Alta Terra di Lavoro

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FEMMINICIDI PARTIGIANI: ORRORI ROSSI IN TEMPO DI PACE

Posted by on Lug 21, 2020

FEMMINICIDI PARTIGIANI: ORRORI ROSSI IN TEMPO DI PACE
STUPRI E MASSACRI DOPO IL 25 APRILE
ABUSI E MATTANZE DI DONNE E BAMBINE
NEL LIBRO ”IL SANGUE DEI VINTI” DI PANSA:
MAMMA VIOLENTATA DAVANTI AI FIGLI
E POI SEPOLTA VIVA IN GIARDINO

“I giovani facciano propri i valori costituzionali. La festa del 25 aprile ci stimola a riflettere come il nostro Paese seppe risorgere dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Un vero secondo risorgimento”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale ricevendo gli ex-combattenti. “Conoscere la tragedia il cui ricordo è ancora vivo ci aiuta a comprendere le tante sofferenze che si consumano alle porte dell’Europa che coinvolgono popoli a noi vicini”. Tanto è bastato all’Ansa per scrivere il titolo fazioso “No a riscritture della storia”. Siccome per passione (e studi) faccio lo storiografo trovo molto opportuno ripubblicare un articolo di alcuni mesi fa nella speranza che il Capo dello Stato impari tutta la storia e non solo quella che gli piace.

I FEMMINICIDI PARTIGIANI

Il femminicidio è una grave piaga della società contemporanea, epifenomeno di un retaggio culturale che nei secoli legittimò gli abusi maschilisti ma anche, o forse soprattutto, di una generale inaudita recrudescenza di belluina violenza sociale che miete vittime tra genitori anziani come tra bambini in culla. In Parlamento si sta cercando di dare una risposta legislativa al fenomeno con la nuova legge sul Codice Rosso in difesa delle donne che, però, come la precedente normativa sullo stalking,  rischia di rivelarsi solo un vacuo tentativo di smorzare gli effetti, a volte davvero imprevedibili, più che una reale soluzione per affrontare le vere cause. Se diamo uno sguardo alla nostra storia, inoltre, scopriamo purtroppo che il femminicidio è antico quanto la libertà d’Italia,

VIOLENTATE ANCHE LE VERGINI COME AI TEMPI DI NERONE

Tutti oggi si scandalizzano per episodi che balzano sulle prime pagine, a volte senza nemmeno conoscere il vortice di tensioni e violenze psicofisiche reciproche che ha portato ad un aggressione o peggio ad un omicidio, ma pochi s’indignano per le stragi di donne civili compiute dopo il 25 aprile 1945 dai partigiani liberatori e rimaste quasi tutte senza giustizia ed occultate nell’oblio storico: una delle rarissime lapidi in memoria di una vittima, quella per la 13enne Giuseppina Ghersi di Savona, è stata vandalizzata di recente da un vindice odio mai sopito che nessuno persegue né punisce come meriterebbe.

A PROCESSO IL BRANCO NERO CHE HA STUPRATO E UCCISO DESIREE DA VERGINE

Ma di casi simili al suo ce ne sono decine, centinaia… Secondo lo storico e giornalista Gian Paolo Pansa furono  2.365 le vittime. Si tratta di uno dei femminicidi più vergognosi d’Italia: un ricordo che, certamente, crea un po’ d’imbarazzo tra le stesse femministe, nella maggior parte dei casi di vocazione comunista e quindi magari figlie, sorelle, nipoti di coloro che quei crimini li perpetrarono con efferatezza: aggiungendo alla sanguinaria violenza omicida anche la sevizia e l’onta eterna dello stupro.

Come ai tempi di Nerone le vergini cristiane venivano deflorate dai gladiatori prima di essere uccise, come nella ignominiosa guerra di Bosnia le donne furono selvaggiamente violentate per giorni prima di essere sgozzate (o costrette a partorire il figlio dello stupro), anche nell’Italia liberata avvennero simili scempi. Con alcune sostanziali differenze: ai tempi di Roma vigeva una tirannide, in Bosnia c’era una cruenta guerra etnica, nel nostro paese, invece, si era in tempo di pace: il dittatore, il duce Benito Mussolini era infatti stato giustiziato il 28 aprile 1945, le forze militari fasciste si erano arrese, quelle tedesche si erano ritirate. L’Italia era stata liberata dall’occupazione il 25 aprile 1945.

Ma proprio il mese di maggio fu uno sei più sanguinari e ferali tanto che il 7 maggio, ricorre l’anniversario della morte di ben quattro donne trucidate dagli orrori rossi in tempo di pace. La memoria ritorna alla provincia di Cuneo, seguendo la china dei racconti di un giornalista che da bambino andava ad assistere ai processi ai “neri” per vedere i “cattivi” puniti; uno storico che solo dopo aver scritto tanto sulla Resistenza e sui partigiani, ha narrato il suo viaggio nella Seconda Guerra mondiale attraverso il libro di alto valore storiografico “Il sangue dei Vinti” di Gian Paolo Pansa.

L’OLOCAUSTO COMUNISTA VOLUTO DAI MASSONI

Molteplici aneddoti, che giungono quindi da un ricercatore col cuore partigiano, raccontano di semplici civili, rapiti in casa all’improvviso da squadriglie di giustizieri improvvisati, a volte seviziati, poi uccisi; e donne con la sola colpa di presunti e mai provati collaborazionismi: bastava l’odore del sospetto a sancire la morte che giungeva persino benedetta quando era immediata. Ora alle vittime di questo immane femminicidio nascosto dalla storia vogliamo rendere un poco giustizia ricordando il loro martirio. A volte anche in nome di Gesù Cristo dinnanzi ai quei guerriglieri della Resistenza in larga parte atei e capaci di scegliersi Satana come nome di battaglia..

MICHELINA, 12 GIORNI DI VIOLENZE FEROCI

Non fu immediata per Francesca G., 42 anni, e sua figlia Michelina di 20, di Borgo San Dalmazzo, in quella provincia Granda di Cuneo dove la guerriglia tra partigiani e fascisti-tedeschi fu asperrima come in tutte le zone prealpine. Furono prelevate di casa il 29 aprile insieme al marito Giuseppe G. A difenderli non bastò nemmeno la circostanza che loro figlio Biagio morì fucilato dalle Brigate nere in quanto… partigiano! Michelina faceva la dattilograva saltuaria per guadagnare qualche soldo nei tempi duri della guerra, la sua colpa fu farlo per un capitano della Polizia militare della Littorio. Il 29 aprile i carnefici entrarono nella loro casa, portarono fuori il padre e la madre insieme a lei: il genitore fu subito giustiziato, le due donne furono rapate a zero e poi riportate in casa «per essere violentate a turno da una banda partigiana. Questa tortura andò avanti per qualche giorno» scrive Pansa. Il 7 maggio fu uccisa la mamma, l’11 toccò a Michelina. Solo Dio sa quante volte quella giovane invocò la morte in quei 12 giorni…

«LA MIA BIMBA MALATA DI CUORE RAPITA DALLO STATO E IMBOTTITA DI PSICOFARMACI»

Lo stesso giorno in cui moriva Francesca, a Vercelli si consumava una delle più cruente stragi rosse, di cui si trova notizia su numerosi giornali locali. I giustizieri entrarono in una casa del rione Isola e, per futili motivi, freddarono Luigi Bonzanini, insieme alle sue nipoti di 16 e 21 anni, Elsa e Laura Scalfi, inerme e innocenti sorelle inseguite e uccise sul ballatoio. La vicenda mi fu raccontata direttamente dalla superstite dell’eccidio (vedi pdf in fondo all’articolo). Per non lasciare testimoni gli assassini tornarono poi in casa per eliminare anche la suocera del Bonzanini, Luigia Meroni, paralizzata a letto. I corpi furono buttati nel fiume Sesia. Fu uno dei pochi massacri ad avere parziale giustizia perché l’efferatezza dei partigiani fu tale che i mattatori di quell’eccidio, Felice Starda ed un suo complice, furono misteriosamente uccisi giorni dopo, si sospetta da loro stessi compagni: ma il nome di Starda fu inspiegabilmente iscritto tra le vittime per la Liberazione nella lapide del cimitero di Billiemme e la moglie ricevette l’indennizzo riservato ai caduti per la patria…

IL CADAVERE DELL’ATTRICE MILANESE

Al fine di evidenziare gli assurdi femminicidi dei liberatori rimasti senza giustizia e persino dimenticati dalla storia, non racconterò volutamente di tutte quelle ausiliarie giustiziate, per non fare confusione tra le donne combattenti e quelle civili. Ed ovviamente tacerò dei crimini avvenuti in tempo di guerra, prima del 25 aprile, sebbene quelli fascisti siano stati ampiamente propagandati ad infamia eterna e quelli partigiani passati sotto silenzio. Tra le vittime ce ne fu anche una famosa: l’attrice milanese Luisa Ferida, 31 anni, fu assassinata insieme al collega Osvaldo Valenti di 39, all’alba del 30 aprile in via Poliziano, giustiziata per accuse mai provate.

Per una donna, nell’Italia liberata, era esiziale anche solo aver fatto la segretaria di redazione in un giornale, se era quello sbagliato. Pia Scimonelli aveva 36 anni, e lavorava per Repubblica Fascista: «moglie di un ufficiale disperso in guerra nell’Africa orientale, era rimpatriata in Italia dall’Eritrea con la nave Vulcania, insieme ai suoi tre bambini. Aveva bisogno di lavorare per mantenerli ed era riuscita a trovare quel posto nel giornale…» precisa Pansa. Fuggì con due colleghi del giornale, trovò rifugio in un alloggio poi perquisito dai partigiani. Qualche giorno dopo di loro non si seppe più nulla: i loro tre cadaveri furono riconosciuti all’obitorio di via Ponzio.

GIUSTIZIATA SEBBENE INCINTA DI 5 MESI

Nessuna pietà nemmeno davanti ad una donna in gravidanza. Accadde il 27 aprile a Cigliano quando i partigiani fecero capitolare un gruppo di fascisti che, dopo aver tentato una breve resistenza, si arrese. Tra loro c’erano due giovani donne che si erano recate a trovare i mariti ufficiali. Una delle due, Carla Paolucci, era incinta di cinque mesi e lo disse ai suoi giustizieri improvvisati. Ma questo non bastò a salvarla. «Si poteva essere giustizia anche per colpe da poco o inesistenti – evidenzia Pansa – Cito un esempio solo: quello di un gruppo di donne che, per campare, lavorava alle mense tedesche di via Verdi (Torino), cuoche, cameriere, sguattere. I partigiani della Sap le raparono a zero e le rilasciarono. Il giorno successivo furono trovate uccise al Rondò della Forca».

“MIA FIGLIA DEVASTATA DAGLI PSICOFARMACI, SEGREGATA E COSTRETTA AD ABORTIRE DALLO STATO”

Inevitabile quindi la morte per le parenti dei presunti collaborazionisti. Forse per non lasciare testimoni in cerca di giustizia. E’ il caso di Luisa, figlia di un albergatore di Bra il cui hotel, il rinomato Gambero d’oro, fu requisito dai tedeschi, non si sa se con il consenso o meno del titolare (e se avesse espresso dissenso che fine avrebbe fatto?). Fatto sta che «il 26 aprile i partigiani lo arrestarono, insieme alla figlia adottiva, Luisa di 19 anni. Fonti fasciste sostengono che la ragazza fu violentata e poi uccisa con il padre e gli altri alla Zizzola».

GIUSEPPINA, VIOLENTATA E UCCISA A 13 ANNI

Ma c’è una storia che fa rabbrividire. «A Savona, la fine della guerra civile vide esplodere subito un’ottusa barbarie. La mattina del 25 aprile una ragazzina di 13 anni, Giuseppina Ghersi, venne sequestrata in viale Dante Alighieri e scomparve. Apparteneva a una famiglia agiata, commercianti in ortofrutticoli». Non erano nemmeno iscritti al Partito Fascista Repubblicano, ma aveva un parente iscritto cui avrebbe riferito “qualcosa che non doveva vedere”, secondo Pansa, secondo altre fonti in qualità di allieva delle magistrali Rossella era stata premiata per un concorso scolastico direttamente da Mussolini.

“FORTETO E BIBBIANO: ORRORI ANNUNCIATI NEL SOLCO DELLA CULTURA DI SINISTRA”

«I rapitori di Giuseppina decisero subito che lei aveva fatto la spia per i fascisti o per i tedeschi. Le tagliarono i capelli a zero. Le cosparsero i capelli di vernice rossa» si narra nel libro. La condussero in una scuola media di Legino (Savona) adibita a campo di concentramento: «Qui la pestarono e la violentarono. Un parente che era riuscita a rintracciarla a Legino la trovò ridotta allo stremo». Aveva solo tredici anni, tredici! Era in un campo di prigionia dove, ammesso e non concesso che fosse una prigioniera di guerra, in qualche modo avrebbe dovuto essere difesa dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Dopo essere stata picchiata e violentata non sfuggì all’uccisione che forse giunse a toglierle dal destino una vita nel ricordo degli orrori. Dei tanti parlamentari uomini e soprattutto donne che si agitano per i diritti dell’uomo a Guantamano non rammento nessuno che abbia mai riaperto la storia della piccola Giuseppina sebbene vi sia una denuncia depositata alla Questura di Savona dal 1949…

fonte

https://www.gospanews.net/2019/04/24/mattarella-straparla-ma-tace-sui-femminicidi-partigiani/

Laura ed Elsa Scalfi, vittima di una strage a Vercelli
Un’immagine della piccola Giuseppina esibita come trofeo dai partigiani rossi che poi la uccisero

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