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Da “Cuore” napolitano di Castrese L. Schiano, il Nonno Antonio (II)

Posted by on Giu 12, 2021

Da “Cuore” napolitano di Castrese L. Schiano, il Nonno Antonio (II)

     Come per ognuno di noi l’occasionale incontro di due persone e la loro successiva unione possono essere considerati come l’inizio della nostra vita, anche i fatti che andrò a narrare, pur se inconsapevolmente, sono stati originati dal mio incontro con la nobile figura di un vecchio: il mio bisnonno, che ho avuto il piacere di vederlo in vita ed in attività fino al mio decimo anno di età.

   Si chiamava Antonio ed era il nonno di mia madre. Uomo di una bontà e di una pazienza serafiche. Originario di Paola in provincia di Cosenza, era devotissimo al santo del luogo: San Francesco di Paola, ed aveva trasmesso la sua devozione a tutta la numerosa famiglia, i cui membri – nessuno escluso – si erano fatti un obbligo di recarsi ogni volta che fosse possibile alla basilica del Santo … E così i nipoti e i pronipoti.

     Quando si è bambini, si è testimoni inconsapevoli e distratti di tanti eventi e si assiste a tante discussioni a cui, o perché presi da altre occupazioni o perché del tutto disinteressati, non si dà alcuna importanza, tranne poi a dispiacersene negli anni della maturità o della vecchiaia allorché situazioni particolari necessiterebbero di agganciarsi proprio a quelle memorie non raccolte o per stabilire rapporti di parentela o per approfondire aspetti storici, situazioni sociali o avvenimenti folkloristici di un determinato periodo. E’ proprio quanto è capitato a me, che avrei, adesso, la necessità di conoscere almeno la data di nascita del mio bisnonno e che, invece, devo cercare di ricostruire facendola emergere, con un relativo anche se modesto margine di incertezza, dalle spesse nebbie accumulatesi in questi settanta anni. Tento, quindi, di ricostruirla cercando di ridurre al minimo il margine di errore, perché partirò da una data nota: quella della sua morte, che avvenne nel 1950.  In quella data, dalle persone che si trovavano a parlare della sua età, ricordo che del “nonno” ne parlavano come di persona  molto vicina ai cento anni. Oggi, purtroppo, non trovandosi più il loculo dove riposavano le sue ossa al posto dove mi sono recato tante volte con mia nonna ed essendo venute a mancare tutte le persone a cui avrei potuto chiedere notizie più attendibili, non sono in grado di precisare questa nascita. Comunque, accettando, anche con le dovute riserve, la notizia sedimentata nella mia memoria, è possibile ritenere che la data di nascita del “nonno” sia collocabile pochi anni prima o pochi anni dopo il 1860.

     Citando questo “nonno” che, come detto, ho avuto il piacere di conoscere e di stargli vicino anche se per poco, non posso non ricordare la sensazione di pace e di serenità che si irradiava dalla sua persona e che veniva percepita appena gli si stava vicino.      

     Non si poteva non accostare quella canuta figura a quella del Santo di cui era devotissimo e che imitava col suo comportamento. Il perché non stessimo vicini abbastanza a lungo era dovuto a motivi contingenti dell’epoca.

      La  Seconda Guerra Mondiale non era terminata da molto e i suoi effetti erano ancora sotto gli occhi di tutti, a tenerne vivo il ricordo. Buona parte delle strade, dei sobborghi o dei dintorni di Napoli (che, non dimentichiamo, fu la città più bombardata dell’Italia) erano ancora invasi dalle macerie provocate dagli insistenti bombardamenti. Molti fabbricati erano sventrati, pericolanti e inabitabili. Di alcuni rimaneva, come testimone, soltanto qualche pezzo di muro da cui pendeva una finestra sbilenca che qualche chiodo teneva ancora legata, seppure precariamente, alla struttura a cui era appartenuta.

     I bambini, come tutti i bambini che si trovano a vivere nel corso di un conflitto, maturano anzitempo e pur non disdegnando quella che per ognuno di essi è l’attività più propria dell’età: il gioco, finiscono per essere considerati quasi adulti molto prima di loro coetanei cresciuti, invece, in condizioni per niente disagiate o aleatorie.  Forgiati dai disagi della guerra, in virtù dei quali ogni momento vissuto viene apprezzato al massimo perché viene visto come un momento rubato alla morte, questi ragazzi davano meno importanza al gioco e cercavano di rendersi utili, o per decisione autonoma o per l’imposizione di terzi. Questo era il motivo per cui si potevano notare frotte di bambini che, invece di giocare, si industriavano nelle attività più disparate, come in quella di lustrascarpe ( s c i u s c i à ) o di raccattacicche ( m u z z u n a r i ). Altri  si proponevano come guide principalmente ai marines americani, ai quali indicavano i locali ove soddisfare le loro voglie di sesso e di alcol.  Dopo una lunga serie di tali “visite”, i marines,  ubriachi fino all’inverosimile,venivano a trovarsi alla completa mercé dei loro piccoli accompagnatori i quali, approfittando delle loro condizioni, si vendevano o parte degli effetti personali dei militari  o gli stessi militari in blocco.  Gli adulti, dal canto loro, avevano anch’essi poco tempo da dedicare ad attività che esulassero da quelle ritenute al momento più urgenti e importanti, come trovare il modo di procurare qualche genere alimentare per poter sfamare la famiglia. 

     Il “nonno” viveva a Pozzuoli e, utilizzando canne e i vimini, si era specializzato nella fabbricazione di cesti e contenitori delle più disparate fogge e misure.

     Un articolo molto richiesto era il paniere di canne, con il quale, dai piani alti, le donne di casa raggiungevano il postino, il salumiere, l’ortolano per il ritiro della corrispondenza o l’acquisto di generi alimentari di prima necessità.

     Ogni volta che “nonno” Antonio completava una partita di tali manufatti, se li caricava sulle spalle e da Pozzuoli, a piedi, copriva un tratto di oltre cinque – sei chilometri per consegnare gli articoli a chi glieli aveva commissionati.

     Terminate le consegne, non mancava mai di fermarsi o a casa nostra o a casa di mia nonna, che poi era sua figlia, dato che abitavamo nello stesso palazzo. Qui, sorbito un caffè, si accendeva una di quelle caratteristiche  pipe  dal lungo beccuccio di canna e dal braciere in terracotta rossa. Dopo questa breve pausa, si accomiatava e, sempre a piedi, se ne tornava a Pozzuoli. Io avevo modo di vederlo o  in una di queste occasioni oppure quando, scorgendolo di lontano, gli andavo incontro e facevo in sua compagnia l’ultimo tratto di strada di poche centinaia di metri.

     Ora è venuto il momento di dar  conto sui motivi per cui il  “nonno” Antonio, da Paola, si fosse trasferito a Pozzuoli e perché il mio lavoro si  apra proprio con la sua figura.

      Ricordo che mia madre mi diceva che nonno Antonio era figlio di conte. Non ho elementi per dire se la notizia sia vera oppure no. La riporto così come mi è stata riferita, immaginando che, se non si tratta di una improbabile invenzione di mia madre (la quale, a mia memoria, non ha menato mai vanto di presunte ascendenze nobili), a lei qualcuno avrà pure dovuto dirglielo. E se a dirglielo era stato il “nonno”, non ho  motivo di dubitare sulla veridicità della notizia, se questi, da giovane, era lo stesso dell’umile e pacioso vecchio che ho conosciuto io. L’ elemento sul quale  non posso far chiarezza è rappresentato dall’impossibilità di stabilire una correlazione tra l’eventuale nobiltà dei natali e il suo trasferimento.

     Sempre da mia madre, a cui forse lo avrà raccontato durante qualcuna delle soste, in attesa che la caffettiera napoletana completasse la sua operazione di percolazione, avevo sentito dire che il nonno aveva abbandonato la propria terra a seguito di violenti disordini che avevano radicalmente cambiato la vita nella sua terra natia.

   Ora bisogna considerare che nella memoria di chi nei primi decenni dopo il 1860 aveva quindici – venti anni, Napoli era vista ancora, se non più come la capitale del Regno, almeno come una città molto più importante di un minuscolo paese della Calabria. E così il “nonno”, sperando di trovare nella nuova destinazione condizioni di vita migliori, aveva deciso di far fagotto.

     Voglio precisare che le notizie intorno al “nonno” le ho apprese non perché mia madre mi facesse sedere al suo fianco e me ne parlasse come per presentarmi l’albero genealogico della famiglia. Le ho semplicemente udite, mentre ero intento ad altre occupazioni, quando ne discutevano  lei e mia nonna.  E il contenuto di queste discussioni rimase sopito nella mia memoria per alcuni anni, fino a che, al liceo, non sentii fare per la prima volta un fugace accenno al fenomeno del “brigantaggio” che, dal 1861, per circa dieci anni, interessò tutta quella parte della Penisola, ex Regno delle Due Sicilie, divenuta ormai “Italia Meridionale”. Mi venne da pensare subito che “nonno”  Antonio, tranquillo e pacioso, avesse lasciato la propria terra per allontanarsi da quelle violenze che il suo animo non riusciva a sopportare. Così, novello Enea con i suoi Penati, portate con sé una statua ed un’effigie del suo amato Santo, si  era diretto alla volta di Napoli.

    Le mie conoscenze storiche apprese sia sui libri di testo che su pubblicazioni di approfondimento su quanto si verificò nel Meridione d’Italia dal 1860  in poi rimasero  immutate per diversi anni. Poi un giorno, il titolo di un libro esposto su un ripiano di una libreria attrasse la mia attenzione. Si trattava de “La conquista del Sud: Il Risorgimento nell’Italia meridionale” di Carlo Alianello. Il termine “conquista” mi attrasse subito e mi domandai come mai non l’avessi notato prima, dato, non solo, che ero  un cliente abituale della libreria, ma anche perché i miei interessi erano orientati proprio su argomenti di approfondimenti storici o saggistica in genere. Decisi così di acquistarlo, perché, se il contenuto non avesse deluso le promesse racchiuse nel titolo, avrei senz’altro conosciuto una versione diversa della nostra storia recente. E quel libro (a cui poi seguirono “I Savoia e il massacro del Sud” di Antonio Ciano,”Briganti furono loro, quegli assassini dei fratelli d’Italia” di Angelo Manna e tanti, tanti altri) fu il “galeotto” di dantesca memoria, che mi fece scoprire una storia sconosciuta, facendomi ricredere su molte figure del suo periodo  più celebrato,  sia nei programmi scolastici che in tutta la produzione libraria dell’epoca fuori da tale circuito,e su tanti personaggi presentati come padri e madri della patria, eroi, persone integerrime prossime a meritare quasi gli onori dell’altare, e che, invece, risultarono essere donnaioli, fedifraghi, ladri, assassini: giudizio confermato, poi, da continue letture e approfondimenti, che da allora mi hanno interessato senza soluzione di continuità, facendomi supporre che forse i briganti da cui stava fuggendo il “nonno” Antonio fossero ben altri che quelli riportati nei libri di storia ufficiali.

     A questo punto, visto che, per quanto riguarda l’Italia, con un tratto di gomma sono stati cancellati i millenni che hanno preceduto la data del 17 marzo 1861 e che la sua storia sembra iniziare proprio da tale data, sento il bisogno di lasciare ai miei figli e ai miei nipoti, che la ignorano totalmente – e non per colpa loro – una memoria non certo dei millenni che hanno preceduto la data del 17 marzo 1861 ma almeno degli anni ad essa molto vicini; anni in cui la loro terra, non più stato sovrano, non versava nelle condizioni di arretratezza e di degrado che la caratterizzano attualmente.

      Immaginiamo quindi che, a partire dal nono secolo avanti Cristo, la storia relativa alla nostra attuale nazione sia stata registrata in un enorme atlante, proprio come se si trattasse di un diario. Chiunque avesse la possibilità di consultare questo atlante potrebbe rendersi conto dell’invisibile ma tenace filo che, come i grani di un rosario, lega fra di loro i vari momenti, le varie vicende e gli intrecci che, da tanti particolarismi, ha portato alla costituzione di una entità più omogenea e a conoscere le cause che sono state all’origine della situazione generale che la caratterizza oggi. Nel percorso della storia, infatti, gli ideali o le ideologie che caratterizzano una determinata epoca, al suo naturale esaurimento, non scompaiono all’ improvviso, ma lasciano come una scia che prepara all’epoca successiva senza eccessivi traumi. Così ogni momento si rivela indispensabile  per avere, nel periodo successivo,una chiara visione di quanto accaduto nel periodo precedente.

     Se però dovesse capitare che l’enorme atlante, per un accidente qualunque, si dovesse scompaginare e le due parti andassero disperse il luoghi diversi, chi venisse in possesso della prima parte ignorerebbe il seguito determinato dagli eventi registrati nella metà in suo possesso e chi venisse a disporre della seconda parte non potrebbe conoscere le cause all’origine delle condizioni sociali, politiche o di altra natura che caratterizzano il suo presente.

     La congettura appena avanzata può essere accettata perché lo svolgersi degli avvenimenti è stato presentato come qualcosa di immaginario, di ipotetico. Sennonché quanto presentato come ipotesi  è capitato davvero, e il ricorso all’atlante-diario è servito solo per rendere più accostabile quanto verrà esposto.

     Scendiamo nei particolari.

     Tutti, anche quelli completamente privi di nozioni di storia, anche se non sapranno nulla né delle invasioni dei saraceni, né di quelle dei barbari, né dell’esistenza delle repubbliche marinare o del particolarismo dei comuni, non saranno tanto ingenui da ritenere che quella che è la loro attuale patria sia nata appena 150 – 160 anni fa,  Quindi, chi trovandosi in queste condizioni dovesse venire in possesso della sola seconda parte dell’atlante, pur nutrendo dei dubbi sulla nascita della sua patria, rifacendosi al criterio tutto umano della razionalità e paragonando l’Italia ad un essere umano, non potrebbe accettare che si nasca già adulti saltando tutte le precedenti fasi dell’evoluzione. Ma, purtroppo, chi mettesse in moto la razionalità per trovare una spiegazione alla stranezza potrebbe immaginare di trovarsi al cospetto di un’opera acefala solo consultando il numero delle pagine.  La parte dell’atlante in suo possesso, a parte un foglio singolo i cui numeri di pagina sono molto lontani da quello con cui inizia l’atlante, foglio in cui si fa riferimento alla breve esperienza della Repubblica Napoletana del 1799, inizia dal giorno 8 maggio 1860. Cosa sia capitato tra i fatti 1799 e la  data dell’otto maggio1860 e perché nella sua patria esistano tante disparità lo potrà sapere soltanto se riuscirà, o a venire in possesso della parte mancante dell’atlante o se qualcuno che può essere considerato la “memoria” gli offrirà  la possibilità di fare i collegamenti e trovare una spiegazione ai propri interrogativi. Solo quando avrà preso  conoscenza della prima parte, sarà in possesso di tutti gli elementi per farsi un’opinione personale e schierarsi sulle posizioni che la sua intelligenza suggerirà.

     I capitoli  che formano il contenuto di questo metaforico atlante/diario sono dedicati ad alcuni tragici episodi che sconvolsero le nostre terre e decimarono il nostro popolo a seguito della proditoria invasione e successive occupazione ed annessione del Regno delle Due Sicilie da parte del Piemonte; invasione culminata con la precipitosa ed unilaterale dichiarazione di conseguita unità a cui aveva dato l’avvio la piratesca spedizione di Garibaldi e dei suoi Mille. Lo stile quasi da romanzo adottato per l’esposizione dei fatti è stato scelto di proposito, per favorire l’avvicinamento nonché un eventuale approfondimento ad argomenti tuttora poco noti a una considerevole parte di persone pur fornite di un buon grado di cultura, perché i detentori di quella che, secondo i vincitori, doveva e deve continuare ad essere la memoria storica collettiva, custodiscono gelosamente i documenti che rappresentano la loro garanzia di poter continuare ad occupare le posizioni raggiunte, e a pretendere che venga accettato per vero, come responso oracolare, solo quanto da essi affermato.  La preferenza per la forma narrativa adottata, però, non deve indurre a ritenere che le notizie riportate siano frutto della fantasia, oppure che il pathos, per quelle più truci, sia stato amplificato di proposito per rendere più esecrabile l’azione commessa, perché per ognuno dei fatti narrati, le fonti consultate sono quelle relative ai documenti dei vincitori. Di tali documenti ne abbiamo preso in considerazione solo alcuni, che – voglio precisare – non sono quelli che facevano più comodo al nostro scopo. Però, se anche qualche risorgimentalista volesse trovare pretestuosa la scelta, sarebbe come il classico esempio del cane che si morde la coda. Se infatti ne “Il brigantaggio alla frontiera papalina dal 1860 al 1863” del Capitano di Stato Maggiore Generale Alessandro Bianco di Saint Jorioz (piemontese), che aveva tutto l’interesse a confermare le informazioni errate ricevute a Torino sulle condizioni generali del Regno delle Due Sicilie ( e che pagò a caro prezzo la sua decisione), troviamo, invece, pagine e pagine che le confutano totalmente, esse costituiscono o no un documento atto ad insinuare, per lo meno, qualche dubbio, che spinge a dare un’occhiata anche all’altra faccia della medaglia? E se il contenuto della faccia nascosta viene confermato da altri documenti sempre di parte dei vincitori, è lecito o no che chi ha dei dubbi su come sono andate veramente le cose avvii una ricerca per confermarli o smentirli?

     Stranamente, quando una specie di nemesi storica fa venire alla luce documenti di parte che smentiscono la vulgata di regime, si assiste ad una subitanea e massiccia levata di scudi da parte dei “custodi della memoria”, che vedono vacillare le colonne portanti dei loro templi. E’ come se, tanto per fare un altro esempio, si trovasse in un archivio una lettera autografa di Garibaldi, in cui il generale, scrivendo a qualche amico o ad un familiare, confessasse di aver commesso qualcosa di cui vergognarsi o pentirsi, sicuro, però, che la notizia non verrebbe divulgata perché fatta a persona di cui fidarsi. Ebbene la tracotanza degli storici di regime, rivolgendosi ad un esperto allineato, riuscirebbe a dimostrare che la lettera non è autografa, ma un falso messo in giro dai revisionisti per screditare un’intera epoca e i suoi artefici!

     Purtroppo, quello che era un semplice timore è avvenuto realmente. E’ notizia di appena pochi giorni fa (mese di maggio 2021) che uno dei tanti accademici “allineati” ha avanzato dei dubbi sull’autenticità del diario del bersagliere Margolfo, sostenendo, senza la più piccola prova a sostegno, o che lo stesso sia stato scritto da qualche “vinto” per gettare discredito sull’intera epoca risorgimentale o che esso sia stato dettato dal Margolfo a persona di famiglia e da questa frainteso! Figurarsi, poi, se un piemontese, pur fraintendendo la dettatura di un memoriale, avrebbe trascritto delle cose così sfacciatamente contrarie non solo alla dinastia di cui era suddito, ma addirittura ad un figlio, un fidanzato o un marito!

     Relativamente alle fonti consultate, esse sono:

 “Storia politico – militare del brigantaggio nelle Provincie Meridionali d’Italia” di Angiolo De Witt; il diario del garibaldino G. Ferrario; una lettera  dell’ufficiale piemontese Vittorio Cattaneo; una citazione dal diario del garibaldino G. Bandi relativamente alla rotta del Lombardo e del Piemonte.; uno stralcio relativo ad un episodio accaduto il 30 luglio 1861 a Casalduni in cui fu coinvolto il tenente Carlo Augusto Bracci, riportato anche dal De Witt alle pagine 43 e 44 dell’opera citata.

     E’ su questi documenti che si basano i fatti riportati. All’immaginazione e alla fantasia è stato concesso poco spazio, nell’episodio “Arrivano i civilizzatori”e in quello intitolato “Il brigante”, dove alla fantasia e all’immaginazione è stato concesso di “inventare”  solo il nome del protagonista ed eventualmente le modalità di svolgimento del processo. Per il resto non vi è nulla che non sia riferibile a uno dei tanti fatti realmente accaduti.

© Copyright 2021 Castrese L. Schiano

1 Comment

  1. La realta’ raccontata bene come sa fare l’Autore Lucio Castrese Schiano si legge come un romanzo col piacere di conoscere veramente come sono andate le cose nello stravolgimento che nel giro di pochi anni intorno al 1860 ha subito l’intera penisola… lo stile pacato del racconto parte da ricordi e vicende familiari per introdurci nel cuore della storia e ci lascia nell’attesa della prossima puntata… grazie! caterina ossi

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