Alta Terra di Lavoro

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…giacobina a forza

Posted by on Ott 27, 2021

…giacobina a forza

GIUSEPPINA GUACCI NOBILE, POETESSA NAPOLETANA…

Avendo insegnato per dodici anni nella scuola di Napoli che porta il suo nome, era più che scontato che non mi lasciassi sfuggire la sua biografia che intravidi seminascosta tra altri libri “low cost” sparpagliati su una bancarella davanti alla quale, quella mattina, mi ero fermato.

Probabilmente, quel testo dalla copertina color grigio anonimo con evidenti tracce di vecchiume non avrebbe interessato nessuno (addirittura quella copia era stata dismessa da una biblioteca, come attestava un timbro sul frontespizio) perché il nome di Giuseppina Guacci Nobile è sconosciuto ai più ed è ricordato soprattutto da chi quella scuola ha frequentato, dal personale, docente e non, e dagli alunni molti dei quali spesso ne storpiavano perfino il cognome. Fortuna, però, che veniva e viene sempre citata anche con quello del marito, un famoso astronomo dell’Osservatorio di Capodimonte. Fatto sta che la quasi totalità delle persone che metteva piede in quell’edificio ignorava completamente chi fosse. Addirittura sembrava che la cosa non interessasse a nessuno, in particolar modo ai vari dirigenti che vi si alternavano. Un giorno, col mio intervento salvai una stampa dell’Ottocento con la sua effigie dalle grinfie di un bidello che, preso da un alquanto anomalo raptus di pulizia, cominciò a strofinarla con un panno umido che ne stava sfigurando i tratti…  E purtroppo lo “scempio” negli anni è continuato. Ultimamente, infatti, la litografia in questione è stata rovinata da un incosciente che, a quanto m’hanno riferito, ha diretto contro di essa lo spruzzo d’acqua di una pompa riducendo così il quadro, vetro e cornice compresi, ai minimi termini. Di sicuro, la dirigente dell’epoca se ne sarà completamente disinteressata e non sarà nemmeno intervenuta… E così va allo scatafascio il patrimonio culturale e documentale delle scuole di Napoli. Ma che importa?!? Basta che si approvino progetti…

Per inciso, a conferma di questa superficialità “dirigenziale”, una copia di quella stampa era esposta all’Istituto Pimentel Fonseca venendo – paradossalmente – contrabbandata per la intestataria della scuola… Chissà se avranno provveduto a sistemare le cose… comunque tutto ciò è poco dignitoso e per niente accettabile perché, comunque, Giuseppina Guacci Nobile fu una (se pur minore) poetessa napoletana, vissuta nella prima metà dell’Ottocento. Tant’è vero che a lei è pure intitolata una stradina a ridosso dell’università.

A parte la succitata biografia del 1975, di cui è autrice Anna Balzerano, non esistono altre monografie su di lei se non brevi cenni riportati nelle varie enciclopedie in circolazione o in qualche testo generico sulla Napoli dell’800.

Tutta la sua produzione lirica è raccolta nel volume Rime che vide tre edizioni negli anni trenta del XIX secolo, decennio in cui concentrò tutta la sua creazione poetica. Morì a soli 42 anni, nel 1848.

Scorrendo i suoi versi, anche chi non è esperto di letteratura scopre subito che essi non sono per niente – ahimè – all’altezza di un Giacomo Leopardi, poeta a cui ella si ispirava, avendolo conosciuto nel salotto letterario di Basilio Puoti di cui era assidua frequentatrice. Il suo stile rivela una “negligenza metastasiana” e le sue composizioni non riescono a superare i limiti del solito classicismo convenzionale del linguaggio aulico, nonostante la bellissima dicitura poetica ed il colore degli “spiriti” e degli “affetti” … Perfino nelle descrizioni, l’autrice rimane scialba e priva di rilievo se non addirittura insipida…[1]

Non avendo, quindi, solide basi argomentative di critica artistica, ecco che i suoi estimatori, non so se per effettiva convinzione o, verosimilmente, scopiazzandosi l’un l’altro, hanno ben pensato di… buttarla in politica, così come rimproverava a don Camillo il buon Peppone e, quindi, volendo trovare a tutti i costi nella sua produzione letteraria delle “intenzioni patriottiche”, da Musa gentile dell’accademismo napoletano[2] l’hanno promossa a Musa gentile del Risorgimento partenopeo…[3]

Si afferma, infatti, insistentemente, che nelle sue composizioni Giuseppina affrontasse spesso tematiche patriottiche, invocasse l’unità della penisola ed esaltasse le glorie del Risorgimento, eppure non c’è un verso, un solo verso, da cui sgorghi tutto questo ardore patrio o l’auspicio di un’Italia piemontese in maniera così eclatante da farle meritare quel titolo, né esistono scritti di impronta decisamente politica. Evidentemente, frequentando ambienti “liberaleggianti” si sarà sentita investita di un certo atteggiamento che le imponeva di adeguarsi all’aria che lì si respirava. Più o meno quanto accadde dopo il famoso Sessantotto del secolo scorso a quegli studenti che, appena immatricolatisi all’università, si credevano moralmente obbligati a conformarsi all’andazzo sinistroide allora tanto di moda per non sentirsi esclusi e per acquistare “importanza” agli occhi degli altri; lo facevano tutti, anche chi fino al giorno prima non aveva mai discusso e mai capito niente di politica… Sarà successo più o meno la stessa cosa alla nostra Maria Giuseppa il cui atteggiamento “patriottico” potrebbe essere stato benissimo influenzato da quell’Antonio Ranieri (famoso “amico” di Leopardi) con cui, pare, ella avesse oltretutto, un innocente amoreggiamento. E il Ranieri, oltre ad essere uno sciupafemmine era pure un deciso antiborbonico, e quindi…

…quindi, è qui opportuna una breve ma doverosa digressione su questo personaggio che di per sé non avrebbe mai lasciato traccia, ma che viene considerato solo in virtù del suo rapporto con Leopardi[4] e che “fu aperto ai valori civili e patriottici” da Francesco De Sanctis. Antonio Ranieri, nel 1848 intraprese la carriera politica ma, in realtà,il suo “sentimento liberale” fu sempre bisbigliato con gli amici e mai sottoscritto con vere azioni audacie coraggiose.[5] Eletto deputato del rione Stella, alla Camera interveniva poco e male e solo nelle prime sedute, mentre in quelle successive il più delle volte si addormentava.[6] Inoltre, come tutte le mezze calzette risorgimentali, aveva la grande abilità di offuscare la verità.[7]

Anche nel privato, diverse vicende della sua vita dimostrano come fosse un personaggio ambiguo, opportunista e incoerente. Compilò perfino delle cambiali a suo favore che si fece firmare dal Leopardi, l’ultima delle quali, per un ragguardevole numero di scudi, fu da lui riscossa “quattro giorni innanzi alla morte dell’ospite adorato” …[8]

Ovviamente, Antonio Ranieri era massone. Ovviamente.

            Dobbiamo a Loretta Marcon, che riporta in un documentatissimo lavoro, in cui nulla lascia al caso, queste notizie sulla vera e tanto decantata personalità di costui, sempre citato come l’unico devoto, fraterno, entusiasta amico e sodale napoletano di Giacomo Leopardi…[9] Leggendo il libro della scrittrice padovana, difatti si viene pure a sapere che ne fu anche un defraudatore e che ipocritamente e volutamente tace sui libri e sui manoscritti lasciati dal poeta.[10]Addirittura, dopo la morte del recanatese, non aveva alcuna intenzione di restituirli alla famiglia. Insomma, il ruolo di “custode” degli scritti leopardiani che si era arrogato lo avvantaggiò notevolmente perché in tal modo legò la sua immagine alla memoria e alla fama del grande poeta marchigiano.[11]Per tale motivo, morto Giacomo nel giugno del 1837, sequestrati gli autografi, Ranieri s’affrettò a dichiarare ch’egli solo aveva avuto il sacro mandato d’esserne l’editore e che a lui solo erano stati lasciati dal moribondo.

Lo scopo di tali false asserzioni era chiaro: non voleva in alcun modo rinunziare alla gloria, per così dire, di riflesso, che derivava al proprio nome mantenendolo indissolubilmente legato a quello di un altissimo poeta.[12]

Ma torniamo alla Guacci-Nobile. Anche al giorno d’oggi a Napoli, come credo un po’ dappertutto, esistono ancora circoli e/o salotti letterari gestiti da qualche – diciamo – “poeta” o “poetessa” nei quali ci si riunisce per ragionare di versi, di rime, di stili e di metrica, più o meno come si faceva due secoli fa. D’altronde, chi di noi non nasconde una propria lirica nel cassetto? Siamo in tanti a comporre versi, che ci vuole? Scrivendo, basta andare da capo ogni tanto…

A mio avviso, più che per le sue poesie, che Francesco De Sanctis trovava troppo chiuse in schemi stilistici e retorici (e con tale giudizio concordava anche il Carducci) Giuseppina Guacci Nobile una più marcata impronta l’ha lasciata nel suo saggio Storia del cholera a Napoli e di alcuni costumi napoletani del 1837, una cronaca fitta, minuziosa che riporta come in una fotografia, un quadro fedele degli avvenimenti di quel tragico periodo della storia partenopea, da cui emergono aspetti inimmaginabili della città di allora. Un quadro inevitabilmente cupo, ma molto realistico, realizzato grazie alle sue personali esperienze annotate nelle sue visite ai quartieri più degradati della città dove il morbo infuriava di più.

Un altro apprezzabile aspetto della scrittrice è quello “pedagogico”. Finalizzati all’alfabetizzazione e all’educazione dei fanciulli pubblicò Alfabeto, un Libretto per l’insegnamento del leggere e dello scrivere (1841) e Prime letture del 1842, due scrittiapparentemente esili, ma dal contenuto “futuristico” per quei tempi, in cui s’intravede il germe di tutta la didattica che ha caratterizzato la seconda metà del 900, il “metodo globale”. Altra sua intuizione geniale fu quella di istituire una scuola per le mamme, in quanto convinta che “quando la maggior parte delle madri sarà sufficiente all’educazione dei figli, la società cambierà aspetto“.

Partecipò anche alla fondazione della “Società degli asili infantili”, il cui encomiabile scopo era quello di sollecitare le pubbliche istituzioni a creare scuole materne nei quartieri più poveri della città finalizzate all’educazione morale e intellettuale del popolo napoletano. Il Comune e la Provincia di Napoli, accogliendo quella richiesta, la concretizzarono nel 1843.

È chiaro, dunque, per unanime ammissione, che in lei non ci sono dei pregi lirici, per cui la si esalta e la si vuole imporre come patriota (come se la sua Patria non fosse stata Napoli!) inventandosi la sua poesia come espressione efficace e genuina di quel neoclassicismo verso il quale si orientavano i gusti e le aspirazioni sostanzialmente romantiche del Risorgimento, di quel neo-classicismo verso il quale si polarizzò l’Illuminismo rivoluzionario francese e la stessa età napoleonica.[13] Molto probabilmente, la nostra poetessa aveva le idee un po’ confuse sui concetti di Patria e di libertà. In una sua composizione, infatti, sempre per ansia di libertà, esalta 123 militari francesi che, nel fortino di Mazagram, presso Orano, riescono a scacciare il nemico ed a “liberarsi” degli algerini che li assediavano… Nel suo ardore poetico, la poverina non riesce a capire che chi aspirava a quella libertà erano gli arabi che subivano l’occupazione francese a casa loro e non  questi ultimi che, come al solito, quella liberté andavano ad imporla a destra e a manca e guai a rifiutarla… In un’altra invettiva, addirittura confuse i reggimenti svizzeri in regolare servizio nell’esercito del Regno delle Due Sicilie con un’occupazione straniera dal cui giogo bisognava liberarsi…! E così tutto il coro giacobino, presuntuoso ed arrogante come sempre, ancora oggi la esalta. Quel coro giacobino i cui componenti, sgomitando per dimostrare ed affermare a tutti i costi i loro “valori”, perdono spesso di vista le realtà e pigliano asse pe figure, come proprio nell’istituto scolastico di Spaccanapoli, di cui già s’è detto, che porta il nome della più emblematica figura del giacobinismo napoletano; un nome simbolo che viene sbandierato ogniqualvolta si vogliono magnificare i fatti del 1799 ignorando – però – che la sorridente effigie della loro eroina esposta nell’aula magna dell’istituto non è quella di Eleonora Pimentel Fonseca, ma della meno nota ma più umile, più modesta, più semplice, più umana Giuseppina Guacci Nobile…

Erminio de Biase

I due dipinti qua in alto furono donati dagli eredi della poetessa alla Scuola Elementare di Napoli che porta il suo nome. Nell’angolo in basso a destra della litografia si può o, meglio, si poteva leggere (per come è ridotta ora quella stampa) la dedica che accompagna la donazione, particolare che conferma l’errata attribuzione ad Eleonora Pimentel Fonseca del ritratto esposto nell’Aula Magna dell’omonimo istituto.

Il terzo dipinto, eseguito nel 1843 dal pittore tedesco di Vogel von Vogelstein era conservato nel Museo Reale di Dresda. È andato distrutto nel bestiale, feroce, gratuito bombardamento angloamericano del 14 febbraio 1945.


[1] Edmondo Cione – Napoli romantica 1830-1848 – Milano 1942 – pp.241/42

[2] Idem – p. 118

[3] Idem – p. 244

[4] Loretta Marcon – Un giallo a Napoli, La seconda morte di Giacomo Leopardi – Napoli 2017 – pp. 16/18

[5] Idem – p.14

[6] Idem – p. 15

[7] Idem – p. 73

[8] Idem – p. 24

[9] Corriere della Sera -23 aprile 1937 -. p. 5

[10] Loretta Marcon – op. cit.– pp. 132/133

[11] Idem – p. 135

[12] Corrado Ricci – sul Corriere della Sera del 22.07.1897

[13] Anna Balzerano – Giuseppina Guacci Nobile – Cava de’ Tirreni (SA) 1975 – p. 219

2 Comments

  1. Sempre in allenamento!!!! Complimenti ed auguri

  2. Sempre puntuale..e molto apprezzabile il lavoro di ricerca di Erminio de Biase!.. non gli sfuggono particolari che portano ad indagare…e le storie vere da ricostruire sarebbero infinite come emerge seguendolo nella sua capacita’ di cogliere particolari che sfuggono ai piu’… Amaramente constatiamo che siamo sempre stati facile preda di propaganda interessata. caterina ossi

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