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IL 1799 Ideali ed eventi nel Salernitano (IX) intervento di Roberto  de Mattei

Posted by on Lug 12, 2022

IL 1799 Ideali ed eventi nel Salernitano (IX) intervento di  Roberto  de Mattei

IL CARDINAL RUFFO NEL GIUDIZIO DELLA STORIOGRAFIA MODERNA E CONTEMPORANEA

I sei mesi che intercorrono tra la fine di gennaio del 1799 e l’inizio di luglio dello stesso anno, costituiscono un mo­mento decisivo nella storia del Regno di Napoli, ma se­gnano anche la fase saliente della vita di Fabrizio Ruffo (1744-1827) nato dei duchi di Baranello, cardinale di Santa Romana Chiesa nell’ordine dei diaconi[1].

La vita del Ruffo, che pure aveva ricoperto importanti responsabilità amministrative nello Stato Pontificio, esce per così dire dalla penombra storica e si arresta alla soglia della leggenda quando, all’indomani della proclamazione della Repubblica Napoletana, Ferdinando IV di Borbone lo nomina suo vicario e gli affida la riconquista del Regno di Napoli. Alla testa dell’Armata Reale Cristiana, il cardinale condottiero riconquista il regno e lo restituisce al suo legittimo sovrano; eppure, malgrado la straordinaria impresa di cui è artefice, non è il suo nome ad entrare nell’epopea[2], ma quello della parte da lui sconfitta, i vinti del ’99, coronati dall’aureola del martirio, in seguito alla violazione della capitolazione stipulata con essi dal Ruffo.

Di qui l’importanza della capitolazione, per far luce sulla figura del Ruffo e sugli avvenimenti che nel 1799 videro lo scontro decisivo tra Rivoluzione e Contro Rivoluzione nel Regno di Napoli. Gli studiosi che si sono interessati di questo episodio chiave non sempre ne hanno tratto le dovute conseguenze sul piano del giudizio sul personaggio. È quanto mi propongo di fare, attraverso una ricostruzione del fatto storico inserita all’interno del dibattito storiografico sviluppatosi tra il XIX e il XX secolo.

Il  giudizio storiografico sul cardinal Ruffo tra il XIX e il XX secolo

Un primo gruppo di opere storiche relative al cardinal Ruffo e alla sua impresa sono quelle a lui coeve, date alle stampe a Napoli tra il 1799 e il 1801 non da storici di professione, ma da protagonisti degli avvenimenti.

Nel 1799, il padre Antonino Cimbalo, domenicano che probabilmente partecipò alla spedizione del Ruffo, pubblicò il primo Itinerario[3] dell’impresa; l’anno successivo, 1800, l’arciprete Francesco Apa, ispettore commissario ossia “vivandiere” della spedizione, diede alle stampe un Breve dettaglio[4] degli avvenimenti; nel 1801 il tenente colonnello Domenico Leopoldo Petromasi uno dei primi cinque seguaci del Ruffo, da cui era stato nominato commissario di guerra dell”‘Armata Cristiana e Reale” scrisse la Storia[5] della spedizione e delle altre insorgenze scoppiate nel regno. Il tono di queste opere, è indubbiamente agiografico, ma sostanzialmente equilibrato. Esse continuano a costituire ancor oggi una indispensabile fonte di prima mano per l’esatta ricostruzione degli avvenimenti.

Testimoni diretti degli avvenimenti ma su sponde opposte, furono Vincenzo Cuoco, che nell’esilio milanese compose il suo celebre Saggio storico[6] e Pietro Colletta, autore di quella Storia del Reame di Napoli[7] che ebbe altrettanta fortuna dell’opera del Cuoco. Anche queste opere come le precedenti, al di là del valore, possono essere de­ finite di parte, l’immagine che ne viene tracciata del Ruffo non è quella dell’eroico condottiero, ma, secondo le parole spregiative del Cuoco, del “generale dei banditi, capo di un esercito di galeotti e malfattori evasi”[8].

Il successo delle opere del Cuoco e del Colletta, a cui si può aggiungere la Storia d’ltalia[9] di Carlo Botta, pubbli­cata a Parigi nel 1824, costrinse gli storici di parte borbo­nica a rompere il silenzio imposto loro da Ferdinando IV il quale, come osserva Silvio Vitale, “avrebbe voluto stendere “il velo dell’oblio” su una vicenda che, seppur vittoriosa, considerava legata agli eccessi di una guerra fratricida e il cui ricordo, a suo avviso, non avrebbe fatto altro che rinfocolare rancori nefasti”[10].

Scesero in campo il principe di Canosa che nel 1834 pubblicò la Epistola ovvero riflessioni critiche sulla mo­derna storia del reame di Napoli del generale Pietro Colletta[11]; l’abate Domenico Sacchinelli, già segretario del porporato, con le sue Memorie storiche sulla vita del cardi­nale Fabrizio Ruffo[12]; Andrea Cacciatore, che nel 1850 pubblicò un Esame della storia del Reame di Napoli di Pietro Colletta dal 1794 al 1825[13].

Queste opere costituiscono una fonte storica di parte contro-rivoluzionaria più valida di quelle del Cimbalo e del Petromasi proprio perché scritte dopo le opere di Cuoco, Botta e Colletta, con l’intento di confutarle e costrette quindi a discutere e a documentare fonti e argomenti.

Storico al di sopra delle parti, non solo per nazionalità, ma per un’impostazione ideologica né liberale né contro-rivoluzionaria, anche se certamente cattolica e conserva­trice, può essere definito l’austriaco Joseph Alexander von Helfert al quale si deve nel 1882 una biografia dedicata a Fabrizio Ruffo[14], che costituisce a tutt’oggi la migliore opera sul cardinale e sulla fine della Repubblica napoletana del 1799.

Quando in occasione del primo centenario della Re­ pubblica partenopea, il giovane Benedetto Croce, segretario della Società napoletana di storia patria, inizia i suoi studi sulla Rivoluzione del ’99[15], è costretto a tener conto non solo dell’opera di Helfert, ma anche dei molti documenti pubblicati alla fine del secolo XIX in particolare le lettere di Maria Carolina e di re Ferdinando, pubblicate da Alessan­dro Dumas nel volume di Documenti che si accompagna ai primi quattro volumi della sua opera/ Borboni di Napoli[16] e nello stesso volume (pp. 217-280) quelle di re Ferdi­nando; il Carteggio[17] di Maria Carolina con Lady Hamilton pubblicato da Raffaele Palumbo nel 187]; il carteggio del cardinal Ruffo con l’Acton dal gennaio al giugno del 1799, edito da Benedetto Maresca nel 1883[18]; il diario del cavaliere Antonio Micheroux, edito dallo stesso Maresca[19]. A cavallo dei due secoli, vengono pubblicati poi due imporanti studi sullo specifico episodio della capitolazione: quello dello storico torinese Francesco Lemmi, su Nelson, Caracciolo e la Repubblica napoletana[20]; l’altro, del bri­tannico F. P. Badham su Nelson e Ruffo[21] che si inserisce in un filone di studi di fonte inglese dedicati principalmente a chiarire il ruolo di Orazio Nelson e degli Hamilton, Sir William e Lady Emma, nella vicenda[22].

Il punto di riferimento di Croce, malgrado i nuovi documenti resta, per quanto riguarda i giudizi l’opera di Cuoco. Il Saggio storico costituisce però non solo la base dell’interpretazione crociana, ma anche quella di una lettura alternativa degli avvenimenti del ’99 in chiave liberalnazionalista proposta negli stessi anni dalla scuola di Gioacchino Volpe e di Niccolò Rodolico, a questa scuola si richiamano il volume di Giacomo Lumbrosò sui moti popolari contro i Francesi alla fine del secolo XVIII[23] e  le  opere  più specificatamente dedicate al Ruffo da Anonio Manes[24], Alberto Consiglio[25], Massimo Lelj[26], utili ma improntate talvolta a criteri di divulgazione più che di scientificità.

Questo filone storiografico vede nei moti popolari contro i francesi i prodromi del Risorgimento italiano e trasforma lo scontro ideologico tra giacobini e antigiacobini in scontro di interessi nazionali tra francesi ed inglesi per pervenire al predominio sulla penisola. Tra questi due poli di interessi stranieri attorno ai quali si raggruppano le forze del Regno di Napoli nel 1799, il Ruffo appare, come scrive Antonio Manes, come la sola individualità capace di interpretare i sentimenti delle popolazioni meridionali, “l’unica figura in piedi in tutto quel periodo di sfiducia, di esaltazioni, di eccessi, di follie”[27].

La ricorrenza del bicentenario della conquista napoleonica e del triennio giacobino ha visto comparire nuovi lavori sulle insorgenze; accanto alla storiografia ufficiale post­marxista, in cui si avvertono segnali di rinnovamento[28], si sta sviluppando un filone di ricerca di estrazione soprattutto cattolica che, al di fuori degli schemi accademici, ha il merito di aver sottoposto a una seria revisione critica l’antica mitologia giacobina[29].

Il Regno di Napoli tra gennaio e luglio 1799

All’indomani della costituzione della Repubblica napole­tana, il re Ferdinando IV con diploma del 25 gennaio decide di affidare al Cardinal Fabrizio Ruffo “la cura ed importante commissione di assumere la difesa di quella parte del Regno non ancora invasa dai disordini”[30]E poiché il re suppone che non vi siano forze militari disponibili, raccomanda al Cardinale “di eccitare ogni mezzo ed ogni maggiore energia perché si organizzi un corpo militare qua­lunque, sia composto esso di soldati fuggiaschi o disertori che in patria riacquistassero il coraggio e l’animo, oppure sia di quei buoni e ben pensanti abitanti, che le sacre ragioni e l’onore nazionale possano indurre a prendere efficacemente le armi”[31]

A questo fine il sovrano nomina il cardinal Fabrizio Ruffo Vicario generale, con pieni poteri, affidandogli il compito della liberazione del Regno di Napoli dagli invasori francesi più precisamente della liberazione della parte continentale di detto Reame, cioè la Calabria, non ancora invasa dai Francesi.

L’8 febbraio 1799, dopo una breve sosta a Messina, il cardinale sbarca a Punta del Pezzo in Calabria. Da Palmi indirizza un proclama ai calabresi e inizia la sua riconquista del Regno. Malgrado lo scarso aiuto della Corte nello spazio di poche settimane raccoglie più di centomila uomini e dalla Calabria risale verso la Basilicata e la Puglia fino ad arrivare in Campania.

Il 13 giugno l’armata della Santa Fede fa il suo ingresso in Napoli. I repubblicani e i francesi si chiudono nei Castelli Nuovo, dell’Uovo e di Sant’Elmo, mentre esplode la collera popolare contro i giacobini. Testimoni di parte realista, come il Petromasi e il Cimbalo, ammettono gli eccessi dei lazzari i quali, scrive il Cimbalo, “come tanti lioni uscirono rabbiosi in cerca dei giacobini trucidando chiunque resisteva e saccheggiando le loro case”[32].

Napoli, scrive il Cuoco, fu “teatro di stragi, incendi, crudeltà”[33]; ma quando egli aggiunge che “tutte queste scelleraggini furono eseguite sotto gli occhi del Ruffo e alla presenza degli inglesi”[34], riferisce solo una parte di verità. Tace sul fatto che il Ruffo cercò in tutti i modi di por fine alla violenza, facendo affiggere un editto contro l’anarchia e le stragi[35] e intavolando trattative con i ribelli proprio al fine di stroncare i disordini che non sarebbero cessati fino alla resa dei “Castelli”. Di qui, l’offerta ai ribelli di una “capitolazione”, ovvero di un accordo, che viene sotto­ scritto tra il 19 e il 21 giugno 1799.

“Sono così affollato e distrutto – scrive quel giorno all’Acton – che non vedo come potrò reggere in vita se se­guirà un tale stato per altri tre giorni. Il dover governare, o per dir meglio comprimere un popolo immenso, avvezzo all’anarchia la più decisa di dover governare una ventina di capi ineducati ed insubordinati di truppe leggere tutte appli­cate a seguitare i saccheggi, le stragi e la violenza, è cosa terribile e complicata che trapassa le mie forze assolutamente [36].

Nei dieci articoli di cui si componeva, il trattato preve­deva la consegna dei Castelli, con armi e munizioni, alle truppe alleate; gli onori di guerra ai presidi repubblicani; la disponibilità di navi pronte ad imbarcare coloro che vole­vano allontanarsi da Napoli; l’incolumità delle persone e dei loro beni; il riacquisto della libertà per tutti gli ostaggi e prigionieri di Stato rinchiusi nei forti[37].

La capitolazione fu sottoscritta il 21 giugno dal Ruffo, Vicario generale del re; da Antonio Micheroux, generale delle sue armi; dal generale Oronzo Massa, comandante del Castel Nuovo; dall’Aurora, comandante del Castel dell’Uovo; dai comandanti rispettivamente delle truppe inglesi, russe ed ottomane, Foote, Baillie ed Acmet; dal francese Méjean, comandante della guarnigione del forte di Sant’Elmo.

Non appena sottoscritta la capitolazione, il Ruffo scrisse al sovrano per informarlo di tutti i dettagli delle operazioni, aggiungendo alla lettera, una copia del trattato. Nella sua funzione di vicario reale, emanò quindi un editto in cui proclamava che “La guerra era finita, che tutti i cittadini erano ugualmente soggetti al re, amici fra Loro e fratelli, che il re voleva perdonare i ribelli e accoglierli nella sua bontà paterna; perciò era La fine delle persecuzioni e delle stragi nel Regno”[38].

Il 24 giugno entrò però nel golfo di Napoli la flotta navale inglese, comandata dall’ammiraglio Nelson e composta da diciotto vascelli di linea. Il 21 Nelson si era fermato alcune ore a Palermo per conferire coi sovrani. Durante il viaggio era stato informato da una nave napoletana in rotta verso Palermo della avvenuta capitolazione tra il Ruffo e ribelli e aveva riassunto il suo sdegno in una lapidaria espressione: “infamous”[39].

I primi storici liberali come Cuoco e Colletta, nel tentativo di addossare ai sovrani, prima che a Nelson, la responsabilità di aver violato il Trattato, affermano che il capitano Foote, incaricato dal Ruffo di recare una copia della capitolazione al sovrano, partito il 22 giugno da Napoli era arrivato a Palermo prima del 24, cioè prima dell’arrivo di Nelson nel golfo di Napoli. I sovrani, soprattutto la regina Maria Carolina, venuti a conoscenza del trattato, sarebbero rimasti inorriditi. La regina, vedendo svanire, con la capitolazione, la sua vendetta, avrebbe pregato Lady Emma Hamilton, sua amica e confidente, di raggiungere l’ammiraglio Nelson per portargli lettere sue e del re e persuaderlo a revocare il vergognoso trattato. Queste lettere secondo il Colletta, contenevano un decreto del re che diceva “non essere sua intenzione capitolare coi sudditi ribelli; perciò le capito­lazioni dei castelli revocarsi. Esser rei di maestà tutti i seguaci della così detta repubblica, ma in vario grado; giudicarli una Giunta di stato per punire i principali con la morte, i minori con la prigionia o con l’esilio, tutti con la confisca. Riserbare ad altra legge la piena esposizione delle sue volontà, e la maniera di eseguirle”[40].

Questa tesi è smentita non solo dalla impossibilità tecnica che il Foote raggiungesse Palermo prima della partenza degli Hamilton, come già avvertirono Sacchinelli e Cacciatore, ma anche dai documenti successivamente pubblicati, dai quali emerge che gli Hamilton si imbarcarono a Palermo con Nelson, quando la Corte era ancora ignara dell’avvenuta capitolazione e solo il 1 ° luglio, il capitano Foote giun­se a Palermo con il testo del trattato[41]. L’ammiraglio inglese giunse dunque nel Golfo di Napoli senza precise direttive del sovrano, pur sapendo come essi fossero di principio contrari ad ogni trattativa con i ribelli.

Prima ancora che la flotta inglese arrivasse in rada, un messaggero inglese recò al Ruffo una lettera, del seguente tenore: “Milord Nelson mi prega di informare Vostra Emi­nenza ch’egli ha ricevuto dal capitano Foothe, comandante della fregata «Seahorse», una copia della capitolazione che Vostra Eminenza ha giudicato a proposito di fare coi comandanti dei Castelli di Sant’Elmo, Nuovo e dell’Uovo; ch’egli disapprova interamente codesta capitolazione, e ch’è risolutissimo di non voler rimanere per nulla neutrale colla forza imponente eh ·’egli ha l’onore di comandare. Che ha egli invitato presso Vostra Eminenza, i capitani Troubridge e Bali, comandano dei vascelli di S.M. Britannica il “Culloden” e l”‘Alessandro”. I capitani sono pienamente informati dei sentimenti di Milord Nelson, ed avranno l’onore di manifestarli a V. Eminenza. Milord spera che il signor Cardinal Ruffo sarà del suo sentimento, e che alla punta del giorno di domani potrà essere di concerto con Sua Eminenza. I loro fini non possono essere che gli stessi, cioè di ridurre il nemico comune e di sottomettere alla clemenza di Sua Maestà Siciliana i suoi sudditi ribelli. Ho l’onore di essere di V. Eminenza l’umilissimo ed obbligatissimo servo. W. Hamilton”. Nelson e Ruffo si trovano dunque di fronte, in un mo­mento cruciale, in cui il sovrano, che a entrambi ha affidato pieni poteri, è assente da Napoli.

Di fronte a questa intimazione, il cardinale ruppe gli indugi attorno a mezzogiorno del 25 giugno si recò a bordo del vascello britannico Foudroyant, dove ebbe un lungo e accalorato colloquio con Nelson, alla presenza di Emma e William Hamilton. Ruffo descrisse con tutta la sua elo­quenza, la necessità della capitolazione per porre freno alla terribile guerra civile, che dilagava tra lazzari e repubblicani, e ribadì con energia che non era comunque possibile violare un trattato da lui sottoscritto nel pieno esercizio delle sue funzioni e avallato dalla firma di tutti i rappresentanti della coalizione antifrancese, compreso quello britannico.

Nelson tentò di distinguere l'”armistizio” dalla “convenzione”, affermando che se non si opponeva al primo, non poteva consentire l’esecuzione della seconda senza un’approvazione esplicita di Ferdinando IV[42]. Malgrado la lunga ed animata discussione, non si arrivò però ad una conclusione.

Tornato al quartier generale, presso il Ponte della Maddalena, il Ruffo stese una solenne protesta che fece controfirmare da quegli stessi rappresentanti delle potenze alleate che avevano precedentemente sottoscritto il trattato. “Quei rappresentanti mossi da eguale indignazione, fecero a Lord Nelson una viva rimostranza esponendo: che il trattato della capitolazione dei Castelli di Napoli era utile, necessario ed onorevole alle armi del re delle due Sicilie e dei suoi potenti Alleati il Re della Gran Bretagna, l’Imperatore di tutte le Russie, e la Sublime Porta Ottomana; poiché senza ulteriore spargimento di sangue era finita, con quel trattato, la micidiale guerra civile e nazionale, e facili­tava l’espulsione del comune nemico estero dal Regno: che essendo stato solennemente concluso dai rappre­sentanti di dette potenze, si sarebbe commesso un abominevole attentato contro la fede pubblica, se non si fosse eseguito esattamente o si fosse violato; e pregando Nelson a volerlo riconoscere, prestarono di essere essi definitivamente determinati ad eseguirlo religiosamente, e chiamando responsabile avanti a Dio ed al mondo, chiunque ardisse d’impedirne l’esecuzione”[43].

Il Nelson non mutò posizione. Lo stesso giorno ribadì con un memorandum l’invalidità dell’accordo a causa della mancata approvazione del re. Di fronte all’ostinazione dell’ ammiraglio inglese, il Ruffo non indietreggiò. Rivendi­cando i suoi diritti di Vicario generale, scrisse nuovamente al Nelson che nel caso l’ammiraglio fosse irrevocabilmente deciso a consumare la violazione del trattato, egli, decli­nando ogni responsabilità avrebbe rimesso i repubblicani nella situazione militare in cui si trovavano prima della resa e avrebbe lasciato che le truppe inglesi vincessero il nemico con la loro sola forza. Per dar seguito a queste dichiarazioni, scrisse immediatamente al generale Massa, coman­dante del Castel Nuovo, avvertendolo che: “sebbene egli e i suoi alleati ritenevano inviolabile il trattato della capitola­zione dei Castelli, l’ammiraglio Nelson non voleva ricono­scerlo; così li invitava ad avvalersi dell’articolo cinque della capitolazione e partire per terra anziché imbarcarsi su navi poiché in mare comandavano gli inglesi”[44]. Il generale Massa non accettò pero il suggerimento del Ruffo, illuden­dosi che si sarebbero rispettati i patti convenuti e ne pagò amaramente le conseguenze.

Il Nelson, che era un uomo caparbio e ostinato, non immaginava di trovarsi di fronte un uomo altrettanto fermo nelle sue posizioni come il Ruffo. Giudicando pericolosa una rottura aperta con un personaggio tanto più popolare di lui a Napoli, l’ammiraglio inglese fu costretto a fare marcia indietro. Non rinunciando tuttavia al suo obbiettivo, decise di ricorrere a un inganno, che fu perpetrato non solo nei confronti del Ruffo, ma di tutti i rappresentanti delle potenze alleate che con lui avevano sottoscritto la capitola zione.

La mattina del 26 giugno Nelson, “dopo matura rifles­sione”, secondo Hamilton, autorizzò quest’ultimo a scri­vere al Ruffo: “Milord Nelson me prie d’assurer Votre Eminence qu’il est résolu de ne rien faire qui puisse rompre l’armistice que votre Eminence a accordé aux chateaux de Naple[45]. Il messaggio fu inviato per mezzo dei capitani Troubridge e Bali, con l’assicurazione verbale che Nelson non si sarebbe più opposto all’imbarco dei giacobini che componevano le guarnigioni dei Castelli. Il cardinale dubitò del repentino voltafaccia di Nelson e chiese che gli fosse rilasciata una dichiarazione scritta su quanto prometteva verbalmente. Finalmente, dopo reiterate assi­cu­razioni del1’Hamilton il Ruffo finì con l’accettare la parola dell’ammiraglio inglese.

La sera del 26 giugno i Castelli furono consegnati e i ri­belli vennero imbarcati su 14 piccole navi da trasporto con l’assicurazione che avrebbero lasciato Napoli. Il Castel Nuovo venne quindi occupato dagli inglesi e il Castel dell’Uovo dai napoletani. Il cardinale mandò una lettera di rin­graziamento a Nelson, il quale rispose che “era felice di aver condotto a termine le trattative di pace iniziate dal Ruffo e che perciò non si sarebbe più opposto alla capitolazione”.

La mattina del 27 il cardinale Ruffo si recò in pompa solenne nella Chiesa del Carmine per celebrare una Messa di ringraziamento per l’esito felice dell’impresa. Ma lo stesso giorno venne impedita dagli inglesi la partenza dei basti menti su cui si trovavano i ribelli. La sera del 27 giugno i primi esponenti repubblicani venivano condotti in catene a bordo del Foudroyant. Quel giorno era giunta da Palermo una lettera della regina a lady Hamilton ed un’altra dell’Acton al Nelson. La regina rivolgendosi alla Hamilton chie­deva “una severità esatta, pronta, giusta”[46]e le scriveva di raccomandare a Nelson “di trattare Napoli come se fosse una città ribelle dell’Irlanda che si fosse condotta così”[47]. Un biglietto di mano del re allegato alla lettera, per il caro ammiraglio, nominava Nelson duca del feudo siciliano di Bronte, con l’assegno di 3000 sterline l’anno trasmissibile agli eredi[48]. L’Acton, nella sua lettera all’am­miraglio inglese escludeva la possibilità di ogni capito­lazione con i ribelli “i quali devono confidare solo nella misericordia e clemenza di S. M. “; di più, si affermava perentoriamente che “il cardinale deve uniformarsi a qualsiasi ordine che Lord Nelson crederà opportuno di dare; e si consideri abrogato e senza effetto ogni ordine precedente”.

Il giorno successivo Sir William Hamilton scriveva al Ruffo una lettera in cui lo avvisava che Nelson “dietro un comando che teste ha ricevuto da S.M. Siciliana, la quale disapprova la conchiusa capitolazione coi sudditi ribelli nei Castelli Nuovo e dell’Uovo, pensa di fare prigionieri coloro che hanno sgombrato e che si trovano a bordo dei battelli in questo porto e di condurli in carcere”[49].

Il cardinale spedì un’ultima volta il Micheroux presso Nelson per pregarlo di non macchiare la sua gloria e il suo nome. Tutto fu però inutile. Giunse anzi al Ruffo un altro deludente rapporto del conte di Thurn in cui diceva che “egli aveva ricevuto l’ordine dall’ammiraglio Nelson di recarsi a bordo del suo vascello con cinque ufficiali più anziani, per formare un Consiglio di guerra contro il Cav. Francesco Caracciolo, accusato ribelle e reo di fellonia. Il Consiglio di guerra l’aveva condannato alla pena di morte”[50].

Nelson ordinò l’esecuzione di tale pena alle cinque dello stesso giorno, 29 giugno, facendo impiccare il Caracciolo all’albero della Minerva e lasciando cadere il suo corpo in mare. Lo stesso 29 giugno intimava a tutti coloro che avevano servito come ufficiali civili o militari “nell’infame repubblica napolitana” di presentarsi nello spazio di ventiquattr’ore alle autorità, pena l’essere considerati “come ancora in ribellione e nemici di S. M. Siciliana”[51].

Erano considerati rei, scrive il Cuoco, “coloro che avevano fatto fuoco sul popolo dalle finestre; coloro che ave vano continuato a battersi di fronte alle armi del re, coman­date dal Ruffo, o a vista del re a bordo degli inglesi; tutti coloro che assistettero all’innalzamento dell’albero della li­bertà in piazza o alla festa nazionale in cui si distrussero le bandiere reali ed inglesi prese agl’insorgenti; tutti coloro che durante la repubblica, predicando o scrivendo, avevano offeso il re e la sua famiglia; infine tutti coloro i quali in modo deciso avessero dimostrata la loro empietà verso la sedicente caduta repubblica”[52].

Fin dal giorno precedente, 28 giugno, il Ruffo aveva scritto ai sovrani offrendo le dimissioni dal suo incarico. La regina, in una lettera datata 2 luglio, lo invitava a “terminare l’opera così gloriosamente intrapresa ed eseguita, con ristabilire l’ordine in Napoli sopra basi solide e sicure”, senza nascondergli peraltro la sua insoddisfazione per la capitolazione avvenuta: “Sono troppo sincera per non dirle che mi ha dispiaciuto quella capitolazione coi ribelli[53].

Ferdinando IV intanto, si era messo in viaggio insieme al generale Acton e al principe di Castelcicala. Giunse il 9 luglio nel canale di Procida, dove aspettò Nelson. Il 10 lu­glio arrivò nel golfo di Napoli, accolto trionfalmente dal popolo[54].

Dopo aver incontrato il Ruffo che gli espose tutte le sue ragioni, il sovrano conferì nuovamente con Nelson e Hamilton. Quest’uomo continuò a perorare la massima secondo cui “i sovrani non capitolano coi loro sudditi ribelli” dichiarando che “il trattato di quella capitolazione dovea tenersi come non fatto”[55]. Nelson, che nutriva un odio implacabile verso i rivoluzionari soprattutto francesi dichiarò che “bisognava estirpare la radice del male onde impedire nuove sciagure, poiché essendo quei repubblicani ostinati e incapaci di ravvedimento, commetterebbero in appresso maggiori e più funesti eccessi; e finalmente che l’esempio della loro impunità servirebbe di incitamento a molti altri malintenzionati”.[56]

La scelta del sovrano fu inequivoca: sconfessò la capitolazione e nominò una nuova Giunta per la punizione dei ribelli. Il cardinale Fabrizio Ruffo uscì di scena: il titolo di vicario generale fu abolito, ma in compenso egli fu nominato luogotenente generale del Regno.[57]

Vittime e responsabili della violazione della capitolazione.

La ricostruzione dei fatti, basata sui documenti, autorizza a tirare qualche conclusione sull’episodio. Sembra difficile innanzitutto negare che il re, spodestato dal suo trono non da una rivoluzione, ma da un esercito invasore, avesse il pieno diritto di tornare sul suo trono e di punire coloro che alla luce del principio di legittimità dinastica su cui si fondava il diritto pubblico internazionale, non potevano essere considerati che traditori. Ferdinando IV, sovrano assoluto all’interno del suo regno, aveva la possibilità di applicare una politica di inflessibile severità o di esercitare una politica di riconciliazione e di clemenza. Si può discutere, e questa discussione costituisce il fulcro del problema della capitolazione, quale tra le due strategie politiche dovesse considerarsi migliore per conservare il regno. Non sembra però ammissibile, come fa Croce, sulla scia di Colletta e di Cuoco, attribuire ai sovrani un mero sentimento di “vendetta contro i loro sudditi”[58].utilizzando criteri etici per giudicare un problema eminentemente giuridico-politico.

È ben lecito parteggiare per i rivoluzionari del ’99, contro la dinastia borbonica; ma si richiede allo storico una og­gettività di giudizio e una pacatezza anche nelle espressioni, che manca talvolta a Croce, il cui tono ha purtroppo in­fluenzato la storiografia italiana a lui contemporanea o posteriore.

Alla luce di questa necessaria premessa, si può sottoline­are il fatto che due diverse linee politiche si sovrappongono e si scontrano nella vicenda della capitolazione: l’una prudente ed accorta, è impersonata dal cardinal Ruffo, l’altra più dura e impulsiva ha la fisionomia della Regina Maria Carolina, forte personalità che esercitò un’indubbia influenza sia su Ferdinando IV, che, attraverso Lady Hamilton, su Nelson.

Occorre tener presente che Maria Carolina aborre, come peraltro Nelson, i principi della Rivoluzione Francese, di cui ha visto la drammatica realizzazione nell’uccisione della sorella Maria Antonietta. Ella ben comprende il nesso tra la Rivoluzione Francese e quella napoletana, ma si illude sulla possibilità di successo di una reazione che non vada alle radici profonde del fenomeno. Per questa sua impostazione, ella è portata a confidare in una figura istituzionale come il Nelson, allora all’apice della sua gloria, piuttosto che in un personaggio di maggior spessore culturale ed umano, ma militarmente improvvisato come il Ruffo, nel cui successo né lei né il sovrano hanno mai veramente creduto. Non c’è da meravigliarsi che una volta avuta conoscenza della capitolazione, Maria Carolina l’abbia giudicata con la stessa severità con cui la giudicò il Nelson, sconfessando l’operato di Ruffo.

Re Ferdinando, ago della bilancia, gioca per così dire su due tavoli. Per un verso affida al fedele Ruffo la riconquista del Regno; per altro verso si affida a Nelson, spingendolo ad un’azione immediata su Napoli; intervento al quale l’ammiraglio britannico era tutt’altro che alieno, anche se mosso, come sottolinea l’Helfert, da motivi di ambizione politica ben diversi dal lealismo dinastico che animava il Ruffo[59].

Nelson non fu un esecutore degli ordini dei sovrani, che il 24 giugno ancora non conosceva, ma fu certamente un più fedele interprete del loro spirito, quando si oppose alla capitolazione del 21 giugno. Tuttavia, se il re avrebbe avuto il diritto di non sottoscrivere la capitolazione, Nelson ebbe il grave torto di violarla una volta avvenuta, ingannando deliberatamente il Ruffo e i ribelli. Questo inganno macchiò il suo onore di soldato. Quello stesso Nelson che con orgo­glio aveva detto all’imperatore Paolo I che “la parola d’un ammiraglio inglese vale quanto quella d’un re o d’un imperatore”[60], coscientemente mentì, come osserva il Lemmi, quando scrisse a Lord Keith (27 giugno 1799), a Lord Spencer (19 marzo 1800) e a Lord Davison (9 maggio 1800) che i ribelli s’imbarcarono sapendo che il manteni­mento della capitolazione dipendeva dalla decisione del Re[61].

Colletta[62] giunge a negare il contrasto di fondo tra Nelson e Ruffo affermando che il cardinale avrebbe acconsentito a lasciar violare la capitolazione, perché in realtà conosceva l’intenzione del re e della corte. Costretto egli stesso a ricorrere alla capitolazione, nel momento in cui vide svanire il pericolo, perché i repubblicani s’erano arresi annullò il trattato che non appariva più come una soluzione obbligata. In realtà, dai documenti emerge come alla linea intransi­gente dei sovrani e di Nelson si contrappose quella prudente del Ruffo.

“Il Re – aveva scritto Maria Carolina al Ruffo – vuole e deve, Cristiano e Padre, perdonare alli suoi infami, scellerati ed ingratissimi sudditi, e beneficarli; ma non deve fare un patto o armistizio che avrebbe l’aria di timore…. Il Re deve riprendere il suo Regno da conquistatore, da padrone assoluto, mentre ci vorrà tutto il potere e forza per riordinarlo; e se non lo puole prendere così, che l’abbandoni alla sua anarchia, dissenzioni intestine…[63].

“Se voi mostrate voler processare, punire – replica il cardinale; se non facciamo loro vedere che siamo persuasissimi che la necessità, l’errore, la forza dei nemici, non. La reità fu cagione della ribellione, noi coadiuveremo le mire dei nemici, e ci precluderemo le strade alla riconciliazione. Sembra che si dovesse anzi, avuto nelle mani qualsiasi reo, anche grande, anche distintosi nella ribellione, perdonarlo… Si leggano le storie di Francia e le molte capitolazioni avute coi ribelli, e si vedranno perdonati spesso capi di partito che militarono contro i Re, ecc… E perché non si deve usare una somma clemenza e con pochissima eccezione? «È forse un difetto la clemenza? lo non lo credo e, con qualche precauzione, la credo preferibile alla punizione che non può eseguirsi con giustizia… Arte ci vuole, giacché la forza ci manca, arte perché è ridotta, per nostra disgrazia, a guerra civile, arte perché distruggendo si distrugge la nostra patria, ed è molto difficile restaurarla”[64].

Il cardinale era consapevole della differenza di impostazione con i sovrani, ma forte della sua esperienza e delle vittorie ottenute sul campo, cercò di imporre la linea che giudicava più idonea ad assicurare il bene del Regno. Nel corso della sua riconquista egli era stato un “guerriero pacificatore”, teso a moderare le violenze del suo esercito, che non avevano la loro origine né nelle direttive del loro capo, né nell’ideologia contro-rivoluzionaria soggiacente all’impresa, ma nella protesta delle popolazioni meridionali contro le brutali vessazioni a cui erano state sottoposte da parte degli invasori[65].  All’attaccamento dinastico e alla fermezza dei principi si accompagnava in Ruffo una clemenza che non nasceva tanto dalla mitezza del temperamento quanto dalla prudenza politica che ne aveva sempre caratterizzato l’operato e che era stata all’origine dello straordinario successo della Santa Fede. “Fabrizio Ruffo – scrive l’Helfert – specialmente apparisce come un uomo pienamente meritevole di esser nominato toga sagoque clarus, che portò con ugual dignità l’armatura e la porpora e che, per rispetto all’impresa del 1799, diè prova d’essere così valente soldato come prudente politico”[66]. Egli era un uomo, come sottolinea Lemmi “che, in questi tempi di passioni, tra le quali gli uomini perdevano il retto giudizio delle cose, si sapeva mantenere sereno e superiore ai pregiudizi”[67]. Lo stesso Croce, contrapponendolo al re Ferdinando e alla regina Maria Carolina, vede in lui “il personaggio che pensa e opera, con calma e risolutezza, e affrontando e superando continue difficoltà e pericoli, giunge al segno che si era prefisso”[68].

Negli avvenimenti del ’99, il cardinal Ruffo costituisce dunque un elemento di equilibrio e di moderazione, non dottrinale, ma anzitutto umana e politica. Non bisogna di­menticare però che la sua persona incarna la Santa Fede e se è vero, come ha scritto Ernesto Pontieri, che “la contro-rivoluzione, dacché egli ne prese il comando e ne coor­­­dinò le forze, s’identificò col suo nome”[69], riesce difficile conciliare la moderazione unanimemente riconosciuta al, Ruffo con la ferocia attribuita da alcuni storici all’Armata Reale e Cristiana.

La riconquista del Ruffo va letta anche alla luce della capitolazione da lui conclusa, e non della violazione del trattato di cui non fu responsabile. Si è scritto molto sulle vittime di questa violazione, ma anche Ruffo ne fu in un certo senso vittima. È giunta l’ora di riconsiderare, con la sua figura, tutta l’impresa della Santa Fede, sulla base di una serena e oggettiva ricostruzione dei fatti.

Roberto  de Mattei
Università di Cassino


[1] Per un succinto quadro della vita del Ruffo, rimane ancora valida la notizia biografica del Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica di G. MORONI, Tip. Emiliana, Venezia 1852, vol. LIX, pp. 2 16-220.

[2] Nel 1806, quando re Ferdinando IV, di fronte alla seconda invasione francese si rivolge al cardinale perché rinnovi la sua crociata, Fabrizio Ruffo “rispose che quelle imprese si potevano fare una volta sola” (MASSIMO LEU, La Santa Fede. La spedizione del cardinale Ruffo (1199), Mondadori, Milano, 1936, p. 245).

[3] FRA ANTONINO CIMBALO, Itinerario di tutto ciò ch’è avvenuto nella spedizione dell’eminentissimo signor D.  Fabrizio Cardinal Ruffo vi­ca­rio Generale per S.M. nel Regno di Napoli per sottomettere  i ri­­bel­­­lanti  Popoli di alcune Provincie di esso, Vincenzo Manfredi, Napoli 1799. Reprint con il titolo: La lunga marcia del Cardinal Ruffo alla riconquista del Regno di Napoli, a cura di Mario Battaglini, A. Borzi, Roma, 1967.

[4]  Brieve dettaglio di alcuni particolari avvenimenti accaduti nel corso della campagna nella spedizione dell’eminentissimo D. Fabrizio Ruffo esposti nella sua genuina verità dal reverendo sacerdote D. Francesco Apa qual testimone di veduta, e di falli dai 17 Marzo a tutto li 13 Giugno dell’anno 1799, Vincenzo Napoli 1800; l’opera è stata recentemente ristampata a cura di Mario Casaburi, dall’editore Di Mauro.

[5] Storia della spedizione dell’eminentissimo Cardinale D. Fabrizio Ruffo allora Vicario Generale per S.E. nel Regno di Napoli e degli avvenimenti e fatti d’armi accaduti nel riacquisto del medesimo compilata da D. Domenico Petromasi commissario di guerra e tenente colonnello de’ Reali Eserciti di S.M. Siciliana, presso Vincenzo Manfredi Napoli 1801. L’opera è stata ristampata con un’introduzione di Silvio Vitale e il titolo Alla riconquista del Regno. La marcia del cardinale Ruff dalle Calabrie a Napoli dall’editoriale Il Giglio, Napoli, 1994.

[6] VINCENZO CUOCO, Saggio storico sulla Rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari, 1926 (1801).

[7] PIETRO COLLETTA, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, Capolago, Canton Ticino, 1834.

[8] 34 v. CUOCO, op. cit., p. 182.

[9] CARLO BOTTA Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Nistri e Capurro, Pisa 1824.

[10] SILVIO VITALE, Introduzione a D. PETROMASI, Alla riconquista del regno cit., p. XIV.

[11] ANTONIO CAPECE MINUTOLO PRINCIPE DI CANOSA, Epistola ovvero riflessioni critiche sulla moderna storia del reame di Napoli del generale Pietro Collella, Capolago 1834, ora in SILVIO VITALE, Il Principe di Canosa e l’Epistola contro Pietro Collella, Berisio, Napoli 1969.

[12] DOMENICO SACCHINELLI, Memorie storiche sulla vita del cardinale Fabrizio Ruffo, Tip. C. Cataneo, Napoli 1836.

[13] ANDREA CACCIATORE, Esame della Storia del Reame di Napoli di Pietro Colletta dal 1794 al 1825, Stab. Tip. del Tramater, Napoli 1850, 2 voll.

[14]ALEXANDER VON HELFERT, Fabrizio Ruffo und Gegen-Revolution von Neapel. November 1798 bis August 1799, W.  Brau­moel­ler, Wien 1882, tr. it. Fabrizio Ruffo. Rivoluzione e controrivoluzione di Napoli dal novembre 1798 all’agosto 1799, Loescher, Firenze 1885.

[15] Tra le pagine successivamente dedicate da Benedetto Croce a questo tema, cfr.: B. CROCE, La riconquista del Regno di Napoli nel 1799. Lettere del cardinal Ruffo, del re, della regina e del ministro Acton, G. Laterza, Bari 1943; Il “ripurgo”, ossia l’epurazione della regina Carolina di Napoli nel 1799, Laterza, Bari 1943; La Rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari 1953; La storia del Regno di Napoli; Laterza, Bari 1980.

[16] ALESSANDRO DUMAS, / Borboni di Napoli, reprint Milano, Napoli 1969-1971 (1862), pp. 119-215.

[17] RAFFAELE PALUMBO, Carteggio di Maria Carolina regina delle Due Sicilie con lady Emma Hamilton, Nicola Iovene, Napoli 1877.

[18] BENEDETTO MARESCA, “Archivio Storico per le Provincie Napoletane”, voi. VIII (1883), pp. 58-82, 227-238, 486-498, 605-654.

[19] B. MARESCA, li cavaliere Antonio Micheroux nella reazione napoletana dell’anno 1799, in “Archivio Storico per le Provincie Napoletane”, voi. XVIII (1893), pp. 494-536, 652-699; voi. XIX (I 894), pp. 97-139, 251-299, 482-531, 659-691.

[20] FRANCESCO LEMMI (1876-1947), Nelson, Caracciolo e la Repubblica napoletana (1799), G. Carnesecchi, Firenze 1898.

[21] F. P. BADHAM, Nelson at Naples, Nutt, London 1900; Nelson e Ruffo, Forzani, Roma 1907.

[22] Cfr. ROBERT SOUTHEY, The Life of Horatio Lord Nelson, John Murray, London 1831 (ristampata a Milano nel 1918 nella Treves Collections of ritish and American authars); HARRIS NICHOLAS, The despatches and letters of Vice Admiral Lord Viscount Nelson wilz notes by Sir H. N., Henry Colbum, London 1840; JOHN CRADY JEAFFRESON, lady Hmnilton and Lord Nelson. An /zistorical biograplzy based on letters and ot/zer docwnents, Hurst & Bluckett, London 1888; ID., The Queen of Naples and wrd Nelson, Hurst & Bluckett, London 1889; ARSENIO AMABILE, Maria Carolina, lady Hamilton e O. Nelson nei moti del 1799 a Napoli, Tip. La Minerva, Napoli 1902.

[23] GIACOMO LUMBROSO, / moti popolari contro i fra11cesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800), Le Monnier, Firenze 1932 (2a ed. rivista, a cura di Oscar Sanguinetti Minchella, Milano 1997).

[24] ANTONIO MAN ES, Un cardinale condottiero. Fabrizio Ruffo e La Repubblica Parte11opea, Vecchioni, L’Aquila 1929, reprint: Jouvence, Roma 1996, con prefazione di Antonino De Francesco.

[25] ALBERTO CONSIGLIO, Lazzari e Santa Fede (La Rivoluzione napoletana del 1799), Ceschina, Milano 1936, reprint: La Rivoluzione napoletana del 1799. Fine di un Reame, Rusconi, Milano 1998.

[26]MASSIMO LEU, La Santa Fede cit.

[27] A MANES, op. cit., p. 175.

[28] Cfr. in particolare il numero monografico della rivista “Studi Storici”, 39,2 (1998) e gli studi di- ANNA MARIA RAO, Mezzogiorno e Rivoluzione: trent’anni di storiografia, in “Studi Storici”, 37, 4 (1996), pp. 981-1041; ID., La Repubblica napoletana del 1799, in Storia del Mezzogiorno, a cura di Giuseppe Galasso e Rosario Romeo, voi. IV, tomo Il, li Regno dagli Angioini ai Borboni, Edizioni del Sole, Napoli 1986, pp. 469-539, e La prima restaurazione borbonica, ivi, pp. 543-574.

[29] Su questa linea di revisione critica, cfr. FRANCESCO MARIA AGNOLI, Guida introduttiva alle insorgenze contro-rivoluzionarie in Italia durante il dominio napoleonico (1796- 1815), Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1996; FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE, 1799. Rivoluzione contro Napoli, con una introduzione di Silvio Vitale, Editoriale Il Giglio, Napoli 1998; FRANCESCO PAPPALARDO, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nel Regno di Napoli, Istituto per la Storia delle Insorgenze, Milano 1999.; GIOVANNI RUFFO, li cardinale rosso, Calabria Letteraria Editrice, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1998; e soprattutto l’ampia panoramica di MASSIMO VIGLIONE, Rivolte dimenticate, Città Nuova, Roma 1999 che fa seguito al volume La Vandea italiana, Effedieffe, Milano 1995, con introduzione di Roberto de Mattei; allo stesso M. Viglione si deve un primo tentativo di riflessione storiografica sul problema: Le insorgenze. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione in Italia. 1792- 1815, Ares, Milano 1999.

[30] 56cfr. A. CIMBALO, op. cit., p. 69.

[31] Ivi, p. 69

[32] A. CIMBALO, op. cit., p. 37.

[33] V. CUOCO, op. cit., pp. 187-188.

[34] Ivi, p. 188 

[35] Ivi, p. 76.

[36]In B. CROCE, La riconquista del Regno di Napoli, cit., p. X. 

[37] Sulle condizioni del Trattato, cfr. A. CIMBALO, op. cit., p. 77; P. COLLETTA, op.  cit., pp. 207-208; D. SACCHINELLI, op.  cit., pp. 244-246. Il permettere agli insorti di uscire dai castelli occupati con gli “onori degli armi” osserva Acton era un pò eccedere nell’interpretazione della conciliazione; ma ciò, aggiunge, mostra fino a che punto il cardinale credesse nella saggezza della clemenza e soprattutto intravedesse i pericoli probabili di una persecuzione (HAROLD ACTON, / Borboni di Napoli 1734-1825, Giunti, Firenze 1997, p. 437).

[38] P. COLLETTA, op. cii., p. 208.

[39] A. YON HELFERT, op. cit., p. 292.

[40] P. COLLETTA, op. cit., p. 211.

[41] Cfr. A. VON HELFERT, op. cit.,- p. 310; R. PALUMBO, op. cit., pp. 73-78.

[42] A. VON HELFERT, op. cit., p. 296.

[43] 0. SACCHINELLI, op. cit., p. 251.

[44] A. CACCIATORE, op. cit., p. 146.

[45] A. CACCIATORE, op. cit., p. 151; F. X. BADHAM, op. cit., p. 37.

[46] R. PALUMBO, op. cit., p. 74.

[47] Ivi.

[48] Ivi, p. 76.

[49] F. LEMMI, op. cii., p. 19.

[50] 0. SACCHINELLI, op. cii., pp. 265-266.

[51] R. PALUMBO, op. cii., p. 81.

[52] V. CUOCO, op. cit., p. 197.

[53] B. CROCE, la riconquista del Regno di Napoli. cit., p. 234.

[54] Sull’arrivo di Ferdinando IV a Napoli, cfr. UMBERTO CALDORA, Diario di Ferdinando IV di Borbone (1796-1799), Edizioni Ital. Scientifiche, Napoli (La Buona Stampa) 1965, pp. 493-494

[55] D. SACCHINELLI, op. cit. p. 270; A. VON HELFERT, op. cit., p. 324.

[56] Ivi

[57] Croce vi vede un segno di acquiescenza, ma, come osserva Acton, Ruffo “era troppo attaccato alla monarchia per sparire a causa di motivi personali quando si aveva ancora bisogna di lui” (H. ACTON, op. cit., p. 454).

[58] B. CROCE, La riconquista del Regno di Napoli cit. p. VI.

[59] A. VON HELFERT, op. cit., p. 249.

[60] R. PALUMBO, op. cii., p. 71.

[61] F. LEMMI, op. cii., p. 50.

[62] P. COLLEITA, op. cit.

[63] F. LEMMI, op. cii., p. 41.

[64] F. LEMMI, op. cit., p. 40.

[65]Sulla portata della repressione franco-giacobina, cfr. M. VIGLIONE, Rivolte dimenticare, cit. Il tentativo di addossare al Ruffo massacri mai avvenuti come quello di Altamura è privo peraltro di qualsiasi riscontro storico. Cfr. OSCAR SANGUINETTI, “Altamura. La strage degli innocenti” Un falso storico contro l’Insorgenza italiana, in “Cristianità”, nn. 227-228 (1999), pp. 11-17.

[66]  A. VON HELFERT, op. cit., p. 351.

[67]  F. LEMMI, op. cit., p. 43.

[68]  B. CROCE, La riconquista del Regno di Napoli, cit., p. V.

[69] ERNESTO PONTIERI, Nei tempi bui della storia d’Italia, Morano, Napoli 1957, p. 447.

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