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Confische e sequestri contro i nemici interni dello Stato borbonico durante l’ultima fase del regno di Ferdinando II (1848-1859)

Posted by on Gen 6, 2022

Confische e sequestri contro i nemici interni dello Stato borbonico durante l’ultima fase del regno di Ferdinando II (1848-1859)

La confisca dei beni dei condannati per i reati contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato venne abolita dal Codice per lo Regno delle Due Sicilie del 1819, parte seconda, in omaggio ai principi dell’Illuminismo penale. Tuttavia l’aggressione ai beni degli oppositori politici nel sistema borbonico si realizzava attraverso l’ampia discrezionalità che il codice di procedura penale, parte quarta del Codice per lo Regno, concedeva agli inquirenti nel procedere al sequestro « del corpo del reato e degl’istrumenti che han servito, o che erano destinati a commetterlo » – soggetti poi a confiscazione in sede di giudizio – e soprattutto attraverso le pesanti multe pecuniarie irrogate ai condannati in forza di leggi speciali come, ad esempio, la legge del 28 settembre 1822 contro le associazioni settarie. Le forti condanne pecuniarie aprivano la strada a procedure esecutive sui beni del condannato in modo che il fine della confisca era raggiunto in via indiretta. Dopo i fatti del 1848 tale sistema non subì variazioni ma le pene pecuniarie irrogate dalle Corti divennero sempre più pesanti, anche in virtù di provvedimenti eccezionali come il decreto del 27 dicembre 1858.

1A partire dall’età moderna la pena della confisca dei beni ha incominciato ad essere oggetto di forti critiche in corrispondenza con l’affermazione del principio della personalità della responsabilità penale e con la progressiva esaltazione della proprietà che, vista dai giusnaturalisti come un diritto naturale, ha assunto una forza tale da essere ritenuta pressoché intangibile da parte dello Stato. Ciò non ha impedito agli ordinamenti di antico regime di continuare a mantenere la confisca come pena ordinaria connessa in particolare al Crimen laesae maiestatis. Essa fu comunque decisamente ripudiata dall’Illuminismo : « Le confische – al paragrafo XVII dell’opera di Beccaria – mettono un prezzo sulle teste dei deboli, fanno soffrire all’innocente la pena del reo, e pongono gl’innocenti medesimi nella disperata necessità di commettere i delitti. Qual più tristo spettacolo, che una famiglia trascinata all’infamia ed alla miseria dai delitti di un capo, alla quale la sommissione ordinata dalle leggi impedirebbe di prevenirli, quando anche vi fossero i mezzi per farlo ! »1. Gli Illuministi avevano comunque ben chiaro che la confisca svolgeva una funzione importante per la prevenzione dei reati : « La certezza o il timore di lasciare i figli nell’indigenza – afferma Gaetano Filangieri – può in alcuni casi aver più forza che il rischio istesso della propria esistenza. La speranza dell’impunità che potrebbe incoraggiare la mano del parricida l’abbandona subito, allorché rivolge i suoi sguardi sopra i suoi figli. Se egli potrà garantirsi dalla pena capitale colla fuga, egli non potrà con questa liberare i suoi figli dall’indigenza »2. Così il codice francese del 1791, ispirato ai principi dell’Illuminismo, abolì la pena della confisca3 ; tuttavia durante la Rivoluzione, si fece un massiccio ricorso alla Confiscation per motivi politici : la legge dell’8 aprile 1792 mise sotto la protezione (sequestro) della Nazione i beni degli emigrati e la legge del 2 settembre dello stesso anno li dichiarò acquistati e confiscati a vantaggio della Nazione. La pena tornò ad essere prevista dal codice penale francese del 1810 che, al secondo comma dell’articolo 7, sanciva : « La marque et la confiscation générale peuvent etre prononcées concurrement avec une peine afflictive, dans les cas déterminés par la loi »4. Le pene afflittive ed infamanti, cui era connessa la confiscation, erano : la morte, i lavori forzati a vita, la deportazione, i lavori forzati a tempo e la reclusione. La pena della confisca dei beni era prevista in particolare per i crimini e delitti contro la sicurezza esterna ed interna dello Stato5.

  • 6 BLD, 1806, II, Legge del 27 settembre, art. 2.
  • 7 BLD, 1807, I, Decreto del 2 giugno.

2Nel Regno di Napoli, durante il Decennio, la confisca fu prevista da leggi speciali emanate sulla falsariga di quelle francesi della Rivoluzione contro gli emigrati. Dopo gli editti del 2 e del 9 giugno 1806 che posero sotto sequestro i beni dei sudditi assenti che non avessero prestato giuramento di fedeltà al nuovo sovrano, la legge del 27 settembre 1806, all’articolo 2, stabilì che « tutti i beni sequestrati in virtù di decreti, o leggi nostre anteriori, appartenenti a persone o che han seguito la passata corte fuori dal regno, o che stanno presso l’estero servendola attualmente in impieghi o militari o civili o diplomatici e le famiglie de’ quali si trovano presentemente assenti dal Regno, sono confiscati, ed alienabili come tutti gli altri beni dello stato messi attualmente in vendita »6. I beni sequestrati e confiscati entrarono a far parte dei beni dello Stato, nell’amministrazione del demanio. Seguì l’importante decreto del 2 giugno 1807 col quale Giuseppe Bonaparte stabilì la confisca delle rendite « dei beni dei proprietarj che non sono attualmente nel Regno, e che non ci hanno prestato direttamente giuramento di fedeltà ». Le rendite sarebbero state versate « in intero dai loro agenti, e procuratori nella cassa del percettore della provincia, i cui i beni sono situati, per esserne fatto quell’uso, che sarà indicato in seguito »7. La confisca delle rendite, attraverso questa legge, assumeva una dimensione puramente amministrativa : bastava lo status di proprietario non presente e il mancato giuramento, accertati di concerto dal ministero dell’interno e quello degli affari esteri, perché scattasse automaticamente la confisca. Il decreto non prevedeva una particolare procedura e si limitava a raddoppiare il pagamento a coloro – agenti, procuratori, affittuari o altri debitori – che non adempivano o nascondevano il pagamento fatto ai proprietari.

  • 8 Su questo codice cfr. Mastroberti 2001 e la bibliografia ivi indicata.
  • 9 Codice penale 1813.

3La legge de’ delitti e delle pene del 20 maggio 18088, il primo codice penale napoletano, ispirato ai principi dell’Illuminismo (e al codice penale francese del 1791), non inserì tra le pene la confisca, la quale, comunque, continuava ad essere praticata grazie alle leggi speciali di cui sopra si è detto. Tuttavia essa tornò ad avere un carattere ordinario, sotto il profilo penale, con l’introduzione del codice penale napoleonico. Nel codice, approvato nel 18129, tra i reati contro la sicurezza interna dello Stato troviamo il classico delitto di lesa maestà e, all’articolo 96, i misfatti o delitti di « brigantaggio » :

  • 10 Ivi, art. 96.

Chiunque, sia per invadere demanj, proprietà o denari pubblici, piazze, città, fortezze, porti, navigazioni, arsenali, ponti, vascelli o bastimenti appartenenti allo Stato, sia per saccheggiare le proprietà pubbliche o nazionali o quelle d’una università di cittadini, o per dividerle, sia finalmente per attaccare la forza pubblica che agisce contro gli autori di questi misfatti, o per resisterle, si sarà messo alla testa di bande armate, o vi avrà esercitato una funzione o un comando qualunque, sarà punito di morte e i suoi beni saranno confiscati. Le stesse pene saranno applicate a coloro che avranno diretto l’associazione, levate o fatto levare, organizzato o fatto organizzare le bande, o scientemente o volontariamente avranno somministrato o procurato loro armi, munizioni e strumenti di misfatto, o avranno mandato convogli di viveri, o avranno con qualunque altro mezzo tenuta intelligenza co’ direttori o comandanti delle bande10.

  • 11 Sul codice penale borbonico, sicuramente uno dei migliori codici europei della Restaurazione, cfr. (…)

4La parte II del Codice per lo Regno del 181911, in omaggio ai principi illuministici, rifiutò la confisca dei beni che venne radicalmente abolita :

  • 12 Codice per lo Regno 1819, II, art. 3.

Art. 3. La pubblicazione de’ beni de’ condannati che nelle antiche leggi del regno era una delle pene per alcuni misfatti, essendo abolita, e generalmente essendo abolite le pene nelle antiche leggi ordinate, le pene criminali sono soltanto le seguenti : 1°. La morte ; 2° l’ergastolo ; 3° i ferri ; 4° la reclusione ; 5° la relegazione ; 6° l’esilio dal regno ; 7° la interdizione da’ pubblici ufizj ; 8° la interdizione patrimoniale12.

  • 13 Nicolini 1843, I, p. 230-231.
  • 14 Colletta 1989, p. 538-9
  • 15 Codice per lo Regno 1819, II, art. 16.
  • 16 Ivi, art. 17.
  • 17 Ivi, art. 15.

5È interessante considerare quanto afferma Niccola Nicolini con riferimento a questa scelta : « Niuna legislazione ha sancito con maggiore forza e purità l’assioma poena suos tenet auctores, quanto la nostra. La legge romana estendeva in molti casi le pene al di là de’ nocenti, fino a pronunziare contra i loro figli l’atroce sentenza : sint postremo tales, ut his perpetua egestate sordentibus, sit et mors solatiom et vita supplicium. La legge francese fa uso della confiscazione generale non solo per i reati di stato, ma anche in tutti i casi di guerra civile, e di falsificazione di monete, e di contraffacimento dei suggelli dello stato, biglietti di banco ed effetti pubblici. Solamente nel nostro regno la pubblicazione de’ beni de’ condannati, che anche nelle antiche leggi del regno era una delle pene per alcuni misfatti, è interamente abolita nell’ultimo codice ; disposizione la quale basta essa sola ad innalzare l’Augusto autore nel rango de’ più illustri legislatori »13. Si trattava di una scelta che collocava il codice penale borbonico tra i più evoluti d’Europa, come ebbe a riconoscere anche Pietro Colletta, stigmatizzando proprio l’abolizione della confisca : « Il codice penale serbò alcuni errori dell’antico […] Ma d’altra parte le affatto abolite confiscazioni tanto sopravanzano gli esposti errori, che rendono il codice delle pene di gran lunga migliore dell’antico. Non dirò altrettanto, e ne ho dolore, del procedimento criminale : fu peggiorato »14. Il codice penale borbonico si preoccupava anche di tutelare i beni del condannato. In base all’articolo 16 « Il condannato all’ergastolo perde(va) la proprietà di tutti i beni che possedeva » ma si apriva la successione « a vantaggio de’ suoi eredi, come se egli fosse morto senza testamento, non potendo più disporre né per atto tra vivi, né per testamento di tutti o di parte de’ suoi beni »15. In base all’articolo 17 al condannato ai ferri i beni sarebbero stati restituiti dopo la pena « ed il curatore gli renderà conto della sua amministrazione, secondo le norme fissate nelle leggi della procedura ne’ giudizi civili »16. Tuttavia la pena dell’interdizione patrimoniale sottraeva al condannato la disponibilità dei suoi beni per tutta la durata della pena che, se consisteva nell’ergastolo, era per tutta la vita. Infatti in base all’articolo 15 : « L’interdizione patrimoniale porta il divieto di amministrare il proprio patrimonio. L’amministrazione verrà regolata secondo le norme delle leggi civili per le persone interdette »17. L’interdizione patrimoniale certo non impediva al condannato di disporre del suo patrimonio attraverso la sua famiglia, cui il codice civile assegnava l’amministrazione dei beni dell’interdetto.

  • 18 Ivi, art. 44.

6Il quadro che emerge almeno con riferimento alla confisca è quello del rigoroso rispetto del diritto di proprietà, anche dei criminali, sancito come un principio sostanzialmente « costituzionale » dall’articolo 3 del codice penale. Tuttavia la confiscazione era prevista per il corpo e gli strumenti del delitto con una disposizione comune alle tre forme di giustizia : « 44. La confiscazione del corpo del delitto e degl’istrumenti che han servito, o che erano destinati a commetterlo, quando la proprietà ne appartenga al condannato, è comune a’ tre ordini di giustizia. Essa accompagna di regola ogni condanna per misfatto o delitto »18. La confisca di tali beni accompagnava di regola la condanna ed era preceduta da un sequestro, effettuato nella fase delle indagini. La IV parte del Codice per lo Regno non stabiliva una procedura dettagliata per l’acquisizione dei beni che erano in relazione con il reato. La loro acquisizione si verificava durante la fase delle indagini con procedure amministrative senza formalità di tipo giudiziario. Il titolo XIII, infatti, era denominato Degli oggetti che pervengono presso gli atti de’ giudizj penali e considerava solo le vicende di questi beni durante e dopo il giudizio quando già era stato effettuato il « sequestro ». Interessanti sono gli articoli 581-582 :

  • 19 Codice per lo Regno 1819, IV, artt. 581-582.

581. Le robe appartenenti alla persona dell’imputato, quando abbiano relazione co’ reati, o quando si verifichino i casi contemplati nell’articolo 579, si riterrano fino a che sarà terminato il giudizio, e scorsi i termini di ogni richiamo legale.
582. Finto il giudizio, se la decisione assolve l’imputato, le robe a lui pertinenti gli si restituiranno senza alcun suo dispendio. Nel caso di condanna le robe a lui pertinenti gli si restituiranno ancora, deducendone le spese del giudizio, i danni ed interessi, e le ammende ; purché le robe stesse non sieno di tal natura che debbano confiscarsi per disposto delle leggi penali19.

  • 20 Ivi, art. 466.
  • 21 Nicolini 1843, II, p. 933.

7Era prevista la restituzione degli oggetti « sequestrati » nella fase delle indagini ma l’articolo 582 chiudeva con una clausola di salvaguardia che escludeva dalla restituzione gli oggetti « di tal natura che debbano confiscarsi per disposto delle leggi penali ». Il sequestro giudiziario colpiva i beni che in qualche modo erano connessi al reato commesso e veniva effettuato nella fase delle indagini senza alcuna garanzia di contradditorio. Gli inquisitori, in forza di questo vasto potere, erano larghi nel disporre i sequestri non avendo molti limiti e neppure l’esigenza di rispondere al giudice per i loro atti. Ma, come si è visto, dopo la conclusione del processo i beni tornavano all’imputato, oppure alla sua famiglia, nel caso di condanna all’interdizione patrimoniale. Il codice di procedura penale borbonico, benché elaborato in massima parte da un raffinato giurista come Niccola Nicolini, fu giudicato, come si è visto, dal Colletta addirittura peggiore di quello in vigore durante il decennio. A motivare questo forte giudizio vi è sicuramente la disciplina del giudizio de’ rei assenti che si segnala per la sua durezza. Con l’annotazione nell’albo dei rei assenti, in base all’art. 466, si avevano i seguenti effetti : « 1. Il reo sarà considerato come esule da tutto il territorio del regno ; 2. Rimarrà sospeso da ogni diritto di cittadinanza e interdetto della facoltà di fare ogni atto legittimo col quale possa contrarsi obbligazione »20. Nicolini, nel commentare questo articolo ed in particolare la frase Il reo sarà considerato come esule da tutto il territorio del regno, osservava : « Se la legge non dicesse che questo, l’annotato nell’albo de’ rei assenti non perderebbe la amministrazione de’ suoi beni : perciocché l’esilio del regno non la toglie ma la legge soggiunge : rimarrà sospeso ec. ec. Egli dunque è un assente a’ termini degli art. 118 e ss. Delle ll. civ. »21. Così il contumace diventava assente sul piano civilistico con tutte le conseguenze previste dal codice civile per questo status. L’articolo 468 aggravava poi la posizione degli assenti imputati dei misfatti più gravi, con una disposizione che richiamava il fuorbando :

  • 22 Codice per lo Regno 1819, IV, cit., art. 468.

468. Ferma restando l’iscrizione nell’albo de’ rei assenti, se il misfatto di cui l’assente è imputato, sia punibile di morte o di ergastolo, o del quarto e terzo grado di ferri anche nel presidio, allora la gran Corte spedirà un secondo mandato con nuovo ordine perentorio di doversi il reo iscritto presentare in carcere fra giorni quindici, colla comminazione che non presentandosi, la gran Corte procederà contro di lui alla decisione di condanna in contumacia22.

  • 23 Ivi, art. 470.

8Seguiva la pubblicazione dell’atto di accusa sulla porta di udienza della Gran Corte (art. 469) per otto giorni, dopo i quali, ai sensi dell’art. 470, veniva fissato un giorno per la pubblica udienza « per procedersi alla discussione della causa in contumacia »23. Venivano dunque invitati, con un editto pubblicato nelle stesse modalità dell’atto di accusa, « scusatori » e « accusatori » del contumace. All’udienza seguiva di regola la condanna, come previsto dall’articolo 468. Il secondo e terzo comma dell’articolo 473 stabilivano :

  • 24 Ivi, art. 473.

Che se poi la condanna sarà di morte, scorso il termine de’ giorni quindici, e ferma intanto la sua esecuzione, come sopra, per gli effetti civili, la gran Corte riesaminerà di ufizio la causa senza ammissione di scusatore. Confermando la condanna di morte dichiarerà che se nel corso di un mese il condannato spontaneamente non si presenti, o non sia dalla forza pubblica arrestato, sarà proceduto alla dichiarazione solenne di pubblico inimico. Questa sentenza di conferma sarà parimente affissa, ai termini degli articoli 461 e 462.
Scorso questo ultimo termine e non essendosi il condannato presentato, o non essendo stato arrestato, la stessa gran Corte darà di ufizio un difensore officioso al condannato anzidetto. Sarà questi ascoltato nella pubblica udienza ; e quindi la gran Corte col numero di sei giudici pronunzierà o la rivocazione della sentenza, o la sua conferma. Nel caso di rivocazione sarà tolta l’aggiunzione della condanna di morte fatta nell’albo de’ rei assenti ; nel caso di conferma si dichiarerà il condannato pubblico inimico24.

  • 25 Nicolini 1843, II, p. 936.
  • 26 Ivi, p. 937.

9L’effetto della dichiarazione di pubblico inimico era che « qualunque individuo della forza pubblica nel procurarne l’arresto, per qualunque leggiera resistenza anche presunta che il condannato opponesse, potrà impunemente ucciderlo ». Inoltre per chi arrestava condannati a morte in contumacia era previsto un premio in denaro. Il Nicolini prendeva le distanze dalla normativa sul pubblico inimico affermando in una nota della Procedura penale che « questa parte del tit. non era nel progetto della commissione, della quale io fui parte. Vi fu aggiunto forse dal Consiglio di Cancelleria »25. Tuttavia il giurista, commentandola, metteva in evidenza qualche aspetto garantistico : « adunque è quasi interamente abolita la const. Poenam eorum di Federico. Se si può uccidere oggi il pubblico nemico, ciò non è che per mano della forza pubblica, ed in pena della sua resistenza »26.

10Pubblico nemico o contumace, al reo non venivano confiscati i beni, come tiene a rimarcare il Nicolini :

  • 27 Ivi, p. 936.

Condannato il reo al terzo o quarto grado di ferri, subirà la interdizione patrimoniale, gli sarà dato un curatore : perderà a buon conto quei diritti, che erano semplicemente sospesi per effetto della incrizione sull’albo degli assenti. Condannato all’ergastolo perde la proprietà dei beni : la sua successione è aperta a’ vantaggio de’ suoi eredi, come se fosse morto senza testamento. Condannato a Morte, la legge francese lo riputerebbe anche morto civilmente. Ma la legge nostra no ‘l dice. Può nelle cose penali argomentarsi a minori a maius ? E’ quistione non lieve, se possano applicarglisi gli effetti civili dell’ergastolo27.

  • 28 CLD, 1822, II, Legge del 28 settembre : « Art.3. È illecita qualunque associazione organizzata in (…)

11Su questo sistema penalistico bipolare, che denotava una anima buona (il codice penale) ed una cattiva (il codice di procedura penale), si innestavano alcune leggi speciali dettate più che altro dalla paura e dal rancore, come quella del 28 settembre 1822 che stabilì rendeva illecita qualsiasi associazione non autorizzata – anche letteraria o religiosa – prevedendo per i partecipanti pene severissime, a prescindere dal compimento di azioni criminose28. Con tale legge vennero aggravate le pene pecuniarie :

  • 29 Ivi, art. 9.

Art. 9. Quante volte l’associazione illecita organizzata in corpo, o comunque altrimenti formata, contenga promessa o vincolo di segreto, costituendo qualsivoglia specie di setta (qualunque ne sia la denominazione, l’oggetto, la forma ed il numero de’ suoi componenti, o comunque venga artatamente combinata per comunicazioni ambulanti e senza determinazione fissa di luoghi, di giorni o di persone) i rispettivi componenti di essa saranno puniti col terzo grado di ferri e con una multa da cinquecento a duemila ducati. I capi, direttorio, amministratori o graduati della stessa, saranno puniti colla pena di morte col laccio sulle forche, e con una multa da mille a quattromila ducati. 10. Chiunque scientemente conserverà emblemi, carte libri o altri distintivi della setta preceduta nell’articolo precedente, sarà per questo solo fatto punito colla pena della relegazione. Coloro che scientemente fabbricheranno, venderanno o distribuiranno tali oggetti, saranno puniti per questo solo fatto col primo grado di ferri. Ove essi facciano parte della setta, saranno puniti colla pena stabilità per essi membri, escluso il minimum del tempo per la pena, ed il minimum della quantità per la multa : se saranno capi, direttori, amministratori o graduati della setta, saranno puniti colla pena di morte col laccio sulle forche, e con una multa da mille dugentocinquanta a cinquemila ducati. 11. Quelli che scientemente avranno conceduto o permesso l’uso della loro casa, abitazione, o di altro loro locale qualunque per la riunione della setta, saranno per questo solo fatto puniti colla pena del primo grado di ferri e colla multa da cento a cinquecento ducati. Ove essi facciano parte della setta, se saranno semplici membri della stessa, saranno puniti col terzo grado di ferri, escluso il minimum del tempo, e con una multa da mille a tremila ducati : se saranno capi, direttori, amministratori o graduati della setta, saranno puniti colla pena di morte col laccio sulle forche, e con una multa da millecinquecento a seimila ducati29.

12Non si trattava di confisca ma alla confisca dei beni si poteva arrivare con gli strumenti dell’esecuzione civile, in caso di inadempimento : perciò si può ritenere che la legge del 28 settembre 1822 costituì uno strumento importante per contrastare l’attività dei settari sul piano patrimoniale.

  • 30 CLD, 1826, I, Decreto del 24 maggio 1826.
  • 31 Ivi, art. 1.
  • 32 Ivi, art. 2. L’articolo successivo stabiliva : « 3. I togati saranno presi dal seno delle Corti su (…)
  • 33 Alla collocazione ASNa (= Archivio di Stato di Napoli), Museo C 42 vi è il Registro delle cause ed (…)
  • 34 ASNa, Gran Corte Criminale di Napoli, Commissione Suprema per i reati di Stato e Commissione milit (…)

13La legge sulle associazioni illecite fu lo strumento principale utilizzato dalle Gran Corti Speciali, dalle commissioni militari e dalle Commissioni Supreme per i Reati di Stato per contrastare la criminalità di tipo politico. Francesco I, il 24 maggio 1826, firmò due decreti e due regolamenti istitutivi di commissioni eccezionali per la sollecita repressione dei reati contro la sicurezza interna dello Stato. Per la « pronta ed esatta amministrazione della giustizia » venivano istituite due Commissioni supreme per i reati di Stato30, una residente in Napoli, l’altra a Palermo31, composte ognuna da sei giudici, quattro civili tra i quali il presidente (scelti « dal seno delle Corti supreme di giustizia ») e due militari (di grado non inferiore a quello di maggiore), da un procuratore generale, da un avvocato togato destinato alla difesa degli imputati e da un cancelliere preposto anche alle funzioni di segretario32. Le Commissioni Supreme, nate come eccezionali, durarono per venti anni, fino al 1846 quando il decreto del 1 luglio le abolì, rimettendo i reati di loro competenza alle Gran Corti Speciali, come previsto dal codice. Presso l’Archivio di Stato di Napoli esiste un’ampia ed esaustiva documentazione sull’attività della Commissione Suprema per i Reati di Stato di Napoli che consente di acquisire dati completi su tutti coloro che furono sottoposti alla sua giurisdizione, sulla natura dei reati commessi, sulla procedura seguita sulle sentenze e, infine, sulle grazie e commutazioni di pena concesse dal « munifico » sovrano33. Le multe comminate dalla Commissione erano pesanti e, in genere, oscillavano tra i cinquecento e i mille ducati, senza tener conto delle somme dovute in malleveria. Ad esempio nella causa contro Giuseppe Mozzaroppi, Pasquale Vozza, Francescantonio Mangiapera, Francesco Capozzella, Vincenzo Mazza accusati di associazioni settarie « dette de’ carbonari », fatti avvenuti in Aquino nella primavera del 1822, si arrivava a sentenza il 17 giugno 1828 con condanna dei rei alla pena del terzo grado di ferri nel maximum, oltre la condanna alle spese del giudizio. La Commissione Suprema di Napoli dichiarava inoltre la « colpabilità per semplice componente » di Francesco Capozzella condannandolo a « anni ventiquattro di ferri » e alla multa di ducati cinquecento con malleveria di ducati trecento « di ben condursi per cinque anni e alle spese liquidate in D. 10.55 »34.

14Dopo i fatti del 1848 le Commissioni Supreme non vennero ripristinate ma le Gran Corti Speciali furono più severe che in passato, anche se il Sovrano continuò ad intervenire dopo il processo concedendo grazie e riduzioni di pena : comportamento che certo non gli fece guadagnare il favore degli imputati, indispettì di molto la magistratura, e non valse a ridare lustro ai Borbone nella opinione pubblica. I grandi processi che si ebbero dopo i fatti del 1848 fecero infatti scalpore in tutta Europa e gettarono discredito sulla dinastia borbonica. Nel famoso processo contro la setta Unità Italiana, le pene irrogate dalla Gran Corte Speciale di Napoli furono severissime e corrisposero alle richieste del Pubblico Ministero :

  • 35 Conclusioni 1850, p. 161-162.

1. Che, pronunziata la libertà provvisoria degli accusati nominati in questo, e ne’ numeri successivi 2 a 9 pe’ carichi pe’ quali ho accennato al non consta, sien poi Niccola Nisco, Filippo Agresti, Luigi Settembrini Felice Barilla e Michele Pironti condannati alla pena di morte da espiarsi ne’ termini dell’articolo 9 della legge de’ 28 settembre 1822,e alla multa di ducati mille cinquecento per ciascuno ; 2. Che Salvatore Faucitano sia condannato alla pena di morte col terzo grado di pubblico esempio da espiarsi ne’ termini degli articoli 123 e 5 delle leggi penali, ed alla multa di ducati mille : 3. Che Francesco Catalano, Carlo Poerio e Ludovico Pacifico sien condannati alla pena di anni trenta di ferri, e alla multa di ducati mille per ciascuno ; 4. Che Emilio Mazza, servo di pena, sia condannato alla pena di anni venticinque di ferri, ed alla multa di ducati seicento ; 5. Che Gaetano Romeo, Cesare Braico, Antonio Miele, Raffaele Crispino, Lorenzo Vellucci e Giovanni de Simone sien condannati alla pena de’ ferri per anni ventiquattro. ed alla multa di ducati seicento per ciascuno ; 6. Che Ferdinando Carafa, Achille Vallo ed Enrico Piterà sien condannati alla pena di anni venti di ferri, ed alla multa di ducati seicento per ciascuno ; 7. Che Francesco Nardi, Giuseppe Tedesco, Vincenzo Dono, Francesco Cocozza, Giuseppe Caprio, Salvatore Colombo, Luciano Margherita, Gaetano Errichiello, Francesco Cavaliere, Francesco Antonetti, Niccola Muro e Vincenzo Esposito sieno condannati alla pena di anni diciannove di ferri, ed alla multa di ducati cinquecento per ciascuno ; 8. Che Giovanni Miraglia, Giovanni de Giovanni e Giovanni Battista Torassa sien condannati alla pena di anni dieci di reclusione per ciascuno ; 9. Che Pasquale Montella sia condannato alla pena di due anni di prigionia ; 10. Che Niccola Molinaro sia condannato alla multa di ducati cinquecento ; 11. Che Francesco Gualtieri, Michele Persico, Giovanni Battista Sersale ed Onofrio Pallotta sien posti in libertà provvisoria ; 12.Che tutti i nominati ne’ precedenti numeri 3, 4, 5, 6, 7 ed 8 sien condannati alla malleveria di ducati mille per anni dieci, espiata la pena, ed insieme a tutti gli altri nominati ne’ numeri 1, 2, 9 e 10 sien condannati solidalmente alle spese del giudizio. Chiedo da ultimo dichiararsi estinta l’azione penale per Antonio Leipnecher e Salvatore Brancaccio35.

  • 36 Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 464 del codice di procedura penale (Codice per lo Regno 1819, (…)

15Il Sovrano, com’è noto, graziò i condannati a morte ma Ferdinando, com’è noto, non fu graziato dall’opinione pubblica europea. La gravità delle pene pecuniarie si riscontra anche in un’altra importante sentenza resa dalla Gran Corte Speciale di Napoli il 20 agosto del 1853 contro Giuseppe Sodano, Luigi Zuppetta ed altri 38 imputati per i fatti del 1848. Molti imputati furono condannati in contumacia secondo il procedimento sopra descritto ed è possibile considerare il dispositivo della sentenza attraverso il verbale di annotazione sull’albo de’ rei assenti da parte del giudice di circondario di S. Antimo36 :

  • 37 ASNa, Gran Corte Criminale di Napoli, Commissione Suprema per i reati di Stato e Commissione Milit (…)

Il giudice di circondario di S. Antimo certifica oggi sotto questo giorno ha segnato sull’albo de’ rei assenti affisso in questa sala di udienza la seguente condanna pronunziata con decisione della G. C. speciale di Napoli cioè di morte col terzo grado di pubblico esempio contra D. Giuseppe Sodano, Luigi Zuppetti, Antonio Torricelli, Raffaele Piscicelli, Giambattista La Cecilia, Giovannandrea Romeo, Aurelio Saliceti, Francesco Paolo Ruggiero, Raffaele Conforti, Stefano Romeo, Casimiro de Lieto, Giuseppe Manari, Francescantonio Mazziotti, paolo Emilio Imbriani, Ottavio Iupputi, Vincenzo Laviza, Gennaro Bellelli, Gaetano Giardini, Ulisse de Dominicis, dichiarati colpevoli di cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato per distruggere e cambiare l’attuale forma governativa e di aver provocato ed eccitato l’attentato e la guerra civile tra gli abitanti della stessa popolazione nel fine suddetto. Il Sodano inoltre è stato dichiarato colpevole ancora d’associazione illecita organizzata in corpo di cui era graduato, segretario, nel fine di cospirare contra la sicurezza dello Stato. Nonché contra Antonio Gallotti, Pietro Catalano Conzaga e Gaetano Giordano dichiarati colpevoli del solo suddetto attentato ad oggetto di cambiare il governo con guerra civile cospirata nella capitale del Regno di ferri nel Presidio per anni diciannove per ciascuno perché minori di anni 18. Contra Clemente Catalano dichiarati colpevoli del solo suddetto attentato ad oggetto di cambiare il governo con guerra civile consumata nella Capitale del Regno. De’ ferri per anni venticinque ciascuno e alla malleveria di D. Mille ciascuno per altri dieci. Contro Antonio Platino, Giuseppe de Vincentiis, Giuseppe Pisanelli, Loffredo Sigismondi, Pasquale Stanislao Mancini, Giuseppe del Re, duca di Proto, Gabriele Mazza, Luigi Sangiorgio, Nicola Migolis, Saverio Castaldi, Ferdinando Cescarini, dichiarati complici utili ma non necessari nell’attentato suddetto, all’esilio perpettuo dal Regno. Contra Pier Angelo fiorentino, Francesco Perez, Francesco Ferrari dichiarati colpevoli di unità a Giambattista Romeo e Massari di simile cospirazione progettata ma non conclusa né accettata contra la sicurezza interna dello Stato per separare da questi Reali Dominj la Sicilia oltre il Faro, reato commesso in Torino in ottobre 1848. Tutti poi sono stati condannati solidalmente alle spese del giudizio a beneficio della Reale Tesoreria onde consti. S. Antimo 8 maggio 185437.

  • 38 CLD, 1858, II, Decreto del 27 dicembre, art. 1.
  • 39 Ivi, art. 2.

16È vero dunque che il sistema giudiziario borbonico, in generale, ripudiava la confisca. Tuttavia le pene pecuniarie che venivano irrogate per i reati più gravi e segnatamente quelli contro la sicurezza interna dello stato erano molto forti e tali da raggiungere l’effetto della confisca. Anche quando, quasi alla fine del Regno, ci si rese conto della necessità di colpire gli oppositori nel loro patrimonio non si ricorse alla confisca ma all’ampliamento della responsabilità per le spese processuali a carico dei condannati. Dopo la larga amnistia concessa ai detenuti per i fatti del 1848, Ferdinando II – non avendo ricevuto quel riscontro in termini di “consenso” e tranquillità pubblica che forse si attendeva – varò in data 27 dicembre 1858 un decreto che istituiva la giurisdizione dei Consigli di Guerra subitanei per « chiunque sia sorpreso in flagranza, à termini dell’articolo 50 leggi di procedura ne’ giudizi penali, commettendo qualcuno degli attentati contro la sicurezza interna dello Stato, preveduti dagli articoli 120, 124, 130, 134 leggi penali »38. Questi Consigli avrebbero giudicato « nelle forme stabilite nel capitolo IX, Titolo II, Libro II, Statuto penale militare ». L’allarme per le minacce all’ordine pubblico e alla monarchia era salito notevolmente e si voleva una definizione rapida, manu militari dei processi, senza tutte le garanzie codicistiche, soprattutto nelle province dove erano state spedite per la repressione colonne dell’esercito : « Sono chiamati a convocare i Consigli di Guerra subitanei – recitava l’articolo 2 del decreto – oltre le autorità previste dallo articolo 348 del citato Statuto penale militare, anche i generali ed uffiziali superiori comandanti le colonne o le riunioni di truppe spedite per l’oggetto di reprimere la perturbazione dell’ordine pubblico »39. Il decreto insisteva particolarmente sulle spese di giudizio ampliando la responsabilità dei condannati :

  • 40 Ivi, art. 3.

3. Il Consiglio di Guerra subitaneo ove trovi a pronunciare condanna contro un imputato, dovrà condannarlo ben anco al pagamento delle spese di giudizio, alle restituzioni ed indennizzazioni civili e procedere d’uffizio alla loro liquidazione a norma de’ casi designati dagli articoli 296, 297 e 298 leggi di procedura penale. Nella liquidazione de’ danni-interessi dovranno essere calcolati quelli sofferti dallo Stato o da’ danneggiati, vi si dovranno inoltre comprendere i danni-interessi, che sono derivati a’ privati dal fatto della turbolenza o del reato commesso ; non che le ricompense che si sono concedute a coloro che si siano renduti meritevoli di considerazione per avere colla loro opera personale concorso alla repressione del misfatto40.

17La condanna alle spese, in forza di questo decreto, diventava pesantissima per i condannati ed abilitava gli strumenti dell’esecuzione forzata previsti dal codice civile in caso di inadempimento. Era a ben vedere una forma di confisca mascherata poiché lo Stato, in virtù della liquidazione, otteneva il titolo esecutivo per l’espropriazione e la vendita dei beni del condannato. Il decreto stabilì peraltro il carattere ordinario della procedura stabilita per la condanna alle spese, estendendola anche alla giurisdizione delle Gran Corti Speciali :

  • 41 Ivi, art. 4.

4. Tranne i casi stabiliti coll’articolo primo del presente decreto, per tutti gli altri giudizi relativi a’ reati contro la sicurezza dello Stato, sieno misfatti, sieno delitti, procederanno le Gran Corti Speciali, a’ termini del decreto del primo luglio 1846. Le Gran Corti Speciali nelle cause di loro competenza osserveranno il prescritto dell’articolo precedente quanto al modo di eseguirsi la liquidazione dei danni-interessi41.

  • 42 Cfr. Tribunali e giurisprudenza nel Mezzogiorno 2010 ; Le Supreme corti di giustizia nella storia (…)

18I provvedimenti adottati da Ferdinando ebbero carattere fortemente repressivo ma non intaccarono le basi « costituzionali » del sistema penale borbonico che non prevedevano, come si è detto, tra le pene la confisca dei beni. Tuttavia il fine della confisca totale o parziale dei beni dei condannati veniva raggiunto attraverso l’irrogazione di multe molto economicamente molto pesanti : basti pensare al valore delle multe rapportato allo stipendio di un impiegato statale che non superava i 20 ducati mensili. Da questo si è detto appare chiaro che l’aggressione ai beni degli oppositori politici nel sistema borbonico era praticata e si realizzava attraverso complessi canali giudiziari i quali, in virtù delle pesanti multe irrogate in sede penale, aprivano la strada all’esecuzione civile sui beni dei condannati. E’ altrettanto chiaro che per approfondire questo discorso ed acquisire dati concreti sarebbe necessario un esame capillare delle sentenze borboniche e dei procedimenti esecutivi ad esse connesse. Il lavoro sulle sentenze, che denota numerose difficoltà (anche per la messa al macero di ingente ed interessante materiale d’archivio) è stato di recente avviato dalla storiografia giuridica e si auspica che possa condurre a risultati di rilievo42.

Francesco Mastroberti

Bibliographie

BLD = Bullettino Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno di Napoli, Napoli, 1806-1815.

CLD = Collezione Ufficiale delle Leggi e de’ Decreti del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1816-1860.

Code pénal 1810 = Code pénal, édition conforme à l’édition originale du bulletin des lois précédé de l’Expose des motifs par le Orateurs du Conseil d’état sur chacune des lois qui composent ce Code, avec une table alphabetique des Matières, Parigi, Garnery Libraire, 1810.

Codice penale 1813 = Codice penale tradotto d’ordine di Sua Maestà il Re delle Due Sicilie, per uso de’ suoi stati, seconda edizione riveduta corretta ed annotata d’una tavola analitica e di un indice, edizione originale e sola ufficiale, Napoli, nella fonderia reale e stamperia della Segreteria di Stato, 1813.

Codice per lo Regno 1819, II = Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Parte Seconda, Leggi penali, seconda edizione ufficiale, Napoli, 1819.

Codice per lo Regno 1819, IV = Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Parte Quarta, Leggi della procedura ne’ giudizj penali, seconda edizione ufficiale, Napoli, 1819.

Colletta 1989 = P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, Milano,1989.

Conclusioni 1850 = Conclusioni pronunziate innanzi alla Gran Corte Speciale di Napoli nella causa della setta L’Unità Italiana ne’ dì 4, 6 e 7 dicembre 1850 dal Consigliere Procuratore Generale del Re Filippo Angelillo, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1850, p. 161-162.

Filangieri 1872 = G. Filangieri, La scienza della legislazione, vol. II, Napoli, 1872, p. 365.

Fioravanti 2012 = Marco Fioravanti, L’età rivoluzionaria e napoleonica, in A. Dani et al.Profilo di storia del diritto penale dal Medioevo alla Restaurazione, Torino, 2012, p. 81-82.

Laingui 1999 = A. Laingui, Il diritto penale della rivoluzione francese e dell’Impero, in Il diritto penale dell’Ottocento : i codici preunitari e il codice Zanardelli, Padova, 1999.

Le Supreme corti di Giustizia 2016 = F. Mastroberti, S. Vinci (a cura di), Le Supreme corti di giustizia nella storia giuridica del Mezzogiorno, Napoli, 2016.

Mastroberti 2001 = F. Mastroberti, Codificazione e giustizia penale nelle Sicilie dal 1808 al 1820, Napoli, 2001.

Mastroberti 2005 = F. Mastroberti, Tra scienza e arbitrio. Il Problema giudiziario e penale nelle Sicilie dal 1821 al 1848, Bari, 2005.

Mazzacane 1995 = A. Mazzacane, Una scienza per due regni : la penalistica napoletana della Restaurazione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 25, 1995, p. 341-356.

Nicolini 1843 = N. Nicolini, Della procedura penale nel Regno delle Sue Sicilie, Livorno, presso l’editore Vincenzo Mansi, 1843.

Pace Gravina 2015 = G. Pace Gravina, Il codice e la sciabola : la giustizia militare nella Sicilia dei Borbone tra repressione del dissenso politico ed emergenza penale (1819-1860), Acireale Bonanno, 2015.

Tribunali e giurisprudenza nel Mezzogiorno 2010 = F. Mastroberti (a cura di), Tribunali e giurisprudenza nel Mezzogiorno, I., Le Gran Corti Civili (1817-1865) : Napoli e Trani, Napoli, 2010.Haut de page

Notes

1 Beccaria 1862, p. 42.

2 Filangieri 1872, II, p. 365.

3 Cfr. Laingui 1999.

4 Cfr. Code pénal 1810, art. 7. Nella Exposé des motifs du livre premier, il relatore Treilhard, a proposito della confiscation affermava : « Je ne vous dirai pas qu’en rejetant la confiscation pour des crimes contre la sûreté de l’État serait souvent fort à craindre qu’on ne laissât aux ennemis de la chose publique des moyens de lui nuire ; je n’ai pas besoin de ces considérations secondaires pour justifier une mesure tant fondée sur un principe de justice ; déjà mȇme la confiscation a été rétablie pour les crimes de fausse monnaie. Au reste, vous verrez dans la suite combien la rigueur de cette peine est adoucie dans l’exécution, et cous serez coivaincus qu’on a su concilier ce que prescrivait la justice et ce que consentait l’humanité ». Ivi, p. 6-7.

5 Code pénal 1810. : « Art. 75. Tout Français qui aura porté les armes contre la France, sera puni de mort. Ses biens seront confisqués. Art. 76. Quiconque aura pratiqué des machinations ou entretenu des intelligences avec les puissances étrangères ou leurs agents, pour les engager à commettre des hostilités ou entreprendre la guerre contre la France, ou pour leur en procurer les moyens, sera puni de mort, et ses biens seront confisqués. Art. 77. Cette disposition aura lieu dans le cas même où lesdites machinations ou intelligences n’auraient pas été suivies d’hostilités. Art. 77. Sera également puni de mort et de la confiscation de ses biens, quiconque aura pratiqué des manœuvres ou entretenu des intelligences avec les ennemis de l’État, à l’effet de faciliter leur entrée sur le territoire et dépendances de l’empire français, ou de leur livrer des villes, forteresses, places, postes, ports, magasins, arsenaux, vaisseaux ou bâtiments appartenant à la France, ou de fournir aux ennemis des secours en soldats, hommes, argent, vivres, armes ou munitions, ou de seconder les progrès de leurs armes sur les possessions ou contre les forces françaises de terre ou de mer, soit en ébranlant la fidélité des officiers, soldats, matelots ou autres, envers l’Empereur et l’état, soit de toute autre manière ». Sul codice penale napoleonico cfr. Fioravanti 2012, p. 81-82.

6 BLD, 1806, II, Legge del 27 settembre, art. 2.

7 BLD, 1807, I, Decreto del 2 giugno.

8 Su questo codice cfr. Mastroberti 2001 e la bibliografia ivi indicata.

9 Codice penale 1813.

10 Ivi, art. 96.

11 Sul codice penale borbonico, sicuramente uno dei migliori codici europei della Restaurazione, cfr. Cfr. Mazzacane 1995.

12 Codice per lo Regno 1819, II, art. 3.

13 Nicolini 1843, I, p. 230-231.

14 Colletta 1989, p. 538-9

15 Codice per lo Regno 1819, II, art. 16.

16 Ivi, art. 17.

17 Ivi, art. 15.

18 Ivi, art. 44.

19 Codice per lo Regno 1819, IV, artt. 581-582.

20 Ivi, art. 466.

21 Nicolini 1843, II, p. 933.

22 Codice per lo Regno 1819, IV, cit., art. 468.

23 Ivi, art. 470.

24 Ivi, art. 473.

25 Nicolini 1843, II, p. 936.

26 Ivi, p. 937.

27 Ivi, p. 936.

28 CLD, 1822, II, Legge del 28 settembre : « Art.3. È illecita qualunque associazione organizzata in corpo, il di cui fine sia di riunirsi in tutt’i giorni, o in certi giorni determinati, per occuparsi, senza promessa o vincolo di segreto di oggetti sieno religiosi, sieno letterari, sieno politici, o simili, quante volte sia formata senza permesso dell’autorità pubblica, o non vi si osservino le condizioni dall’autorità pubblica ordinate. 4. Ogni associazione illecita definita nell’articolo precedente, verrà immediatamente disciolta, ed i capi, direttori o amministratori di essa verranno puniti colla pena del terzo grado di prigionia e con una multa da cento a cinquecento ducati. I componenti semplici della stessa soggiaceranno alla pena del primo grado di prigionia ».

29 Ivi, art. 9.

30 CLD, 1826, I, Decreto del 24 maggio 1826.

31 Ivi, art. 1.

32 Ivi, art. 2. L’articolo successivo stabiliva : « 3. I togati saranno presi dal seno delle Corti supreme di giustizia, o della Gran corti civili rispettive. I militari non saranno di grado inferiore a quello di piana maggiore. Se de’ due militari vi sarà alcuno di grado generalizio da Maresciallo in sopra, questi sarà il presidente della Commissione suprema : in caso diverso il presidente verrà da Noi nominato nella classe de’ togati ».

33 Alla collocazione ASNa (= Archivio di Stato di Napoli), Museo C 42 vi è il Registro delle cause ed imputati pei quali la Commissione Suprema pei reati di Stato ha pronunciato condanna. Il registro copre tutti i venti anni di attività della Commissione Suprema e consente di acquisire tutti gli elementi su procedimenti, imputati, condanne. Cfr. anche ASNa, Gran Corte Criminale di NapoliCommissione suprema pei Reati di Stato di Napoli e Commissione Militare di Napoli, Fasci 1 e 2. Si riscontra la numerosità delle commutazioni di condanna a morte in ergastolo e delle grazie concesse dal Sovrano. Proprio queste continui interventi del Sovrano indispettirono – secondo Niccola Nicolini – i magistrati della Commissione che, non volendo recitare la parte dei cattivi, col tempo divennero sempre meno propensi a irrogare pene severe ed in particolare la condanna capitale. Cfr. ASNa, Archivio Borbone, f. 842, Niccola Nicolini alla S. R. M., Napoli 13 agosto 1844 in Mastroberti 2005, Appendice. Il Nicolini nella indicata memoria si scagliava contro la severità delle pene previste nella legge contro le associazioni illecite dalle quali nascevano alcune nefaste conseguenze : « la prima è che ove se ne avveri il giudizio e la condanna, essa desta compassione troppa per i rei, ed aborrimento della legge e de’ giudici. Sentimento che aliena anche i buoni dall’affezione al governo, e produce ne’ tristi il trapassamento pronto dal fine meno malvagio allo scelleratissimo, perché la stessa è la pena. La seconda conseguenza è che un principe buono non ne tollera mai l’esecuzione, e vi occorre, come avviene costantemente da tredici anni fra noi, o con grazie, il che solo dimostra la imperfezione della legge. La terza è che i giudici, animati da questo sì benigno andamento del principe, e vogliosi di non rimaner soli segno dell’odio pubblico, con riprovevole rilasciatezza, sono proni a dichiarare in fatto che gli accusati non sono colpevoli, o colpevoli soltanto di non rivelazione, formola di convincimento che riduce quasi alla derisione la pena. Né vi è danno più fatale alla cosa pubblica, quanto una legge troppo severa, fatta per non essere eseguita, come le grida di Milano rilevate dal Manzoni, e le nostre prammatiche viceregnali. Chi vuol calunniare di ferocia un governo così paterno e benevolo come il nostro, o vuol dipingere i nostri popoli, tutti pronti a cospirare contro di esso, basta che prenda in mano una legge. Nel fatto poi esse esistono, non per essere eseguite, ma per dar luogo al Principe di esercitare il suo diritto supremo di grazia che inspira gratitudine a ben pochi, perché niuno può esser persuaso della giustizia della pena ». I molteplici atti di grazia e di commutazione delle pene presi dal sovrano risultano peraltro dai dati della statistica giudiziaria che iniziarono ad essere raccolti e pubblicati per volere di Ferdinando II già a partire dagli anni trenta. Cfr. Mastroberti 2005 e Pace Gravina 2015.

34 ASNa, Gran Corte Criminale di Napoli, Commissione Suprema per i reati di Stato e Commissione militare di Napoli, fascio n. 1, foglio 37, causa 53.

35 Conclusioni 1850, p. 161-162.

36 Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 464 del codice di procedura penale (Codice per lo Regno 1819, IV) l’albo dei rei assenti doveva essere tenuto sempre affisso nella sala di udienza della Gran Corte e « di tutte le giustizie di circondario della provincia o valle, e delle cancellerie dei giudici d’istruzione ». La Gran Corte, i giudici di circondario e i giudici d’istruzione erano tenuti ad annotare le sentenze sull’albo.

37 ASNa, Gran Corte Criminale di Napoli, Commissione Suprema per i reati di Stato e Commissione Militare di Napoli, f. 686.

38 CLD, 1858, II, Decreto del 27 dicembre, art. 1.

39 Ivi, art. 2.

40 Ivi, art. 3.

41 Ivi, art. 4.

42 Cfr. Tribunali e giurisprudenza nel Mezzogiorno 2010 ; Le Supreme corti di giustizia nella storia giuridica del Mezzogiorno 2016.Haut de page

Pour citer cet article

Référence électronique

Francesco Mastroberti, « Confische e sequestri contro i nemici interni dello Stato borbonico durante l’ultima fase del regno di Ferdinando II (1848-1859) », Mélanges de l’École française de Rome – Italie et Méditerranée modernes et contemporaines [En ligne], 129-2 | 2017, mis en ligne le 03 avril 2018, consulté le 01 janvier 2022. URL : http://journals.openedition.org/mefrim/3291 ; DOI : https://doi.org/10.4000/mefrim.3291Haut de page

Auteur

Francesco Mastroberti

fonte

https://journals.openedition.org/mefrim/3291

1 Comment

  1. Interessante l’analisi e le notizie riportate dall’Autore e fanno riflettere… a nobilta’ e borghesia evoluta e intellettuale che il potere fosse detenuto da un re lontano stava ovviamente bene perche’ avevano mano libera nel gestire solo i propri interessi… ma non poteva andare avanti cosi’, e per fortuna le cose cambiarono con l’insediarsi a Napoli della casa reale!.. Questo fu certamente positivo per il popolo, ma a nobili e intellighentia sicuramente non stava bene… furono forse loro fatali per il Regno Due Sicilie… Non avevano nulla da perdere, anzi, per molti di loro si aprivano prospettive nuove!… e’ un pensiero triste, ma credo sia stata la realta’…tuttavia non ci si deve rassegnare!… Meglio ora esserne consapevoli per ritrovare orgoglio e motivazioni per recuperare identita’ storia e valori che sono il patrimonio di un popolo!… caterina ossi

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