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La battaglia di Lissa

Posted by on Set 4, 2021

La battaglia di Lissa

PREAMBOLO

Per conoscere lo stato d’animo delle popolazioni Venete nel 1855, anno dell’annessione del Veneto al Piemonte dei Savoia, bisogna ritronare indietro con gli anni fino al 1848-49 con la “Resistenza all’Austriaco ad ogni costo” di Venezia. Già dal marzo del 1848 i Veneti si erano sentiti traditi dai Piemontesi di Carlo Alberto, in quanto egli non volle oltrepassare il Mincio e inseguire gli Austriaci in fuga, dando loro modo di riorganizzarsi e, successivamente, rioccupare tutti i territori – all’infuori di Venezia – persi in seguito alle rivoluzioni.

Carlo Alberto si ritirò, infatti, lasciando alla mercè di Radetzsky il Lombardo-Veneto, salvo riprendere la guerra l’anno successivo, dopo esservi stato costretto, e subire la sconfitta di Novara il 23 marzo. Venezia continuò a resistere all’Austria fini al 26 agosto dello stesso anno, dopo di che fu costretta ad arrendersi non per cause belliche, bensì per la fame, gli stenti, il colera che avevano ridotto la popolazione di circa la metà.

Ovviamente i Veneti, ma soprattutto i Veneziani, covarono un sordo rancore verso quelli che credevano “fratelli” e che invece li avevano lasciati soli contro la potenza austriaca. Quella eroica resistenza, che strappò un grido di meraviglia e di ammirazione dai petti di tutto il mondo, indusse gli austriaci ad avere un comportamento molto benevolo verso i Veneziani al punto che non infierirono in modo duro contro la città stessa, adottando però altri sistemi di punizione. Innanzi tutto chiuse il Collegio Navale, dirottò le navi del porto commerciale a Trieste e portò l’Arsenale a Pola., dando così un duro colpo all’economia della città.

Fu solo dopo diversi anni, ossia dopo la visita a Venezia dell’imperatore Francesco Giuseppe e dell’imperatrice Elisabetta – Sissi – nel 1856, i quali si commossero delle condizioni in cui era ridotta la città, che le cose andarono un po’ migliorando. Infatti fece riprendere a far lavorare l’Arsenale, iniziò un nuovo rilancio del porto commerciale, fece attivare alcune industrie a Venezia come la Yunghans, la Hoerlikon, il molino Stucky, ecc.

Finchè arrivò l’anno 1859, anno in cui i Savoia iniziarono la loro occupazione dei territori italiani. Continuarono con l’occupazione militare del Regno delle due Sicilie, finendo l’anno dopo con il dichiarare la presunta “unità d’Italia”.

Quando, nel 1859, occuparono la Lombardia con due sanguinosissime battaglie vinte – si badi bene – non dai piemontesi, bensì dai loro alleati francesi, per il Veneto iniziò la vera catastrofe, in quanto i Savoia dirottarono tutti i traffici marittimi dal porto di Venezia a Quello di Genova.

Ma i piemontesi per appropriarsi dell’Italia con le guerre causarono milioni di morti; fecero deportare migliaia di soldati dell’esercito delle Due Sicilie trasferendoli dal caldo dalle regioni meridionali al gelo dei monti del Piemonte: di questi soldati deportati non si è mai saputo che fine abbiano fatto. I partigiani dei Borbone ( re Francesco II ), che volevano la restaurazione del vecchio regno, furono fatti passare per “briganti” e i loro villaggi e i loro paesi bruciati, le loro famiglie furono trucidate!

Insomma i piemontesi Savoia si annetterono con la forza e la violenza, massacrando popolazioni inermi, e il tutto con il tacito aiuto delle cosiddette potenze straniere, quali la Francia e l’Inghilterra. E tutte queste nefandezze furono di dominio pubblico, ed i veneti lo seppero, così come lo seppero tutte la nazioni!

Finchè si arriva all’anno 1866.

Grazie ai soliti intrighi politici, il nuovo “regno” d’Italia – ma meglio chiamarlo “regno del Piemonte” (!) – si alleò con la Prussia e la Francia contro l’Austria, rivendicando anche i territori del Veneto e del Friuli! Ma avevano dimenticato che i veneti avevano – ed hanno – la memoria lunga, e che ricordavano il voltafaccia dei Savoia degli anni ’48-49, dei massacri che gli stessi avevano fatto nel meridione, della crisi sopraggiunta al porto ed all’economia veneziane…

E glielo ricordarono combattendo più accanitamente degli stessi austriaci a Custoza, dove un’esercito di 70mila uomini bene armati, fu sconfitto da uno di 40mila e male armato! Infatti nell’esercito austriaco combattevano moltissimi veneti ed anche molti personaggi dell’antica nobiltà veneta.

E quando i soliti piemontesi vollero cercare un riscatto per mare, trovarono altri veneti nella flotta austriaca i quali seppero dare “il saldo” alla flotta sarda ormai rinominata italiana. Inoltre la flotta austriaca aveva un’enorme vantaggio: la lingua! Difatti nel mentre nella flotta avversaria gli idiomi parlati, e capiti, erano diversi – si andava dal piemontese al sardo, dal napoletano al siciliano al toscano… – in quella austriaca la lingua era unica: il veneto, e perciò gli ordini venivano dati e immediatamente recepiti. Perfino gli ufficiali austriaci parlavano il veneto!

E qui si vuole narrare, in breve, lo svolgimento della Battagli di Lissa.

LA BATTAGLIA DI LISSA

20 LUGLIO 1866

Lissa è una piccola isola situata di fronte alla costa Dalmata, conosciuta fin dall’ antichità come Issa e più volte nominata dai Greci. E’ stata base navale della Repubblica di Venezia dal XI secolo fino alla sua caduta, il 12 maggio 1797, ad opera del nefando Napoleone.Fu ceduta, dopo il trattato di Campoformido, all’ Austria nell’ agosto dello stesso anno, assieme agli altri possedimenti d’ oltre mare di Venezia.

Nel 1866, al’ 8 di aprile, a Berlino si celebrava il “Trattato della triplice alleanza” fra l’ allora regno d’ Italia, la Prussia e la Francia, in base al quale “entro tre mesi” si doveva dichiarare guerra all’ Austria. Il 16 giugno (seppure con otto giorni di ritardo…), con il proclama di Vittorio Emanuele II, veniva dichiarata la guerra, e il giorno 24 successivo a Custoza l’ esercito Italiano veniva sconfitto da quello Austriaco in una memorabile battaglia. Nell’ esercito Austriaco vi erano numerosissimi soldati Veneti e comandati da ufficiali dell’ ex Patriziato Veneto quali – fra gli altri – nomi come: Barozzi, Orseolo, Moro, Da Mosto, Cicogna, ecc.

L’ esercito Italiano operava una “ritirata strategica” fino oltre il Po, per difendere l’ allora capitale: Firenze.

Senonchè fra il 16 e il 28 di giugno, le armate Prussiane invadevano l’ Hannover, la Sassonia e l’ Assia e il 3 luglio sconfiggevano l’ esercito Austriaco a Sadowa. Il Comandante delle truppe Austriache in Italia, l’ Arciduca Alberto, visto che l’ esercito Italiano si era dileguato, marciò a tappe forzate verso Vienna per difenderla dalle truppa Prussiane, perciò lasciò quasi completamente sguarnito il Veneto. Ma nel corso dell’ avvicinamento su Vienna la sua retroguardia incontrò, a Bezzecca nel Trentino, le truppe di Garibaldi: è da notare che l’ artiglieria Austriaca non si trovava sul posto bensì aveva già oltrepassato i valichi; pertanto non fu difficile al Garibaldi sconfiggere detta retroguardia…

Due giorni dopo la disfatta di Sadowa, Francesco Giuseppe chiese l’ armistizio e pur di concluderlo offrì di cedere il Veneto alla Francia, la quale lo avrebbe dovuto “girare” agli Italiani…Gli Italiani erano contrari a questa proposta perché umiliava le loro forze armate e, vista la penosa condizione dell’ esercito dopo la dura batosta di Custozza, hanno puntato sulla marina per poter riportare una vittoria sul nemico che consentisse loro di finire onorevolmente (una volta tanto…) la guerra.

Anche il primo Ministro, Bettino Ricasoli, era contrario a ciò, in quanto asseriva che “il Veneto non andava acquistato, ma conquistato” ! Egli, continuando i suoi calcoli dallo scrittoio di Firenze, telegrafò all’ ammiraglio Persano dicendo: “E’ indispensabile che fra una settimana la flotta austriaca sia distrutta”.

Ma non tennero conto di una cosa molto importante: la flotta austriaca era composta, nella quasi totalità, da equipaggi provenienti dalle terre una volta soggette alla Repubblica di Venezia: dal Veneto, dal Friuli, dall’ Istria, dalla Dalmazia, oltre che da Trieste e da Oltremare, e TUTTI gli ufficiali avevano studiato presso la I.R. Scuola del Collegio Navale di Venezia: ad iniziare dall’ ammiraglio comandante Wilhelm von Tegetthoff, il quale, benchè fosse in tutto e per tutto un Deutschosterreicher, era registrato a chiare lettere nell’ apposito registro come Guglielmo Tegetthoff – e questo lo si può ancora vedere presso l’ archivio dell’ attuale Collegio Navale “Francesco Morosini” di Venezia. Inoltre tutti gli ufficiali erano a perfetta conoscenza della lingua Veneta, al punto che gli ordini venivano in lingua Veneta!

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Ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff

Bisogna anche tener conto di un’ altro fattore: prima del 1797 non esisteva una marina Austriaca, ed è dopo quella data che nasce col nome di “OSTERREICH – VENEZIANISCHE MARINE” (Imperiale e Regia Veneta Marina), composta da ufficiali e marinai provenienti dalle terre della ex Repubblica di Venezia, i quali avevano ben recepite le sue millenarie tradizioni marinare, militari, culturali e storiche. E, come già detto, la lingua corrente era quella dei Veneti e a tutti i livelli. Nel 1849, dopo la rivoluzione Veneta capitanata da Daniele Manin, vi era stata una “austriacizzazione” nella denominazione ufficiale e l’ espressione “Veneta” venne tolta; inoltre fra gli ufficiali vi era stato un certo ricambio ed il tedesco era sì diventato la lingua primaria, ma non fra gli equipaggi. Infatti questo cambiamento non poteva essere fatto in così breve tempo.

I nuovi marinai continuavano ad essere reclutati nelle terre Venete dell’ impero asburgico, e non certamente nelle regioni Alpine o Austriache.

Possiamo dire che gli ufficiali erano “costretti” a parlare il Veneto.Quale contraltare a questo, la allora marina Italiana era in netto contrasto nel suo interno e la rivalità fra le sue tre componenti (la Siciliana o Garibaldina, la Napoletana e la Sardo-Ligure) era assai grande e notevole.

Inoltre fra i comandanti delle tre squadre vi era non solo divisione, ma anche rancore: infatti tra l’ ammiraglio Persano, l’ ammiraglio Albini e l’ ammiraglio Vacca vi era addirittura odio!Gli ordini, poi, venivano dati nelle rispettive lingue, o dialetti, ed in tale modo era del tutto evidente che fra gli equipaggi Italiani regnasse il caos più grande! Leggiamo anche nell’ allora quotidiano Francese “La Presse” , quale dimostrazione dell’ andazzo di quell’ epoca, una cosa che pare attuale dei giorni nostri: “pare che all’ amministrazione della Marina Italiana stia per aprirsi un baratro di miserie: furti sui contratti e sulle transazioni con i costruttori, bronzo dei cannoni di cattiva qualità, polvere avariata, blindaggi troppo sottili, ecc. Se si vorranno fare delle inchieste serie, si scoprirà ben altro!” e così il quadro è completo!

Dunque, giunge il fatidico 20 luglio, e quanto segue lo leggiamo dalle “Memorie” del Regio Commissario Italo – Piemontese, conte Genova Thaon di Revel, incaricato dell’ annessione forzata del Veneto all’ Italia.“L’ ammiraglio Persano non andava d’ accordo con il suo capo di stato maggiore. Nulla sapevano i comandanti delle squadre del piano d’ azione che aveva combinato Persano.

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Ammiraglio Persano

Uscita la flotta dal porto di Ancona, varie squadre furono mandate a sparare inconsideratamente contro le batterie di terra altolocate di Lissa ed altri diversi punti della costa Dalmata, senza ottenere alcun risultato. E quando la flotta nemica giunse improvvisamente, le nostre navi divise, in bordeggiare incerto, ebbero pena a riunirsi.

All’ appressarsi del nemico, egli lasciò inopinatamente la nave ammiraglia, dalla cui alta alberatura attendevasi segnali, per andare a rinchiudersi nella torre dell’ Affondatore.Il Re d’ Italia colò a picco oppresso dale navi nemiche, mentre la Palestro salò in aria. Tegetthoff, le cui navi erano seriamente scosse, si rivolse verso Pola ed allora solamente si vide un segnale di Persano: “libertà di manovra”.

Sull’ ordine del giorno osò scrivere essere rimasto “padrone delle acque”.

Al rovescio dei generali battuti a Custoza, egli si proclamò vincitore, essendosi tenuto fuori del pericolo. Salvò la vita, ma non il suo onore militare”. Ripeto: questo dal diario del Thaon di Revel!

Per la cronaca: il Nocchiero che era al timone della ammiraglia Austriaca, la “Ferdinand Maximilian”, e che speronò affondandola l’ ammiraglia italiana, la “Re d’ Italia”, si chiamava Vincenzo Vianello, da Pellestrina, detto “el Graton” e fu decorato con la medaglia d’ oro al valor militare da Francesco Giuseppe: fu una delle tre medaglie d’ oro e delle cento quaranta d’ argento elargite in quel giorno ai marinai Veneti! ( su un totale di 14 d’ oro e di 240 d’ argento: le altre furono concesse agli ufficiali austriaci!)

Al momento dello speronamento, Tegetthoff disse in Veneto al Vianello “daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi!” Al momento dell’ affondamento della nave Italiana, da quelle Austriache si levò un solo grido” VIVA S. MARCO”!

Guido Piovene, il grande scrittore ed intellettuale Veneto del ‘900, disse che “la battaglia di Lissa fu l’ ultima grande vittoria della Marina Veneziana”.

In poco più di una sola ora l’ abilità di Tegetthoff e il valore dei marinai Veneti ha consentito alla marina Austro-Veneta (come la chiamano ancora gli storici austriaci) di riportare una vittoria meritata. Le perdite sono state complessivamente di 620 morti e 40 feriti fra gli equipaggi Italiani, e di 38 morti e 138 feriti fra quelli austro-veneti. La corazzata “Re d’ Italia”, speronata da quella austriaca, fu affondata in pochi minuti con la tragica perdita di 400 uomini, la corvetta “Palestro” fu colpita da un proiettile incendiario ed esplose trascinandosi dietro oltre 200 uomini. La superiorità numerica Italiana su quella Austro-Veneta era di circa il 60 per cento di marinai e di circa il 30 per cento di ufficiali. L’ antagonismo che vi era fra le due flotte era dato, principalmente, dal rancore che i Veneti avevano nei confronti dei Sardo Piemontesi, e degli altri Stati, per essere stati lasciati soli a patire la fame ed il colera durante la memorabile resistenza di Venezia nel 1849.

E ciò fu notato anche dal Garibaldi, il quale “s’ infuriò perché i Veneti non si erano sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe stato facile farlo!”

E’ interessante, anche, quello che scrisse l’ ammiraglio Angelo Jachino nel suo libro “Navi e poltrone”: “Non vi fu mai alcun movimento di irredentismo tra gli equipaggi e tra gli austriaci durante la guerra, nemmeno quando, nel luglio del 1866, si cominciò a parlare della cessione della Venezia all’ Italia”.

Va infatti ricordato che quell’ infausto agosto del 1849, Venezia fu lasciata assolutamente sola a difendersi più che dalle soverchianti forze austriache ed ai loro cannoni che bersagliavano la città, dalla fame e dal colera che decimarono la popolazione. E quando il Governo Veneto chiese una sottoscrizione all’ Italia per essere aiutata, ponendo quale garanzia il Palazzo Ducale, vennero raccolte poche lire, al che il Tommaseo – alquanto demoralizzato – esclamò: “gli Italiani hanno dato a Venezia di che sfamarsi per una sola giornata!”
Ed i Veneti, di questo, se lo sono ricordato proprio a Lissa!

Alla fine, nonostante le sconfitte di Custoza e di Lissa, il Veneto venne annesso con la forza all’ Italia.

E a Napoleone III, imperatore dei Francesi, non resterà altro da dire in riferimento ai Savoia: “Ancora un sconfitta, e mi chiederanno Parigi”!!!

E Giuseppe Mazzini, l’ Apostolo dell’Unità d’ Italia, scriverà sul “Il Dovere” del 24 agosto del 1866:

“E’ possibile che l’ Italia accetti di essere additata in Europa come la sola nazione che non sappia combattere, la sola nazione che non possa ricevere il suo se non per beneficio d’ armi straniere e concessioni umilianti dell’ usurpatore nemico?”.

Il 19 ottobre successivo nel Veneto si teneva uno degli ultimi plebisciti – burletta, come li definì Indro Montanelli nella sua “Storia d’ Italia”, per la sua forzosa annessione: forzosa, perché le votazioni avvennero sotto l’ occupazione del territorio da parte delle truppe Piemontesi, i votanti dovevano passare attraverso due ali di militari per depositare nelle due urne (una per il sì e l’ altra per il no) una delle due schede colorate, anche queste: una per il sì a l’ altra per il no! Democraticamente!

            L’ unità d’ Italia era fatta.

Senza dare la possibilità al Popolo Veneto di esprimersi liberamente e in modo democratico, esattamente come accadde  nel conquistato regno delle Due Sicilie sei anni prima!

Gigio Zanon

“Uomini di ferro su navi di legno,

hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro

(dal rapporto dell’ ammiraglio Willelm von Tegetthoff , “Brogliaccio” di bordo della “Ferdinand Maximilian”)

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