Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

“GIUSTIZIA FU FATTA” contro Pontelandolfo e Casalduni

Posted by on Lug 8, 2022

“GIUSTIZIA FU FATTA” contro Pontelandolfo e Casalduni

A mezzo agosto i giornali stamparono la statistica delle vittime nel Napolitano in nove mesi; noveravano 8968 fucilati, 10604 feriti, 6112 prigionieri, 64 sacerdoti fucilati, 22 frati, 918 case arse, sei paesi dati in foco, 2903 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 60 ragazzi è 48 donne uccise, 13529 arrestati, 1428 comuni sollevati.

Li noto per dire la opinione d’allora, ma computo non giusto era; potevano i giornali sapere tutto? la rivoluzione ora copriva, ora esagerava; delitti assassinii videro il sole e le stelle, Iddio li ha contati. E s’era in principio; e mentre dai monti si cercavano, ardevano Pontelandolfo e Casalduni, di cui or mi tocca dire la tragedia nefanda. Terre a tre miglia l’una dall’altra, quella ha cinquemila abitanti, questa tremila, ambe a mezzodì del Matese sulla sannitica strada. Erano mali umori nel paese, pieni i monti di reazionarii, i popolani guatavano bieco i novatori, odiavano i Piemontesi. Un Fusco di Casalduni, chiesto dal municipio a presentare il figlio soldato, rispose: “Giova morire per Dio e pel re, meglio fucilato sugli occhi miei, che servire Emmanuele“. Molti sparivano dalle case; si sussurrava di reazione, gli animi si gonfiavano. Arrivava il 1° agosto a Pontelandolfo il De Marco garibaldino stampatosi colonnello, con una masnada; ma il 5 (agosto), udendo i briganti minacciosi sul Matese, se ne andò; e appresso a lui fuggirono i liberali, il sindaco il delegato di polizia, i capitani, i tenenti; restò il giudice e i cittadini pacifici a discrezione di chi venisse, appunto in quel di’ della fiera di S. Donato, quando più forza occorreva. Il delegato, fermatosi a Casalduni, rattiene cinquanta guardie mobili che da Benevento andavano a Cerreto, e li alloggia in una chiesa, non per bisogno, ma per isfregio. Se non che l’intendente di Cerreto volle a sé quei cinquanta; allora il delegato co’ liberali a’ 7 agosto si fuggi’ a Benevento; restava solo il sindaco Luigi Ursini, per non abbandonare la patria in perigliosi momenti. Sul vespro del 7 un Cosmo Giordano con solo quindici uomini entra in Pontelandolfo, gridando Francesco: era fiera, gran popolo, grand’ire represse; scoppia com’eco immensa Viva Francesco II; e al clero ch’era in processione alla cappella S. Donato, fanno cantare il Te Deum. Il popolo mena le campane a stormo, abbatte le croci sabaude, alza i gigli, arde gli archivii del giudicato e del comune, piglia l’arme de’ Nazionali, straccia le bandiere, apre le carceri, e fa tre omicidii: un Vitale colpito per isbaglio da una palla diretta allo stemma, un Tedeschi di S. Lupo, creduto spia, e un Michelangelo Perugini, liberaluccio, cui arsero anche la casa. Alle case di tre italianissimi, IadonisioMelchiorre e Sforza, tolsero qualche mobile, senza più. La dimane schiusero il fondaco del sale al Iadonisio; ma poco sale e tabacco, e niente moneta si trovò, ché l’avea salvata; nondimeno dappoi pretese ed ebbe compenso come di pieno saccheggio. I tornanti dalla fiera la sera del 7 appiccano quella febbre a Casalduni: si grida Francesco e Sofia, s’impongono lumi e bandiere bianche a tutte case; vanno a pezzi le immagini di Vittorio e Garibaldi, e gli stemmi sardi; quei de’ Borboni ripongono. IL sindaco e un tenente de Blasio chiamano i Nazionali, niuno si presenta, tutti erano reazionarii; però fidaronsi a’ soldati del disciolto esercito, acciò l’ordine tutelassero. La notte i giovani chiedevano arme, crebbero al mattino; s’ebbero sei fucili, e preseli un Filippo Corbo dicentesi capo; ma i tumultuanti, strappatigli, corsero incontro a nuova turba, che menava un De Angelis carbonaro del 1820 e Garibaldino, e ad altra gente de’ villaggi con rami d’ulivo gridante Francesco. Il sindaco die’ a un Giuseppe Leone, ex sergente borboniano, il carico di tenere la quiete; il quale con la riverita divisa, ubbidendogli la plebe, ottenne anche la libertà del Garibaldino. Ma costui fuggendo per Fragneto Monforte, caduto in altri reazionarii, peri’. In Fragneto-Monforte e Campolattaro, paeselli propinqui, pure si reagiva. Qui andò depredata qualche casa liberalesca; là 1′ 8 agosto entravano venti soldati sbandati, che col popolo ruppero stemmi e bandiere, tolsero l’arme de’ Nazionali, e qualcosa a’ liberali rapirono… A’ 10 cantarono il Te Deum, arsero la scheda di notar Nardone, e ‘l mobile d’un D’Agostino, cavaliero borbonico, tramutato piemontista. Cosmo Giordano, il 9, svaligiata la posta, ne prese i cavalli; e rientrato in Pontelandolfo, agguantò un Libero d’Occhio, corriero segreto de’ Garibaldini De Marco e Iadonisio, e lo fucilò. I suoi si fornivano d’arme, munizioni, vestiti e danari, chiedendone a’ possidenti de’ dintorni. In Casalduni il Leone, tenuto dal sindaco a soldo, serbò l’ordine un po’ meglio. Se le bande del Matese scendevano, movevano tutta la provincia; ma spartite; guardando al poco e al presente, niente fecero; eccetto che il 10 s’accostarono in pochi a S. Lupo; e trovatovi i Sardi barricati, dopo alquanti colpi, se n’andarono. Era là il Iacobelli, fatto cavaliero da re Ferdinando, per aver nel 48 guidato i soldati regi contro i rivoltosi suoi colleghi; ora guidatore di soldati piemontesi. Stato di tutte bandiere, aveva ottenuto il comando de’ Nazionali del distretto; ma con quell’ordine di carta, non trovato i Nazionali, si stava serrato, aspettando i soldati stranieri.

Morte agli scomunicati!

L’11 giunsero da Campobasso a Pontelandolfo quarant’uomini del 36° di linea; con un tenente Bracci e quattro carabinieri. Uno spedato fu tosto ucciso da’ popolani a legnate; gli altri spaventati, avute munizioni dal vicesindaco, serraronsi nella torre ex baronale posta in alto, donde potevano far difesa; ma come assaliti le palle entravano dentro, il tenente volle uscire. Investiti a furore di popolo, piegano a S. Lupo; e trovano sbarrata la via da’ Napolitani sbandati, con a capo un Angelo Pica. Stando tra due fuochi, prima ne cadde uno, ucciso da una donna con un sasso in fronte; cinque perirono per moschettate; gli altri rabbiosi accopparono per vendetta il loro tenente ch’aveali cavati dalla torre; poi fur facile preda dei Napolitani; che menaronli disarmati a Casalduni tutti, fuorché un sergente rimasto celato da una fratta. Il popolo gridava Morte agli scomunicati! E un Nicola Romano, vicesindaco, ch’avea fatto l’imbroglio del plebiscito per Vittorio, temendo ora pagare pena, si sfegatava a gridare con gli altri morte, morte! onde dappoi andò fucilato, bel frutto del suo plebiscito. Il Pica comandante tutta la gente volea salvare i prigionieri; e a sera, visto Casalduni stare in valle, disadatta a difesa, volgea a Pontelandolfo; quando udendo soldatesche da S. Lupo, retrocesse al largo Spinelle. Preparandosi a zuffa imminente, temé i prigionieri l’impacciassero, come pochi dì prima a Colle certi salvati generosamente s’erano rivoltati contro; e tantosto tutti e trentasette li fucilò. Indi per la scorciatoia a Pontelandolfo si ridusse. La plebe finì quei moribondi, e pure v’accorse qualche sacerdote a confortarne l’agonie. Il sergente ascoso nelle fratte, scoperto da quei di Ponte, fu menato a sera a Pontelandolfo; e sacramentando non combatterebbe più contro Francesco, a tal patto ebbe la vita. Cosi’ fu il solo salvato, e non tenne fede. Le bande là radunate, sospettando del Pica, ch’aveano saputo facesse fuggire i liberali, lo deposero; poi garrirono pel comando: chi vuole Cosmo Giordano, chi il Leone, ambi ex sergenti; questi è ferito, e si ritira, quegli resta; ma i più scontenti si vanno diradando, e ritraggonsi al Matese. A Casalduni per sicura nuova di soldati marcianti, niuno riposò; cittadini d’ogni ordine, età e sesso fuggirono; pochissimi nell’innocenza fidando, stettero; ma Pontelandolfo, niente sapendo, fu colto. Sull’alba del 14 arriva da Benevento un colonnello Negri con cinquecento non soldati, ma assassini, guidati da due liberali del luogo e dal De Marco. La banda Giordano ridotta a cinquanta, appiattata in un boschetto, alla prima scarica uccide venticinque Sardi; poi, scorto il numero grande, s’allontanò. Il Negri aveva il debito d’inseguire a vendetta quelli armati e pugnaci, ma codardamente tirò al paese inerme e innocuo, più facile impresa. Gli abitatori dormivano; il De Marco a salvare i liberali si ficca nel palazzotto di Giovanni Perugino, e manda uffiziali in quel del Iadonisio; i soldati si gittano per le case. L’ora mattutina, la nudità, il letto, il sonno, lo spavento, faciltà ad esca ai delitti: stupri orrendi, saccheggi sozzi, arsioni infami. Due figlioli innocenti d’un Rinaldi ammazzano nelle domestiche mura, avanti a’ genitori; una Concetta Biondi, vezzosa giovanetta, uccidono; fucilano un Nicola Biondi sessagenano; a un Giuseppe Santopietro strappano dalle braccia il fantolino, e lui freddano; e mentre sforzano una donna, e pur dalle orecchie le strappano l’anella, accorrendo il marito, lo stendono morto. Chi dirà lo spavento tra la morte e le fiamme di quella città infelice, bruttata da italici rigeneratori! Impotenti contro i Tedeschi, contro inermi son prodi. Profanate, saccheggiate le chiese, gittano l’ostie sante, rubano le pissidi, i voti argentei, e sin la corona della Madonna. Due de’ manigoldi, al misfatto credono il tempio crolli, e fuggono esterrefatti; dopo due settimane uno torna, si fa la disciplina avanti la sfregiata statua, e lagrimando s’incolpa e chiede perdono, dicendo il compagno derubatore della pisside esser morto. Durato due ore il sacco e l’uccisione, il Negri, a nascondere sue perdite, arse avanti la cappella S. Rocco i venticinque cadaveri de’ suoi uccisi; poi temendo esser sorpreso da’ tornanti reazionarii, voltò col bottino per Fragneto a Benevento. Ciò fu salute; ché la popolazione corse a estinguere gl’incendii; ma le case degli assenti dentro e fuori la terra arsero tutte.

Ugual ruina a Casalduni

All’ora stessa quattrocento Piemontesi da S. Lupo con seguito di mascalzoni guidati da quel tristo del Jacobelli, credendo sorprendere la popolazione, entrarono da più parti in Casalduni, sparando all’aria, spaventando quei pochi di vecchi e donne e fanciulli rimasti. Un Tommaso Lucente da Sepino, adottato da un Mazzarella ricco, stato blandito da’ Borboni, ingrato pur contro il paese della sua fortuna, precedeva i soldati, indicando le case da ardere, prima quella del sindaco Ursini. In ogni parte sacco, lascivia, incendii; nudi i cittadini fuggivano dalle fiamme; chi bastonato era, chi ammazzato. Un Lorenzo d’Urso, là venuto per faccende, fattosi sull’uscio a salutare i soldati, è spento; e poi la casa col cadavere son arsi. Il vecchio arciprete fugge in camicia, e ne more indi a poco. Un malato, rizzandosi sul letto per ispavento, è ucciso. Ugual ruina che a Pontelandolfo, ma meno sangue; perché quasi deserto il luogo, e più pochi gli assassini. E similmente dopo tre ore i bravi incendiarii, temendo tornassero i Briganti, retrocessero abbottinati a S. Lupo; onde del pari i cittadini poterono lavorare a spegnere il foco. Dappoi per più di’ i saccheggiatori co’ carri impudentemente per quei paeselli e per la città di Benevento andavan le rubate cose, e pur gli arredi sacri, vendendo. Ma in quel funesto giorno 14, da tutte bande, per boschi e valli, fuggivano famiglie a centinaia col più prezioso: bambini lattanti, vecchi sfiniti, pallidi, malati, gittati per vie strane e fuor di mano, mancare di vesti, di scarpe, di pane; persone tenere e gentili, i pie’ nudi nella polvere, sulle ghiaie, nel loto, cadere estenuati per fatica o pel sole scottante; vedere le fiamme dell’avite case, udire i gemiti degli arsi, le schioppettate de’ fucilatori; invocare la Madonna, fuggire tremebondi; né sapere dove, da tanti manigoldi, da tanti insaziabili liberali stranieri e paesani, che tal rovescio di mali sulla patria evocato, vi rinnovavano dopo mille anni le dimenticate orge saracine. Né per via riposavano; ove apparisse soldato allibivano, ove scorgessero gli orribili Nazionali, spie e guidatori di stranieri, si tenevano morti; sovente entrando in qualche terra, sperando refrigerio, trovavano offese e carceri. L’Ursini sindaco di Casalduni, carco di donne e fanciulli, allenato per lungo cammino, entrando sull’imbrunire in Benevento, è carzione. La dimane quei trionfatori d’inoffensive mura nunziavano con cinico laconismo per telegrafo al mondo: “Ieri all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni“. E la trista Europa guardava. L’altro dì i reazionarii tornarono in Casalduni arso; e celebrarono la festa di S. Rocco, senza far male a nessuno; né i Piemontesi, stanti a S. Lupo a un passo, osarono assalirli. Quando se n’erano iti, dopo alquanti dì tornarono Piemontesi, guardie mobili e liberali, col sergente lasciato. vivo dai briganti; il quale pagava la generosità indicando i cittadini da ligare. Ne presero oltre a quattrocento tra Pontelandolfo, Casalduni e Campolattaro; alcuni fùcilarono, altri straziarono, altri tennero in prigione tre anni.

Giacinto De’ SivoStoria delle due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste, 1868).

Piemontisi, Briganti e Maccaroni” Guida Editore, Napoli, 1975

 Ludovico Greco

fonte

http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Casalduni.htm#giustizia

1 Comment

  1. Quante atrocita’… non si riuscirebbero neppure a immaginare se non fossero vere!… e cosi’ sarebbe stata fatta l’Italia?… quella che ci troviamo oggi e ci chiamerebbero spesso a celebrare?!.. poveri noi! Per fortuna siamo altro! Ricordiamocelo! caterina

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