Alta Terra di Lavoro

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La favola dei “mille” di Garibaldi

Posted by on Set 13, 2021

La favola dei “mille” di Garibaldi

Come potevano conquistare un Regno?

Nessuno ci ha ancora spiegato bene come 1.000 persone abbiano potuto conquistare il Regno delle Due Sicilie.

Ricordiamo i fatti secondo la versione corrente.

Garibaldi si imbarcò a Quarto con 1.089 volontari su due piroscafi, il Piemonte ed il Lombardo. Sbarcò in Sicilia a Marsala. I soldati borbonici cercarono di arrestare la marcia dei garibaldini a Calatafimi ma questi li misero in fuga, aprendosi la strada per Palermo. Dopo tre giorni di accaniti combattimenti Palermo venne liberata. Poi i borbonici vennero sconfitti a Milazzo.

Passato lo stretto e attraversata la Calabria, Garibaldi entrò in Napoli il 7 Settembre 1860. Infine l’esercito piemontese invase il Regno delle Due Sicilie e Garibaldi lo consegnò ai Savoia.

Sembrerebbe che nulla si possa aggiungere, se non episodi e fatti particolari. Ci hanno imbrogliato! Non è vero niente! E quello che è vero è distorto! Vediamo cosa successe in realtà e perché.

Lo stato delle cose, all’epoca, era questo.

In Francia, Napoleone III era salito al trono, dopo il colpo di stato del 1851, e, per sanare i suoi contrasti interni, spingeva la Francia, sull’esempio del suo famoso predecessore, a cercare l’egemonia in Europa.

Concordando gli interessi, strinse alleanza con l’Inghilterra nella guerra Russo-Turca, più conosciuta da noi come guerra di Crimea.

In questo modo spezzava l’alleanza Austro-Russa e lasciava l’Austria, la grande potenza dell’Europa continentale, isolata.

Fu un avvenimento importante per gli stati italiani. In Italia l’Austria aveva notevole influenza: diretta, nei territori inglobati nel suo impero, indiretta, sulla maggioranza degli stati della penisola.

Le mire espansionistiche della Francia avevano, tra l’altro, obiettivo verso territori di stati italiani.

L’Inghilterra, in quegli anni, era tutta protesa nello sforzo di crearsi un impero coloniale e guardava benevolmente il tradizionale movimento separatista siciliano per gli interessi che aveva in quell’isola e su quell’isola. Non bisogna dimenticare che, di lì a pochi anni, fu aperto il canale di Suez.

Il Regno delle Due Sicilie volle mantenere una rigida neutralità, durante la guerra di Crimea, rifiutando, ad esempio, i porti di Brindisi e di Messina alla flotta francese che faceva la spola tra i Dardanelli e Marsiglia.

Il Piemonte, unico stato italiano fuori dall’influenza austriaca, si inserì nella guerra di Crimea al fianco della Francia, avendo già deciso con quella scelta di sacrificare territori italiani, come Nizza e la Savoia (oltre che le vite dei suoi sudditi inviati a morire in Crimea), in cambio di altri territori nell’Italia centro settentrionale.

Quella scelta procurò al Piemonte anche una certa benevolenza da parte dell’Inghilterra.

La Sicilia nel 1860, come già nel 1812 e nel 1848, ancora una volta si ribellò al governo centrale.

Questo perché da sempre la Sicilia ha avuto coscienza di nazione e mal sopportava l’essere considerata provincia di uno stato con Napoli capitale.

Ed anche perché, con le leggi di eversione della feudalità, aveva avuto fine il periodo di potere dei principi e dei baroni all’interno dei loro feudi: ribellandosi al governo centrale e fondando uno stato indipendente gli ex feudatari siciliani si illudevano di riacquistare il perduto potere.

Ecco che entrano in ballo i mille.

Questa banda raccogliticcia, partita con il complice aiuto del Piemonte, interessato a fomentare rivolte e disordini (concordati con Napoleone III per provocare l’Austria), dopo uno scalo in Toscana, sbarcò a Marsala.

E’ da notare che:

Il governo napolitano era informato costantemente del procedere della traversata delle navi dei garibaldini.

Quando le due navi arrivarono a Marsala la guarnigione locale non c’era: un ordine del comando generale di Palermo l’aveva mandata altrove.

Tre navi da guerra napolitane avevano preso il largo poco prima dell’arrivo delle due navi dei mille.

Due navi inglesi con la loro presenza impedirono il bombardamento delle navi garibaldine: guai a toccare la bandiera britannica: l’Inghilterra dell’epoca non era quella di oggi!

I mille sbarcarono e … arriviamo a Calatafimi.

Qui quattro compagnie napolitane, meno di 500 uomini, sbaragliarono i garibaldini, tanto che Garibaldi disse (o gli fecero dire pseudo storici): “Qui si fa l’Italia o si muore!”

Lo scontro si concluse con i garibaldini dispersi, infatti lasciarono la celebrata bandiera di Montevideo in mano dei napolitani, e con il settantacinquenne generale Landi, comandante dei borbonici, che dette l’ordine di ripiegare su Palermo, invece di inseguire e sconfiggere il nemico.

A Palermo avvenne che il generale Lanza, forte di oltre 18.000 uomini, bene addestrati ed equipaggiati, si arrendesse a Garibaldi dopo tre giorni di piccole scaramucce e con i garibaldini senza munizioni.

Anche qui c’è da notare qualcosa.

Lanza, pur essendo palermitano, fece bombardare Palermo senza alcuno scopo militare.

Nel porto c’era l’immancabile squadra inglese: infatti a bordo della Hannibal, dell’ammiraglio Mundy, si firmerà la resa.

I soldati napolitani volevano combattere ma fu loro ordinato di rimanere chiusi nelle caserme.

Ricordiamo, per tutti, un solo episodio significativo.

Il generale borbonico Von Moechel, con una colonna di 3.000 soldati, veniva verso Palermo, proprio alle spalle dei garibaldini. Era logico supporre che gli svizzeri di Von Moechel non avrebbero esitato a sbaragliarli, senza altri scrupoli.

Nel frattempo il generale Lanza stava, inspiegabilmente, per firmare un armistizio. Lanza si affrettò a farlo, quando seppe, dal telegrafista ottico di palazzo reale, che le truppe di Von Moechel si stavano avvicinando. Lanza, dopo aver dato uno sguardo, negò di aver visto gli svizzeri.

Il telegrafista, sicuro della propria vista, protestò con il capitano Rada, che gli rispose: “De Pà (si chiamava De Palma il telegrafista), ma ti pare che se il generale Lanza, alter ego di Sua Maestà, non vede, devo vedere io che sono un subalterno?”!

Lanza non vide e Palermo fu consegnata ai garibaldini, agli insorti ed ai “picciotti”.

A Milazzo il 20 Luglio 1860, 1.800 napolitani, comandati dal Colonnello Bosco, combatterono valorosamente contro 6.000 uomini di Garibaldi. Alla fine della giornata le perdite garibaldine furono di 1.700 tra morti e feriti.

Ma Bosco non poté concludere la vittoria perché il Generale Clary, che era a Messina, si rifiutò di mandare rinforzi, anzi disapprovò Bosco. Clary a Messina aveva 15.000 uomini.

E’ da notare che la cittadella di Messina, successivamente, con pochi uomini, resistette all’assedio dell’esercito piemontese fino al 13 Marzo 1861. Clary, come Lanza, sgombrò e si ritirò sul continente.

A questo punto Garibaldi è padrone della Sicilia ed è a questo stesso punto che il Piemonte dette maggior corpo alle trame per avere il frutto di quegli avvenimenti. Fino ad allora non aveva creduto possibile una vittoria di Garibaldi ed ora addirittura la temeva, poiché era probabile che Garibaldi potesse fare una politica autonoma dal Piemonte (magari influenzato dalle idee repubblicane di Mazzini).

Dopo pochi giorni Garibaldi fu padrone di tutto il Regno delle Due Sicilie. Infatti, se i comandanti napolitani, attaccati o attaccanti, prima battevano gli avventurieri e gli insorti e poi si ritiravano, da quel momento si ritirarono in partenza.

Garibaldi entrò in Napoli il 7 Settembre 1860.

Il primo Ottobre ci fu la battaglia sul Volturno, poi Gaeta, …

Questa serie di inspiegabili comportamenti fa pensare al tradimento.

Se tradimento ci fu, e ci furono veri e propri casi di tradimento (il 22 Agosto 1860 il Generale Briganti, comandante di un’intera brigata, si arrese a pochi garibaldini: i suoi uomini, sdegnati per il tradimento, lo uccisero), non è giusto parlarne quando il fenomeno è generalizzato.

Una spiegazione storica in questo senso non regge, anche perché il concetto di tradimento ha delle implicazioni morali che in politica non hanno spazio.

Si può parlare, più semplicemente, di spostamento della classe dirigente politica, militare, economica, verso chi appare vincente, perché spalleggiato da una potenza, per conservare nel futuro assetto il proprio personale potere.

Per capire meglio, basterà dire che la maggioranza dei capi militari e politici borbonici passarono, da un giorno all’altro, al Piemonte invasore.

Basterà ricordare il Regio Decreto del 17.11.1860 (cioè pochi giorni dopo il cosiddetto plebiscito che ratificava, per così dire, l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna), con il quale gli ufficiali della Marina Militare napolitani furono incorporati nello stato maggiore generale della Regia Marina, cioè piemontese.

Quella che è malafede di alcuni storici è la vigliaccheria delle truppe napolitane. La realtà storica, al di là delle favole e delle menzogne, ha dimostrato che la truppa, in tutti i casi accaduti, si comportò coraggiosamente e con attaccamento alla bandiera del Re.

Questo distacco tra truppa e comandanti, popolo e politici, è una delle caratteristiche degli avvenimenti del tempo.

Per spiegarci, allora, la ragione della debolezza del Regno, dobbiamo presupporre che la classe dirigente non avesse fiducia nel futuro del Regno. Infatti, mentre all’interno il Regno delle Due Sicilie era forte per economia e forze militari, era debolissimo in politica estera.

La convinzione di Ferdinando II di poter tenere il Suo Regno fuori delle vicende internazionali, aveva reso debolissimo il potere contrattuale del Regno delle Due Sicilie nel momento decisivo.

Addirittura il Regno aveva fredde relazioni con l’Austria, potenza della quale godeva il protettorato.

Dunque, quattro sono le ragioni della caduta del Regno delle Due Sicilie.

Prima: la miopia di Ferdinando II, che si illudeva di poter tenere fuori il Suo Regno dagli avvenimenti internazionali. Seconda: la coincidenza di godere del protettorato della potenza soccombente, cioè l’Austria.

Terza: lo spirito conservatore degli appartenenti alla classe dirigente (che tra l’altro sono passati alla storia con il nome di liberali, che all’epoca suonava come rivoluzionari!), che svuotò di energia il Regno, appoggiando il futuro vincitore dall’interno, per continuare a godere del favore del potere.

Ultima: la morte di Ferdinando II e l’ascesa al trono delle Due Sicilie di Francesco II. Questo, figlio di una bigotta della casa Savoia (quindi parente di Vittorio Emanuele II), credette di dover attendere l’aiuto del Signore e la Giustizia degli uomini, appellandosi all’onore (imbecille!) di Vittorio Emanuele II di Savoia!

Invece di ributtare in mare la banda dei “garibaldesi”, per risparmiare vite umane, evitò la guerra; per risparmiare dalle distruzioni la amata Napoli, si ritirò a Gaeta.

Seppe, però, uscire di scena da Re napolitano, scrivendo una delle pagine più belle di eroismo, durante l’infame assedio di Gaeta.

(E Francesco II aveva ammonito i napolitani: “Non vi resteranno neanche gli occhi per piangere” … e la profezia si è avverata!).

In conclusione! La tanto celebrata impresa di Garibaldi e dei suoi garibaldini, non regge di fronte alla critica storica.

Quella banda valeva né più né meno la banda di Carlo Pisacane o quella dei fratelli Bandiera. Questi, venuti a liberarci, come essi dicevano, fecero una brutta fine.

La banda di Garibaldi ebbe il solo merito (per sé stessa e per le popolazioni del nord d’Italia, non certamente per quelle del sud), di essere venuta a “liberarci” al momento giusto. Dal che è nata la leggenda, che molti credono storia, per la quale 1.000 persone hanno conquistato un Regno!

Quanno figlieto chiagne e vò magnà …

cerca dint’a sacca e … dalle ‘a libbertà!

(Da ‘O luciano d’o Rre di F. Russo)

Quando tuo figlio piange e vuol mangiare …

cerca nella tasca e … dagli la libertà!

Carmine De Marco

1 Comment

  1. …Ma e’ anche vero che Garibaldi stesso ebbe a dire, ritiratosi a Caprera dopo esser stato nominato a Torino senatore del Regno (lui che nacque a Nizza e dal Piemonte in gioventu’ si era beccato una taglia sulla testa per i fatti di Genova che lo costrinsero ad espatriare e dalle Americhe ingaggiato a navigare non importa se il carico era di “schiavi” da trasportarvi), che mai avrebbe fatto quello che fece dalle nostre parti se avesse saputo come sarebbero andate a finire le imprese per cui fu ingaggiato… Pentimento.. o riflessioni tardive!
    La liberta’ di un popolo antico, libero e unificato da Carlo di Borbone, fu minata alla fine dalle classi privilegiate al suo interno, come spesso succede…e’ la storia poi che lo evidenzia!
    Ma a correggere il tiro per la felicita’ dei popoli sono solo la consapevolezza degli errori che sono stati commessi e la volonta’ di porvi rimedio restituendo a tutti la dignita’ calpestata.
    Oggi le formule ci sono, basterebbe volerle applicare. caterina ossi

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