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22 ottobre 1861 Borges e Crocco s’incontrano …

Posted by on Ott 22, 2024

22 ottobre 1861 Borges e Crocco s’incontrano …

da “Valentino Romano, “Dalle Calabrie agli Abruzzi. Il generale José Borges tra i briganti di re Francesco II”, D’amico Editore, Nocera Superiore, 2018, pp.146-149

.[…] Le prime luci dell’alba del ventidue assistono, dunque, all’incontro tra Borges e Crocco: è il momento culminante dell’intera avventura. I due autentici pezzi da novanta di tutta un’epopea tragica, per un caso fortuito, si trovano di fronte, l’uno all’altro: ultima vera spada europea del potere dinastico derivante da Dio il primo; principale forcone dell’insurrezione popolare lucana il secondo; soldato irriducibile dell’assolutismo che si sfalda l’uno, audace e furbo guerrigliero del mondo contadino che irrompe nella storia l’altro.

Sembra accomunarli solo la condivisione del medesimo progetto di restaurazione borbonica. Ma, a ben vedere, nel caso dello spagnolo l’adesione è ideale, discende cioè dalla convinzione che sia sacrosanto dovere di ogni sostenitore del principio di legittimità difenderlo ovunque sia messo in discussione e da chi ad esso attenti. Ė un obbligo al quale, per nessuna ragione e a qualunque prezzo, ci si può sottrarre, sia il Borbone di Napoli o chiunque altri la vittima di turno. Più prosaiche e pratiche appaiono invece le motivazioni che hanno indotto il brigante lucano ad  abbracciare la causa di re Francesco. Crocco, dopo una prima fase di banditismo comune, e fin dalla rocambolesca evasione dal bagno penale di Brindisi, ha sempre mirato a rientrare nel consorzio civile; la voglia di riscatto, l’ansia di elevazione sociale, l’ambizione – pienamente sorretta da doti non comuni di intraprendenza, coraggio ed acume – lo portano sempre ad allearsi con chi, di volta in volta, appare in grado di assecondarne i bisogni: già garibaldino nel momento di maggior splendore del nizzardo e poi uomo d’ordine del nascente governo prodittatoriale lucano, non si è fatto scrupolo di riabbracciare le bandiere gigliate, salvo poi a trattare un’onorevole resa con il governo italiano. Tuttavia, se anche non risponde propriamente al topos dell’eroe puro, senza macchia e paura, del difensore del Trono e dell’Altare che buona parte del recente revisionismo tende tout court ad appiccicargli addosso, non è nemmeno il volgare voltagabbana che i suoi repentini cambi di campo potrebbero far intendere, né il capo masnadiero e il criminale lombrosiano della lettura storiografica postunitaria di regime. In realtà egli è un contadino-brigante, quasi sicuramente avvicinato e utilizzato dai notabili murattiani locali , che resta sempre fedele al suo disegno iniziale, alla strategia di una vita intera: emergere dalla massa confusa e amorfa, affrancarsi dall’indigenza e dalle privazioni della sua classe.

Entrambi si fregiano del titolo di generale. Ed entrambi se lo sono guadagnato veramente, ciascuno a modo suo però: lo spagnolo vi ha impiegato una vita intera, spendendola sui campi di battaglia; il lucano invece ha colto al volo l’opportunità che gli si è presentata, elevandosi  – grazie al carisma naturale di cui è dotato – di una spanna su tutti i capi della rivolta. Per il “soldato” Borges il grado raggiunto rappresenta il naturale sbocco di una carriera onorata, in definitiva la normalità; per il “pecoraio” Crocco, al contrario, il titolo è epifania, individuale prima e collettiva poi, del riscatto da una condizione miserevole, dimostrazione plasticamente visibile della forza di volontà contadina e delle sue emergenti possibilità di affermazione nel complesso tessuto sociale, l’eccezionalità comunque. Per entrambi è segno del potere: ma, mentre per il primo è solo lo strumento che gli consente di pretendere la fedeltà dei sottoposti e la fideistica obbedienza ai comandi ai quali, a sua volta, egli stesso – nel trasmetterli – si assoggetta, per il secondo sono  anche stimolo orgoglioso, gratificazione narcisistica e – allo stesso tempo – incitamento anarcoide per le masse che coordina e rappresenta.

Due mondi l’uno all’altro confligenti, alternativi, inconciliabili: due antropologie contrapposte, le cui diversità si manifestano perfino nel fisico, nel portamento, nel vestire: Borges è minuto, tende a mimetizzarsi, a passare quasi inosservato, indossa una tunica scura senza fregi e gradi:

“… era un uomo di bassa statura, delicato con barba all’italiana, con uniforme color nero, con kepi blu, con sciabla di cavalleria, parlava l’italiano con enfasi francese…”; [1]

Crocco, al contrario, è alto sopra la media, corpulento, si preoccupa di emergere tra la folla, veste una divisa raccogliticcia ma ingallonata e decorata[V-A&O1] .

I due non hanno in comune nemmeno una patria, sia essa geografica o ideale: Borges è catalano per origine, spagnolo per passaporto, ma ancora di più è cittadino di un’idea morente che travalica i confini  nazionali; Crocco invece è lucano, cittadino di un micro mondo contadino che spesso non oltrepassa l’ambito familiare.

Ora il generale di carriera e quello dei ribelli sono l’uno di fronte all’altro: però null’altro che circostanze occasionali e un progetto apparentemente condiviso li associano e li spingono a cercare un fragile compromesso, un precario equilibrio.

Borges è un soldato che rispetta un codice d’onore: é convinto di dover aggregare larghe masse intorno al suo progetto militare e politico di restaurazione; la sua strategia è tutta tesa alla militarizzazione delle masse contadine insorgenti, all’allargamento del consenso nella popolazione, alla creazione di sacche importanti di territorio sotto il controllo governativo della deposta dinastia. In Borges è lucido il disegno politico di dare, in questo modo, dignità istituzionale alla lotta così da costringere le dinastie legittimiste europee a rompere gli indugi, abbandonare gli ambigui attendismi e correre in concreto aiuto della consorella detronizzata. 

Crocco confida invece solo sulla forza delle sue armi, sull’efficacia delle sue astuzie contadine: fine conoscitore dell’animo dei suoi accoliti, sa che il loro collante è un miscuglio esplosivo di odio sociale collettivo, ansia di riscatto singolo, ansia di riappropriazione attraverso il saccheggio e la rapina, necessità di consumare vendette individuali contro i tanti soprusi di classe finora subiti e da ultime ma non ultime, anche la paura del “nuovo” ignoto e la difesa del “vecchio” conosciuto; conosce benissimo i luoghi in cui opera, dispone di una fitta rete di manutengoli, ha contatti con le persone “giuste”, con quelle cioè capaci di intuire prima degli altri il volgere degli eventi e l’arte di trarne profitto non rimanendone invischiati del tutto. A questi ultimi egli serve, ma di costoro riesce a servirsene. Il suo è disegno di sopravvivenza alla giornata, gli è estranea qualsivoglia progettualità politica di più ampio respiro. Scaltro come si ritrova, ha piena coscienza che – per perseguire i suoi disegni – deve anche assecondare le vare esigenze politiche via via che si presentano:  intuisce che il comando ed anche la sola presenza di un legittimista puro e idealista come Borges possano vanificare di fatto la sua autorità, ma si rende anche conto che gli conviene comunque assumere un atteggiamento prudente, in attesa di chiarire la situazione nell’inevitabile finale resa dei conti. Per questo, pur ponendosi sulla difensiva, fa buon viso:

… gli faccio vedere – scrive Borges – le mie istruzioni, ed egli cerca di esimersi con falsi pretesti. Temo di non poterne trarre partito; tuttavia io non ho perduto ogni speranza …[2]

Crocco tentenna, tergiversa, temporeggia. Alla richiesta di cedere subito allo spagnolo il comando di parte dei suoi uomini, perché questi organizzi e disciplini militarmente la massa, frappone un netto rifiuto, giustificandolo furbescamente con motivazioni tattiche:

gli ho proposto di prendere 500 uomini d’infanteria e 100 cavalli, assicurandolo che con questa forza mi sento capace di tener la campagna: mi rispose che i fucili da caccia sono inutili per presentarsi in faccia al nemico”. [3]

A nulla vale ogni altra argomentazione di Borges, Crocco resta irremovibile. Alla fine – esaurita ogni altra plausibile obiezione – cala l’asso di un volere e di un comando superiori ai quali egli deve dar conto:

mi dice che dobbiamo attendere l’arrivo di un generale francese, che è a Potenza e che giungerà domani sera, e da lui sentiremo ciò che dice, prima di decidere qualche cosa di definitivo […]”. [4]

E in effetti in queste stesse ore si aggira, con altri individui, proprio nella zona di Potenza un misterioso personaggio, certo De Langlais, un francese non ignoto alla forza pubblica, dal momento che da più parti ne è stata segnalata la presenza:

Dalle ricerche fatte pare che Langlois ed i suoi compagni: cioè un chirurgo svizzero dell’esercito del Borbone, un ufficiale di marina e un sotto ufficiale, passassero per Potenza verso il 20 ottobre sotto il titolo di mercatanti, e fu loro facile deludere la vigilanza della polizia, sia per la confusione dei tempi, sia per l’affluenza di forestieri, che in quel torno dai paesi sogliono giungere nella città in occasione della fiera che si tiene dal 23 al 25 del mese”. [5]

[…]


[1] AUSSME, Fondo Brigantaggio, vol. XII, c. 73

[2] Diario, 21 ottobre, p. 101.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] R. Riviello, Cronaca, cit., p. 321


 [V-A&O1]Inserire nota di richiamo a Nacquero

Valentino Romano

copertina del taccuino (in tutto i diari sono tre) di Borges che contiene la pagina del 22 ottobre e la foto “Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Esteri. Farnesina, Roma”

copertina del testo

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