CURIOSITÀ LINGUISTICHE, QUANTO INCIDE LA LINGUA OSCA IN QUELLA NAPOLETANA E ITALIANA?
Da oggi, il professor Pietro Maturi, docente di Linguistica Italiana e Sociolinguistica dell’Italia contemporanea presso l’’Università Federico II di Napoli, nonché Dottore di Ricerca in Dialettologia campana, titolo conseguito presso l’Università di Heidelberg, risponderà dal nostro blog a domande su “Curiosità Linguistiche”
QUANTO INCIDE LA LINGUA OSCA IN QUELLA NAPOLETANA E ITALIANA?
Rispondo volentieri alla domanda, premettendo qualche brevissimo dato storico. Prima della conquista romana, e della conseguente espansione del latino, nella penisola italiana si parlavano diverse altre lingue, tra cui le principali erano il greco delle colonie costiere tra cui la stessa Neapolis, l’etrusco nell’odierna Toscana e diverse varietà italiche nelle zone interne. Il gruppo italico è una branca dell’indoeuropeo che include il latino e altre lingue ad esso affini, tra cui l’umbro e l’osco.
L’osco, in particolare, era parlato in una vasta area interna del Sud Italia, che includeva le parti non costiere di Campania, Basilicata, Calabria, Molise e Puglia settentrionale. Come nel caso del greco a Neapolis, anche l’osco resistette a lungo all’espansione del latino, ma a un certo punto cedette alla pressione linguistica romana e uscì dall’uso.
Ogni volta che una popolazione abbandona la propria lingua precedente e ne adotta una nuova, nel passaggio (che è sempre graduale e richiede il succedersi di diverse generazioni) tracce della lingua perduta – detta lingua di sostrato – restano nella nuova lingua che assume così, di luogo in luogo, sfumature soprattutto fonetiche che producono ‘accenti’ diversi. In tal modo gran parte della Campania e delle altre regioni menzionate, pur dimenticando la propria lingua osca, acquisì un latino ‘dall’accento osco’, così come in Etruria, scomparso l’etrusco, nacque un latino ‘dall’accento etrusco’, e così via.
Non conosciamo moltissimi elementi concreti di questi passaggi, che avvenivano nell’uso orale delle persone semplici e poco trasparivano nella scrittura, a eccezione di qualche lapide e di qualche graffito pompeiano. Tuttavia, gli studiosi attribuiscono con sicurezza al sostrato osco alcune caratteristiche fonetiche che, dal latino parlato nelle nostre regioni, si sono tramandate fino a oggi nei nostri dialetti (mentre invece non sono presenti in italiano, che nasce come sappiamo dal latino parlato in Toscana attraverso il volgare fiorentino del Trecento). La più nota di queste caratteristiche di origine osca è l’assimilazione dei nessi latini -ND- e -MB- che passano a -NN- e -MM- in parole come quanno e gamma da quando e gamba. Analogamente, i nessi -NT- e -MP- tendono a sonorizzarsi in -ND- e -MB- fino a giungere ai nostri Andonio e cambagna.
Pietro Maturi
Professore “grazzie assaije” Approfitto subito di Lei per una domanda, che è la seguente: E’ anche influenza fonetica osca nella parlata napulitana l'”indurimento” del “C” nel digramma “SC”. Mi spiego meglio, in Italia la pronuncia della “C” in parole come “SCUSATE” è assai dolce (addirittura tendente all’ “insonorizzazione” in Toscana); laddove nella parlata napulitana quella stessa “C” si “indurisce” divenendo più simile ad un “K”, difatti da noi quella stessa parola si pronuncia aspra con uno “SKUSATE”??? Grazie per l’attenzione. Brigante Martummè