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LE TRAME DELLO “ GNOMO MALEFICO”. L’AIUTO INGLESE E FRANCESE (V)

Posted by on Lug 6, 2021

LE TRAME DELLO “ GNOMO MALEFICO”. L’AIUTO INGLESE E FRANCESE (V)

     Al Nord, nel Regno di Sardegna, viveva uno gnomo di nome Camillo. Costui era veramente malefico e più tossico di un fungo velenoso, tanto che odiava visceralmente perfino il re di cui, col grado di Conte, era al servizio, ma di cui non ricusava il denaro. Accanto a questi difetti il conte-gnomo aveva anche quello di essere molto invidioso. L’invidia, si sa, è quel sentimento dell’animo umano che spinge chi ne è preda a non essere mai contento della propria condizione, a desiderare sempre le cose degli altri e ad essere, quindi, infelice perché non è sempre possibile soddisfare ogni desiderio.

Ebbene, proprio questo incontenibile sentimento di invidia, un brutto giorno, portò lo gnomo malefico a nutrire il malsano desiderio di impossessarsi delle nostre terre, non tanto per la loro lunghissima e nobile storia, perché il suo animo non riusciva ad apprezzare questi beni immateriali, ma per la loro ricchezza, che superava quella di tutti gli altri Stati messi insieme. Decise così di tradurre subito in atto tale desiderio. Ma, per quanto malefico costui potesse essere, per impossessarsi di un regno, non era sufficiente il solo desiderarlo. Bisognava, infatti, almeno come prima operazione, scacciarne il legittimo sovrano, cosa non facile senza un motivo più che plausibile, come poteva essere una dichiarazione di guerra. Ma anche per intraprendere questa strada c’erano da rispettare precise regole codificate da secoli, perché,  anche se pretestuoso, occorreva il classico casus belli, per inviare un esercito ad invadere un altro Stato. Come fare, allora, per realizzare il proprio sogno? Pensa e ripensa, ad un certo momento il malefico Camillo ritiene di aver trovato la soluzione al problema che lo angustiava e che gli aveva fatto passare più di una notte in bianco.

     Prima di procedere oltre, sento il dovere di dire perché continuo a definire il conte “gnomo malefico”. Bisogna sapere che, per raggiungere il proprio scopo, egli fu capace di far diventare quasi “amiche” due nazioni che si erano da sempre odiate e combattute e che, invece, per l’occasione, divennero alleate. Ovviamente per ottenerne gli aiuti bisognava ingraziarsi queste nazioni. Così al primo ministro dell’Inghilterra, nazione dichiaratamente anticattolica, promise che l’avrebbe aiutata a scalzare il capo della cristianità dalla sua sede, e all’imperatore dei Francesi , Napoleone III, avrebbe fatto un omaggio molto più gradito.

     L’imperatore e il conte si incontrarono diverse volte, ma non alla luce del sole come leali capi di Stato, bensì di nascosto, proprio come dei cospiratori perché l’oggetto dei loro incontri non aveva nulla a che vedere con nessuna legge, né civile né morale.

     Ma quale era il fine di quegli incontri? Se qualcuno avesse visto l’interesse e l’attenzione con cui i due scorrevano le carte geografiche di alcune parti della penisola avrebbe potuto pensare che Napoleone III e Cavour stessero cercando un’ amena località in cui trascorrere un periodo di riposo. Essi, invece, erano all’affannosa ricerca di uno tra i vari staterelli della penisola che potesse mostrarsi così debole da fornire al conte il pretesto così a lungo ricercato per varcare i confini del proprio malsano e nebbioso regno con la scusa di andare a ristabilire l’ordine e a portare la civiltà in quella parte della penisola, per scongiurare che il malcontento colà in corso potesse estendersi agli altri Stati e mettere quindi in pericolo anche il regno di cui egli  era ministro. Poi, una volta sul posto gli avvenimenti avrebbero fatto il loro corso e la connivenza delle nazioni “amiche” avrebbe autorizzato e coperto ogni abuso.

     A furia di cercare, il duo conte – imperatore riuscì a trovare quello che   desiderava con tanto ardore. E qui l’ imperatore dimostrò di non essere secondo al conte in fatto di doppiezza e tossicità.

      Durante uno degli ultimi colloqui, nella fase di ultimazione del progetto, l’imperatore suggerì al conte: “ Una volta individuato il punto debole che ci permetterà di dare inizio al nostro piano, inviate sul posto dei sobillatori prezzolati. Costoro, spacciandosi per sudditi del granduca, debbono far circolare grida di malcontento per il modo in cui sono governati e devono chiedere aiuto a qualche sovrano particolarmente sensibile alle necessità altrui, pregandolo di volerli aiutare a scrollarsi di dosso un governo poco attento ai bisogni del popolo. Il sovrano che raccoglierà queste lamentele sarà, ovviamente, re Vittorio, il quale dovrà, con molta enfasi, dichiarare che è costretto ad intervenire poiché non può rimanere insensibile a quelle grida di dolore”.

     L’idea, inutile dirlo, incontrò subito il favore del conte, che si attivò senza perdere tempo per tradurla in pratica.

     Vi chiederete, a questo punto, come mai l’imperatore fosse così disponibile a venire incontro alle richieste di Camillo.

     E’ presto detto.

     Il conte aveva una giovane cugina molto bella, amante del lusso e della bella vita, la quale, per soddisfare i propri desideri, non si preoccupava eccessivamente di ricorrere ai doni di cui la natura si era sbizzarrita ad  arricchire il suo corpo. Così, ben conoscendo il vecchio proverbio che “tira più un pelo di … che una coppia di buoi”, il conte aveva pensato di coinvolgere nella trama che stava tessendo la cugina Virginia, alias Farfalla d’oro, alla quale affidò l’incarico, subito entusiasticamente accettato, di irretire nei tenacissimi lacci di un rapporto lussurioso l’imperatore, in modo che questi, assaggiato il frutto, per non perderne i favori non avesse ripensamenti sull’aiuto che aveva promesso.

        Dal canto suo, l’Inghilterra, pur di veder scomparire il capo supremo della cristianità, si accollò diverse incombenze. Per prima cosa, già sette anni prima degli accordi tra Napoleone III e Cavour – precisamente il 17 luglio del 1851 –  diede ordine ad un suo ministro (lord Gladstone) di scrivere una lettera contenente un sacco di menzogne sul modo di amministrare la giustizia nel Regno delle Due Sicilie: lettera alla quale sarebbe stata data grandissima diffusione, in modo che le corti degli altri paesi cominciassero a considerare il Regno dei Borbone come la patria del male assoluto ed una terra in cui non si rispettavano né le leggi umane né quelle divine.  Dopo di ciò si incaricò di ripulire l’immagine di Garibaldi, che, da pirata e trafficante di schiavi dalla Cina al Perù, divenne generale e già prima che, proprio come un pirata, portasse la guerra contro uno Stato che se ne stava per i fatti suoi e non aveva alcun motivo di temere aggressioni di sorta, venne già presentato al pubblico come un eroe internazionale circondato da una fama di poco inferiore a quella di un dio.

     Ancora

     Trovandosi in Inghilterra un consistente numero di massoni, che avevano diramazioni e collegamenti in tutto il modo allora conosciuto, i suoi affiliati, anch’essi nemici della Chiesa, si mobilitarono alacremente per raccogliere fondi da destinare ad un’ impresa, organizzata e diretta dai confratelli, dall’imperatore e dal conte, la cui esecuzione pratica sarebbe stata affidata all’altro confratello:Garibaldi, al quale la flotta inglese avrebbe assicurato la più ampia protezione.

     Nel frattempo il Cavour, con il tesoro raccolto in diverse parti del mondo dai confratelli massoni, ne aveva combinate di tutti i colori. Aveva fatto corrompere buona parte degli ufficiali superiori dell’esercito e della marina borbonica, nonché importanti ministri, potendo contare addirittura sulla connivenza del Ministro della Guerra e di quello degli Interni, che, mentre appoggiavano vergognosamente il disonesto comportamento del conte e dei suoi galoppini, dimostravano spudoratamente affetto ed attaccamento al proprio sovrano, a cui avevano prestato giuramento di fedeltà e da cui continuavano ad essere retribuiti e ad ottenere benefici e prebende.

     Forse, per il loro grande numero o per la loro scorrettezza, non sarà mai possibile conoscere tutti i misfatti e le beghe messi in atto dal Cavour. Tra queste ultime, per la romantica, romanzata e quasi salgariana versione da consegnare ai vari mercenari dell’informazione, questi fece passare come un atto di pirateria il furto di due navi regolarmente acquistate, che occorrevano per la spedizione dei garibaldini, spedizione che poi l’Inghilterra si sarebbe preoccupata di proteggere adeguatamente, affinché un manipolo di un migliaio di avventurieri senza alcuna preparazione militare potesse aver ragione di un esercito regolare e militarmente addestrato di oltre ventimila uomini, ben forniti, tra l’altro, di artiglieria anche pesante che, con un paio di tiri ben assestati, avrebbe potuto stroncare sul nascere sia un eventuale tentativo di sbarco che quella che divenne una travolgente avanzata. Avvenne, cioè, un fatto molto curioso, come se una fiumara, scontrandosi con la possente e poderosa portata del Rio delle Amazzoni, ne avesse fatto invertire il corso, tanto da far arretrare le acque fino alla loro sorgente! Pazzesco!

     Nel Regno delle Due Sicilie, che la disinformazione prezzolata aveva consegnato al resto del mondo come una nazione arretrata, sporca, di gente sottosviluppata ed incapace di produrre una qualsiasi opera dell’ingegno, una prestigiosissima scuola  aveva prodotto delle carte geografiche così esatte e di altissimo livello che il Cavour ne commissionò l’acquisto quasi di tutte quelle reperibili. E proprio facendo affidamento sulle  rotte disegnate sulle carte del “sottosviluppato” Regno duo siciliano il conte era sicuro che Garibaldi non commettesse errori e non finisse per sbarcare addirittura in Africa con i due vapori “rubati”. Ora, in quest’ultima affermazione si riesce a notare qualche discrepanza? Se il Regno del Sud fosse stato davvero così arretrato, dove avrebbe potuto istruire persone in grado di disegnare carte geografiche che presupponevano la conoscenza  di discipline che andavano ben oltre il mero disegno; dove avrebbe potuto formare legislatori in grado di compilare il primo e più completo Codice Marittimo di cui i conterranei del conte cercarono di impadronirsi e di attribuirsene la paternità?

     Altra mossa del Cavour, come quella già sperimentata nei Ducati e Granducati dell’Italia centrosettentrionale fu quella di assoldare persone che, spacciandosi per sudditi del Regno duosiciliano, si mischiavano tra questi ultimi, gridando che erano stufi di sopportare i soprusi di un re reazionario e della sua corte; che al Nord c’era più libertà e che colà si trovava un sovrano che non aspettava altro che  di essere invitato per poterli sottrarre al pesante giogo che lamentavano e che li avrebbe resi tutti figli di un’unica nazione e, quindi, tutti fratelli, con inimmaginabili vantaggi di ogni genere. Ovviamente chi veniva da fuori o chi veniva a conoscenza di questo strombazzato stato di malcontento leggendo i giornali, anch’essi addomesticati, si faceva  un’idea sbagliata della situazione e finiva per convincersi che il Borbone fosse veramente quello descritto anche nella ormai famosa lettera del lord inglese, non trovando da obiettare, quindi, che i suoi stessi sudditi lo contestassero, chiedendo addirittura di sottomettersi ad un altro sovrano, di cui non conoscevano neanche il nome, un sovrano che non parlava la loro lingua e che non sarebbe mai stato il re di tutti, bensì il loro spremiagrumi. Non potevano sapere, invece, che tutta quella messa in scena era stata architettata dalla mente diabolica del malefico Camillo, per ovviare  alla mancanza del pretesto che gli avrebbe consentito di invadere senza dichiarazione di guerra il Regno delle Due Sicilie. Egli, infatti, mentre si accingeva a compiere un’azione al di fuori di tutti i principi e di tutte le convenzioni internazionali che regolavano da sempre i rapporti tra gli Stati e le persone civili, voleva apparire al resto del mondo come colui che era stato “costretto” a prendere quella decisione, per scongiurare pericoli maggiori.

     Ma c’era un però.

     I regnicoli, cioè i veri sudditi  e non le comparse prezzolate, sapevano che le cose non stavano come voleva farle apparire il Cavour. Così, anche se al conte fosse riuscito di portare a compimento il proprio piano, questi regnicoli si sarebbero sicuramente ricordati di non essere stati loro né a chiedere di cambiare sovrano né di far annettere il proprio regno ad un altro con cui non avevano in comune né usi, né costumi, né lingua, né di vedere la propria patria – la cui capitale era tra le più importanti d’Europa – ridotta al ruolo di colonia. 

                    Da “CUORE … NAPOLITANO” di

Castrese Lucio Schiano

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