Alta Terra di Lavoro

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“MA CHE STORIA E?'” TALK SHOW STORICO A VILLAMARE DI VIBONATI

Posted by on Ago 31, 2020

“MA CHE STORIA E?'” TALK SHOW STORICO A VILLAMARE DI VIBONATI

Nel mezzo della calura agostana, 13 agosto 2020 per l’esattezza, s’è tenuto un importante convegno sulla storia a partire dal 1799 fino ad oggi dal titolo “Ma che Storia è?” a Villamare di Vibonati nel cuore del golfo di Policastro pensato da Ennio Apuzzo e organizzato di concerto con Umberto De Rosa, brillante editore della Piuessewbtv con sede a Scalea, e con il Comune di Vibonati che ha autorizzato e ospitato l’evento.

L’Ass. Id. Alta Terra di Lavoro ha dato il suo importante contributo alla riuscita dell’evento grazie alla presenza di due suoi associati e prestigiosi studiosi come lo storico Laborino Fernando Riccardi e lo storico della filosofia il Cilentano  Fernando Di Mieri che insieme allo storico napoletano Vincenzo Gulì e al suddetto Ennio Apuzzo erano i componenti della squadra identitaria che s’è confrontata con la squadra istituzionale progressista e mazziniana, così dicono di essere, composta da V.Abramo, P.Carelli, F.Fusco e F.Maldonato, il confronto è stato brillantemente condotto da Umberto De Rosa, che ha anche ripreso integralmente con la sua TV l’intero convegno, coadiuvato dall’artista napoletana Magda Mancuso

     Qualche giorno fa ho scritto, in forma ironica e usando una metafora calcistica, la cronaca della serata proponendo i video dei relatori identitari girati con il mio semplice telefono ma adesso, avendo a disposizione il video integrale della serata proposto in tre parti, cerco di andare nel cuore degli argomenti trattati dando una lettura piu tecnica che ironica sempre dal mio modesto parere.

     Come spesso accade nei Talk Show e quando si trattano argomenti viscerali con nervi scoperti perennemente dolorosi, come quando si parla di storia preunitaria, tutto si fa tranne che seguire il programma e cosi è accaduto in quella calda serata d’agosto, infatti si è parlato a braccio e bravo è stato Umberto che è riuscito a tenere la barra dritta senza farsi influenzare dagli animi che sono risultati accesi fin dall’inizio.

     Chi guarderà i video si renderà conto che chi ha acceso la miccia è stata sicuramente la squadra di casa, quella istituzionale, che pensando di buttarla in caciara, questo accade quando “non si è capaci di confrontarsi con un ragionamento si attacca il ragionatore”,  hanno cominciato ad attaccare i relatori identitari ospiti accusandoli di neoborbonismo e che hanno come solo unico scopo quello di mettere in discussione l’Unità Nazionale (l’Italia risorgimentale giacobina nasce per volontà geopolitica che quando vuole la farà morire) dimostrando di non aver compreso chi erano i loro interlocutori.

     I relatori istituzionali già avevano avuto dei confronti con Vincenzo Gulì ed Ennio Apuzzo quindi sapevano benissimo che mai nei loro precedenti interventi in altri convegni organizzati in quelle zone hanno annunciato di dividere l’Italia ma non conoscevano Fernando Riccardi e Fernando Di Mieri. Questa lacuna non giustifica il loro atteggiamento perché bastava poco per prendere informazioni sulle storie professionali dei suddetti Fernando o vedere dei video dei loro interventi nei nostri convegni facilmente reperibili sul nostro canale Youtube.

Se lo avessero fatto si sarebbero accorti che mai Fernando Riccardi, pur essendo un insorgente convinto, nei suoi numerosi convegni, ha superato ampiamente i 300, mai ha parlato di minare l’unità nazionale o di sperare in una rinascita del Regno delle Due Sicilie e questo per due semplici motivi, il primo è che non ci pensa proprio e mai lo penserà il secondo, invece, è che ha un ruolo importante come membro della Società di Storia Patria di Napoli e di Terra di Lavoro.

Fernando Di Mieri, altresì, è un convinto nazionalista e fervente italiano come dice la sua storia personale e allo stesso tempo si sente un meridionalista e fa parte del mondo tradizionale cattolico che lo ha portato a studiare la figura del Card. Ruffo e di tanti luminari del Regno Napoletano, fin dalle sue origini, ed infine è un Tomista e un Vichiano. Basta aver tratteggiato le figure dei suddetti relatori per capire che era naturale uscire fuori programma e che gli identitari non potevano raccogliere simili provocazioni.

Abbiamo ascoltato, come sempre accade quando si arriva in Cilento, l’esaltazione di personaggi come Costabile Carducci, Carlo Pisacane ed altri mazziniani portando in evidenza sempre gli stessi argomenti sempre gli stessi studi e sempre le stesse giustificazioni per non far passare queste figure dei terroristi ma degli eroi nazionali. Guardare la storia con gli occhi del presente  è la cosa più banale e improduttiva possibile e sarebbe più giusto e onesto contestualizzare gli avvenimenti e i personaggi se vogliamo essere utili al prossimo. Anche io fino ad una decina di anni fa confuso dalla storia studiata sui banchi di scuola ero un fervente mazziniano, garibaldino, giacobino, illuminista e vedevo come un martire Pisacane ma dopo esser stato folgorato su Via Toledo sono passato dall’altra parte con una giravolta secca senza portarsi dietro nulla e ora sono un attivista identitario certamente non neutrale ma incontestabilmente imparziale ma, nel mio passato risorgimentale, mai mi era venuto in mente di condannare, giudicare e considerare dei tiranni i Borbone nelle loro esecuzioni capitali, per Carducci e Pisacane sono stati altri a giustiziarli, perché era loro diritto e dovere tutelare lo stato e difendere la popolazione che per il 99 per cento non aveva nulla a che vedere con i moti rivoluzionari e non aveva nessuna intenzione di morire napolitano per diventare italiano. Pensate cosa sarebbe accaduto se durante gli anni di piombo, qualche decennio fa, lo stato italiano invece di difendersi e tutelare la cittadinanza avesse strizzato l’occhio ai terroristi che hanno messo in piedi stragi e attentati su tutto il territorio nazionale , sarebbe piombato nell’anarchia e avrebbe dichiarato il suo suicidio.

I Borbone hanno quindi esercitato il loro dovere di difendere il Regno applicando le leggi dell’epoca che erano comunque le più tenere nell’ Europa di quel periodo e che per perseguire la politica dell’amalgama iniziata dopo il 1799, veniva loro rimproverato che erano troppo bonari e permissivi come lo stesso Settembrini ha spesso ricordato.

I rivoluzionari repubblicani hanno inaugurato e applicato il terrorismo come lotta politica, inventato da Giuseppe Mazzini, come metodo per il sovvertimento dell’ordine costituito, successivamente utilizzato, come accade nell’era contemporanea, per conservare la sovranità statale quando è in crisi e quando si vuole minare, parliamo di geopoltica, la stabilità di stati sovrani che disturbano le potenze mondiali dominanti, insomma possiamo affermare che Mazzini è stato un vero………innovatore.

     Non basta scomodare le ideologie per giustificare azioni terroristiche perché ognuno ha le sue motivazioni, i terroristi di ieri come quelli di oggi, tuttavia non posso non fare delle differenze e nutro sempre rispetto per chi ha attuato azioni armate, non stando seduto su comode sedie in esilio, mettendoci la faccia fino a rimetterci la vita come è accaduto a Pisacane.

A distanza di due secoli si puo tranquillamente fare un’analisi storica libera e onesta, pur rimando ognuno sulle proprie posizioni, e se i rivoluzionari, una esigua minoranza, sognavano la repubblica come l’Italia unità e la cercavano attraverso operazioni armate fuori dalle leggi dello stato, era normale che i Borbone si difendevano e tutelavano il Regno, il popolo di allora certamente bue, ignorante, superstizioso ecc. ecc. non capiva e non accettavano il cambiamento a differenza di oggi ma sempre merita rispetto e non si puo accettare la tesi che quando ci piace è popolo con P maiuscola altrimenti diventa con la p minuscola.

    Andate a vedere quale violenza utilizzavano Francia ed Inghilterra per difendersi dai tentativi rivoluzionari, avete mai sentito parlare dell’albero di Tyburn in Inghilterra

     Come non si è potuto sentire che la tirannide borbonica si avvaleva di “spioni” che forse l’unica colpa che hanno avuto è stata quella di fare il proprio mestiere facendo parte dei servizi segreti napolitani come li hanno tutti i paesi del mondo, pensate che quelli italiani sono tra i più efficienti e sono tra le poche cose buone che ha l’Italia, perché sono fondamentali per la tenuta di ogni nazione e fatemi passare la presunzione di consigliare di studiare l’operatività dei servizi segreti piemontesi  guidati da Filippo Curletti che hanno scandalizzato lo stesso Cavour che li aveva creati.

Ad un certo punto viene fuori l’insediamento dei Rotschild a Napoi in concomitanza con il protettorato Austriaco intorno al 1820 che nessuno nega ma hanno dimenticando di dire che Ferdinando II in pochi anni estinse tutti i debiti che il Regno aveva con i banchieri Francesi che rimasero a Napoli, non come figura usuraia ma come banca d’affari che lavorava e guadagnava appoggiando l’imprenditoria napolitana.

Non poteva mancare la tesi sulle ragioni secolari e ataviche del fenomeno del Brigantaggio figlia della patetica e ridicola relazione Massari, peccato che anche a Vibonati non s’è parlato di quella scritta qualche tempo prima da Antonio Mosca e fatta sparire improvvisamente dove veniva fuori la vera ragione del brigantaggio che era l’accordo tra i savoiardi, il capitale toscopadano, l’oligarchia notabile napolitana e la borghesia latifondista che aveva come unico interesse proteggere e aumentare la famosa “robba” non volendo più contribuire alla politica di rinnovamento che i Borbone imponevano, se avessero fatto come Ferrante, che sinceramente ha stancato e che è un altro schiaffo a “mano smerza” alla Storia.

Eppure gli studi fatti fino ad ora da autorevoli  ricercatori indipendenti come Fernando Riccardi che negli ultimi tempi sono stati affiancati da onesti e sereni accademici che ci dicono che il Brigantaggio Insorgente nulla a che vedere con quello classico nato con i sanniti durante l’impero romano sulle montagne del Matese e successivamente comune a tutte le nazioni europee, ma è stata una semplice guerra di liberazione di un popolo, come nel 1799, contro un esercito invasore, piemontese, che s’è trasformato successivamente in guerra civile e che nella sua parabola discendente è diventato delinquenziale come è  accaduto in tante rivoluzioni, lo stesso Palmerston ammise che:

“i combattenti sono peggiori de’ briganti per commettevano atrocità non per denaro ma per politica vendetta”

che di per se è molto discutibile come concetto ma è sufficientemente esaustivo per capire che giudizio aveva il grande regista della rivoluzione italiana sulle insorgenze napolitane.

Se si controlla, altresi, la popolazione carceraria nel Regno prima del 1860 si vede che era ai minimi storici e con l’Unità è esploso improvvisamente come Luciano Salera ci ha fatto notare nel suo capolavoro “La Storia Manipolata”.

Anche lo storico, di metà ottocento, Cesare Cantù scrisse che nel 1872 nella neonata nazione Italiana le carceri contenevano più di 72000 persone contro quella francese composta da 50000 e quella inglese che ne aveva 35000.

Non voglio aggrapparmi alla ben nota tesi di Glandstone che affermò di aver fatto una bugiarda propaganda  nel parlare delle condizioni delle carceri borboniche ma una riflessione me la pongo come si può pensare che un popolo come quello napolitano diventa improvvisamente delinquente e canaglia quando non è mai stato guerrafondaio, non si è mai imbarcato per andare ad invadere altri territori? Se fossi in voi mi chiederei come mai con i Borbone i camorristi erano in galera mentre prima con Garibaldi e poi con i Savoia andavano in giro con la coccarda tricolore gridando viva l’italia occupando i posti di comando nella neonata polizia partorita da Don Liborio Romano?.

C’è stato un momento in cui stava decollando la serata quando un “istituzionale” portava avanti la tesi che ci sono immensi archivi privati che devono ancora essere consultati e che sono una miniera di informazioni  utili per gli storici ma purtroppo il momento magico è svanito parlando di brigantaggio affermando che non serve più a nulla parlarne perché è tempo perso e che tutto quello che bisognava dire s’è detto e la parola fine l’ha data Carmine Pinto, accademico di Salerno, con il suo ultimo lavoro sul brigantaggio.

     Mai mi sarei aspettato di ascoltare nel Cilento, che ha ospitato Giambattista Vico per qualche tempo, una simile corbelleria negando la rivoluzione che nel campo scientifico ha realizzato il filosofo napoletano  con “La Scienza Nuova” e di vedere Fernando Riccardi “scapuzziare” e ballare sulla sedia di fronte all’affermazione di un altro relatore e mai mi sarei aspettato di vedere Fernando Di Mieri uscire dal ruolo istituzionale di professore per accalorarsi nel parlare di alcune affermazioni di Carmine Pinto che a confronto le tesi di Lombroso e Niceforo sembrano scritte per i bambini.

Di Mieri ha risposto con dovizia di particolari e scientificità ad uno studio che ha reso pubblico l’accademico salernitano in cui si capiva che il Pinto ha certamente delle qualità scientifiche ma purtroppo non è una persona serena come si evince spesso leggendo quello che scrive che ricalcano le teorie storiche che da 160 anni vengono portate avanti dal mondo accademico non rendendosi conto che il clima che si respira nelle università non è più come prima e lo stesso Galasso, qualche tempo prima di morire, si stava ponendo delle domande e gli era sorto qualche dubbio.

Quindi non siamo ai titoli di coda di una storia lontana e dimenticata ma siamo appena all’inizio e questo fiume carsico emerso non potrà più rientrare nelle viscere terrestri.

Umberto De Rosa, da buon conduttore qual’è, ha chiesto delle opinioni sulla Cassa del Mezzogiorno per far capire che c’è un filo conduttore tra passato remoto, passato prossimo e presente a cui ha risposto per gli identitari Ennio Apuzzo con precisione e competenza ma ha visto esplodere le proteste degli istituzionali che non sapendo cosa dire hanno accusato di faziosità il conduttore e che era uscito fuori tema .

Forse era l’unico argomento che faceva parte del programma perché parlare della Cassa del Mezzogiorno vuol dire partire dall’affermazione di Carlo Bombrini quando all’alba del Regno d’Italia affermo giù al sud “non dovranno più intraprendere”, per arrivare alla gestione del Piano Marshall con la conseguente nascita del solco che divide il nord e sud.

Con la Cassa del Mezzogiorno si vedono la nascita delle “cattedrali del deserto”, nate nel regno Sardo e riproposte nel mezzogiorno, già Regno delle Due Sicilie, e s’è visto il trasferimento dei macchinari acquistati con i fondi della cassa per le aziende del sud e trasportate in quelle del nord che a loro volta inviarono giù quelle vecchie ed obsolete.

Non poteva mancare la tanto famosa “questione meridionale”, evocata più volte, per giustificare l’invasione che invece, come afferma Gramsci, nasce per risolvere la “questione settentrionale” e che non morirà mai fino a quando esisterà questo paese perché è il cemento armato che lo tiene in piedi, scusate ma se non vengono costruiti ospedali degni di tale nome o altre infrastrutture fondamentali per lo sviluppo di un paese e sempre colpa dei Borbone? come mai nonostante la continua istituzione del ministero del Sud ancora le cose non cambiano dopo 160 anni?sempre colpa dei Borbone?ha ragione Lombroso, Niceforo e qui Pinto?perchè dopo la presa del potere da parte dei progressisti democratici di ispirazione mazziniana le cose sono addirittura peggiorate?   

Anche Fernando Riccardi ha cercato di far capire che la storia ha una sua scientificità e che ha sempre un collegamento con il presente ricordando i drammatici dati dello Svimez sulle condizioni del sud della penisola italica e di come si sta svuotando sempre di giovani brillanti che dovrebbero essere la classe dirigente del nostro futuro ma lo saranno di altre realtà.

Gli animi si sono accesi anche quando il sottoscritto, presente tra il pubblico,  ha difeso a voce alta i relatori identitari dagli attacchi ricevuti dai colleghi istituzionali che oltre ad ignorare la “bona crianza” di rito hanno anche dimenticato che tra gli ospiti c’era anche chi aveva percorso più di 500 km per rendere onore alla serata.

Si sono sempre più accalorati quando hanno litigato con il pubblico presente che non avendo il vestito della “clac” ha espresso con libertà la propria opinione ed alcuni di loro hanno rivolto delle domande dimostrando una competenza se non superiore quanto meno alla pari dei relatori.

In tanti anni che giro il Regno non mi è mai capitato di vedere aggredire il pubblico da parte dei relatori, ho visto e sono stato, alcune volte, anche protagonista di scontri dialettici animati ma mai s’è sconfinato nelle offese e purtroppo a Villamare di Vibonati è accaduto.

Non è mancato poi l’attacco al mondo del web che è portatore di menzogne e fesserie e che andrebbe isolato dimenticando che lo stesso Carmine Pinto ne fa un uso continuo non soltanto per pubblicizzare le presentazioni dei suoi libri ma anche per divulgare i suoi studi come si può notare andando a navigare sul sito accademia.eu, è tra gli utilizzatori più assidui.

I mazziniani progressisti hanno sempre in bocca la parola libertà ripetuta all’infinito ma nella sera del 13 agosto 2020 s’è presa una giornata di ferie infatti mi è stato proibito prima di mettere il logo dell’associazione sul manifesto ma, ancora più grave, mi è stato impedito di mettere un banchetto per offrire testi scritti da Fernando Riccardi e, udite udite, esporre la nostra Bandiera Sacra durante la serata e non aggiungo altro.

Se i due”Fernando” hanno esposto relazioni di spessore presentando argomenti già noti ma in maniera diversa, anche Ennio Apuzzo, pur essendo ormai di casa nella zona di Sapri, ha cercato di andare oltre i semplici fatti storici cercando di spostare l’attenzione sullo scontro di civiltà che c’è dietro il risorgimento e lo stesso Vincenzo Gulì, anche lui è diventato di casa in quei luoghi, ha fatto capire che tutti noi abbiamo delle responsabilità verso le future generazioni e bisogna cambiare i metodi di studio che fino ad oggi vengono attuati e che non si puo ancora a distanza di 160 anni dire e ascoltare sempre le stesse.    

Per quanto mi riguarda posso dire che mi sarei aspettato qualcosa di meglio da parte dei relatori  istituzionali che tranne per una sola eccezione, che non cito per correttezza ma lui sa perfettamente che ha la mia massima stima, mi hanno molto deluso e si sono sciolti come neve al sole alla prima difficoltà. Il Cilento come la Lucania, il territorio del golfo di Policastro si puo considerare forse antropologicamente più Lucano, hanno sempre scritto fin da i tempi più antichi, la storia universale ma grazie, forse meglio dire purtroppo, a questa ultima ondata di studiosi che possiamo chiamare mazzini boys, il territorio è sprofondato in un triste provincialismo riduce a tema da Bar dello Sport in periodo storico che va dal 1799 a 1860, estremamente importante e non solo per la vita del Regno delle Due Sicilie ma per tutta Europa e giovedi 13 agosto 2020 a Villamare di Vibonati s’è persa un’importante occasione per rimettere le cose a posto.

Chiudo citando…

«La verità è l’unica carità concessa alla storia», diceva lo storico francese Jacques Crétineau-Joly (1803-1875): la verità va detta con l’intenzione di pacificare e non di esaltare il conflitto, di riconciliare chi ascolta con la realtà dei fatti avvenuti e non di innestare scontri dialettici. Ma va detta.

Claudio Saltarelli

ps:
nell’ultima commemorazione del Generale Borjes che ogni anno l’otto dicembre si tiene a Tagliacozzo nel depositare il cuscino di fiori che abitualmente l’Ass.Id.Alta Terra di Lavoro sotto il busto del generale catalano, lanciai un appello agli studiosi identitari di dare una mano a noi insorgenti della quarta generazione, che non abbiamo certamente lo spessore culturale di chi ci ha preceduto ma abbiamo incontestabilmente più ardore e passione, a difenderci dagli attacchi che ci vengono sferrati dal mondo accademico che visto in difficoltà nel giustificare le menzogne che da 160 propinano, sono pure pagati per questo, stanno cercando di relativizzare e minimizzare la guerra di liberazione da parte delle popolazioni napolitane verso le invasioni straniere avvenute nel 1799 e nel 1860. Questo appello è stato accolto da Fernando Di Mieri al suddetto convegno quando ha fatto capire ai presenti che non basta avere il ruolo di accademico per pensare di dire e fare quel che si vuole anzi, tutt’altro, e quando si ricopre un ruolo istituzionale bisogna operare prima di tutto con spirito di servizio e non servirsi del ruolo per raggiungere altri fini.

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