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MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (VIII)

Posted by on Mar 27, 2022

MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (VIII)

ORDINE DEL GIORNO DI CIALDINI

Ecco l’ordine del giorno pubblicato l’11 di settembre dal generale Cialdini. Noi lo leviamo dall’Adriatico dell’11 di settembre, N� 210.

Dal quartier gen. di Rimini, 11 settembre 1860.

ordine del giorno

Soldati del quarto corpo d’armata! Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi.

Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicari, e per mano vostra sentano l’ira di un popolo, che vuole la sua nazionalit� e la sua indipendenza. Soldati! L’inulta Perugia domanda vendetta, e bench� tarda, l’avr�.

Il generale comandante il 1� corpo d’armata:

Enrico Cialdini.

LA VITTORIA DI CASTELFIDARDO E LA VITTORIA DI WAGRAM

La rivoluzione � in festa, e dappertutto batte palma a palma, accende lumi, inalbera bandiera, perch� il Papa � stato vinto e il suo esercito distrutto. �La vittoria (contro il Papa), dice la Gazzetta Ufficiale del Regno, � stata festeggiata con entusiasmo non solo a Torino e a Milano, ma bens� a Genova, a Bologna; a Firenze, a Parma, a Livorno e in tutte le citt� del Regno (1)�.

E alla Gazzetta Ufficiale fanno coro gli altri giornali. �C’� rottura diplomatica tra Dio e il suo Vicario!�, esclama l’uno beffardamente (2). E l’altro: �Chi non ammira la mano di Dio in questi rapidi avvenimenti? Che far� il governo papale da tutti abbandonalo? (3)�. E un terzo: �L’ultimo appoggio che rimaneva al potere temporale dei Papi venne abbattutoIl Papa privo ornai di forze materiali, con cui far valere la sua volont� temporale, non pu� pi� avere autorit� nemmeno su Roma. Esso ba cessato di essere Principe….

(1) Gazzetta Ufficiale, 22 di settembre 1860, numero 226.

(2) Gazzetta del Popolo, 23 di settembre, num. 225.

(3) Unitario di Modena, 22 di settembre, num. 82.  

In Roma egli non � pi� che un cittadino (1) E un quarto: �Dopo la pubblicazione della stupenda vittoria, i preti che incontro hanno l’aria di tanti san Bartolomei scorticati (2)�. E un quinto: A festeggiare i trionfi (contro il Papa) il teatro Guillaume era sfarzosamente illuminato (3)�. E un sesto, per tacere di tanti altri, dice a Pio IX:

Come un di sull’Oribbo in mezzo al tuono,

Fra la folgor di guerra or parla Iddio,

E ti avverte che lasci, o nono Pio,

In pr� d’Italia il mal usato trono (4).

Ed ecco oggid� rinnovarsi ci� che � avvenuto sul cominciar di questo secolo, e quello che ci prenunziava in certo modo l’esimio conte Costa della Torre sul cominciare di quest’anno; Pio VII, dicea l’illustre scrittore, venne imprigionato, e in quel medesimo giorno Napoleone guadagnava la battaglia di Wagram. Allora un celiare sulla scomunica, un ridersi del Papa e della Chiesa, come se Dio pagasse sempre il sabato. Mi suonano ancora agli orecchi le bestemmie dei tristi, e i piagnistei della gente di poca fede! (5)�.

Napoleone I, nel giorno 6 di luglio 1809, mentre rapivasi il Papa, trionfava nella battaglia di Wagram, e che battaglia era quella, e che vittoria! Non combatteva Napoleone I una masnada di briachi, come l’11 di settembre Enrico Cialdini chiamava i suoi nemici, ma �da tre a quattrocentomila uomini, da milleducento a millecinquecento pezzi di cannone si battevano per grandi interessi su di un campo di battaglia studiato, meditato, fortificato parecchi mesi prima dal nemico (6).

E il Buonaparte vinceva quella battaglia decisive et � jamais cel�bre, come chiamolla egli stesso. E di questa vittoria servissi tosto per abbindolare i popoli: giacch� fece indirizzare ai Vescovi di Francia una lettera circolare, in cui chiedeva che si celebrasse con una solenuit� religiosa il giorno 6 di luglio, in cui Dio aveva sancito la sua condotta riguardo al Papa col favorire le sue armi in s� splendida maniera (7).

E poi? Come fin� Pio VII? Come Napoleone I?……. 0 voi che godete al vedere Pio IX da tutti abbandonato, voi che gongolate delle sue sconfitte, ricordatevi ci� che fu scritto da S. Ilario: Questo � proprio della Chiesa, che allora vinca quando � offesa, allora sia manifesta quando � contraddetta, allora prosperi quando � abbandonata (8)�. Ricordatevi ci� che fu ripetuto test� da Pio IX: La Chiesa �non che essere sopraffatta e stremata dalle persecuzioni, viene anzi ad accrescersi e ad abbellirsi di sempre nuovi e pi� splendidi trionfi (9)�.

(1) Tempo di Casale, 21 di settembre, num. 50.

(2) Movimento di Genova, 22 di settembre, Suppl. al num. 266.

(3) Sentinella Bresciana, 22 di settembre, num. 108.

(4) L’Arlecchino di Firenze, 21 di settembre, num. 157.

(5) Pio VII e Pio IX— Reminiscenze e Conforti, pag. 11.

(6) Vingt-Cinqui�me Bulletin, 8 juillet 1809.

(7) Alzog, Storia delta Chiesa, vol. ut, pag. 439, Parigi 1849,

(8) StHilar, De Trinitate, lib. 7, cap. 4.

(9) Allocuzione del 13 di luglio 1860,

IL MARCHESE DI PIMODAN GENERALE PONTIFICIO

Agli ammiratori dell’eroismo religioso torner� gradito il conoscere alcuni particolari sopra le vicende del compianto generale pontificio, marchese de Pimodan, morto teste in difesa del Santo Padre. Rampollo di un’antica famiglia cavalleresca e adorno dei pi� rari doni di fortuna e di mente, Giorgio di Pimodan nella sua natura ardente, nella imaginazione austeramente poetica, nell’anima imperterrita palesava un tal quale istinto che lo portava sempre all’arduo e al generoso. L�, diceva egli, dove il pericolo e grande, � ancora pi� grande la gloria. L’Austria rammenta con riconoscenza i servigi che egli le rese nel 1848 sui campi d’Italia e di Ungheria. Tornato in Francia, gli aveva la Provvidenza fatto trovare in una damigella del sangue dei Montmorency una sposa, che i pericoli delle battaglie doveva tramutargli nelle delizie della pace domestica. Sullo scorcio di quest’inverno ud� dell’intendimento di comporre un esercito a difesa degli interessi del Santo Padre, e dato l’addio, che doveva essere l’ultimo, alla consorte e ai due figliuoletti, vol� a Roma, ove fu posto ai fianchi del Lamorici�re.

Nel 1849 aveva combattuto contro la rivoluzione ungherese, e scrisse, in istile semplice ma commovente, una memoria dove racconta, come, fatto prigioniero di Kossuth, si aspettava di essere fucilato.

Non aveva, allora che,26 anni. �Io m’era conservato, dic’egli, un anello, nel quale era incastonato un piccolo diamante. Mi trassi quell’anello dal dito, e sopra uno dei quadrati scrissi queste parole: — Addio, cari parenti. Sto per essere fucilato. Sono rassegnato e tranquillo: muoio pieno di fede e di speranza. Cara madre, la mia sola ambascia � la vostra! — Spiccai quindi il nastro della mia croce per tenermelo sul cuore sul punto di venir fucilato, e sedutomi sopra il letto, mi rappresentai allo spirito le memorie antiche della mia famiglia. Mi sovvennero tutti i particolari della morte eroica di lord Strafford, i quali io non aveva letto mai senza che ini sentissi compreso di maraviglia. Giurai allora di mostrare altrettanta fermezza d’animo che quella da lui mostrata in tal punto. Le speranze che sovente aveva io accarezzate in cuor mio, bisognava abbandonarle; ma io poteva in quel momento supremo guadagnarmi ancor dell’onore�.

Nacque il Pimodan nel 1822; dal che si pare nuovo titolo di riputazione, che si acquista quel gran baccalare di giornale il Constitutionnel, il quale pronunzia che il Pimodan aveva abbandonato l’esercito francese nel 1830! Se la Francia ha il privilegio di possedere giornalisti, che paion fanciulli da balia, non crediamo che abbia per� mai avuto dei soldati in ritiro dell’et� di otto anni.

Sul generale di Pimodan leggiamo nella Gazzetta Ufficiale del 24 di settembre: 111 generale Cialdini, mosso da quella,gentilezza di sentimento che gli � propria; non solo ha fatto rendere gli estremi onori al corpo del generale marchese di Pimodan, morto nel combattimento di Castelfidardo, ma l’ha fatto inoltre imbalsamare e chiudere in una bara di zinco, e l’ha mandato alla signora marchesa di Pimodan, moglie del generale. Il principe di Ligne ed un altro aiutante del defunto, ambidue prigionieri e messi appositamente in libert�, accompagnano la salma del generale in Francia�.

ROMA E PIEMONTE

Il Giornale di Roma del 12 corrente reca i seguenti importantissimi documenti:

Mentre in alcuni paesi delle Marche e dell’Umbria stavano succedendo i fatti di cui diedesi cenno nel giornale di ieri, si faceva pervenire nella sera dello scorso luned� (10) all’Eminentissimo sig. Cardinale Segretario di Stato di Sua Santit� una lettera del sig. conte di Cavour, ministro degli affari esteri di S. M. Sarda, la quale � concepita nei seguenti termini:

Torino, li 7 settembre 1860.

Eminenza,

Il governo di Sua Maest� il Re di Sardegna non pot� vedere senza grave rammarico la formazione e l’esistenza dei corpi di truppe mercenarie straniere al servizio del governo Pontificio. L’ordinamento di siffatti corpi non formati, ad esempio di tutti i governi civili, di cittadini del paese, ma di gente d’ogni lingua, nazione e religione, offende profondamente la coscienza pubblica dell’Italia e dell’Europa. L’indisciplina inerente a tal genere di truppe, l’improvida condotta dei loro capi, le minacce provocatrici di cui fanno pompa nei loro proclami, suscitano e mantengono un fermento oltremodo pericoloso. Vive pur sempre negli abitanti delle Marche e dell’Umbria la memoria dolorosa delle stragi e del saccheggio di Perugia. Questa condizione di cose gi� da per se stessa funesta, lo divenne di pi� dopo i fatti che accaddero nella Sicilia e nel reame di Napoli. La presenza dei corpi stranieri che ingiuria il sentimento nazionale, ed impedisce la manifestazione de’  voti dei popoli, produrr� immancabilmente l’estensione dei rivolgimenti alle provincie vicine.

Gli intimi rapporti che uniscono gli abitanti delle Marche e dell’Umbria con quelli delle Provincie annesse agli Stati del Re e le ragioni dell’ordine e della sicurezza dei propri Stati impongono al governo di Sua Maest� di porre per quanto sta in lui immediato riparo a questi mali. La coscienza del re Vittorio Emanuele non gli permette di rimanersi testimonio impassibile delle sanguinose repressioni, con cui le armi dei mercenari stranieri soffocherebbero nel sangue italiano ogni manifestazione di sentimento nazionale. Niun governo ba diritto di abbandonare all’arbitrio di una schiera di soldati di ventura gli averi, l’onore, la vita degli abitanti di un paese civile.

Per questi motivi, dopo avere chiesti gli ordini di Sua Maest� il Re mio Augusto Sovrano, ho l’onore di significare a Vostra Eminenza che le truppe del Re hanno incarico d’impedire, in nome dei diritti dell’umanit�, che i corpi mercenari Pontifici reprimano colla violenza l’espressione dei sentimenti delle popolazioni delle Marche e dell’Umbria.

Ho inoltre l’onore d’invitare Vostra Eminenza per i motivi sovra espressi a dare l’ordine immediato di disarmare e disciogliere quei corpi, la cui esistenza � una minaccia continua alla tranquillit� d’Italia.

Nella fiducia che Vostra Eminenza vorr� comunicarmi tosto le disposizioni date dal governo di Sua Santit� in proposito, ho l’onore di rinnovarle gli atti dell’alta mia considerazione.

Di Vostra Eminenza

Firmato — C. Cavour.

A questa lettera l’Eminentissimo signor Cardinale Segretario di Stato dava la seguente risposta:

Eccellenza,

Astraendo dal mezzo, di cui Vostra Eccellenza stim� valersi per farmi giungere il suo foglio del 7 corrente, ho voluto con tutta calma portare la mia attenzione a quanto ella mi esponeva in nome del suo Sovrano, e non posso dissimularle che ebbi in ci� a farmi una ben forte violenza. I nuovi principii di diritto pubblico che ella pone in campo nella sua rappresentanza mi dispenserebbero per verit� da qualsivoglia risposta, essendo essi troppo in opposizione con quelli sempre riconosciuti dall’universalit� dei governi e delle nazioni. Nondimeno, tocco. al vivo dalle incolpazioni che si fanno al governo di Sua Santit�, non posso ritenermi dal rilevare dapprima essere quanto odiosa, altrettanto priva d’ogni fondamento ed affatto ingiusta la taccia che si porta contro le truppe recentemente formatesi dal governo Pontificio; ed esser poi inqualificabile l’affronto che ad esso vien fatto nel disconoscere in lui un diritto a tutti gli altri comune, ignorandosi fino ad oggi che sia impedito ad alcun governo di avere al suo servigio truppe estere, siccome in fatto molti le hanno in Europa sotto i loro stipendi. Ed a questo proposito sembra qui opportuno il notare che, stante il carattere che riveste il Sommo Pontefice di comun padre di tutti i fedeli, molto meno potrebbe a lui impedirsi di accogliere nelle sue milizie quanti gli si offrono dalle varie parti dell’orbe cattolico in sostegno della S. Sede e degli Stati della Chiesa.

Niente poi potrebbe essere pi� falso e pi� ingiurioso, che l’attribuirsi alle truppe Pontificie i disordini deplorabilmente avvenuti negli Stati della Santa Sede, n� qui occorre il dimostrarlo. Dappoich� la storia ha gi� registrato quali e donde provenienti siano state le truppe che violentemente imposero alla volont� delle popolazioni, e quali le arti messe in opera per gettare nello scompiglio la pi� gran parte della Italia, e manomettere quanto v’ha di pi� inviolabile e di pi� sagro per diritto e per giustizia.

E rispetto alle conseguenze, di cui si vorrebbe accagionare la legittima azione delle truppe della S. Sede per reprimere la ribellione di Perugia, sarebbe in vero stato pi� logico l’attribuirle a chi promosse la rivolta dall’estero; ed ella, sig. Conte, troppo ben conosce donde quella venne suscitata, donde furono somministrati danaro, armi e mezzi di ogni genere, e donde partirono le istruzioni e gli ordini d’insorgere.

Tutto pertanto d� luogo a conchiudere, non avere che il carattere della calunnia quanto declamasi da un partito ostile al governo della S. Sede a carico delle sue milizie, ed essere non meno calunniose le imputazioni che si fanno a loro capi, dando a crederli come autori di minaccie provocatrici, e di proclami proprii a suscitare un pericoloso fermento.

Dava poi termine alla sua disgustosa comunicazione l’Eccellenza Vostra col l’invitarmi in nome del suo Sovrano ad ordinare immediatamente il disarmo e lo scioglimento delle suddette milizie, e tal invito non andava disgiunto da una specie di minaccia di volersi altrimenti dal Piemonte impedire l’azione di esse per mezzo delle regie truppe. In ci� si manifesta una quasi intimazione, che io ben volontieri qui mi astengo di qualificare. La Santa Sede non potrebbe che respingerla con indignazione, conoscendosi forte del suo legittimo diritto, ed appellando al gius delle genti, sotto la cui egida ha fin qui vissuto l’Europa: qualunque siano del resto le violenze alle quali potesse trovarsi esposta senza averle punto provocate, e contro le quali fin d’ora mi corre il debito di protestare altamente in nome di Sua Santit�.

Con sensi di distinta considerazione mi confermo Di Vostra Eccellenze,

Roma, 11 settembre 1860.

Firmato: — G. Card. Antonelli.

Contemporaneamente alla lettera surriferita del signor conte di Cavour, altra ne faceva pervenire il sig. generale Fanti, ministro della guerra di S. M. Sarda, al sig. generale de Lamorici�re, comandante in capo delle truppe Pontificie, la quale � del seguente testuale tenore:

Arezzo, le 9 septembre 1860.

Excellence,

S. M. le roi Victor Emmanuel II, qui est int�ress� si vivement au bonheur de l’Italie, est tr�s pr�occup� des �v�nements qui ont lieu dans les Provinces des Marches et de l’Ombrie.

S. M. n’ignore pas que toute manifestation dans le sens national pr�s de la fronti�re m�ridionale de son royaume qui fut r�prim� par des troupes �trang�res n’ayant pas m�me entre elles aucun lien de nationalit�, produirait in�vitablement un contre coup funeste dans tous ses �tats.

C’est � la suite de ces graves consid�rations que S. M. a ordonn� une concentration de troupes aux fronti�res des Marches et de l’Ombr�e, et qu’il rata fait l’honneur de me confier le comandement sup�rieur de ces troupes.

Il m’a prescrit en m�me temps de me diriger � V. E. pour vous faire conna�tre que ces troupes occuperaient au plut�t les Marches et l’Ombrie dans les cas suivants, c’est � dire:

1) Si des troupes � vos ordres se trouvant dans une ville des Marches et de l’Ombrie eussent � Taire usage de la force pour comprimer une manifestation dans le sens national.

2) Si des troupes dont vous avez le commandement eussent � recevoir l’ordre de marcher sur une ville des m�mes provinces pontificales, toutefois qu’une manifestation dans le sens national vint � se produire.

3) Toutefois qu’une manifestation dans le sens national s’�tant produite dans une ville, et avant �t� comprim�e avec l’usage de la force par vos troupes, celles-ci ne re�oivent pas imm�diatement de vous, l’ordre de se retirer en laissant la ville qui s’�tait prononc�e libre d’exprimer ses vœux.

Personne mieux que V. E. peut comprendre comment le sentiment national doive se r�volter devant une oppression �trang�re, et j’ose avoir confiance qu’en acceptant franchement et de suite les propositions que je viens de vous faire au nom du gouvernement du Roi, vous �pargnerez la protection de nos armes � ces provinces de l’Italie et les cons�quences f�cheuses qui pourraient s’en suivre.

Agr�ez Excellence.

Gli atti surr�feriti dal ministero sardo sono di tale natura che al criterio di chiunque � dato rilevarne L’inqualificabile esorbitanza, sicch� ci asterremo dal farvi qualsiasi commento.

E la loro esorbitanza si accresce, ove si aggiunga che nell’atto in cui davasi corso alla risposta dell’Em.mo segretario ai Stato alla lettera del conte di Cavour, giungeva dalle Marche la notizia che mentre le truppe Pontificie avevano gi� ristabilito l’ordine nella citt� di Fossombrone sconvolta, come fu ieri annunziato, dalla banda rivoluzionaria che avevala invasa, le truppe regolari del Piemonte, gi� in grandissimo numero concentrate sul confine toscano e presso la Cattolica, osarono da quest’ultimo punto muovere ad attaccare Pesaro, la cui limitata guarnigione si ritir� nella rocca, spingendo la loro vanguardia sino a Fano.

Intanto si conosce come S. M. l’Imperatore dei Francesi tosto che seppe del divisamente in che era venuto il gabinetto sardo di fare una sommazione al governo Pontificio diretta ad ottenere lo scioglimento delle sue truppe estere con la minaccia d’invadere ed occupare, in caso di rifiuto, le Marche e l’Umbria, la lodata Maest� Sua scrisse per telegrafo da Marsiglia al Re di Piemonte, annunziandogli che, qualora le truppe sarde penetrassero nel territorio Pontificio, egli sarebbe stato costretto ad opporvisi, e che aveva gi� dato ordini perch� fosse rinforzato il suo corpo francese di occupazione.

L’INSURREZIONE DELLE MARCHE e il MEMORANDUM DI C. CAVOUR

(Pubblicato il 16 settembre 1860).

Contro il Salvatore del mondo trovaroosi molti falsi testimonii, i quali per� non servirono a nulla, perch� non andavano d’accordo con loro; e contro il Santo Padre trovansi molti pretesti, ma tali che si distruggono l’un l’altro, e provocano, non sappiamo, se pi� a stomaco od a riso. Esaminiamo i documenti.

Le Marche e l’Umbria sono tranquille, ma, giunto Garibaldi nel Regno di Napoli, gi� incominciasi a parlare della loro insurrezione. Scrivevano da Torino al Si�cle sotto la data del 2 settembre: �Tutti i giornali parlano di un’insurrezione imminente nelle Marche e nell’Umbria……. Emissari mandati da Genova e da Torino per combinare una sommossa insurrezionale sono convinti che senza l’intervento d’una forza straniera � impossibile ogni sollevazione�.

Da questo punto incominciasi a cercare il pretesto per l’intervento nelle Marche d’una forza straniera. L’Opinione del 6 di settembre grida guerra contro l’esercito del Papa, perch� �le truppe Pontificie sono adunate contro i vicini!�.

Il conte di Cavour (notate bene che queste sono parole tolte dall’Unit� Italiana di Genova, N� 165 del 14 di settembre) �avendo gi� risoluto di occupare le Marche e l’Umbria, prima che Garibaldi vi giungesse dal sud, trov� altri capi, dei quali era sicuro, e disse loro—entrate colla giovent� impaziente di agire a ogni modo, sommovete qua e l� le localit� delle due provincie, affinch� un’insurrezione, grande o piccola, vi sia: noi vi terremo dietro. — Con questo piano si � iniziata la rivoluzione, la quale necessariamente partecipa del carattere di chi ne ha la direzione�.

E pi� innanzi la stessa Unit� Italiana soggiunge: �Si vede che la sollevazione, lungi dall’essere una rivoluzione per se stessa, doveva essere solamente il motivo ad altre operazioni puramente militari; Sembra che i capi dicano alle differenti localit� presso la frontiera: movetevi tanto da dar segno che siete, disposti; il soccorso giunger�,

E finalmente l’Unit� Italiana dimostra come la pretesa insurrezione delle Marche e dell’Umbria sia un vero movimento strategico combinato anticipatamente a servizio del nostro esercito: 11 moto cominci� l’8 su tutta l’immensa frontiera delle Marche e dell’Umbria, che, cominciando alla Cattolica sull’Adriatico, fa il contorno della Romagna e della Toscana, e scende per il Trasimeno fino ad Orvieto. — Scoppi� a Pesaro, piccola citt� e porto sull’Adriatico, internandosi nel Montefeltro fino ad Urbino e a Fossombrone. Sulla frontiera toscano-ombrina, l� dove Cortona guarda Perugia, il paese rimane quieto, come se volesse lasciare a Fanti libera la strada strategica della Fratta. L’insurrezione sembra qui Tare un salto: scavalca il Trasimeno, lascia Perugia al nord, e si mostra a Citt� di Pieve, a Citt� di Castello, a Monteleone, stendendosi a sinistra al nord fino a Piagaro, a poca distanza di Perugia, e innonda al sud il paese fino ad Orvieto che prende�.

Prima che la pretesa insurrezione scoppii, il ministero manda le troppe sui confini perch� trovinsi pronte, e si pubblicano i decreti che chiamano sotto le armi i corpi distaccati della guardia nazionale. Quando tutto � pronto, si d� il segnale e il telegrafo annunzia le insurrezioni p Pesaro, a Montefeltro, ad Urbino.

L’11 di settembre un proclama sottoscritto Cavour-Farini dice ai soldati gi� pronti ai confini: �Voi entrate nelle Marche e nell’Umbria per restaurare l’ordine civile nelle desolate citt�, e per dare ai popoli la libert� di esprimere i loro votilo voglio rispettare la sede del Capo della Chiesa�.

Lo stesso giorno un altro proclama del generale Enrico Cialdini dice ai soldati del 4� corpo d’armata: �Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri, che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicarii, e per mano vostra sentano l’ira del popolo.

Lo stesso giorno un terzo proclama del generale Fanti dice ai soldati di andare a liberare i popoli delle Marche e dell’Umbria dal martirio, giacch� �quei figli sventurati d’Italia sperarono indarno giustizia e piet� dal loro governo�.

Allora i nostri soldati invadono le provincie Pontificie, e il 12 di settembre, il conte di Cavour scrive nel suo Memorandum che, attesa l’insurrezione di quelle popolazioni, fu obbligato ad intervenire, sia per riguardo all’Italia, sia per riguardo all’Europa. Dichiara tuttavia che �le regie truppe dovranno rispettare scrupolosamente Roma e il territorio che la circonda�.

Ma Garibaldi, che sa un po’ meno di diplomazia, vien fuori con un manifesto al popolo di Palermo, sotto la data del 10 di settembre, e gli dice: �L’annessione ed il regno del Re Galantuomo in Italia noi proclameremo presto, ma l� sulla vetta del Quirinale�.

Da tutti questi documenti risulta che il conte di Cavour e i suoi amici non hanno ancora saputo trovare un motivo plausibile per coonestare l’invasione delle Marche � dell’Umbria.

Ora dicono che hanno invaso gli Stati del Papa, perch� l� vi era un vero intervento mascherato. Poi non sono contenti della ragione, e soggiungono che l’esercito papale era una minaccia contro di noi. Sentono che questo � ridicolo, e ripigliano che sono andati nelle Marche e nell’Umbria per comprimere l’anarchia. Non piace questo motivo a quei medesimi che lo adducono, e vengono fuori dicendo che sono andati nelle Marche per dare la libert� al popolo di manifestare i suoi voti. Dubitano essi stessi della ragionevolezza di questa scusa, e protestano che sono andati a vendicare l’inulta Perugia.

E cosi dicono, disdicono, contraddicono che � una piet�. Cavour intanto � in opposizione patente con Garibaldi. Imperocch� l’uno dichiara di �voler rispettare scupolosamente Roma�, e l’altro afferma di voler proclamare presto sulla vetta del Quirinale l’annessione ed il regno del Re galantuomo. A chi credere?

Forse Cavour si opporr� a Garibaldi, che vuol salire sol Quirinale? Non � possibile, giacche nel suo Memorandum chiama il Garibaldi un illustre guerriero, che merita la sua ammirazione, e le cui imprese �ricordano ci� che la poesia e la storia raccontano di pi� sorprendente

Dunque conquistate le Marche e l’Umbria, Cavour e Garibaldi s’incammineranno sul Quirinale. E per verit� le ragioni che adducono a giustificare l’invasione delle provincie, servono anche per l’invasione della capitale degli Stati Pontificii.

Se le truppe del generale Lamorici�re in Ancona costituiscono un intervento straniero, non saranno uno straniero intervento le truppe francesi in Roma? Se il Piemonte ha diritto e dovere di andar a liberare i popoli delle Marche e dell’Umbria, acciocch� possano emettere i loro voti, non potr� e dovr� fare altrettanto coi Romani? Se dee vendicare le stragi di Perugia, non sapr� trovare altre stragi da vendicare sul Tevere?

Il Memorandum del conte di Cavour o non prova nulla, o prova che anche Roma, anche il Quirinale dee essere tolto al Papa. Cos� l’intende Garibaldi, ed almeno � logico, almeno � sincero. Egli non conosce la vigliacca ipocrisia di Cavour, che spogliando il Papa della sua porpora, lo saluta il Padre augusto e venerabile di tutti i cattolici!

fonte

https://nazionali.org/ne/stampa2s/02_1864_vol_01C_margotti_memorie_storia_nostri_tempi_dodici_2013.html#Angelis

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