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I RIVOLUZIONARI CILENTANI DEL ’48 VERI EROI O……..(IV)

Posted by on Mag 14, 2020

I RIVOLUZIONARI CILENTANI DEL ’48 VERI EROI O……..(IV)

Cari amici di Alta Terra di Lavoro, ogni cosa nella vita se viene affrontata con impegno passione e serieta’ rischia di diventare un servizio  utile alla societa’, cosa che e’ successa al Blog dell’Ass.Id. Alta Terra di Lavoro.

Grazie alla mia curiosita’ di guardare i fatti storici da ambedue i lati mi sono incuriosito su alcuni personaggi facendo l’ elenco corposi dei liberal giacobini del Vallo di Diano In Cilento considerati padri della patria. Leggendo le loro biografie mi sono accorto che si faceva una certa propaganda forzata pur di cercare di enfatizzarli come personaggi che si sono prestati alla causa dell’ abbattimento della casata borbonica affinche’ ci fosse un taglio netto con il vecchio regime e trionfassero i principi di liberta’ che essi volevano portare in zona appoggiando  qualsiasi personaggio che fosse disposto a organizzare il colpo di stato contro i Borbone. Ma esaminiamo attentamente questi personaggi giu elencati perche’ lo facevano, quali erano i veri interessi e chi avevano dietro.

Tutti proprietari terrieri o appartenenti a famglie benestanti che come e’ risaputo venivano tassati dai Borbone a favore dei contadini e frenati nelle loro ambizioni contro l’ arricchimento e prepotenze nei confronti dei meno abbienti che venivano protetti da quel re che si basava su principi cristiani dove il vangelo era al primo posto e il profitto al servizio del essere umano ( prerogativa degli ancien regime ) e non viceversa, cosa che avverra’ con le ideologie liberali.

I valori delle monarchie in nome di Dio sono praticamente stati distorti e ridicolizzati dalle propagande giacobine che predicavano le LIBERTE’ alla francese e gli stessi preti appartenenti a quelle ideologie piantavano gli alberi della liberta’ che rappresentavano l’ opposto del crocifisso ovvero l’anticristo tanto e’ vero che e’ risaputo che le ideologie mutuate dalla Rivoluzione Francese avevano distrutto chiese e ucciso sacerdoti che si rifacevano alla tradizione, in pratica si voleva creare un mondo che, con la scusa di creare democrazie, costituzioni e parlamenti in nome del popolo ma gestite dai ricchi che  non vedevano l’ora di togliersi di torno quel Re garante del popolo e creare un mondo di ipocrisia, di poveri, di guerre, di appiattimento culturale, di manipolazione mentale, di degrado culturale che tendesse ad una societa’ che era nata solida piena di valori e tradizioni ma doveva diventare liquida corrotta tendente al nichilismo piu’ assoluto  dove i pricipi demoniaco satanisti la facessero da padrone e tutti questi personaggi sotto elencati hanno contribuito a questo sfacelo intellettuale che e’ quello oggi gestisce le nostre menti.

Che e’ quello gestisce le menti delle masse inconsapevoli che si lasciano trarre in inganno dal vitello d’ oro di biblica memoria che non e’ altro che la materializzazione del demonio che nel momento in cui si toglie la sua maschera dorata nei esce il mostro che fagocita l’ uomo in un sol boccone distruggendolo e bloccandone la sua anima nella tensione e nel viaggio verso l’ infinito o Dio.

Ennio Apuzzo

oggi parliamo di Giuseppe D’ANDREA.

(Sant’Arsenio, 1773 – 1850circa). Medico, umanista, liberale e patriota. Frequentò la Facoltà di Medicina a Napoli, dove fu allievo di Domenico Cirillo,  medico personale del Re Ferdinando IV e della sua famiglia.

Di idee liberali, fu uno dei protagonisti della Repubblica Napoletana del 1799. Fu arrestato e giustiziato con la pena capitale in piazza Mercato a Napoli.  L’esempio e l’esercizio della carità esercitata dal Cirillo pro ammalati disagiati e poveri, tanto da essere il promotore del progetto caritativo e assistenziale nazionale, contribuirono a che le idee di libertà e di servizio al prossimo si radicassero nell’animo di G. D’Andrea, che era solito asserire che la professione medica «è un servizio da rendere a tutte le persone indistintamente dal rango e dal censo».

Col pianto nel cuore, dopo aver assistito all’esecuzione capitale del suo maestro, a cui ritornò spesso col pensiero, rientrò in Sant’Arsenio, e qui esercitò la professione medica, avendo sempre attenzione per le povertà, che certamente non mancavano nel suo paese e in quelli viciniori. Molto apprezzato dai suoi compaesani, per il sapere medico e per quello letterario, lo era ancor di più per la bontà e l’impegno, che sempre metteva nel risolvere le questioni economiche che affliggevano la popolazione, vessata dai signorotti locali. Tanto era l’attaccamento ai compaesani, e soprattutto a quelli delle più umili origini, che non lesinava di trascorrere parte del suo tempo libero amenamente al fianco dei pastori e dei contadini, i primi ad essere affetti dai problemi fisici oltre che da quelli sociali (ingiustizie, avidità e vessazioni). Nel 1820-1821 non esitò a costituire la locale Vendita “Gli Amici della Giustizia”, i cui affiliati si chiamavano “buoni cugini”. La sede della “Vendita” o “Baracca” era nei sotterranei dell’Ospedale della Ss. Annunziata.

Il programma era la lotta sociale ai fini dell’uguaglianza. Della locale Vendita facevano parte Giuseppe Pandolfo di Carmine (impiegato comunale); Crescenzo (guardia campestre) e Gerardo Pecora fu Luca (farmacista), Felice Ippolito e Crisostomo Splendore. Questi elessero il D’Andrea G. (medico e fisico) a presidente della l Vendita, dati i suoi buoni rapporti con gli altri illustri rappresentanti delle Vendite locali. Aderì prontamente alla Gran Dieta Carbonara di Salerno, e qui, nella Tavola della stessa fu indicato come membro proprietario del senato. Partecipò insieme con  altri ai moti rivoluzionari del 1820-’21, sperando di riuscire a ottenere dal Re di Napoli l’agognata Costituzione.

Con la Restaurazione del regime borbonico venne messa in atto una vera e propria repressione da parte della polizia borbonica che aveva l’ordine preciso di catturare i sobillatori, che dovevano essere arrestati, processati e condannati alla  pena capitale o all’ergastolo. Tra i tanti arrestati del Vallo di Diano figura anche Giuseppe D’Andrea, che unitamente ai compaesani Saverio D’Andrea (medico), Giuseppe Pandolfo, Crescenzo e Gerardo Pecora, vennero tradotti nelle carceri. Nel 1825, «dinanzi alla Gran Corte Criminale di Salerno serbò altero contegno e venne assoluto, nonostante la richiesta della pena capitale. Egual sorte volle che venisse condivisa dagli altri santarsenesi processati,e pregò il suo avvocato di difendere anche costoro, impegnandosi a pagare per essi il compenso ed esclamando: -O tutti salvi, o tutti morti». L’esperienza di G. D’Andrea, rappresentò in quel secolo di cruciali repressioni e dispotismi, quella indispensabile luce di giustizia e di libertà, a cui molti altri santarsenesi attinsero nel prosieguo della loro aspirazione alla libertà e all’Unità della Nazione Italiana. Giuseppe, avviò il fratello Arsenio alla professione medica e chirurgica (cerusica), nella quale manifestò valore e padronanza tanto da essere il primo chirurgo del circondario. Inoltre, egli fu oftalmologo e ostetrico, tanto da ascrivergli uno dei primi interventi di cataratta. Al pari di Giuseppe, anche Arsenio frequentò il Collegio medico cerusico napoletano e fu allievo di Cotugno, Macri, Santoro, Boccanera, Amantea e Antonucci. Si laureò nel 1840, e rientrò in Sant’Arsenio dove verosimilmente ebbe l’opportunità di esercitare la pratica chirurgica.

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