Alta Terra di Lavoro

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MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (IX)

Posted by on Apr 3, 2022

MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (IX)

DOCUMENTI DELLA GUERRA CONTRO IL PAPA

Leggiamo nel Giornale di Roma del 20 di settembre: �A Monsignor ministro dell’armi pervenne ieri a sera il seguente dispaccio datato da Pontecorvo nel mattino dello stesso giorno 49 settembre.

�Monsignore,

�Ieri a un’ora dopo mezzod� Pontecorvo fu occupato dalle troppe di Sua Santit� dopo una marcia forzata e senza seria resistenza da parte degli invasori. I quattrocento miserabili soldati dell’insurrezione fuggirono al secondo colpo di cannone spaventati dall’attacco vivissimo della mia testa di colonna dopo avere tirato tre colpi di fucile.

�Disgraziatamente la stanchezza della mia gendarmeria a cavallo non mi ha permesso d’inseguirli: coloro passarono il ponte sul Garigliano prima che una sezione di gendarmeria a piedi che io mandai a guardare il passo vi fosse per venuta.

 Le autorit� pontificie sono state immediatamente ristabilite, come del pari gli stemmi di S. S. Tutti hanno fatto il loro dovere, ed il morale del mio distaccamento si conserva nel grado il pi� soddisfacente. Avr� l’onore di dirigere a V. E. il mio rapporto ufficiale dettagliato.

�� mio solo dispiacere, e le truppe lo dividono con me, che gl’invasori non siensi meglio difesi. La compagnia di gendarmeria a piedi Carrara � al di sopra di ogni elogio, e questo officiale merita ogni considerazione.

�L’effetto morale nel paese � stato grandissimo, e le popolazioni in generale soddisfattissime.

�Sonovi per� molti ladri che infestano la campagna, e sono individui fuggiti dalle bande garibaldiane.

�Prego, ecc.

�Firmato: Colonnello Montillier

�Capo di Stato Maggiore Generale�.

�La stessa E. S. Monsignor proministro delle armi ha ricevuto la seguente comunicazione:

�Gabinetto del Generale Comandante in capo.

�il 13 settembre 1860.

�Monsignore,

�Come io lo temeva ieri, le nostre comunicazioni telegrafiche con Foligno sono interrotte, e credo che il corriere che passer� questa sera sar� egli stesso arrestato e spogliato de’  suoi dispacci nello stesso luogo. Prendo dunque il partito d’inviarvi la presente per un mezzo che il latore di essa v’indicher�.

�Nel momento, teco qual � la nostra situazione: i Piemontesi hanno occupato questa mattina Jesi per farvi fare un pronunciamento. Ignoro il loro numero su tal punto.

�Secondo i dispacci di Ancona (ove i nostri dispacci elettrici vanno ancora) la loro massa sembrava essere concentrata a Scnigaglia cogli avamposti a Fiumesino per impedirci di ritirarne le farine.

�Il nemico sparge la voce che la citt� sar� bloccata per mare; le squadre di Napoli e del Piemonte si riunirebbero a questo fine; i legni francesi potranno passare fino a dichiarazione di blocco effettivo, pi� tardi no, a meno che la Francia non impieghi la sua marina per opporsi al blocco.

�Noi siamo giunti ieri da Serravalle qui, la truppa ha percorso 40 miglia in 22 ore. Pimodan mi raggiunger� domani mattina. Io non vi parlo de’  miei progetti, non sapendo quale sar� la sorte di questa lettera.

�Nella montagna d’Ascoli noi abbiamo molti volontari organizzati; Chevign�, da cui ho ricevuto ieri sera un dispaccio, far� di tutto per difendere la citt� contro le bande assai numerose che si formano sul territorio napoletano, e se sar� forzalo a ritirarsi, si diriger� verso la montagna, i di cui abitanti si dicono inespugnabili e sono benissimo animati per la causa del Santo Padre.

�In tutto ci� che qui accade, vi � un fatto importantissimo da far rimarcare, ed � che i pronunciamenti non si verificano che a misura dell’arrivo delle truppe piemontesi, senza la presenza delle quali niente sarebbe avvenuto.

�Non avendo alcuna notizia di quanto accade nelle vostre parti, io non ve ne parlo punto, mentre non potrei che darvi delle indicazioni senza rapporto collo stato delle cose.

�Io spero che il generale de Govon, il quale non verrebbe che col permesso e coi mezzi di agire, non si limiter� a difendere le mura di Roma e il patri monto, e che impedir� per lo meno l’invasione dalla parte di Napoli e quella dalla vallata di Orvieto. I Francesi avendo occupato quest’ultima citt� undici anni addietro, non faranno difficolt� di ritornarvi, e se volessero mettere subito guarnigione a Viterbo, Velletri e Orvieto, sarebbe pur qualche cosa.

�L’Imperatore finir� coll’offendersi nel vedere che i Piemontesi non fanno alcun conto delle sue rimostranze.

�Il Generale in capo de L�moriciere�.

 Notizie pervenute da Rieti ci fanno conoscere come la tranquillit� pubblica non fu in quella citt� turbata che per brevissimo istante e senza produrre il bench� minimo sinistro.

�Ecco come i fatti si passarono:

�Nelle ore pomeridiane del giorno 48 dalla vicina Citt� Ducale del Regno di Napoli arriv�’ a Rieti una frotta di guardie cos� dette nazionali, che, avendo inalberata una bandiera tricolore, scorrazzavano per Rieti, accogliendo dietro a s� alcuni individui dell’infima plebe, gridando voci sediziose.

�La citt� trovavasi sfornita di truppe regolari: laonde a tranquillare i timori destatisi dall’improvvisa invasione nei pacifici cittadini, Monsignor Delegato Apostolico riput� spediente di fare organizzare una guardia di pubblica sicurezza, che si componesse di quanti individui fossero necessari perch� uniti alla tenue forza governativa mantenessero l’ordine. Il che fu immediatamente eseguito, ponendosi la nuova guardia sotto la direzione dei pi� specchiati e probi della citt�.

�Venuta la sera, vedendo la cos� detta Guardia Nazionale di citt� Ducale che per essa era inutile lo scorrazzare Rieti, usc� di citt�, accompagnata da un’accozzaglia di ragazzume, che per soddisfare alla voglia di far baldoria andava gridando: Fuori i lumi�, alle quali voci non essendosi da tutti, come accade, conosciuto il vero delle cose, alcuni lumicini qua e l� furono per poco tempo posti alle finestre.

c Del rimanente null’altro accadde. Le autorit� stettero e stanno al loro posto; non un nobile n� un notabile borghese si un� a quei sciagurati venuti dal Regno: nessuno abbandon� le faccende, n� del momentaneo trascorso si ba pi� vestigio.

�La gendarmeria, che raccoltasi in colonna era uscita prima dell’arrivo delle genti di citt� Ducale per guardare i luoghi destinati alla sua ispezione, e rientrata in Rieti, e ci� assicura meglio contro la rinnovazione di somiglianti tentativi.

�Ci � comunicata la seguente lettera di Pesaro in data del 13, scritta da un militare di quella guarnigione:

�Avr� sentita la nostra sorte; siamo prigionieri di guerra a discrezione del nemico. L’attacco cominci� con quattro batterie alle 3 pom. e dur� sino alle 8. Ripigli� alle 4 ant. sino alle 9. Poi fecesi la resa al nemico infuriato che non Volle venire a patti. Aveva ordinato l’appressarsi di altre quattro batterie, per cui saremmo stati, dentro mezz’ora, sepolti dalle macerie o passati a fil di spada. Avemmo quattordici morti e ventidue feriti; tra’  primi il tenente Riccardi.

�Le bombe, i razzi, le palle grandinavano orribilmente. Il forte � tutto in isfacio. Ora ci mandano a piedi, dicono, ad Alessandria. Immagini la nostra condizione e quella delle famiglie. Questa notte si � dormito in terra senza paglia, esposti a tutte le intemperie, incerti della nostra sorte. Monsignor Delegato accompagnato da Simonetti � stato trasportato a Torino. Alla caserma ove io mi era stabilito, hanno portato via tutto. — Sono, ecc. �. Fin qui il Giornale di Roma.

DUE ORDINI DEL GIORNO

Pubblichiamo questi due documenti che debbono servire per la storia: �In 18 giorni voi avete battuto il nemico in campo, preso i forti di Pesaro, di Perugia, di Spoleto, di S. Leo, e la fortezza d’Ancona, a cui ebbe gloriosa parte il raro ardimento della nostra squadra.

L’armata del nemico, ad onta del suo valore, fu interamente sconfitta e prigioniera, meno un’accozzaglia di gendarmi e di fuggitivi di ogni lingua ed arma, raccolti da Monsignor Merode, che campeggiano ancora, ma per breve, nella Comarca di Velletri.

Io non so se pi� debba in voi ammirare il valore nei cimenti, la sofferenza delle marcie, o il contegno amoroso e disciplinato verso queste popolazioni che vi benedicono per averle liberate dal martirio e dall’umiliazione.

In nome di Vittorio Emanuele io vi ringrazio, e mentre la patria vi ricorder� con orgoglio, Sua Maest� compenser� largamente, come suole, coloro fra voi che ebbero l’occasione di maggiormente distinguersi.

Abbiatevi la viva riconoscenza da chi ha l’onore di comandarvi, e col cuore pieno di gioia ripetete con me: Viva il Re, Viva l’Italia!

Dato dal quartier generale d’Ancona, 29 di settembre 1860.

Il Comandante in capo, M. Fanti�.

Ogni volta che avete sparato il cannone contro il nemico vi siete distinti. L’armata di terra vi guardava, volevate emularla.

Ho l’onore di dirvi che avete pienamente ottenuto il vostro intento. In meno di tre ore, con due Fregate e due Corvette, avete annientato tutte le fortezze che difendono Ancona dal lato di mare.  

Il generale Lamorici�re mand� alla marina proposte di capitolazione. Il vostro ardire, la vostra perizia hanno sorpreso tutti. Il ministro della guerra, comandante generale, si degnava esternarmi la sua soddisfazione. Il generale Cialdini, alle cui mosse strategiche si deve il termine della guerra in s� breve tempo, mi mandava congratulazioni. Il generale Della Rocca, che prese i monti Pelago e Polito, vi complimentava.

Evviva dunque a vol. lo vi ringrazio, e di che cuore; voi che mi conoscete, ben lo sapete. Iddio vi benedica e benedica il nostro Re, primo affetto di ogni cuore italiano.

Evviva a Vittorio Emanuele!

Evviva all’Italia!

Il Comandante la squadra: C. di Persano.

Data da bordo della Maria Adelaide, add� 29 settembre 1860.

LA RESA D’ANCONA E LA GUERRA CONTRO IL PAPA

(Pubblicato il 2 ottobre 1860).

Ben capiscono i nostri lettori che in questi momenti non ci � dato di sfogare l’animo nostro, ed esprimere que’ sensi che proviamo in cuore. Oltre ai pericoli legali che. di pendono dal fisco, riceviamo quotidianamente lettere anonime piene di furibonde minaccie, e n’abbiamo sul tavolo un grosso plico da serbarsi per documenti. Non ci fanno mica grande paura, ma ci avvertono che non godiamo piena libert�.

Ci� premesso, in occasione della resa d’Ancona ci contenteremo di riassumere la storia della guerra contro il Papa (1). La quale preparata di lunga mano, e, come dicono i giornali rivoluzionari, a Ciamber�, scoppi� il 7 di settembre colla Nota del conte di Cavour al Cardinale Antonelli, nella quale s’intimava al Papa di disarmare e sciogliere i corpi dei Cattolici accorsi in difesa del Padre comune.

Prima che la risposta del Cardinale fosse conosciuta, il nostro esercito entrava nelle Marche e nell’Umbria, e il gen. Cialdini, l’11 di settembre, dicea a’  suoi soldati: Vi conduco contro una masnada di briachi. — Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicarii.

Il 12, Cialdini assale Pesaro, dove non sono che 1200 soldati tutti Italiani. Que’ briachi si difendono da valorosi; ma, soverchiati dal numero, si arrendono a discrezione dopo aver fatto soffrire molte perdite al Cialdini. Il delegato pontificio, Monsignor Bell�, viene imprigionato e mandato a Torino.

Lo stesso giorno, 12 settembre, un gran corpo d’esercito comandalo dal generale Fanti entra a Citt� di Castello dopo di averne atterrate le porte. Non vi sono a guardia che settanta gendarmi, i quali fanno fuoco e si difendono; ma in ultimo debbonsi arrendere, e vengono fatti prigionieri insieme col governatore.

Il 14 di settembre il generale Cialdini giunge a Sinigaglia, dove trova un piccolo corpo di Pontificii, lo vince, e lo f& prigioniero. Lo stesso giorno il generale Fanti entra in Perugia. Le poche truppe pontificie che v’erano in presidio si difesero ostinatamente, e la citt� fu presa dopo vivo combattimento di contrada in contrada. I Pontificii, non potendo pi� resistere, si ridussero nel forte, e sulla sera si arresero a discrezione. Vennero fatti 1600 prigionieri insieme col generale Schmidt. Perugia non fu presa senza perdite considerevoli dalla parte del generale Fanti.

Il 15 di settembre i Piemontesi occupavano Orvieto. Il 17 Cialdini piglia possesso delle formidabili posizioni di Torre d’Iesi, Osimo e Castelfidardo, e impedisce al generale comandante in capo le truppe Pontificie di entrare io Ancona. Lo stesso giorno la Rocca di Spoleto con soli 600 Pontificii di guarnigione � obbligata a capitolare. Si fa prigioniero anche il delegato Monsignor Pericoli.

Il 18 alle ore 10 del mattino Lamorici�re assale il generale Cialdini a Castelfidardo. Il combattimento � breve, ma sanguinoso e violento; e la vittoria in ultimo resta ai grossi battaglioni. Il generale pontificio, marchese di Pimodan, muore gloriosamente; e il generale Lamorici�re trova modo di entrare in Ancona per sostenere l’assedio e resistere fino all’ultimo.

Il 21 i generali Fanti, Della Rocca e Cialdini giungono a Loreto, e il 22 visitano il Santuario. Il dispaccio telegrafico non ci disse se ringraziassero Maria Santissima per le conseguite vittorie, e se facessero voto, come Vittorio Amedeo li, di alzare presso a Torino un’altra Soperga.

(1) Tutti questi particolari sono tolti dai dispacci piemontesi, non avendo noi avuto relazioni dai generali pontificii.

Il 24 le regie truppe sarde occupano il forte di S. Leo dopo che la guernigione Pontificia ebbe fatto molta resistenza, secondo che permetteva lo scarso numero de’  soldati.

Il 18 di settembre incominciava l’assedio d’Ancona. Presentavasi in quel giorno davanti a quella citt� la flotta sarda composta delle fregate ad elice Maria Adelaide, Vittorio Emanuele, Carlo Alberto, della fregata a vela San Michele, delle fregate a ruote Governolo e Costituzione, e della corvetta a ruote Monzambano. Il Papa non avea un burchiello da opporre alla flotta.

Fin da quel giorno cominci� il fuoco tra la batteria della piazza, detta la lanterna, e la flotta. Il 22 l’ammiraglio Persa no dichiarava officiai mente il blocco definitivo del porto d’Ancona. Il 23 la flotta sarda cannoneggiava vivamente le fortificazioni, che rispondevano con gran furia. Il 26 la brigata Bologna, e il 23� e 25� battaglione Bersaglieri prendevano d’assalto i forti Pelago e Pulito. Il 28 s’impossessavano del forte delle Grazie, trovando dappertutto accanita resistenza. Il 29, distrutte tutte le batterie del porto d’Ancona, il generale Lamorici�re capitolava, e restava insieme colla guarnigione prigioniero di guerra.

Ecco in breve la storia della guerra contro il Papa, secondo i dispacci piemontesi. Ora sono da farsi poche e semplicissime osservazioni:

1� Accusavasi il governo Pontificio d’essere incapace a formarsi un esercito. E in poco tempo l’esercito Pontificio fu creato, nonostante le strettezze dell’erario e la perdita delle Romagne.

2� L’esercito del Papa non dovea servire per sostenere la guerra contro una Potenza qualunque, ma solamente per provvedere all’ordine interno, e far testa all’irrompente rivoluzione.

3� 11 governo Pontificio e il generale Lamorici�re furono c�lti all’improvviso, e non pensarono mai di dover sostenere una guerra contro la Sardegna, e di affrontare un esercito sei volte maggiore.

4� 11 governo Pontificio e il generale Lamorici�re pensavano di dover sostenere un assalto Unicamente dalla parte di Garibaldi, e tutti gli apparecchi militari furono fatti per ci�. Mentre adunque si aspettava un assalto da una parte, eccolo improvvisamente partire dalla parte opposta.

5� Appena giunse a Roma l’Ultimatum piemontese, il duca di Gramont,

ambasciatore di Francia, assicur� il Santo Padre che i Piemontesi non si sarebbero inoltrati verso Ancona, e quest’assicurazione venne comunicata al generale Lamorici�re, il quale perci� anche dopo l’invasione continuava a tenersi sicuro.

6� Dietro queste assicurazioni il generale Lamorici�re non pot� combinare anticipatamente il suo disegno di difesa, e non ebbe tempo a concentrare tutte le sue truppe per opporle all’inimico.

7� L’esercito Pontificio fu rotto alla spicciolata, e piccolo in s� di numero, si trov� necessariamente indebolito dall’essere stato sparpagliato qua e col� in pessime posizioni.

8� Nonostante tutto ci� i soldati del Papa disputarono palmo a palmo il terreno alle truppe piemontesi, che non poterono conquistare un luogo solo senza un combattimento.

9� Chi s’intende di cose militari dovr� riconoscere che i Pontificii si comportarono in questa campagna da eroi, e non mancano alcuni tra’  giornali rivoluzionari di rendere loro fin d’ora quest’onore.

10� La guerra contro il Papa fu guerra di Cattolici contro il Capo della Chiesa, fu guerra di Italiani contro un esercito composto per cinque sesti di truppe italiane.

LA RESA D’ANCONA E I GIORNALI

I diarii di Parigi del 1� di ottobre ci recano i sentimenti che destarono nella Francia cattolica le notizie della caduta d’Ancona. �Ancona � caduta! esclama l’Union. Le fortificazioni non erano ancora terminate; la piazza non era armata che imperfettamente; il presidio contava appena alcune migliaia di soldati. Tuttavia, sotto l’intrepido generale che la comandava, essa pot� resistere per dieci giorni ad un esercito di 35,000 uomini sostenuto da diedi vascelli

La Porta Pia, presa e ripresa cinque volte da un pugno di bravi, bastava per la gloria di quest’ammirabile difesa. Tuttavia il generale Lamorici�re e la sua valorosa truppa non se ne contentarono. Essi non consentirono a capitolare che dopo di aver perduto l’ultimo loro cannone�.

�Ed oggid�, segue a dire l’Union, Pio IX non ha pi� n� esercito, n� fortezze, n� provincie. Gli fu tolta la sua autorit�, i suoi sudditi, il suo territorio. Dalle finestre del suo palazzo pu� vedere i fuochi dei bivacchi piemontesi, pu� udire i canti di trionfo dei soldati di Vittorio Emanuele!�.

Le Monde scrive: �Ancona ha capitolato. Ci� si aspettava; e l’indifferenza dell’Europa cristiana non lasciava che presagire la sorte degli eroici difensori d’Ancona. Alcune migliaia di persone abbandonarono le loro famiglie, ed accorsero in difesa del Padre comune dei fedeli. che importa ch’essi sieno stati vinti? Hanno dato la loro vita; e che cosa potevano fare di pi�?�.

La Patrie dichiara, dietro le sue corrispondenze, che Ancona venne difesa con un ammirabile coraggio fino all’ultimo. Gli assediati non avevano in tutto che centoventi pezzi in batteria, perch� l’armamento non era ancora terminato, quando i Piemontesi cominciarono l’assalto. Lamorici�re non si arrese se non quando fu smontato l’ultimo suo cannone.

L’am� de la Religion scrive: �Ancona si � arresa il 29. di settembre dopo dieci giorni di un assedio eroicamente sostenuto contro forze dieci volte maggiori e mezzi materiali potentissimi. La flotta sarda, come confessa la Gazzetta Ufficiale Piemontese, ha dovuto soffrirne assai per l’intrepida resistenza della piazza.

La Gazzetta d’Elberfeld assicura che i Prussiani stabiliti in Ancona, dove possedevano beni d’un valore considerevole, invocarono la protezione del loro governo per la riparazione dei danni cagionati alle loro propriet� dal bombardamento.

STORIA DEL BOMBARDAMENTO D’ANCONA

avvenuto nel settembre del 1860 per opera della flotta sarda, essendo ministri in Piemonte il romagnolo Farini ed il piemontese Cavour

La R. squadra, composta delle fregate ad elice Maria Adelaide (con bandiera del viceammiraglio conte di Persano, comandante cav. Riccardi), Vittorio Emanuele (comandante conte Albini), Carlo Alberto (comandante cavaliere Mantice), della fregata a vela San Michele (comandante cavaliere Provana), delle fregate a a ruote Governalo (comandante marchese d’Aste) e Costituzione (comandante cavaliere Wright) e della corvetta a ruote Monzambano (comandante cavaliere di Monale), presentavasi il 18 corrente innanzi ad Ancona.

La batteria della piazza, detta della Lanterna, le faceva improvvisamente fuoco addosso, quantunque, dice la nostra Gazzetta Ufficiale del 28 settembre, le R. navi non si trovassero quasi a tiro. Successivamente le batterie tutte della citt� rivolte al mare (Monte Murano, Cappuccini e Monte Gardetto) aprirono un fuoco vivissimo.

Fu tarda, ma formidabile la risposta della squadra regia: la batteria di Monte Murano ne and� assai malconcia, vi furono smontati tre cannoni, uccisi quattro artiglieri e feriti molti. Quella dei Cappuccini ebbe un cannone imboccato: ivi e a Monte Gardetto le nostre granate uccisero molti nemici: tutte le fortificazioni soffrirono danni gravissimi, tanto che, cessato il fuoco, fu necessaria l’opera di tutti i forzati del bagno d’Ancona, di molti campagnuoli requisiti e di soldati per restaurarle alla meglio.

Questo splendido successo, dice la Gazzetta Ufficiale, � dovuto non tanto alla potenza delle artiglierie della squadra, quanto alla giustezza c|ei tiri, alla perizia ed al sangue freddo dei nostri marinai. Nessuna fra le navi tocc� danni di qual che rilievo. Persone tutte incolumi.

Per mala sorte, alcuni proiettili andarono a colpire in citt�, e ne furono morte due donne ed un fanciullo I Lo sventurato caso grandemente affliggeva l’ammiraglio Persano, dice la Gazzetta Ufficiale, il quale tosto ordin� si ponesse per l’avvenire ogni studio ad evitare che si rinnovasse, amando meglio mettere le navi a maggior pericolo, col non battere certi punti fortificati in prossimit� delle case, anzich� porre a repentaglio la vita dei cittadini che, dice la Gazzetta Ufficiale, affrettano coi pi� fervidi voti l’ora del nostro trionfo come osserva la Gazzetta Ufficiale.

II 20 corr. i regii piroscafi da trasporto Dora, Tamaro, Conte Cavour (aggregato), e il brigantino-gabarra Azzardoso, carichi tutti di munizioni da guerra e da bocca, e di carbon fossile, raggiungevano la squadra. Il 22 l’ammiraglio Persano dichiarava ufficialmente il blocco definitivo del porto d’Ancona.

Il 23, onde appoggiare le operazioni dell’esercito, i legni della squadra cannoneggiarono vivamente le alture di Monte Pelago, Monte Pulito e il Gardetto. Rispose la piazza con s� gran furia che una pioggia di bombe e di palle cadeva incessantemente sopra le navi: il solo Curio Alberto ebbe 40 proiettili nel corpo del bastimento.

Tuttavolta le nostre perdite si limitarono ad un morto a bordo del Vittorio Emanuele, ed a cinque feriti fra le diverse navi: n� molto gravi furono le avarie negli scafi e nelle alberature. Ammirabile fu il contegno degli equipaggi, i quali, anzich� ad una pugna, sarebbesi credulo assistessero ad una festa, come dice la Gazzetta Ufficiale.

Il 24 a sera sette barcaccie della squadra armate in guerra, sotto il comando del capitano di corvetta, cavaliere Cernili, si avvicinarono al porto, rimorchiate dal Monzambano: misero in grande allarme la piazza, e cagionato non lieve danno alle difese del porto, si ritrassero sotto un fuoco violento. Fuvvi un solo ferito, il sottotenente di vascello, signor Carchidio.

Or tutti, dice la Gazzetta Ufficiale, a bordo della squadra reale, anelano al momento di venire all’azione decisiva, e a giudicarne dall’ardore che li anima, � certo che si copriranno di nuova gloria. Cos� la Gazzetta Ufficiale del 28 di settembre.

ALLOCUZIONE DEL SS. N. S. PER DIVINA PROVVIDENZA PIO PAPA IX

TENUTA NEL CONCISTORO SEGRETO DEL 28 SETTEMBRE 1860

(Pubblicato il 7 ottobre 1860).

Venerabili Fratelli,

Siamo nuovamente costretti, o Venerabili Fratelli, a deplorare con incredibile dolore o piuttosto angoscia dell’animo Nostro, ed a detestare i nuovi e fino 21 a questo d� inauditi attentati, commessi dal governo subalpino contro di Noi e di questa Sede Apostolica e della Chiesa cattolica. Questo governo, come sapete, abusando della vittoria che coll’aiuto di una grande e bellicosa nazione riport� da una funestissima guerra, dilatando per l’Italia il suo regno contro ogni di ritto divino ed umano, sommossi a ribellione i popoli e cacciati per somma ingiustizia dal loro dominio i legittimi Principi, invase ed usurp� con ardimento iniquissimo e al tutto sacrilego alcune provincie del Nostro Stato Pontificio nell’Emilia. Ora mentre tutto il mondo cattolico, rispondendo alle Nostre giustissime e gravissime querele, non cessa di gridare altamente contro quest’empia usurpazione, il medesimo governo determin� di impadronirsi delle altre provincie di questa S. Sede, poste nel Piceno, nell’Umbria e nel Patrimonio. Ma vedendo che i popoli di quelle provincie godevano perfetta tranquillit�, ed erano a Noi fedelmente congiunti, n� per danaro largamente profuso, n� con altre arti mal vage si potevano alienare e divellere dal civile dominio di questa Santa Sede; per questo scaten� sopra le stesse provincie non solo bande di uomini scellerati, che vi eccitassero turbolenze e sedizione, ma eziandio il suo numeroso esercito, che le medesime provincie con impeto di guerra e colla forza dell’armi soggiogasse.

Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, l’impudente lettera che il governo subalpino scrisse in difesa del suo latrocinio al Nostro Cardinale segretario di Stato, nella quale non ebbe onta di annunziare, aver esso dato ordine alle sue truppe di occupare le predette Nostre provincie, se non venissero licenziati gli stranieri arruolati al Nostro piccolo esercito, che del resto era stato raccolto per tutelare la tranquillit� dello Stato Pontificio e de’  suoi popoli. E non ignorate che le medesime provincie vennero invase dalle truppe subalpine quasi al tempo stesso che ricevevasi quella lettera.

Per fermo, niuno pu� non sentirai altamente commosso e preso da indignazione nel considerare le bugiarde accuse e le svariate calunnie e contumelie, colle quali l’anzidetto governo non si vergogna di coprire l’ostile ed empia sua aggressione, e d’investire il governo Nostro. E chi non si stupir� sommamente nel l’ascoltare che il Nostro governo viene ripreso per essersi al Nostro esercito ascritti degli stranieri, mentre tutti sanno non poterai negare a nessun legittimo governo il diritto di arruolar forestieri nelle proprie schiere? Il qual diritto con pi� forte ragione compete al governo Nostro e di questa Santa Sede; giacch� il Romano Pontefice, essendo Padre comune di tutti i cattolici, non pu� non accogliere volentierissimamente tutti quei suoi figliuoli, i quali mossi da spirito di religione vogliono militare nelle schiere Pontificie e concorrere cos� alla difesa della Chiesa. E qui crediamo opportuno di osservare, che questo concorso di cattolici stranieri fu specialmente provocato dall’improbit� di coloro che assalirono il civil Principato di questa Santa Sede. Imperocch� niuno ignora da quanta indignazione e da quanto tutto l’universo orbe cattolico venne commosso, tostoch� seppe che una cos� empia e cos� ingiusta aggressione era stata consumata contro il civile dominio di questa Sede Apostolica. Di che � avvenuto che moltissimi fedeli da varie regioni del mondo cristiano per proprio impulso e con somma alacrit� sono insieme volati ai Nostri pontificii possedimenti, ed hanno dato il loro nome alla nostra milizia, affine di difendere valorosamente i dritti Nostri e di questa Santa Sede. Con singolare malignit� poi il governo subalpino non si vergogna di dare con somma calunnia a questi nostri guerrieri la taccia di mercenarii, quando non pochi di essi, s� indigeni e s� stranieri, sono di nobile prosapia e cospicui per nome illustre di famiglia; e da solo amore di religione eccitati vollero, senza alcuno stipendio, militare nelle nostre schiere. N� � ignoto al subalpino governo con quanta fede ed integrit� il Nostro esercito si comporti, mentre esso sa benissimo essere riuscite vane tutte le frodolenti arti da lui adoperate per corrompere le Nostre milizie. N� poi ci � ragione di soffermarci a confutare l’accusa di ferocia data improbamente al Nostro esercito, senza che i detrattori potessero recarne in prova niuno argomento; che anzi una tale accusa giustamente pu� ritorcersi contro di loro, secondoch� manifestamente dimostrano i truculenti bandi dei generali di esso esercito subalpino.

Or qui conviene notare, come il Nostro governo punto non potesse sospettare di codesta ostile invasione; conciossiach� gli fosse dato per certo che le soldatesche del Piemonte avvicinavansi al nostro territorio non gi� per intendimento d’invaderlo, ma s� al contrario per tenerne lontane le masnade de’  sommovitori. Pertanto il supremo duce delle Nostre milizie non potea pur pensare di dover affrontare in battaglia l’esercito piemontese. Ma quando, fuor d’ogni aspettazione, essendosi le cose perversamente cangiate, conobbe lo irrompere nemico di quell’esercito, che certamente pel numero de’  combattenti e per la potenza dell’armi prevaleva moltissimo, tolse il provvido consiglio di ritirarsi in Ancona munita di fortezza, affinch� i Nostri soldati non fossero esposti a cos� facile pericolo di soccombere. Ma essendogli tagliato il passo dalle schiere del nemico, fu costretto di venire alle mani per aprirsi il varco a viva forza con tutti i suoi.

Del resto, mentre tributiamo le meritate e dovute laudi al mentovalo condottiero supremo delle nostre milizie ed ai loro capitani e soldati, i quali assaliti improvvisamente e stretti d’ogni parte dal nemico, sebbene di numero e di forze molto disuguali, pure combatterono fortemente per la causa di Dio, della Chiesa e di questa Sede Apostolica, e della giustizia; appena possiamo frenare il pianto, sapendo quanti valorosi soldati e principalmente elettissimi giovani, che con animo veramente religioso e nobile erano accorsi a difendere il civile Principato della Chiesa Romana, furono spenti in questa ingiusta e crudele invasione. Sommamente ancora ci commove il tutto che se ne sparge nelle loro famiglie; e volesse Iddio che Noi potessimo colle Nostre parole asciugare quelle loro lagrime! Ci confidiamo per� che debba tornare loro a non lieve consolazione e conforto l’onorevolissima menzione che degli estinti loro figliuoli e consanguinei Noi qui meritamente facciamo per l’esempio veramente splendido da loro dato con immortale gloria del loro nome, al mondo cristiano d’una esimia fedelt�, piet� ed amore verso di Noi e di questa Santa Sede. E certamente Ci confortiamo della speranza che tutti coloro, i quali incontrarono s� gloriosa morte per la causa della Chiesa, ottengano quella sempiterna pace e felicit� che loro pregammo e non cesseremo mai di pregare da Dio Ottimo Massimo. E qui ancora ricordiamo con i dovuti economii i Nostri diletti figliuoli Presidi delle provincie, e specialmente quelli della Urbinate e Pesarese, e della Spoletina, i quali in queste tristissime vicende dei tempi satisfecero al loro ufficio con sollecitudine e costanza.

E cos�, Venerabili Fratelli, chi mai potr� tollerare la insigne impudenza ed ipocrisia, con la quale gl’iniquissimi assalitori non dubitano di affermare nei loro bandi, che eglino entrano nelle Nostre provincie e nelle altre dell’Italia, affine di ristabilirvi i principii dell’ordine morale? E ci� senza vergogna si afferma da tali, che rompendo gi� da lungo tempo una ferissima guerra alla Chiesa Cattolica, a’  suoi Ministri, ed alle sue cose, e in nessun conto avendo le ecclesiastiche leggi e le censure, sono stati osi di gettare nelle prigioni Cardinali della S. R. C. e Vescovi specchiatissimi e uomini commendevolissimi dell’uno e dell’altro Clero, di cacciare da’  proprii claustri famiglie religiose, di sperperare i beni della Chiesa e di soqquadrare il civile Principato di questa Santa Sede. Appunto i principii dell’ordine morale si ristabiliranno da coloro che aprono pubbliche scuole di ogni falsa dottrina, ed ancora pubbliche case di prostituzione (1); che con abbominandi scritti e spettacoli teatrali si argomentano di offendere e sbandeggiare la verecondia, la pudicizia, l’onest� e la virt�, e di schernire e sprezzare i Misteri, i Sacramenti, i precetti, le instituzioni, i sacri ministri, i riti, le cerimonie sacrosante della nostra divina Religione, di togliere dal mondo ogni ragione di giustizia, e di scrollare e rovesciare le fondamenta s� della religione come della civile societ�!

Pertanto in questa cos� ingiusta, cos� ostile ed orrenda aggressione ed occupazione del civile principato Nostro e di questa Santa Sede, perpetrala dal Re Subalpino e dal governo di lui contro tutte le leggi della giustizia e l’universale diritto delle genti, ben memori del Nostro uffizio, in questo Vostro amplissimo consesso e alla presenza di tutto l’orbe cattolico, di nuovo alziamo con veemenza la Nostra voce, e riproviamo e onninamente condanniamo tutti i nefandi e sacrileghi attentali del medesimo Re e Governo, e ne dichiariamo e decretiamo interamente nulli ed irriti tutti gli atti, e con tutta la possa ci richiamiamo e non mai cesseremo di richiamarci per l’integrit� del civile Principato che possiede la Romana Chiesa e pe’ diritti suoi che a tutti i cattolici appartengono.

Peraltro non possiamo dissimulare, Venerabili Fratelli, che Noi ci sentiamo opprimere da somma amarezza, perci� che in una aggressione tanto scellerata e da non mai esecrarsi abbastanza, per cagione di varie difficolt� insorte, ancora ci vediamo privi dell’altrui soccorso. Notissime a Voi sono per verit� le iterate dichiarazioni fatte a Noi da uno dei pi� potenti Principi dell’Europa. Con tutto ci�, mentre gi� da un pezzo ne aspettiamo l’effetto, non possiamo non affliggerci e turbarci altamente in mirare che gli autori ed i fautori della nefanda usurpazione, con audacia ed isolenza persistono e progrediscono nel malvagio loro proponimento, quasi di certo confidino che niuno si opporr� loro effettivamente.

(1) Il ministro dell’interno del Piemonte, sotto la data del 20 di luglio 1855, ha visto ed approvato le istruzioni relative alla prostituzione, e il 1� di gennaio 1857 approv� un regolamento sulla prostituzione della citt� di Torino. Il Diritto lagnossi altamente dell’immoralit� del regolamento, il Courier des Alpes sfolgor� lo stabilimento in Savoia delle case di prostituzione, malgrado la querela dei cittadini onesti di Ciamber�; e quel tribunale di prima cognizione, con sentenza del 31 di luglio 1857, ripar� allo scandalo ministeriale. Vedi ci� che fu scritto intorno a ci� dal conte Solaro della margherita nel suo Discorso secondo alla Nazione, pag. 6, e dall’Armonia nel N� 249 del 29 di ottobre 1857 (Nota della Redax. ).

E questa perversit� � giunta a tal segno, che, spinte le forze ostili dell’esercito piemontese fin quasi sotto le mura di quest’alma nostra citt�, � rimasta intralciata ogni comunicazione, i pubblici e i privati interessi sono posti a pericolo, sono interchiuse le vie, c, ci� che � gravissimo, i) Sommo Pontefice di tutta la Chiesa � ridotto in una penosa difficolt� di provvedere, secondoch� conviene, ai negozii della Chiesa medesima, stantech� si � oltremodo ristretta la via di comunicare con le varie parti dell’orbe. Per lo che in tante Nostre angustie, ed in cos� grande estremo di cose, facilmente intendete, Venerabili Fratelli, che Noi oramai siamo spinti quasi da una trista necessit� a dovere, ancorch� mal nostro grado, prendere consiglio opportuno per guarentire la Nostra dignit�.

Frattanto non possiamo astenerci dal deplorare, oltre agli altri, quel funesto e pernicioso principio, che chiamano di Non Intervento, da certi governi poco tempo fa, tollerandolo gli altri, proclamato ed usato ancora quando si tratti dell’ingiusta aggressione di qualche governo contro un altro: cotalch� par che s� voglia onestare, contro le umane e divine leggi, una tal come impunit� e licenza di assalire e manomettere gli altrui diritti, le propriet� e i dominii stessi, conforme vediamo accadere in questa et� luttuosa. Ed � veramente cosa da stupire, che al solo governo piemontese sia lecito di violare impunemente un tal principio e di averlo in ispregio, mentre scorgiamo che esso con le ostili sue schiere, guardandolo tutta Europa, negli altrui dominii irrompe, e da quelli caccia i legittimi Principi: dal che segue la perniciosa assurdit�, che l’intervento altrui si ammetta allora solo che si deve eccitare e favorire la ribellione.

Quindi ci � offerta opportuna occasione di eccitare tutti i Principi d’Europa, affinch� con tutta la sperimentata gravit� e sapienza dello loro menti prendano seriamente a considerare quali e quanti mali siano accumulati nel detestabile fatto di cui parliamo. Imperocch� si tratta di un’immane violazione, che nequitosamente fu commessa contro il comune diritto delle genti, sicch�, dove questa non sia al tutto repressa, oggimai non potr� durar saldo, inconcusso e sicuro qualsiasi legittimo diritto. Trattasi del principio di ribellione, a cui il governo subalpino vergognosamente serve, e dal quale � facile ad intendere quanto pericolo di giorno in giorno si prepari a qualsiasi governo, e quanto danuo provenga a tutta la societ� civile, aprendosi per tal modo l’adito ad un fatale comunismo. Trattasi di solenni convenzioni violate, le quali come degli altri Principati in Europa, cosi ancora vogliono intatta e secura l’integrit� del dominio pontificio. Trattasi della violenta distruzione di quel Principato, che per singolare consiglio della divina Provvidenza fu dato al Romano Pontefice, perch� esercitasse con pienissima libert� l’Apostolico suo Ministero in tutta la Chiesa. La quale libert� senza dubbio deve stare sommamente a cuore di tutti i Principi, affinch� il Pontefice stesso non soggiaccia all’impulso di veruna podest� civile, e sia cosi ugualmente provveduto alla spirituale tranquillit� dei cattolici che vivono nei dominii dei medesimi Principi.

Debbono pertanto tutti i Principi sovrani essere persuasi che la nostra causa � intimamente congiunta con la loro, e che essi, recandoci il loro soccorso, provvederanno non meno alla salvezza dei loro che dei Nostri diritti. Perci� con somma fiducia li esortiamo e li scongiuriamo che ci vogliano porgere aiuto, ciascuno secondo la sua condizione ed opportunit�. Non dubitiamo poi che massimamente i Principi e popoli cattolici non abbiano a congiungere con ogni ardore le cure e l’opera loro per affrettare di soccorrerci in tutti i modi, e proteggere e difendere, conforme al comune loro dovere, il Padre ed il Pastore di tutto il gregge cristiano oppugnato dalle armi parricide d’un figliuolo degenere.

Siccome poi anzitutto sapete, Venerabili Fratelli, clic ogni nostra speranza � da collocarsi in Dio, il quale ci � aiutatore e rifugio nelle tribolazioni Nostre; il quale ferisce e medica, percuote e sana, mortifica e vivifica, conduce agli abissi ed indi ne ritorna alla luce; cos� in ogni fede ed umilt� del cuor Nostro non tralasciamo di spargere continue e ferventissime orazioni a Lui, valendoci primieramente dell’efficacissimo patrocinio (dell’Immacolata e Santissima Vergine Maria madre di Dio e del suffragio dei Beati Pietro e Paolo, affinch� usando la potenza del suo braccio conquida la superbia dei nemici suoi, ed espugni i Nostri impugnatori, ed umilii ed abbatta tutti gli avversarli della sua santa Chiesa; e con l’onnipossente virt� della sua grazia faccia che i cuori di tutti i prevaricatori rinsaviscano, e che della loro desideratissima conversione la santa Madre Chiesa quanto prima si rallegri.

fonte

https://nazionali.org/ne/stampa2s/02_1864_vol_01C_margotti_memorie_storia_nostri_tempi_dodici_2013.html#Angelis

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