci fu Giovanni, di anni 60 circa;
- Sossio Maini fu Arduino, di anni 40;
- Marianna moglie di Gregorio Gianfermo, di anni 54;
- Pietro Patriarca fu Giuseppe, di anni 54;
- Maria Felicita Benigni, moglie di Pietro Patriarca, di anni 56;
- Vittoria Simonelli fu Filippo, di anni 70;
- il figlio più piccolo di Luigi Cervini fu Decio, di mesi otto. È specificato che fu ucciso ad ubera matris (= al seno materno);
- Lavinia Calcagni vedova di Sosio, di anni 60. In questo caso è scritto occisa (= uccisa), senza l’indicazione a Gallis (= dai Francesi), ma penso si tratti di una semplice omissione.
- Filippo Vannucci, di anni 90
Il più antico Registro dei Morti (1781-1801) della Parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Arce
Furono tutti sepolti nella chiesa di San Pietro il 13 maggio 1799. Anche questa volta ci troviamo, per lo più, davanti a persone in età avanzata e, in due casi, a coppie di coniugi. Ciò ci conferma nell’opinione espressa poc’anzi: vale a dire che si tratti non di persone scese in piazza a tumultuare contro la Repubblica, bensì di poveri disgraziati oppostisi al saccheggio della propria abitazione. D’altro canto che quel giorno Arce abbia subito l’incendio e il saccheggio risulta da un documento pubblicato dal Corsetti. In fondo, noi arcesi ce la cavammo con poco. Il giorno successivo, a Isola Liri, i medesimi Francesi trucidarono cinquecentotrentatré inermi cittadini che erano andati a rifugiarsi nella parrocchiale di San Lorenzo, fidando sul diritto di asilo di cui godevano le chiese.
Il giorno 20 maggio 1799 troviamo annotata la morte di Lucia Corsetti fu Sebastiano, di anni ottantaquattro, anch’essa “uccisa dai Francesi” (occisa a Gallis). Si fece in tempo a confessarla (cum sacramento poenitentiae). Con ogni probabilità era morta a seguito delle ferite riportate durante il saccheggio della sua casa, avvenuto in occasione del passaggio delle truppe francesi l’11 e 12 maggio 1799. Era la zia di quel Sebastiano Corsetti, che, come visto, si era autoproclamato Luogotenente dello Stato di Arce dopo la fuga del Regio Governatore.
Subito dopo, lo stesso giorno 20 maggio 1799, rinveniamo la morte forse più significativa fra quelle annotate nel registro che stiamo esaminando: quella di Pietro Guglielmi, figlio di Ottavio, di anni trenta circa. Come già detto, era costui il capo della massa, cioè della banda armata costituitasi a Arce per opporre resistenza alla Repubblica filo francese proclamata a Napoli nel gennaio del 1799. Si badi bene: nell’atto non è scritto che morì occisus a Gallis, vale a dire “ucciso dai Francesi”, ma soltanto che era morto “di morte violenta” e “senza sacramenti”.
Un preziosissimo documento di appena tre giorni prima (17 maggio 1799), rinvenuto e pubblicato da Angelo Nicosia, ci fornisce, forse, la chiave di lettura di tale morte. Si tratta di una lettera, contenente una pressante richiesta di viveri per la popolazione arcese, che Pietro Guglielmi aveva inviato al capo dell’amministrazione di San Giovanni Incarico. Ne riportiamo il testo: “Arce 17 maggio 1799. Caro Signore, trovandomi in certe critiche circostanze che mi vedo disperato, stante che tutta la popolazione è in disperazione, e questa mattina tutti uniti, che si volevano buttare a rubare per li Paesi convicini; Dunque spedisco a Voi acciò mi procurate 200 tommoli di grano dindia, e cinquanta di grano, non mancate perché altrimenti mi servirò delle mie forze disperate, quanto vi dico lo dovete fare con tutto l’impegno, in risposta fatemi sapere quando devo venire a prendermi detta robba, tanto vi devo, e con ogni vera stima mi raffermo. Di Vostra Signoria Devotissimo e Obbligatissimo Pietro Guglielmi Comandante”.
Per capire in tutta la sua drammaticità il contenuto della lettera, che contiene una richiesta di vettovaglie e, in caso negativo, una minaccia, neanche troppo velata, di saccheggio, sarà bene ricordare come il 13 aprile era passato per Arce un numeroso contingente di militari francesi e come appena sei giorni prima Arce aveva subito il saccheggio da parte di migliaia di altri soldati francesi, i quali, sicuramente, nell’occasione, avranno privato gli arcesi di tutte le ormai residuali risorse alimentari.
Non ci vuol molto a capire, data la situazione generale, che il capo dell’amministrazione di San Giovanni Incarico avrà risposto picche alle pressanti richieste del Comandante Pietro Guglielmi. Ciò avrà determinato del malcontento fra i suoi “disperati” uomini. Malcontento e disperazione che li avranno portati a uccidere il loro Comandante. Ecco perché nell’atto di morte non è scritto che fu “ucciso dai Francesi”, ma soltanto che morì “di morte violenta”, datagli, con ogni probabilità, dai suoi stessi uomini.
Presso l’Archivio di Stato di Napoli è conservata una lettera inviata dalla vedova di Pietro Gugliemi, a nome Maria Germani, a Ferdinando IV di Borbone. Nella stessa, la nostra Maria chiede al Re di volerle assegnare una sorta di pensione, e scrive che il marito era stato ucciso il 20 maggio, senza indicare da chi. Dichiara di trovarsi “senza la sua dote, per essere stata venduta dal detto suo marito, per alimentare la massa armata” e “con un bambino di latte per nome Gaetano di circa un anno, priva di ogni umano ajuto, ed in mezzo alle più alte miserie”.
Il 29 luglio 1799 morì senza sacramenti e di morte violenta Luigi Patriarca figlio di Giuseppe di anni diciannove circa della Terra di Fontana. Lo stesso giorno, il suo corpo fu sepolto nella chiesa di San Pietro.
Il 12 ottobre 1799 morì di morte violenta Gaetano Torti figlio di Didaco, munito di tutti i conforti religiosi. Il suo corpo il giorno successivo fu sepolto nella chiesa di San Pietro. Manca l’indicazione dell’età del defunto.
Proprio il giorno di Natale del 1799 morì, in campagna, di morte violenta, senza sacramenti, Pietro d’Aversa figlio di Rocco, di anni venticinque. Lo stesso giorno il suo corpo fu sepolto nella chiesa di San Pietro. Con questa morte violenta si chiude l’elenco dei morti del “violento”, come pochi, anno 1799, anche se c’è da dire che, nonostante tutto, non è questo l’anno che ha il “primato” della mortalità per il periodo preso in esame. Dei disordini avvenuti in Arce durante la Repubblica del 1799 si ha conferma da un’annotazione riportata nel Registro dei Battezzati della stessa Parrocchia dopo il Battesimo del 2 settembre 1799: Hae quator immediate sequentes Bap- tizatorum particulae hic ordine postposito repe- riuntur descripte eo, quod pluribus mensibus propter Gallorum invasionem Parochus, Sacerdo- tes, et Populus in montes, in speluncas, in caver- nas Terrae dispersi fuere egentes, angustiati, af- flicti (= I quattro battesimi seguenti si trovano trascritti in ritardo perché per più mesi a seguito dell’invasione dei Francesi il Parroco, i Sacerdoti, il Popolo furono dispersi per i monti, nelle spelonche, nelle caverne della Terra privi di tutto, angustiati, afflitti). Come già scritto, con il termine “Terra” si indicava il paese. Una situazione analoga a quella innanzi descritta si ebbe durante la seconda guerra mondiale.
Ferdinando Corradini
estratto da
IL PIÙ ANTICO REGISTRO DEI MORTI (1781-1801) DELLA PARROCCHIA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO DI ARCE, GIÀ IN TERRA DI LAVORO
“Quaderni Coldragonesi” Numero 9
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