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Massimiliano Verde: difendere la lingua napoletana è un diritto dell’umanità

Posted by on Giu 8, 2019

Massimiliano Verde: difendere la lingua napoletana è un diritto dell’umanità

Intervista al Palazzo di Vetro dell’ONU con il Presidente dell’Accademia Napoletana, venuto recentemente a New York per salvare il napoletano

“Era arrivato il momento che qualcuno seriamente si occupasse di preservare un patrimonio dell’identità culturale italiana e non solo… A Napoli circa il 70% dei suoi abitanti parla ancora il napoletano come prima lingua… “Gomorra e Ferrante? In quanto storico e studioso della cultura, della lingua, dell’arte io non mi occupo di fictions…. puntare e sensibilizzare i giovani soprattutto, ad una lingua, quale quella napoletana che è quella dell’antifascismo, della democrazia e della resistenza al nazismo…

Gli immigrati napoletani di più vecchia generazione sono preziosi, conservano un tesoro che va salvaguardato. Sarei molto onorato di poter realizzare attività di formazione ed informazione sul patrimonio culturale-linguistico napoletano e sugli aspetti ortografici del Napoletano magari con le associazioni degli italo-americani, con accademie, università, centri culturali che sono a NY e negli Stati Uniti, insomma tutti coloro che vogliono preservare questo tesoro che, sparendo quella generazione, andrebbe perduto”

Nel nostro ufficio alle Nazioni Unite vengono spesso a trovarci personaggi della cultura e dello spettacolo italiano che, una volta saputo che La VOCE di New York opera da dentro il Palazzo di Vetro, colgono al balzo l’occasione per “allegare” all’intervista un bel tour della sede centrale ONU. Ma l’ultimo nostro illustre ospite, è un personaggio che ci ha fatto capire subito quanto fosse appropriato parlare di quello di cui lui si occupa proprio dentro la sede delle Nazioni Unite.

Il Dott. Massimiliano Verde è il difensore della lingua napoletana, a Napoli e nel mondo.  E in questa lunga intervista, ne abbiamo raccolto il pensiero-azione: 

“Era arrivato il momento che qualcuno seriamente si occupasse di preservare un patrimonio dell’identità culturale italiana e non solo, se solo pensiamo alla Neapolitan Song, alla musica ed al patrimonio storico-letterario napoletani, dal Placito Capuano fino a Giovambattista Basile, Cortese, o ai contributi ed ispirazioni culturali e filosofici di Vico. Un patrimonio culturale straordinario che se da un lato non si esprime soltanto in lingua napoletana, dall’altro, proprio grazie a questa lingua trova la sua magnificazione. Infatti anche  l’UNESCO ce lo riconosce con un codice ISO: secondo l’agenzia culturale dell’ONU il Napoletano è infatti una lingua vulnerabile perché purtroppo le istituzioni italiane non se ne curano in maniera adeguata e che invece, in quanto patrimonio della nazione italiana, anche considerando gli art. 3,6,9, 21,33  della Costituzione italiana dovrebbe essere tutelato, soprattutto per le nuove generazioni”.

Così Verde gira il mondo per perorare la causa del napoletano. Ad aprile era a New York, ospite sia alla Hofstra University che alla Casa Italiana della NYU.

“Ho pensato di creare questo gruppo di lavoro scientifico internazionale che presiedo, in quanto autore del primo corso di lingua e cultura napoletana riconosciuto dal Comune di Napoli: trattasi di un gruppo di ricerca che ho chiamato Accademia Napoletana, nato a Napoli ma allargatosi con collaborazioni accademiche ed universitarie in tutto il mondo come l’Università Capodistriaca di Atene: difatti proprio sull’eredità magno-greca di Napoli ho tenuto anche una conferenza all’Istituto italiano di cultura di Atene perché nella lingua napoletana coesistono tutte le diversità linguistiche e culturali del Mediterraneo, non a caso ancora nel Napoletano attuale sopravvive l’antico vocalismo greco”.

“Qui a New York collaboro anche con la Cav. dottoressa Josephine Buscaglia Maietta ed il professor Stanislao Pugliese i quali, tra gli altri, hanno voluto riconoscere questo mio lavoro. Grazie a loro infatti ho tenuto una conferenza alla Hofstra University il 23 aprile 2019 e una successiva il 25 alla Casa Italiana Zerilli Marimò della NYU – ringrazio qui il Direttore Stefano Albertini – dove ho avuto la possibilità di esplicitare questo progetto che non è solo linguistico, ma anche di protezione di alcuni diritti culturali, in questo caso linguistici, appunto tutelati dalla Costituzione italiana ma anche dalle Convenzioni ONU e dalle Convenzioni europee per la salvaguardia delle diversità culturali. Il lavoro dell’Accademia Napoletana è in effetti un lavoro per il cui ho interessato anche l’UNESCO in occasione della Giornata internazionale della Lingua Materna 2018-19 e con una lettera indirizzata alla Direttrice Generale dell’UNESCO stessa in occasione dell’inaugurazione dell’IYIL 2019 (International Year of Indigenous Languages). Occorre dire che in tal senso ho ricevuto interesse ed attenzioni da parte UNESCO quanto al progetto Accademia Napoletana. Non a caso ho un profilo web nella pagina dell’IYIL 2019 in quanto credo che occorra tutelare questo patrimonio linguistico come ricchezza della comunità italiana in quanto tale ma anche della comunità culturale napoletana, in Italia ed all’estero. Il lavoro dell’Accademia Napoletana è stato inoltre presentato alla Columbia University nell’ambito del “Global Justice for Indigenous Languages: A Symposium ” per la preservazione delle lingue indigene a rischio dalla professoressa Miryam Yataco, la quale pure mi ha intervistato a NYC”.

Mentre il Prof. Verde è un fiume in piena, noi cerchiamo di capire da lui lo stato di salute attuale della lingua napoletana. E con questo abbiamo capito anche che Verde non è affatto solo nella sua battaglia di difesa:

“A Napoli circa il 70% dei suoi abitanti (senza considerare l’area metropolitana di Napoli)  parla ancora il napoletano come prima lingua. Il lavoro dell’Accademia Napoletana s’ispira agli studi ed è stato in tal senso riconosciuto dal chiar.mo prof. Carlo Iandolo un vero luminare della materia, il quale volle dare dare il là a questo progetto. In tal senso occorre ricordare anche il dott. Raffaele Bracale. Entrambi gli esperti, membri dell’Accademia Napoletana. Al compianto prof. Iandolo dedico tutto il mio lavoro. Recentemente abbiamo realizzato un convegno con le scuole di Pompei presso il comune della città vesuviana al cui ha partecipato anche il Prof. Silvio Mastrocola un luminare della lingua e letteratura italiana che sostiene il mio lavoro”.

“Collaboro anche con la FAC São Roque del Brasile e qui devo menzionare i professori Ivan De Oliveira Durães e Pietro Nardella Dellova. In particolare con Ivan stiamo conducendo una ricerca antropo-sociologica sulla comunità campana dello stato di Sao Paolo e con il prof. Dellova ho tenuto una conferenza per il primo congresso internazionale di Diritto Penale del Cariri (Università URCA) con una lectio magistralis sulla  storia dell’operazione Mani Pulite, nel contesto politico Nord-Sud Italia. Con Ivan e Pietro sono anche membro del comitato editoriale della Revista de Direito Civil, coordinata sempre dal Prof. Dellova”.

E la difesa della lingua napoletana, per Verde, ovviamente deve partire dai bambini.

“M’interesso infatti del tema della preservazione del patrimonio linguistico-culturale napoletano anche da punto di vista della tutela della dignità culturale e sociale del bambino napoletano parlante nell’ambito ed ai sensi cioè, anche della Convenzione per la Tutela dei Diritti dell’Infanzia, ratificata dall’Italia. Questo documento impone un dovere agli Stati firmatari di preservare e rispettare appunto l’integrità dell’identità culturale del bambino. E’ evidente in tal senso che ogni qual volta l’idioma napoletano e i suoi parlanti non vengano rispettati socialmente né culturalmente ma di essi se ne faccia un’univoca rappresentazione di degradazione sociale e criminogena, assistiamo ad un evidente contrasto con tali diritti invece colà sanzionati, ovvero quelli dell’educazione al rispetto dell’integrità culturale e linguistica del bambino, che costituiscono preciso impegno di tutela da parte dello Stato italiano che quella Convenzione ha ratificato”.

Qui abbiamo la sensazione che Verde non vede di buon occhio quello che ci appare scontato, e cioè che il napoletano per la verità si sente tanto parlato nei media, soprattutto in tv, con le serie di grande successo come Gomorrah e anche recentemente della trasposizione Rai dei romanzi della Ferrante. Appena ne facciamo cenno, il viso diventa quasi del colore del suo cognome:

“Gomorra e Ferrante? In quanto storico e studioso della cultura, della lingua, dell’arte io non mi occupo di fictions. Per me occorrerebbe, piuttosto che direzionare l’attenzione su di un univoco aspetto, ovvero quello degradante e degradato e molto spesso amplificato per ragioni commerciali, di una sottocultura o meglio pseudocultura, puntare e sensibilizzare i giovani soprattutto, ad una lingua, quale quella napoletana  che è quella dell’antifascismo, della democrazia e della resistenza al nazismo (4 giornate di Napoli).

Infatti occorrerebbe focalizzarsi su personaggi che hanno fatto la storia della cultura e della lingua napoletana come ad esempio Ferdinando Russo o Raffaele Viviani che sono molto poco conosciuti sia in Italia che al all’estero. Viviani per esempio denuncia potentemente l’omologazione culturale e linguistica voluta dalla dittatura di Benito Mussolini molto prima di Pasolini. Raffaele Viviani di Castellammare di Stabia, commediografo, attore, scrittore,poeta di spessore pari se non superiore ad Eduardo De Filippo ma meno conosciuto ci fornisce un esempio di alta denuncia sociale: egli non condanna senz’appello il popolo napoletano ma al contrario lo incita a liberarsi dalle catene sociali e culturali in cui è stato precipitato.

In realtà possiamo dire che il messaggio di Raffaele Viviani è altamente democratico: nelle sue opere Viviani sembra sottolineare appunto questo imbarbarimento ed alienazione di certo popolo napoletano che richiede un puntuale riscatto. Non a caso Viviani usa la lingua napoletana come strumento democratico di rivalsa e riscatto sociale e non di degradazione.

Le opere di Viviani (ricordo qui “Zingari”) infatti mi sono molto utili per portare avanti le mie riflessioni sul progetto Accademia Napoletana in questo senso debbo ringraziare anche il poeta ed attore Ciro Ridolfini che ho inserito nel mio gruppo di lavoro.

Insomma: ogni volta che si sia in presenza di una compressione del diritto all’espressione del nostro idioma o quando questo (come chi lo parla) venga rappresentato soltanto in forme molto degradate e condannato appunto senz’appello, allora siamo in presenza di qualcosa di lesivo rispetto all’intera comunità che in quell’idioma s’identifica. Un po’ come succede ai siciliani, la cui lingua è certamente nobilissima (volgare più perfetto per citare Dante) ma che viene rappresentata spesso in un sol certo modo e se ci pensiamo ciò avviene anche per gli italiani, così come vengono tout court rappresentati, all’estero”.

Un fiume in piena è Verde, abbiamo detto, in difesa della bella lingua napoletana. Ma allora, ci e gli chiediamo, quando è che si può ritenere lingua napoletana da difendere? Insomma come distinguere lingua bella da quella brutta?

“Invece al contrario, è necessario ricordare che il Napoletano è la lingua dell’Opera, abbiamo ad esempio libretti scritti e musicati in Napoletano, l’opera buffa nasce a Napoli in Napoletano, la maschera del Pulcinella si esprime in una lingua che si evolve da 3000 anni, prima osca, greca, latina e come dimenticare in tal senso un Antonio Petito, il teatro dei Di Maio, De Filippo, un De Curtis-Totò o parimenti artisti del calibro di Aldo Giuffré, Caruso o Gilda Mignonette? La lingua Napoletana è davvero un tesoro che sublima l’interazione di molteplici culture e popoli…”

Già la musica. Dove c’è musica c’è Napoli, si potrebbe dire…

“Pino Daniele riusciva a usare napoletano e americano, jazz, blues. Addirittura la Treccani ha inserito, pur sbagliando nella trascrizione ortografica, la ‘a pucundria in onore a Pino Daniele. In realtà ‘a pucundria non è una parola intera, ma la “a” è preceduta da un segno grafico significante l’aferesi (caduta della lettera, in questo caso la “l” ad inizio parola). Essa sintetizza un sentimento molto simile alla saudade brasileira ma diverso in quanto tipico di uno spirito filosofico mai domo quale quello partenopeo, la ricerca di un qualcosa di svanito o meglio, perduto. Qualcosa deve esser  accaduto nel corso della storia per far sì che proprio nel Napoletano oggi ci si esprima con questo termine per indicare  qualcosa che si è perduto, “the lost paradise”…forse un tempo di una Napoli, molto diversa da quella di oggi….

Un’altra caratteristica ovvero la musicalità del Napolitano è data anche dal suo essere tronco, come l’inglese (è importante qui ricordare anche la celeberrima sesta napoletana). Il Napoletano per questa sua qualità riesce ad essere trasposto in melodie che potrebbero sembrare molto lontane da quella mediterranea. La lingua napoletana ha questa espressività perché in sé contiene questo mix armonioso di diversità linguistico-culturali millenarie che si sublima proprio grazie a questa sua forma tronca che quell’armonia melodiosa garantisce.

Se il suono però non corrisponde a una corretta grafia, ne esce distorto e disarmonico. Ecco perché occorre saper scrivere in corretto napoletano, per recuperare quella melodia che una scorretta grafia impedirebbe e che quella musicalità esautorerebbe. Anche questo è il lavoro dell’Accademia Napoletana”.

Bene, allora Enzo Avitabile, Pino Daniele, sono dei giganti: ma la lingua l’hanno usata correttamente?

“Questi illustri musicisti hanno avvicinato e contaminato, sempre con una forte identità partenopea la lingua napoletana ad altre lingue e culture, ma pur con l’immenso rispetto che per questi enormi artisti si deve, artisti che amo e che ci danno lustro nel mondo, occorre ricordare ch’essi non sono squisitamente dei filologi (non è questo infatti il loro lavoro).

La cultura napoletana elabora e porta a vette altissime le eccellenze poetiche e le melodie provenienti dai molteplici contributi musicali e linguistici che ha ricevuto e continua a ricevere.

Artisti come Daniele, Avitabile, ma anche Carosone, Arbore anche se non napoletano ne sono chiari esempi.

Oggi però manca in Italia un pieno rispetto della cultura linguistica napoletana, al contrario più spesso ciò si verifica all’estero, faccio un esempio: Celine Dion non canta in perfetto napoletano, ma nell’ “Ammore annascunnuto” ha dimostrato di aver studiato l’accento e la cultura napoletane e ciò è una grande dimostrazione di rispetto per la cultura e lingua napoletane.

Aggiungo che a volte anche artisti napoletani emergenti vogliosi di recuperare quest’arte nobilissima molto spesso non avendo mezzi filologici o perché non accompagnati da mezzi necessari, scadono nel pressapochismo. Un esempio contrario invece di giovane talento che l’Accademia Napoletana intende valorizzare è Alessia Moio.

In Italia infatti occorre ritrovare il rispetto che si deve a questo enorme patrimonio linguistico, altrimenti assisteremo sempre ad  “suoni distorti” e fracassosi….

Proprio per questo ho realizzato il primo corso di lingua e cultura napoletana, riconosciuto dal comune di Napoli ed un libro, tratto dalla relazione inviata da me all’UNESCO in occasione della Giornata Internazionale della Lingua materna 2018, “Lengua Napulitana, Patremmonio ‘e ‘na Cultura Auniverzale ‘Mpericulo”scritto direttamente in Napoletano, in cui cerco di illustrare la situazione della lingua napoletana (e dei suoi parlanti) che la stessa UNESCO considera a rischio, tale libro è anche scritto in valenciano e castigliano (collaboro con l’Institut d’Estudis Valencians e la Real Academia de Cultura Valenciana).

E’ in virtù di questo lavoro multidisciplinare che sto conducendo che sono stato invitato a tenere queste conferenze: sia alla Hofstra University (ringrazio il Prof.Pugliese che mi ha consegnato un riconoscimento molto importante per il mio lavoro) che alla Casa Zerilli Marimò-New York University, il 2 maggio a presenziare alla celebrazione dedicata a Joe Petrosino, figura simbolica molto potente la qual cosa mi ha molto emozionato mentre il 3 maggio al Consolato Generale italiano di NYC, grazie alla Cav.dott.sa Josephine Maietta che ha voluto omaggiarmi di un riconoscimento per il lavoro svolto per la tutela e l’insegnamento del Napoletano e per il sostegno all’AIAE.

Inoltre ho partecipato al programma “Sabato Italiano” della Radio Hofstra sempre con la dott.sa Maietta, dove ho ricevuto una citazione dalla Contea Nassau per il mio impegno, in precedenza alla Columbia Foundation ed il 5 maggio all’Italian Community of Westbury con cui abbiamo attivato un bel gemellaggio anche nell’ambito del progetto Nuje (noi) dell’Accademia Napoletana a favore di tutti i campani nel mondo (prossimo un video per l’UNESCO)”.

Ma perché si dovrebbe insegnare il napoletano a un bambino?

“Perché il napoletano oggi almeno per il 70% a Napoli è  trasmesso come lingua materna. L’UNESCO, inoltre, ci dice un’altra cosa: questa è una lingua che nelle sue variazioni regionali si parla più o meno dall’Abruzzo alla Calabria. Non a caso già l’Osco (che sopravvive nell’attuale Napoletano), una lingua di 3000 anni fa costituiva una sorta di unità linguistica per l’Italia Centro Meridionale. Se poi si pensa al famoso documento del Placito Capuano, 960 d. C. che trascrive una sentenza giudiziaria in volgare latino, realizzando di fatto e consapevolmente per la prima volta una scissione dal latino classico e che usa il volgare pugliese, ovvero napoletano, possiamo ben comprendere di cosa parliamo.

La cultura italiana dovrebbe far tesoro di quello che diceva lo storico francese Fernand Braudel e cioè che  Napoli dà tanto all’Italia, ma poco ne riceve in cambio. Ecco perché è necessario recuperare per le nuove generazioni questo patrimonio storico immane e farlo attraverso l’idioma che ne è un suo potente mezzo di trasmissione. Un patrimonio anche dell’enogastronomia come ci ricorda sempre l’UNESCO dichiarando l’Arte del pizzajuolo napoletano, bene immateriale o intangibile dell’umanità. Quest’arte è per l’UNESCO espressione di una comunità culturale che si realizza con gesti e linguaggi propri della città di Napoli. E per farlo utilizza una parola napoletana: pizzajuolo”.

Potremmo stare a parlare per delle ore e capiamo invece che dobbiamo fermare l’intervista fiume. Così andiamo dritti al punto: ma chi è il nemico principale e più forte del napoletano? E come gli italiani all’estero, negli USA, possono aiutare questa causa?

“Gli immigrati napoletani di più vecchia generazione sono preziosi, conservano un tesoro che va salvaguardato. Sarei molto onorato di poter realizzare attività di formazione ed informazione sul patrimonio culturale-linguistico napoletano e sugli aspetti ortografici del Napoletano magari con le associazioni degli italo-americani, con accademie, università, centri culturali che sono a NY e negli Stati Uniti, insomma tutti coloro che vogliono preservare questo tesoro che, sparendo quella generazione, andrebbe perduto.

Intenderei collaborare con tutti loro per rivitalizzare per i nuovi napoletani americani questo patrimonio. Magari anche con il rinnovato Italian American Museum.

Perché per parafrasare Prezzolini: l’imbastardimento della lingua napoletana sarebbe un dramma per tutta la nazione!”

Ma chi negli ultimi 50 anni ha fatto sì che la lingua napoletana venisse pressa d’assalto?

“A remare contro è stato un certo establishment politico che ha sempre considerato la lingua locale o il patrimonio napoletano come qualcosa da dimenticare. Una certa borghesia anche napoletana che ha cercato di cancellare il proprio patrimonio linguistico antico di 3000 anni poiché legata ad apparati di potere della cultura ufficiale e centrale ma anche universitaria napoletana.

Tutti costoro hanno sempre visto di cattiv’occhio l’insegnamento del Napoletano, essi contrastano o semplicemente silenziano attività indipendenti come la mia, pure se come nel mio caso, riconosciute da varie istituzioni e personalità accademiche in tutto il mondo.

Per quest’establishment culturale-politico il Napoletano è semplicemente una moda…da gestire appunto per interessi politici e peggio avallando situazioni e soggetti folcloristici e politicizzati, scevri da tematiche attinenti ai diritti culturali come diritti umani.

La lingua, qualsiasi lingua, è espressione di un diritto fondamentale dell’uomo e chi si oppone a tentativi indipendenti e non commerciali né politici come il mio, si pone semplicemente in contrasto con questi diritti.

Io sono disponibilissimo a cooperare invece con chiunque voglia operare per il bene della collettività in maniera trasparente e disinteressata. In Italia e fuori. Ed infatti è ciò che faccio dal Perù agli USA all’Australia!

Chi vuole invece portare avanti questa questione della lingua, idioma o dialetto napoletano non importa come lo si voglia definire, sul piano del folklorismo e per interessi di bottega, togliendole quindi dignità scientifica o ex cattedra, per pochi “eletti” rinchiusi nella torre d’avorio ed i loro amici…è per me un nemico della lingua Napoletana e quindi per concludere, dell’Umanità”.

Stefano Vaccara

fonte https://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2019/05/17/massimiliano-verde-difendere-la-lingua-napoletana-e-un-diritto-dellumanita/?fbclid=IwAR2uGyGaFdtCBF0Nsq2KQXG883veMcH4o5dy0bxq0TpnkKYwED4ABY3XAd4

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