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L’ultimo samurai delle vigne flegree

Posted by on Ott 17, 2021

L’ultimo samurai delle vigne flegree

La storia di Moccia che agli Astroni da 40 anni coltiva, zappa e pompa a spalla, viti ultracentenarie

Un corpo a corpo con la natura. Un duello a suon di zappa. Iniziato a metà Ottocento e tuttora in corso. “Ma qui, per una volta, è l’ambiente ad abusare dell’uomo e non viceversa”. Lo dice con un sorriso Raffaele (Lello) Moccia, a un passo dai cinquantott’anni, di cui ben quaranta trascorsi in vigna, la stessa che fu di papà Gennaro, e prima ancora del suo bisnonno, oggi diventata una gimkana di terrazzamenti ad alta quota.

Ai margini dei corridoi stretti ed arcuati sorgono i fossi di scolo per l’acqua piovana, che Lello ama definire “catene”, dei veri e propri canali realizzati da cima a valle, con tanto di “capocatena”, a fare da collettore principale delle precipitazioni, che qui cadono copiose durante tutto l’anno e di cui tale opera di ingegneria idraulica rappresenta l’unico vero argine. Continui testa-coda nella montagna, quella che si scorge dall’uscita Agnano della Tangenziale di Napoli guardando verso gli Astroni, una delle poche riserve naturali del capoluogo campano che ancora se la gioca contro smog ed inquinamento. 

È qui che si arrampica la vigna di Agnanum, l’azienda agricola di Lello Moccia, un groviglio di curve a gomito lungo quindici ettari, che sale fino a duecento metri di altezza affondando le proprie radici in un terreno unico, vulcanico, croce e delizia di questa parte dei Campi Flegrei. Rigoglioso di frutti ma maledettamente sabbioso, “sciolto”, pronto a franare in qualsiasi momento. Al primo acquazzone autunnale, per esempio, ma anche nelle stagioni torride e siccitose, quando l’umidità sparisce e con essa anche l’unico collante che tiene insieme la terra. Moccia è lì ogni giorno da oltre quarant’anni, dalle 5 del mattino fino a tarda sera, armato di zappa e di null’altro, pronto a livellare e rimodellare senza sosta il terreno per la lavorazione.

Un lavoro propedeutico ed usurante che non è richiesto ad altri vignaioli dell’area flegrea, dove domina, ad esempio, il tufo e non è necessario una cura maniacale della base su cui poi dovrà crescere la vigna. “È borotalco, è borotalco”, stigmatizza quasi a voler rendere l’idea anche plasticamente di ciò che accade da duecento anni sulla collina degli Astroni. Come in un bizzarro gioco dell’oca, dove al primo imprevisto si torna alla casella di partenza, così ad Agnanum si ripropone l’eterno duello fra l’uomo e la natura, con quest’ultima per una volta ad averne la meglio e dettare le regole del gioco. “Avrei potuto radere al suolo la vigna e cercare il raccolto facile in pianura ma così avrei tradito i miei avi e, quindi, me stesso. Preferisco ricominciare daccapo ogni volta e assecondare queste viti autoctone ed ultracentenarie, che rappresentano un autentico patrimonio di storie e conoscenze per la mia famiglia”, racconta lasciando trasparire una punta d’orgoglio.

Spesso la vite sterza bruscamente verso l’interno, creando delle volte che prendono il nome di “voteche”, termine verosimilmente mutuato dall’antico repertorio dialettale risalente addirittura ai tempi degli Angioini. “Insomma, potremmo dire che lei è l’ultimo samurai delle vigne flegree…?”, chiediamo decisi. “Mi hanno definito l’ultimo vutecaro”, si schernisce il patron di Agnanum. Eppure, per l’estenuante opera di tutela dei vitigni autoctoni e per la testardaggine nel condurre manualmente viti le cui radici si sviluppano su un terreno franoso ed instabile, l’accostamento con l’antico ordine dei guerrieri del Giappone feudale non sembra affatto peregrino. È un capolavoro di ingegneria idraulica, storia e passione l’azienda di Lello Moccia, che di primati ne ha diversi. Come quella volta che nel 2002 lanciò in solitaria, in controtendenza, “quando tutti nella zona estirpavano le viti di Pèr ‘e Palummo”, il Piedirosso in purezza, sino ad allora derubricato a vino da taglio, scalando così le classifiche di guide come Espresso e Gambero Rosso. Del resto, Lello all’alta quota c’è abituato. Ogni giorno percorre il suo appezzamento di quindici ettari a caccia di frane e smottanti da riparare sino a cima, dove sembra si possa sfiorare con un dito il Vesuvio e lo sguardo arriva fino alle fumarole della Solfatara di Pozzuoli, passando per Capo Posillipo, Nisida e Capri. Un dolce e prolungato abbraccio alla città di Napoli, che riempie gli occhi e il cuore.

È la magia degli Astroni, il cui bosco costeggia interamente le viti, ed è la storia di un’arrampicata senza freni, senza paragoni e, soprattutto, senza paracadute. “Se l’avessi fatto per soddisfare delle aspettative economiche, a quest’ora avrei dovuto già lasciare. Come hanno scelto di fare i miei parenti, che tuttavia ringrazio per aver consentito che l’intera vigna potesse tornare oggi nelle mani di un unico proprietario com’era in principio”. Insomma, Lello è proprio fissato con la tradizione e con la cultura contadina di quei luoghi, di cui si è eretto a custode. “Stiamo provando a riproporre la beva dei nostri nonni”, confessa durante il colloquio, lastricato di incisi e postille che fanno dell’eloquio lo specchio fedele di un modo di essere: misurato, certosino e metodico al pari della tecnica con cui si conduce la vigna. Il riferimento è al tentativo, più che riuscito, di sondare il mercato con blend Igt che vadano a corroborare il core business aziendale, rappresentato dalla produzione di due Doc come la Falanghina e il Piedirosso, quest’ultimo premiato lo scorso settembre nella versione che prende il nome di “Campi Flegrei Piedirosso Vigna delle Volpi 2017” dalla guida Slow Food.

Una conferma per Moccia che è di nuovo fra i 31 Top Wines della Campania per il 2020. “Ma i premi non li ritiro, vorrebbe dire fermare le attività in azienda e non posso permetterlo”, afferma sicuro. Certo la coabitazione di due autentici “mosti sacri” dell’area degli Astroni, Falanghina e Piedirosso, con alcune varietà ugualmente antiche e locali rende l’azienda  Agnanum ancora più interessante e apprezzata sul mercato. “Non ha mai pensato al marketing, ad ingrandirsi, a fare business con la ristorazione in cantina?”, viene spontaneo chiedergli. La replica è netta, ovemai qualcuno avesse dubitato: “Non ci penso neanche. La vigna è ciò che mi interessa”. E da qui si riparte anche per la valorizzazione di viti come la Gesummina (o uva cupella) e la Mosciarella (il Moscato napoletano). Che conferiscono vivacità al bicchiere. Cui si aggiungono vitigni di area tradizionalmente vulcanica e recentemente riscoperti come la Catalanesca e il Caprettone. Fin qui la storia di un vignaiolo d’altri tempi, al quale non piace vincere facile, che si è dedicato anima e corpo ad una viticoltura di trincea, senza compromessi, dove ad ogni imprevisto bisogna metterci la zappa e ricominciare daccapo. Il resto lo si ritrova nel bicchiere, dove c’è intatto il gusto ultracentenario del territorio. Anche su quest’altro versante, fino ad oggi Agnanum non ha mai deluso ma tra qualche anno, se la forza della natura e della passione farà il suo corso, potrebbe addirittura sbalordire.

Giuseppe Delle Cave

fonte

https://www.ilroma.net/news/cronaca/lultimo-samurai-delle-vigne-flegree

1 Comment

  1. Non si sa se dirgli “artista” o “santo” … e comunque e’ un tutt’uno con la sua terra per continuare a trarne il meglio che puo’ dare…e farla vivere! complimenti. caterina ossi

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