SULLE CONDIZIONI ECONOMICHE-AMMINISTRATIVE DEL DISTRETTO DI PIEDIMONTE IN TERRA DI LAVORO
DISCORSO DEL SOTTO-INTENDENTE CONTE FRANCESCO VITI Napoli Stamperia del Fibreno 1855
(Estratto: pagg. 66-72)
Sull’origine di Piedimonte d’Alife.
Di Piedimonte, per quanto mi sappia, non si rinviene alcuna menzione presso de’ classici latini. Ciò basterebbe a deporre contro ogni presunta antichità di origine, ed invece darebbe luogo ad argomentare che solo dopo la decadenza del Romano Impero; e probabilmente in tempo dell’incursione de’ barbari, sia dato congetturare intorno alla sua prima origine. Durante il reggimento consolare ed il consecutivo regno de’Cesari, ognuno sa che le aquile latine or vincitrici or vinte tragittarono più volte per queste contrade. E se tace l’istoria di quei tempi eroici, nel dar ragguaglio de’ movimenti delle romane legioni, non facendo alcun motto di questa Città, possiamo con fondamento dubitare della sua coesistenza con l’epoca delle Italiche grandezze.
Non così dopo il loro decadimento. Disciolta la gran mole dell’ Impero Romano; e con le frequenti barbariche incursioni, costretti gli abitatori delle principali Città d’Italia a cercare scampo ne’ forti eretti sulle vette e pendici de’ circostanti monti : potè allora avvenire che anche gli abitatori della vicina Alife, una delle capitali Città del Sannio Pentro, si portassero a costruire sulla propinqua falda dell’Appennino il CASTELLO superiore di Piedimonte, la cui torre e le merlate mura, dopo il corso di tanti secoli, veggonsi ostare ancora alla distruttrice potenza del tempo.
Manchiamo con tutto ciò di documenti diretti a fissare 1′ epoca precisa della sua fondazione. Nelle cronache del medio evo, avare troppo delle memorie più interessanti, e solo ripiene de’ romantici favolosi racconti, sarebbe a pura perdita mettersi alla ricerca di notìzie riferibili a municipali notabilità, quali sarebbero il nascimento, e l’infanzia di un piccolo castello.
La sola induzione può invece aprire l’adito a siffatte ricerche. Dagli scrittori degli annali d’Italia ben si apprende, di quanta desolazione furono apportatrici le vandaliche incursioni. È appunto dalla venuta de’ Saraceni in queste contrade, la quale, giusta un’antica tradizione, ha dato il nome ad una delle meridionali falde del nostro monte CILA, che incomincia ad apparire un indizio della esistenza del Castello di Piedimonte.
Si ha da Erchemperto, da Leone Ostiense, e dalla Cronaca di S.Vincenzo a Volturno, citata dall’ istoriografo Trutta, che dopo la metà del nono secolo, Alife insieme ad altre città vicine fu vittima delle sterminatrici incursioni de’ Saraceni. Poste dalle loro orde a ferro ed a fuoco le forti sue mura, con molta probabilità può congetturarsi che una parte della popolazione sopravvissuta alle ruine, ed al ferro nemico, si fosse riparata tra le dirupate balze del vicino monte, edificando su di una inaccessibile roccia calcare il Castello di Piedimonte, la cui costruzione, ed opere di fortificazione
mostrano comparativo rapporto colle fabbriche del medio evo, ed annunciano allo spettatore per l’asprezza del sito un luogo di rifugio, e di riparamento in estremi casi di pericolo.
Ma oltre il decorso de’ bassi tempi, in epoca del risorgimento della italica civiltà, non vi ha d’ uopo più di congetture nella ricerca de’fasti di Piedimonte.’— Ne’ politici cambiamenti di questo Reame avvenuti dopo il mille, e nelle civili discordie tra il Papato, e l’Impero che disastrose vicende addussero in questa parte delle italiche contrade, Piedimonte prende nella istoria un posto assai interessante. Eccolo in fatti nel 1158 mentovato dal Ciarlante e dal Giorgi, nelle devastazioni apportate da Ruggiero ad Alife. Eccolo nel 1205 mentovato da Capecelatro nella resistenza del suo Castello, virilmente fatta all’armi del Conte di Celano. Eccolo di nuovo nominato dallo istesso istorico nel 1229 quando il Cardinale Pelagio generale della Chiesa, stringendo d’ assedio il suo Castello, non potè soggiogare la forte torre, che dopo secoli oggi ancora rimane in piedi. Eccolo, per tacere di altri fatti, rammentato di nuovo, quando nel 1437 venne stretto d’ assedio dal Patriarca Giovanni Vitellesco, generale d’Eugenio IV, che penetrando con poderosa armata nel Regno, per favorire la parte Angioina, dopo espugnata Alife, venne a combattere anche il Castello di Piedimonte, assediandovi Cristofaro Gaetano che contro gli Angioni seguiva le parti di Alfonso di Aragona.
Da tali preliminari nozioni argomentiamo, che se Piedimonte ne’ primi tempi successi al mille era già un Castello capace di fare una valorosa resistenza, come si è osservato, nelle diverse summentovate oppugnazioni; se da tale epoca incominciarono a sorgere in esso uomini chiari ed illustri nelle armi e nelle lettere, come un Niccolò Alunno, Logoteta della Regina Giovanna nel 1360; Un Cristofaro Gaetano 4.to suo Duca, Capitano del Re Ladislao, Viceré della Provincia di Terra di Lavoro e Molise nel 1402, e poscia in quella d’ Abbruzzo sotto la Regina Giovanna II, nel 1419; Un Onorato II.° quinto de’suoi Duchi, vittorioso Generale di Alfonso I° e di Ferdinando d’Aragona nel 1442, e protonotario del Regno; Un Giovanni de Alferiis Vescovo della sua patria nel 1400; Un Jacobuccio de Franchis Consigliere del Sacro Regio Consiglio nel 1505; ed in fine come un Marcantonio Genovese Vescovo in Isernia; Un Nunzio Tartaglia, giureconsulto ragguardevolissimo; Un Oviddio d’Amicis;Un Francesco Pertusio, ed altri notabili personaggi, fiorirono; se insomma in tale epoca Piedimonte era divenuto fiorente, ed adulta nella sua civiltà: è ben a tenersi che la sua infanzia civile dovette avere percorsi molti secoli prima, e per conseguente la sua origine può rapportarsi ad un’epoca anteriore al mille, e probabilmente successiva ad una di quelle deplorabili catastrofi che invertono lo stato delle nazioni, quale appunto può considerarsi per le addotte ragioni quella in cui avvennero le saraceniche invasioni, prima delle quali non troviamo a fondare più verosimile congettura sulla sua primitiva origine.
Queste notizie sull’antichità di Piedimonte d’Alife mi sono state favorite dalla cortesia del Signor’ D. Pasquale Costantino, Consigliere Distrettuale. Mi limito a dire poche altre parole su’principali stabilimenti, che possono di presente richiamare l’attenzione e la curiosità del viaggiatore.
- Primo si annunzia il Monastero di S. Maria Occorrevole de’PP. Alcanterini e la Solitudine.
- La fabbrica di cotoni dello Svizzero Signor Egg
III. La magnifica sala del palazzo ducale di Piedimonte della eccelsa famiglia Gaetani — Dell’ Aquila — Aragona.
- Circa l’anno 1136 un guardarmeli discoprì tra i burroni del Monte Muto la immagine miracolosa della Beatissima Vergine, che con le braccia aperte, in atto di soccorrere, Santa Maria Occorrevole, venne appellata- Nell’anno 1447 la Chiesa ivi eretta venne affidata a preti regolari; e nel 1660, si credè più opportuno concederne il servizio a’PP. Minori Alcanterini. Il gran Monastero che ora vi si
vede, ebbe fondazione circa l’anno 1668. Ivi ànno stanza circa 50 religiosi tra Sacerdoti, Novizi, Solitari, Laici e serventi tirando tutti sostentamento dalla carità de’fedeli. Di due mila passi è la distanza da Piedimonte al Convento di S. Maria Occorrevole ed otto piccole cappelle danno lieve poggio allo stanco devoto pel tortuoso ripido sentiero, elevando i loro animi a pensieri celesti.
Poco lungi dal gran Monastero verso ponente, evvi l’insigne Santuario che Solitudine, a Conventino dall’universale si appella. Desso è situato nel centro di folta boscaglia alla balza del Muto: l’erto ciglione del Monte perpendicolare il sovrasta minaccioso; gli enormi sassi che continuamente si distaccano dalla rupe in giù cadendo, rispettano il tempio della Regina degli Angioli, né vi recano danno.
- Giovan Giuseppe della Croce Provinciale dell’Ordine Alcanterino nell’anno 1677 ne gittò la pietra fondamentale. Il Santuario o Conventino videlo il Santo completo nel 1679. E permesso a’devoti accedervi solo in tre giorni festivi dell’anno, cioè la terza festa di Pasqua di resurrezione, la terza festa di Pentecoste, la prima Domenica di Agosto, giusta il Decreto del Sommo Pontefice Innocenzo XII del 9 Agosto 1697.
A man dritta girando, si trova di fronte la cappella dedicata a S. Giovan Giuseppe della Croce, edificata su di un sasso caduto , e da quell’erta rupe distaccato; mentre il Santo rapito in estasi, in quel sito pregava e si salvò fuggendo, e quivi un sandolo perde che sotto quel sasso si asconde.
Innanzi al largo che precede l’ingresso del gran Monastero, si estende un ampio piano inclinato verso mezzogiorno, un dì munito di merlate difese che diconsi costrutte da’Sanniti contro i Romani, e che contenuto avessero l’esercito del Dittatore Romano cui fu dato il cunctando rem restituere, mentre al feroce Cartaginese, evitando la pugna, opponevasi. Ora invece esiste in quell’orlo un campanile che a Piedimonte sovrasta, ed in ogni intorno per lunghe leghe rimbomba.
- Non saprei meglio descrivere l’importanza dello Stabilimento de’cotoni dello Svizzero Signor Gaspare Egg, che trascrivendo un brano della rassegna della solenne pubblica esposizione di arti e manifatture nel 30 maggio 1853 del Professore Paci, che leggesi nel fascicolo 98 degli annali Civili del Regno delle Due Sicilie, novembre e dicembre 1853, pag. 85.
« Passando poi dai cotoni filati a’ tessuti bambagini affatto bianchi o variamente colorati, non ché a quelli ove al cotone va congiunto il lino, la canape, la lana o la seta; primo si presenta per vetustà non solo che per merito l’ opificio del Signor Giovanni Gaspare Egg. Questo vasto edifizio, sorprende meno per corredo de’suoi molteplici meccanismi attivati dalle acque del Torano, che per la veneranda rimembranza del suo fondatore Cav. Giangiacomo « Egg, zio dell’attuale Direttore. Oltre a 300 operai di ambo i sessi vi ricevono pane, lavorandovi il cotone ed il lino, quali materie prime sono per tre quarti indigene, e per un quarto estere. Né qui devesi ommettere che in un soccorsale opificio in Nocera de’Pagani, con apposito meccanismo messo in moto dal vapore, traesi da già maturi frutti quella ricercata lanugine, colla quale poi in Piedimonte l’esperto manifatturiere confeziona le moltiplici sue produzioni meritamente applaudite ed incoraggiate in ogni pubblica industriale gara. Né questa fiata egli mancava alla generale aspettativa; e se un positivo immegliamento dimostrava egli ne’menzionati tessuti di lino, un positivo progresso dava a’ bambagini, scopo principale delle sue occupazioni, come di più generale consumo. E poiché di tutte queste ricercate produzioni nulla può dirsi con buon avvedimento se non se ne consideri principalmente il prezzo, aggiungiamo che il cambrie proporzionatamente alla varia sua larghezza costa da grana 24 a 32 la canna ottava: la costanzella a duc. 3.60 la pezza di canne a nove: la tela in cotone larga palmi tre, grezza a grana 30, biancata a grana 32 la canna: il dobletto operato, a corde, ed a mille righe, di palmi due e mezzo di larghezza, grana 36, largo palmi quattro, e lavorato a fascioni grana 63, e grana 75 l’operato: i fazzoletti cambrie bianchi e colorati da grana 92 a
ducato 1,10 la dozzina, ed i battistati ducato 1,20: i fazzoletti pulicatis, quelli cioè tessuti con cotoni tinti a fini colori, da ducati 2,20 a 2,50 la dozzina : la fiandra damascata od a quadro di palmi tre a grana 70 la canna ottava: le pezzotte di nanchino confezionate col cotone colorato di Lecce di palmi nove a grana 72 l’una: le bellissime coverte di dobletto damascato di palmi otto per nove, ducati 2,60; e quelle di mollettone, che per ogni titolo ottenevano il primato tra le altre esposte, ad una piazza costano ducati 4,36; e ducati 8,50 a due piazze, pesando ciascuna delle prime rotoli quattro ed un terzo, e rotoli otto e mezzo le seconde. I quali prezzi non essendo certamente cari, atteso il merito delle manifatture; noi ci congratuliamo col Signor Egg, per aver saputo anche questa fiata aggiungere un novello alloro alle sue industriali elocubrazioni.»
Questo grandioso opificio e le altre macchine idrauliche, che esistono in Piedimonte sono animate dalle acque del Torano; confluente del Volturno. Il fiume Torano che scorre irrigando la città, fu detto dagli antichi Tauranum: ha due sorgenti, una sulla base del Monte Muto, 1’altra a pie del Monte Cila; e questa che conoscesi volgarmente sotto il nome di Maretto, venne effigiato in forma di Toro, per dare onore alla memoria di Tauro primo condottiere de’Sanniti. Nel sito ove sorge il Torano, a pie del Muto, si veggono gli effetti di un terremoto fortissimo, e del quale non si può avere contezza, avvenuto in tempi assai rimoti, e pria che dagli uomini fossero quei luoghi visitati. Spaccato quel Monte come si vede, ed aperta quella immensa valle: sgorgò il Torano, le cui acque in prima scorrevano per le interne viscere del detto Monte.
III. Nulla di sorprendente esiste nell’architettura del palazzo Ducale, se se ne tolga un grande aggregato di fabbricati con spazioso cortile. L’interno è ben messo, e rammenta aver ricevuto tra le sue mura Carlo III Borbone, di gloriosa rimembranza nel 1734, ed il Re Ferdinando II felicemente regnante nel 17 aprile 1841.
Magnifica e degna di essere ammirata è poi la gran sala di questo Palazzo, lunga palmi 84, larga palmi 34. Nella volta si ammirano le armi delle più cospicue famiglie del regno, imparentate con quella di Gaetani dell’ Aquila Aragona, non che i principali fatti storici che la riguardano. D’intorno alle mura vi esistono n. 49 quadri, rappresentanti i ritratti de’primogeniti di questa illustre storica famiglia. Il primo di essi è il Duca Giovanni I di Gaeta che visse nell’840 dell’ era volgare, e termina all’attuale Duca di Laurenzana Ministro Segretario di Stato al ritiro, già Luogotenente Generale in Sicilia e Cavallerizzo maggiore di S. M. la Regina N. S.. Meritano particolare attenzione i ritratti del I. Crescenzo, padre di Gelasio II., l’altro del I. Goffredo, padre di Bonifacio VIII; ed il terzo di Onorato I. 3. Conte di Fondi e quinto Signor di Sermoneta , che governò da Vicario Generale lo Stato Pontificio, mentre la Santa Sede trovavasi in Avignone. Si osservano poi in luogo distinto e separato i ritratti de’detti Sommi Pontefici Gelasio II. che governò la Chiesa nel 1118 per un anno e cinque giorni, e di Bonifacio VIII che la resse dal 1294, d’intorno ad anni nove ad un bel circa; i quali alla nobilissima famiglia Gaetani si appartengono.
Questa pinacoteca familiare è al certo un gran lustro per gl’individui di quella illustre stirpe: e per gli eruditi e gli artisti è un mezzo non dubbio onde avere esatta conoscenza e delle assise, e delle armi, e de’ costumi del medio evo, in cui quei personaggi vissero. Una biografia di ciascuno di essi coi rispettivi ritratti sarebbe opera ben degna di quella gloria avita, che bisogna saper conservare come il più prezioso tesoro, ed anche più ricco tramandarlo ai posteri col corredo delle più nobili azioni personali: Siffatte cronache riescono più acconce ed istruttive e pe’ municipi e per le famiglie ancora; e giovano immensamente alla storia per quella luce, che possono spandere su’ fatti ed avvenimenti pur troppo interessanti, e per la storia istessa e per la gloria delle famiglie.
Fa parte del Palazzo Ducale un Teatro ben corrispondente a’ bisogni del luogo ed al numero della popolazione. Instaurato e messo in più eleganti forme, sarebbe un novello alimento al brio ed alla gajezza spontanea di questi naturali.
È rimarchevole pure che Piedimonte ha una Cassa di Beneficenza ben ricca, elevandosi la rendita annuale a ducati 3200. Dessa ha cura di molte chiese e dell’Ospedale civile fondato da Vincenzo Costantini nel 1665. Il Monte di pegni eretto da’ fratelli della congrega del Santissimo Rosario, sotto la direzione de’Padri Domenicani nel 1616, venne arricchito nel 1769 dall’eredità del Sacerdote D. Lorenzo Battiloro: fu preda del saccheggio nel 1799; ma posteriormente, mercè le cure de’medesimi fratelli della Congrega del SS. Rosario e l’efficaci sollecitudini delle Commissioni di Beneficenza, questo Stabilimento è risorto a novella vita; e meglio di ducati 5000 sono in commercio a vantaggio delle infime classi. Desso vien governato dai particolari regolamenti approvati con Real Decreto del 1 luglio 1820.
Lo stemma di Piedimonte si compone di tre cipressi: e non mi è riuscito apprendere, donde abbia avuto origine la scelta di un albero ch’è indice di luoghi di morte.
Non saprei meglio dar termine a questo cenno, che avvalendomi delle parole istesse della Bolla Pontificia del Regnante Pio IX del 5 luglio 1852 con cui venne la Diocesi di Telese a Cerreto canonicamente segregata da quella di Alife, che colla qualità dì Concattedrale egualmente principale era stata ad essa unita nel 1820.
« Tenendo nondimeno ragione dell’aria deteriorata, e della insalubrità della stessa, cui dicesi da gran tempo soggetta la città di Alife; sarà permesso a ciascuno de’ Vescovi Alifani prò tempore, secondo il prudente loro gradimento, di aver dimora e residenza nella vicina città di Piedimonte, nel modo stesso che ci vien esposto essersene introdotta e stabilita da molti anni in qua la consuetudine per le cause anzidette, e per ragioni di altre gravi circostanze che ciò consigliavano. Ci è ben noto di fatti, che già da gran tempo in tal luogo trovasi stabilito l’Episcopio, come ancora il Seminario diocesano, al quale certamente, se è alle volte necessaria la presenza del Vescovo, dee questa riputarsi sempre utile, e vantaggiosa, tanto affin di prevenire, e rimuovere qualsivoglia detrimento o inconveniente possibile, quanto per usar quella debita cura che riesca opportuna ad ottenere il sempre crescente progresso degli alunni nella pietà e nelle buone lettere. Al che aggiungesi, esser Piedimonte per la situazione in cui trovasi, il Capo luogo di tutto il Distretto di tal nome: risedendo ivi le Autorità governative del ramo politico; e dicendosi esser fornito di tutte quelle più importanti prerogative comodità e requisiti, per le quali cose vien riputato degno della vescovile residenza, e del tutto idoneo alla stessa. Per lo che Noi vogliamo, e comandiamo che tal luogo denominato PIEDIMONTE, sia eziandio a perpetuità condecorato del più prestante titolo e della onorifica prerogativa di CITTA’ VESCOVILE.
fonte
blog.pm2010