3 giugno 1799: Afragola in rivolta
Il 1799 fu un anno cruciale per l’Italia e per il Regno borbonico in particolare, fondato appena 65 anni prima da Carlo di Spagna. Il vento della Rivoluzione che da 10 anni spirava dalla Francia aveva causato il crollo graduale di tutte le istituzioni politiche principali della penisola, con la fondazione prima della Repubblica Cisalpina (1797) poi della Repubblica Romana (1798).
I regni di Napoli e Sicilia non erano stati toccati che marginalmente dal caos provocato dai giacobini francesi e dai loro successori: eccetto la sconfitta dell’esercito napolitano per mano di Napoleone Bonaparte nel 1796, avvenuta oltretutto lontano dal territorio regnicolo, Ferdinando IV di Borbone era rimasto in una situazione di osservazione passiva, ancorché rabbiosa, di quanto avveniva oltre i confini del suo Stato. La situazione precipitò per l’attacco del sovrano alla Repubblica Romana nel tardo autunno 1798: non solo i francesi del generale Etienne Championnet sbaragliarono le truppe napolitane, ma lo stesso Ferdinando dovette nottetempo lasciare Napoli con la famiglia e il Tesoro della corona e imbarcarsi per Palermo con l’aiuto inglese. Il 17 gennaio i francesi entrarono in una Napoli ormai lasciata a se stessa e il 23 gennaio 1799 venne proclamata la Repubblica napolitana.
La sollevazione sanfedista di Afragola.
Mentre la neonata Repubblica cercava di rendersi finanziariamente e politicamente indipendente dai francesi, senza riuscirci mai per davvero, questi ultimi occuparono le province e l’immediato contado della capitale, giungendo anche nel Casale delle fragole. Fu in questa occasione che dovette essere stato innalzato l’albero della libertà in Piazza dell’Arco (oggi Piazza Municipio), più noto per il basolo che fungeva da base che per sé stesso (della storia – direi più storiella – del basolo bianco leggi questo vecchio articolo: LINK). Le fonti, allo stato attuale della ricerca, tacciono su quanto avvenne in Afragola dalla proclamazione della Repubblica all’inizio della rivolta, eccetto che per un particolare, che qui non pubblico ma di cui parlerò nella 2a edizione de “Il caso Afragola” (vedi LINK). Notizie più corpose sono invece indicate a partire dal maggio di quell’anno quando, in seguito alla risalita dalla Calabria dell’ Esercito della Santa Fede del cardinale Ruffo, i francesi dovettero lasciare prima il contado di Napoli e poi la stessa capitale. Ciò favorì l’esplodere di rivolte antigiacobine in vari casale e varie città: Caserta, Portici, Acerra (ove il potere fu preso da tre ecclesiastici), Teano, Campobasso e infine Afragola. Parte della storia è in “Storia della Repubblica partenopea del 1799 e vite de’ suoi uomini celebri” di Clodomiro Perrone (un personaggio di cui spero di parlare prossimamente nella sezione “Napoli” del blog). Dalle sue parole sembra che sia stato in Napoli al momento dei fatti o che comunque ne sia stato successivamente toccato, poiché il racconto delle vicende (non solo relative ad Afragola) è particolareggiato ed esposto senza alcune.
Scrive Perrone:
“Ma la più terribile (delle rivolte, ndr) fu quella di Afragola promossa da Antonio Larossa (poscia uno de’ membri della Giunta di Stato) la quale scoppio a 3 giugno. Reciso l’albero della libertà e disotterate le armi nascoste all’uopo, per mantenersi furono chiamati in aiuto tutti que’ soldati di Campagna che trovavasi nei luoghi vicini, si passarono a ribellare tutte le altre terre de’ contorni, e si fe’ l’alleanza con Acerra, la quale somministrò al di là di tre centinaia di uomini e arrogantemente vennero essi ad attaccare i Partenopei. A 4 la Repubblica spedì contro i ribelli uniti 300 soldati tra Cavalli e Fanti: incontratili a Capodichino furono attaccati e volti in fuga per tutto il territorio di Casoria fino a un miglio da Afragola; la prudenza consigliò di non spingersi più oltre. I ribelli però quantunque ebbero molti feriti non persero che un sol contadino. Questo colpo fe’ rialzare gli alberi della libertà a’ paesi ribellati da Afragola, ma questa terra fu fatta rimanere ferma nella ribellione dal Larossa, il quale per resistere prima si portò dal Marchese della Schiava e poi dal Ruffo (…). Nel giorno 10 abboccatosi Larossa col Ruffo ebbe 308 sanfedisti a piedi (sotto il comando del prete Pietro Moscia) e 100 a cavallo (sotto il comando di Michele Rega) offrendosi introdursi a Napoli dalla via di Capodichino”1.
Afragola sanfedista.
La descrizione della rivolta e del successivo scontro con i napoletani, anche se sintetiche, rappresentano scene di storia viva difficilmente ritrovabili in altri testi coevi a questa “Storia” riguardanti i fatti della Repubblica. Col il nome di “Antonio Larossa” dobbiamo intendere la figura di Antonio Della Rossa, nato a Sant’Arpino nel 1748 da una famiglia benestante locale. Il 30 ottobre 1777 sposò Vincenza Castaldo, afragolese, nella chiesa di Santa Maria d’Ajello2: fu in seguito a questo matrimonio che si trasferì ad Afragola, esercitandovi la carica di magistrato civile e tenendo aperto uno studio anche a Napoli. Realista fino al midollo, organizzò le rivolte sanfediste in Afragola e nei comuni vicini, entrando nelle grazie del Re e divenendo prima capo della polizia, nel luglio del 1799 e successivamente, con la seconda restaurazione, membro del Sacro Real Consiglio.
Analizziamo alcuni punti salienti della fonte. Al momento della rivolta, vediamo che i sanfedisti (chiamati ribelli dal repubblicano Perrone) disotterrano delle armi nascoste “all’uopo”: segno che la rivolta era attesa da tempo e si attendeva solo la partenza dei francesi per agire. L’Albero della libertà fu abbattuto e di esso rimase solo una pietra, nella stessa piazzetta ove sorge la chiesa di San Giovanni Battista, che sarà successivamente restaurata proprio da Della Rossa. Costui riesce in meno di 24 ore a raccogliere 300 uomini da Acerra e altri dai casali vicini: tale efficienza è da spiegare col continuo contatto che i borbonici tenevano fra loro, in modo da aggiornarsi e da aggiornare su quanto accadeva nella Capitale. Afragola, essendo il casale più vicino a Napoli fra quelli rivoltatisi, opera come testa di ponte della restaurazione borbonica. Né bisogna però immaginare che la Repubblica non avesse propri uomini e proprie spie sparse nel contado: alla notizia dell’organizzazione della rivolta, i repubblicani, orfani dell’aiuto francese, inviano 300 uomini. Lo scontro avviene a Capodichino: bisogna quindi immaginare che la marea umana di afragolesi e acerrani abbia percorso tutta Casoria, seguendo il percorso dell’attuale via Sannitica, fronteggiando i napoletani forse al quadrivio della Calata di Capodichino. I repubblicani sono meglio organizzati e riescono a rintuzzare la marcia dei casalini verso la Capitale, inseguendoli fin dentro Casoria per poi fermarsi. E’ un successo per la Repubblica che conta solo un altro mese di vita ancora; ma, come lo stesso Perrone sottolinea, i “contadini” perdono un solo uomo (non sapremo mai chi) e, pur feriti, restano attivi. La notizia della sconfitta dei sanfedisti antigiacobini corre per i casali “sottomessi” da Afragola, che rialzano gli alberi della libertà abbattuti il giorno prima. Dobbiamo supporre che tali casali siano Casoria, Casalnuovo, Licignano, Caivano, Cardito e forse Frattamaggiore, tutti nell’immediato circondario di Afragola e Acerra. La nostra città rimase ferma nel suo sanfedismo grazie a Della Rossa, che anzi riesce ad ottenere, in meno di una settimana, oltre 400 uomini di rinforzo per marciare su Napoli, l’11 giugno.
E qui noi lo lasceremo, per il momento.
Note: