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Napoleone ordinò: «Saccheggiate Pavia»

Posted by on Mag 19, 2022

Napoleone ordinò: «Saccheggiate Pavia»

La razzìa del 25 maggio 1796 nella ricostruzione degli storici e al centro del tour guidato della onlus Oltre Confine 

Combatteva nel nome degli ideali di “libertà, uguaglianza, fraternità” e in difesa della repubblica nata dalla rivoluzione, ma quando si trattava di picchiar duro, Napoleone Bonaparte – che era innanzitutto un militare – non andava troppo per il sottile. Così, il 25 maggio 1796, nel lasciare il collegio Caccia (in quello che oggi è viale Matteotti) dove aveva alloggiato dopo l’arrivo a Pavia, durante la sua prima, trionfale campagna d’Italia, non esitò a dare ordine ai suoi soldati di saccheggiare la città. Un evento, nel duecentesimo anniversario della morte del Grande Corso (spirato il 5 maggio 1821 a Sant’Elena, l’isoletta nel nulla dell’Oceano Atlantico dove lo avevano esiliato gli inglesi dopo Waterloo) ricostruito con dovizia di dettagli dagli storici – basti pensare ai libri di Luigi Casali, come sempre ben documentati, da «Pavia assediata» a «Napoleone anche a Pavia»

«Ci ritroveremo in piazza Duomo, dove c’è la statua del Regisole, odiato simbolo dell’Ancien regime e della tirannia regia abbattuto dai rivoluzionari giacobini – spiega la guida Antonio Ramaioli – la statua odierna è una copia realizzata da Francesco Messina, famosa bronzista milanese degli anni Trenta del Novecento». Al suo posto venne innalzato l’Albero della libertà, ma la demolizione della statua e altri atti iconoclasti del periodo rivoluzionario, «furono deprecati dall’abate Henry Gregoire, che alla Convenzione coniò il termine vandalismo per descriverli, prendendo spunto dalle distruzioni provocate dalle incursioni dei Vandali nel V e VI secolo». Le tappe successive saranno l’edificio dell’Università, in Strada Nuova, «che Napoleone volle fosse risparmiato», e il Castello Visconteo. Il Piccolo Caporale diede invece mano libera ai suoi soldati nei confronti delle abitazioni private e dei negozi: a fare gola erano non solo gli oggetti preziosi, ma anche scarpe e tessuti. Dopo mesi di marce e di battaglie, l’armata transalpina era ormai pressoche scalza e vestita di stracci, e cercava di tutto per rivestirsi e avere qualcosa da mettersi ai piedi.

Non ci sono riscontri in merito ad atti di violenza sulle donne e sui civili, ma il saccheggio (preceduto dall’assedio e dalla devastazione della ribelle Binasco) suscitò comunque una profonda impressione nei pavesi dell’epoca. I cronisti coevi descrissero Napoleone, ricevuto dal vescovo e dalla municipalità, come «visibilmente infuriato»; la sera del 25 maggio, dopo i colloqui con le autorità cittadine, il generale se ne andò da Pavia diretto a Certosa, mentre le sue truppe si scatenavano. Carlo Gentile, autodidatta, distributore di libri alla Biblioteca Universitaria e segretario del Teatro Grande (il Fraschini), morto ultranovantenne nel 1853, scrisse che «sembrava l’inferno aperto, si desiderava il momento della luce del giorno da una parte di udivano dall’altra pianti, gridi, si sentiva rompere a colpi di scure e martello gli Armarj, i Burrò (…). Chi schioppettava nelle finestre e negli usci per paventarne di più, chi s’inciampava ne’ morti che si ritrovavano per istrada, chi ricercava di dormire, chi da mangiare e da bere, per il che la maggior parte de’ Francesi erano ubbriachi. Vicino alla mia casa si ritrovava un mercante di vino con le chiavi della cantina ancora in mano, questo fu ucciso e poi lo spogliarono e gli misero in dosso un paramento da morto». Non meno tenero, due anni più tardi, sarà Gentile con i russi, che durante l’avventura napoleonica in Egitto avevano scacciato i francesi dall’Italia: «2 maggio 1798. Questa mattina arrivò uno squadrone di russi a cavallo. Facevano terrore a vederli, ma quel che è peggio è che rubbano come tanti ladri ed anche nelle strade pubbliche, a chi il cappello, il mantello, l’orologio, i fazzoletti». Del successivo ritorno francese, nel 1800, Gentile colse acutamente la scomparsa della simbologia rivoluzionaria, dall’albero della libertà alla coccarda tricolore (testi nei fondi dell’Archivio civico comunale). Il filoaustriaco Vincenzo Favalli, morto poco dopo la Restaurazione del 1814-15, osservò, a proposito del saccheggio, che «non si può narrare, nè descrivere la desolazione di Pavia in simil momento…». Ovvia la sua gioia al giungere degli austro-russi il 30 aprile 1798 e il giubilo alla definitiva partenza dei francesi da Pavia, il 29 aprile 1814, dopo la disfatta della Grande Armee in Russia e la sconfitta dell’imperatore a Lipsia, nella “Battaglia delle Nazioni”.—

fonte

https://laprovinciapavese.gelocal.it/tempo-libero/2021/05/21/news/napoleone-ordino-saccheggiate-pavia-1.40300433

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