Alta Terra di Lavoro

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Quando i lazzari non vollero più bene a San Gennaro

Posted by on Gen 29, 2021

Quando i lazzari non vollero più bene a San Gennaro

Binomio indissolubile da sempre quello di Napoli e San Gennaro. Quando nell’anno 1980 papa Giovanni Paolo II ha proclamato ufficialmente San Gennaro, vescovo e martire, patrono della città di Napoli e dell’intera regione Campania, riparando così alla precedente gratuita offesa di declassamento del santo fatta dal suo predecessore Paolo VI, non ha fatto altro che riconoscere l’esistenza di un dato di fatto, cioè di un culto popolare passato indenne attraverso ben quattordici secoli.

Storicamente San Gennaro, il cui vero nome è Ianuario, era già stato patrono del felicissimo Regno delle Due Sicilie e financo nominato al grado di Capitano Generale dell’Esercito Napolitano, con tanto di stipendio regolarmente versato alle casse della Cappella del Tesoro del Duomo.

Eppure non è stato sempre idilliaco il rapporto dei napoletani con San Gennaro, vi fu un tempo in cui il santo fu detronizzato ed un altro prese il suo posto a patrono della città. Accadde sul finire del Settecento, nei giorni dell’effimera Repubblica Partenopea, nata all’ombra delle giacobine baionette francesi.

Paradossalmente in quello stesso secolo vi era stato, in precedenza, tutto un crescente nella devozione di Napoli verso San Gennaro. Aveva cominciato il re Carlo VII di Borbone, che, in occasione del suo matrimonio con la principessa Maria Amalia di Sassonia, aveva istituito il 6 luglio 1738 il prestigioso Insigne Reale Ordine di San Gennaro dalla croce ottagona e dal motto In sanguine foedus. Poi c’era stato al ponte della Maddalena, davanti al busto del Santo, il miracoloso arresto delle fiammeggianti lave del Vesuvio nella sua spaventevole eruzione del 1767. Nel luogo, a perenne ricordo di quel miracolo, veniva poi eretta una mirabile statua di San Gennaro, opera del Celebrano.

E’ dunque con totale e completa fiducia dei napoletani nella potenza del loro celeste patrono, che si arriva al gennaio 1799, allorché Napoli, grazie ad una serie di squallidi tradimenti, si trova alla mercè delle truppe repubblicane francesi, che accampano nei sobborghi. Scrive di quel momento lo storico Colletta, simpatizzante della fazione filo-francese, “…Napoli non ha bastioni; o cinta di muri; o porte chiuse; ma la difendevano popolo immenso, case l’una all’altra addossate, fanatismo di fede, odio ai francesi…”.

Avanguardia combattente di questo popolo immenso sono i circa 60.000 lazzari. Ma chi sono questi lazzari? Non sono né corte dei miracoli né pezzenti, né tantomeno camorra. La loro vera forza sta nell’essere al di sopra di tutte le esigenze sociali. Essi vivono del nulla, e da questo nulla traggono appunto la loro forza. Consapevoli di ciò, si godono ogni giorno lo spettacolo della vita, pronti ad impadronirsi dei giorni di festa della città, così come dei suoi giorni di guerra. Essi dunque vivono del niente -pane, cielo e…fantasia- e forse per questo, di lì a poco, sapranno morire alla grande nella difesa della loro Napoli.

Anarchici per il loro modo di vivere libertario e comunitario. Ma di un’anarchia eretica se è vero, come è vero, che essi si considerano i fedelissimi difensori del Trono e dell’Altare. E non soltanto a parole. Quando tutti diserteranno, essi saranno ancora lì, a morire testardamente p’ ‘o Rre e pe’ San Gennaro.

Quando ai principi di gennaio 1799 il generale francese Championnet, con la sua armata, è alle porte di Napoli, mentre altri fuggono, i lazzari si mobilitano spontaneamente. Nella giornata del 20 gennaio 40.000 di essi giurano solennemente, alla presenza delle sacre reliquie di San Gennaro, di difendere fino alla morte la loro comune patria. Loro insegna di guerra sarà una bandiera nera con l’effigie di un teschio e la scritta evviva il Santo Ianuario nostro generalissimo.

La diana di guerra suona alle prime luci dell’alba del 21 gennaio 1799, le disciplinate colonne francesi entrano subito in contatto con gli avamposti dei lazzari, che contrattaccano impavidi con la fronte serrata da colorati fazzoletti, sotto cui è riposta l’immagine taumaturgica di San Gennaro. E’ l’inizio di una spaventosa mattanza. Fare il resoconto dettagliato della battaglia, che durerà ininterrotta per tre lunghi giorni, è impresa quasi disperata perché mille e mille gli episodi di valore degni di menzione.

Le baionette dei battaglioni francesi s’infrangono letteralmente contro un muro di carne umana. I corpi dei caduti diventano barricate per i lazzari superstiti. L’occupazione a tradimento, da parte dei giacobini napoletani, dello strategico sovrastante forte di Sant’Elmo comincia a far pendere le sorti della lotta in favore degli attaccanti. Malgrado ciò il 22 gennaio i combattimenti sono ancora più violenti, il vasto pianoro di Largo delle Pigne -oggi piazza Cavour- diviene un unico immenso trincerone difensivo. Ai francesi occorrono sette ore di reiterati assalti, sempre alla baionetta, per avere ragione di quella eroica cocciuta resistenza. Eroismo disperato anche a Santa Lucia e alla Madonna dei Sette Dolori.

Nel pomeriggio del 23 i francesi di Championnet sono padroni di Napoli. Ma il prezzo pagato è altissimo: duemila di loro non festeggeranno la vittoria. I lazzari superstiti, sconfitti ma non domi, si eclissano nel dedalo di vicoli della città vecchia, pronti a ricominciare alla prima occasione. Diecimila di loro (non si conoscerà mai l’esatto numero) sono morti, armi in pugno, per testimoniare ai posteri che la Nazione Napolitana non è un’invenzione.

Financo il vincitore s’inchina dinnanzi a tanto eroismo, meritevole di miglior sorte. Scriverà infatti il generale Championnet, nella sua relazione sulla battaglia e che invierà poi a Parigi, “ …on se bat dans toutes les rues; le terrain se dispute pied à pied…les Lazzaroni, ces hommes étonnants, sont des héros… “ (…si combatte in ogni strada; il terreno è disputato palmo a palmo… i Lazzari, questi uomini meravigliosi, sono degli eroi…).

Pur se San Gennaro questa volta non li ha condotti alla vittoria, i lazzari sono sicuri che, sotto la sua alta protezione, si sarebbero presto rifatti contro gli eretici invasori, intanto che giungono buone nuove dell’avanzata dell’Armata Sanfedista del cardinale Ruffo alla volta di Napoli, sempre vittoriosa sulle città giacobine. Comincia così a circolare la voce che San Gennaro, in odio ai francesi che occupano la sua città, non avrebbe fatto il miracolo della liquefazione del sangue la prima domenica di maggio. Questo sarà il segnale per dare addosso ai francesi.

Man mano che ci si avvicina alla fatidica data, la Lazzaria è in fermento. Spesso di notte le sentinelle francesi vengono colpite a morte. Una di queste ha ancora il pugnale conficcato al petto; sul manico del pugnale un cartiglio con una scritta che recita Muoiano così tutti gli eretici francesi a causa dei quali San Gennaro non farà il miracolo.

Folla immensa di popolo è presente alla cerimonia della prima domenica di maggio. E’ presente anche Championnet con tutto il suo stato maggiore. Il generale francese, avuto sentore delle trame realiste, ha disposto la consegna delle sue truppe nelle caserme, con il perentorio ordine di intervenire con durezza all’accenno dei primi disordini.

La cerimonia sta per iniziare, quando, racconta il Dumas nel suo Il Corricolo, Championnet parla sottovoce col suo aiutante di campo, che, sveltamente, senza farsi troppo notare si avvicina e bisbiglia qualcosa al prelato, che porta le ampolle con il sangue coagulato. Sembra, a detta sempre del Dumas, che l’ufficiale francese avesse riferito all’alto prelato gli ordini del generale, per cui il prete sarebbe stato immediatamente fucilato sul posto se il miracolo non si fosse verificato nel giro di pochi minuti.

Verità o fantasia sfrenata dello scrittore? Una cosa è certa, dopo circa dieci minuti il sangue del santo inizia a liquefarsi. Tra la folla tanti, troppi occhi sbarrati, che non possono, non vogliono credere a quel che vedono. I lazzari cominciano a ritirarsi in cupo silenzio. Molti piangono. Anche San Gennaro è diventato iacubbino. Anche San Gennaro ha tradito la sua gente, al pari di tanti traditori aristocratici e borghesi. Allora è vero quello che sussurrava qualcuno che già nelle tragiche giornate di gennaio faccia gialluta (epiteto dato dai fedeli al santo) era diventato giacobino, facendosi ammaliare dalle belle parole dei francesi. Ecco perché la battaglia era stata perduta.

Quando poi uscirà il numero del Monitore, giornale ufficioso della Repubblica Partenopea fondato e diretto dalla contessa Eleonora De Fonseca Pimentel, nel quale si dà notizia, con parole magniloquenti, dell’avvenuto miracolo, per i lazzari è la conferma, la prova irrefutabile del tradimento di San Gennaro.

Il Dumas racconta anche dell’esecuzione di un busto del santo, che con una corda al collo viene trascinato per strada e, tra lo scherno della gente, gettato in mare. Il secolare idillio tra Napoli e San Gennaro sembra irrimediabilmente infranto. Napoli e i napoletani sono adesso senza un celeste protettore, e ciò, per il popolo, non è una cosa buona, per cui urge provvedere alla bisogna. In una specie di conclave dei capi-lazzari si procede alla proclamazione del nuovo santo patrono. Vincono i sostenitori dell’austero Sant’Antonio da Padova, cui è sacrata anche l’avanzante e ormai vicina Armata di Ruffo. Sant’Antonio è il nuovo degno generalissimo di tutti gli eserciti napolitani.

Agli inizi di giugno le schiere sanfediste del cardinale Ruffo infrangono definitivamente, nei pressi di Napoli, il sogno di una vittoriosa controffensiva repubblicana. La strada per la capitale è ormai sgombra. Ruffo però si ferma ed aspetta. E’ l’alba del 13 giugno 1799 quando il cardinale ordina l’assalto generale alla città. Questa data è frutto di una sua precisa scelta, vuole far coincidere la liberazione di Napoli con la ricorrenza della festività del grande taumaturgo di Padova, cui , come già accennato, sono sacrati tutti i realisti. Si festeggerà dunque la vittoria insieme con Sant’Antonio.

E il santo sembra subito dare un segno di buon auspicio, allorché un colpo di cannone dei borbonici va a spezzare di netto l’asta della bandiera repubblicana, sventolante sul forte di Sant’Elmo. La rovinosa caduta dell’odiato vessillo è salutata con immenso entusiasmo dalle truppe, che vanno all’assalto, e dai lazzari che, dall’interno della città, danno man forte a quest’ultime. L’episodio della cannonata miracolosa sarà poi ripreso in tante stampe di oleografia popolare.

La strepitosa vittoria del 13 giugno 1799 è salutata dai lazzari come frutto del portentoso intervento del loro nuovo generalissimo, Sant’Antonio da Padova. L’intera Napoli festeggia, riconoscente, il nuovo santo patrono, che ha saputo farsi valere, con un grande mazziatone, sui nemici della città.

In quei giorni San Gennaro sembra veramente scomparso dal cuore dei napoletani. Nelle strade appaiono raffigurazioni popolaresche di Sant’Antonio che fustiga San Gennaro per le sue presunte debolezze filo-giacobine. A Rua Catalana, in un grande quadro esposto, si vede Sant’Antonio con un bastone darle di santa ragione a San Gennaro. Ancora oggi, in alcuni dialetti della vicina Valle del Sarno, fare no Santantonio ad una persona significa dargli una solenne e meritata bastonatura.

Quei quadri, frutto di una religiosità non del tutto ortodossa, saranno rimossi proprio per ordine di Ruffo, che, malgrado la forte devozione per il santo di Padova, non dimentica che è pur sempre un cardinale di Santa Romana Chiesa.

Intanto nelle taverne si canta la carmagnola dei lazzari:

…….

Alli tridece de giugno

Sant’Antonio glurioso

‘e signure, sti birbante

‘e facettero ‘o mazzo tanto!

…….

Nell’irriverente carmagnola ce n’è per tutti i giacobini e i filo-francesi, fossero anche santi. Dalla Pimentel, che prima ballava in teatro ed ora balla impiccata in piazza Mercato:

…….

a signora ‘onna Lionora

ch’abballava ‘ncoppa ‘o triato

mo’ abballa mmiez’ ‘o mercato

…….

a Sant’Elmo, un santo che si è fatto svergognare facendosi occupare il suo forte dai giacobini, subendo infine l’affronto di farsi innalzare sul suo capo l’odiato vessillo nemico:

…….

a Sant’Eremo tanto forte

l’hanno fatto comm’ ‘a ricotta.

A stu curnuto sbreognato

l’hanno miso ‘a mitria ‘n capa

…….

E San Gennaro? Alla fine, nel complicato rapporto odio-amore quest’ultimo prevarrà, e già ai primi dell’Ottocento, allorché lo sterminator Vesevo riprende con le sue catastrofiche eruzioni, è pace fatta tra i napoletani e San Gennaro, il quale ritorna ad essere a pieno titolo il patrono della città. Anche se il Sant’Antonio usurpatore conserverà, da allora, sempre un posto di rispetto nel cuore di ogni napoletano.

Bibliografia essenziale

Consiglio A. – Lazzari e Santa Fede – Edi.Me. Il Mattino, Napoli 1996.

Dumas A. – Il Corricolo – Colonnese Editore, Napoli 1999.

Ferrara O. – Viva ‘o Rre. Episodi dimenticati della borbonica guerra per bande –

Scala Editrice, Sarno 1997.

Ferrara O. – Il cuore a Sud. Dalle tre giornate di Napoli del 1799 alla lotta

separatista siciliana del 1943 – manoscritto inedito, 1998.

Infusino G. – San Gennaro. Sacro e profano – Litorama, Napoli 1999.

Orazio Ferrara

fonte

http://www.adsic.it/2003/10/11/quando-i-lazzari-non-vollero-piu-bene-a-san-gennaro/#more-352

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