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La conquista di Capri (1808)

Posted by on Set 10, 2022

La conquista di Capri (1808)


Una proposta decisamente originale per chi abbia un po’ di tempo da dedicare ad una gita a Capri che non si limiti alla classica passeggiata nella famosa piazzetta (e a un bagno ovviamente!): passeggiare per i sentieri di Anacapri che collegano tra loro i fortini realizzati dagli inglesi nel 1805, Orrico, Pino e Mesola, recentemente ristrutturati.

Alla pagina http://www.capri.it/it/fortini è disponibile una bella galleria di foto, come questa che ritrae il fortino di Orrico.
Ma come mai Capri nel 1808 era occupata dagli inglesi?

L’occupazione inglese

Nel gennaio 1806 Napoleone Bonaparte pronunciò  la celebre frase “La dinastia dei Borboni di Napoli ha cessato di regnare” e conseguentemente ordinò l’occupazione del Regno di Napoli assegnando il trono prima a suo fratello Giuseppe, e nel 1808 al cognato Gioacchino Murat. L’esercito napoletano fu rapidamente sconfitto e Re Ferdinando, protetto dall’esercito e dalla flotta britannica fuggì in Sicilia, dove rimase fino al 1815 quando, con la definitiva sconfitta di Napoleone prima e di Murat subito dopo, poté tornare a Napoli e riunificare il regno.

In questo arco di tempo la Sicilia non fu l’unica isola ancora in mano a Re Ferdinando, perché gli inglesi nel 1806 occuparono Capri e nel 1813 Ponza. Il presidio francese di stanza a Capri era poco numeroso e gli inglesi appoggiati dalla flotta non ebbero difficoltà a conquistare l’isola, e provvidero a dotarla di una forte guarnigione di due reggimenti (Royal Malta e Royal Corsican) per un totale di circa 1800 uomini al comando del colonnello Lowe, che in seguito diverrà famoso per la sua nomina a governatore di Sant’Elena e carceriere di Napoleone. Inoltre avevano realizzato anche alcune fortificazioni, che, unite alla particolare conformazione dell’isola, l’avevano resa pressoché inespugnabile, tanto da affibbiargli l’appellativo di “piccola Gibilterra”.

Il possesso di Capri non aveva grande valore dal punto di vista militare, anche se Pietro Colletta, nella sua Storia del Reame di Napoli afferma che era “una fucina di congiurazioni e di brigantaggio”. Sembra più logico che l’importanza di Capri fosse legata esclusivamente a ragioni di prestigio e di propaganda, dovute alla prossimità dell’isola alla capitale, tanto più che non risulta che ci siano mai stati tentativi di riconquistare Ponza. Per comprendere meglio l’impegno che gli inglesi profusero nella sua difesa va considerato che l’intero esercito inglese nel 1806 assommava a 185.000 uomini (esclusa la flotta), e che in Sicilia ce n’erano 15.000. Certo, i circa 2.000 uomini di stanza a Capri erano truppe di seconda scelta, ma non per questo gravavano meno sulle casse del tesoro di Sua Maestà britannica.

All’epoca Capri aveva circa 4.000 abitanti; la presenza di così tanti soldati sull’isola, e dei loro stipendi, deve aver avuto un notevole effetto sull’economia locale e si deve ritenere che l’occupazione britannica non fosse affatto sgradita agli isolani. Da un punto di vista strettamente razionale è probabile che ai francesi sarebbe convenuto lasciare che gli inglesi continuassero a svenarsi per la loro piccola Gibilterra. Si può forse azzardare un paragone con quanto avvenne durante la seconda guerra mondiale alle Isole del Canale, l’unico territorio britannico occupato dai tedeschi nel corso della guerra: i tedeschi fortificarono pesantemente le isole e vi stanziarono una forte guarnigione, che gli inglesi lasciarono indisturbata fino alla fine della guerra, non curandosi granché di questioni di prestigio nazionale.

Quale che fosse la strategia migliore da adottare i francesi decisero di riconquistare Capri: Giuseppe aveva tentato già due volte nei suoi anni di regno l’impresa, finché nel 1808 lasciò il trono di Napoli per quello di Madrid, e toccò a Murat l’onore di riuscirvi.


L’isola di Capri: inespugnabile?

L’assalto anfibio è la più rischiosa tra le varie tipologie operazioni militari, e se questo è vero oggi che gli eserciti dispongono di mezzi specializzati e di armi avanzate si provi un po’ a pensare quali dovevano essere le difficoltà all’epoca. In pratica le operazioni di sbarco presupponevano che le difese fossero state neutralizzate dal fuoco delle navi o che fossero assenti, altrimenti le lance che trasportavano i soldati sarebbero rimaste in balia del tiro dei difensori, incapaci di reagire. Ma un’occhiata alla mappa mostra chiaramente che a Capri non c’è gran che da scegliere: gli unici punti di approdo sono Marina Grande e Marina Piccola (segnate dalle frecce), che erano adeguatamente difesi dagli inglesi, il resto dell’isola presenta soltanto scogliere. A questo si aggiungeva la totale supremazia della flotta britannica stanziata in Sicilia, a cui bastava poco tempo per accorrere sul posto.

Il piano d’attacco

Per conquistare Capri occorreva un piano basato sulla sorpresa e sull’inganno: la notte del 3 ottobre 1808 il Generale del Genio Pietro Colletta fece il giro dell’isola su una barca da pesca, per individuare un punto alternativo alle due Marine in cui effettuare uno sbarco. Il giorno dopo partì la flotta napoletana composta da 60 imbarcazioni di varia dimensione, scortate da una fregata e una corvetta. A bordo  c’erano 2.000 soldati francesi, tra cui 200 napoletani e 100 italiani (cioè del Regno d’Italia), comandati dal generale  Jean Maximilien Lamarque, e naturalmente il Colletta. Il piano prevedeva di dividere la flotta in tre gruppi: i primi due avrebbero simulato un assalto alle due Marine, mentre il vero sbarco sarebbe stato effettuato nel punto individuato dal Colletta, nella zona di Anacapri. (Vedi la composizione dettagliata del corpo da sbarco).

Re Gioacchino avrebbe osservato le operazioni da Santa Maria Annunziata, frazione di Massa Lubrense, da una villa che si trova in posizione panoramica di fronte Capri (a memoria di ciò, nella villa è stata posta anche una lapide).

Al momento di approdare però il punto scelto dal Colletta si rivelò impraticabile. In fretta e furia si riuscì ad individuarne un altro poco distante, in località Orrico (vedi la mappa); i soldati scalarono la parete con l’ausilio di lunghissime scale (quelle dei lampionai di Napoli) e la sorpresa riuscì in pieno: alle 17 erano riusciti a sbarcare circa 500 soldati, ma a quel punto le operazioni di sbarco dovettero essere interrotte a causa del peggioramento delle condizioni del mare. Scoperti, i francesi furono attaccati e si sviluppò una vera e propria battaglia in cui riportarono 7 morti e 135 feriti. L’impresa stava per fallire sul nascere, visto che gli uomini che erano riusciti a sbarcare non apparivano comunque sufficienti per completare l’assalto.

Col giungere della notte la situazione volse a favore dei francesi. La luna piena rendeva chiaramente visibili gli inglesi schierati sulle alture, mentre loro si ritrovavano in una zona d’ombra: sottoposti a un fuoco accurato,gli inglesi subirono forti perdite e abbandonarono la posizione. I francesi allora formarono due piccole colonne mentre lasciavano parte degli uomini a continuare il fuoco e, in forte inferiorità numerica, attaccarono da due lati il nemico mentre questo si stava raggruppando. Gli inglesi, colti completamente di sorpresa, per la maggior parte si arresero, mentre quelli che riuscirono a fuggire si raccolsero nel forte di Anacapri. La mattina del 5 il forte fu circondato e dopo aver ricevuto la richiesta di resa, capitolò; i 300 uomini della guarnigione si aggiunsero ai 400 fatti prigionieri nella notte e vennero inviati a Napoli. Il reggimento Royal Malta non esisteva più.

Il giorno dopo i franco-napoletani ricevettero alcuni rinforzi e discesero a Capri. Il colonnello Lowe rinunciò a qualsiasi tentativo di difesa avanzata e si rinchiuse nella città di Capri, difesa da una cinta di mura, col suo reggimento superstite, il Royal Corsican; evidentemente contava sull’intervento della Royal Navy per risolvere la situazione. Il giorno 6 i franco-napoletani poterono sbarcare rinforzi a Marina Grande e prendere il controllo di tutti i punti strategici dell’isola. Con l’arrivo di navi inglesi provenienti da Ponza i franco-napoletani si ritrovarono a essere presi tra due fuochi, tuttavia anche l’arrivo di altri navi inglesi dalla Sicilia non riuscì ad impedire che il 13 sbarcassero altri rinforzi, soldati e cannoni con cui abbattere le mura della città. Il 15 fu aperta una breccia e mentre i franco-napoletani si preparavano ad assaltare la città il colonnello Lowe chiese di trattare la resa.

I termini della resa furono inviati a Napoli, per essere approvati dal Re. Il 16, una flotta inglese che trasportava rinforzi per la guarnigione assediata, riuscì a sbarcare solo 350 uomini a causa del mare fortemente agitato; comunque erano arrivati troppo tardi. Il giorno dopo Murat approvò le condizioni di resa concedendo agli inglesi ancora presenti sull’isola di essere reimbarcati per Palermo, a patto di abbandonare armi e munizioni e di giurare di non combattere più contro i francesi per almeno un anno e un giorno. Il bilancio finale delle perdite risultò essere di 300 tra morti e feriti per i franco-napoletani, 56 per gli inglesi a cui vanno aggiunti i 750 fatti prigionieri.

A cura di Sergio Attonito

 

La composizione del corpo di sbarco


Fonte: Soldiers and Uniforms of Napoleonic Wars di Hourtoulle, Girbal, Courcelle edizione Histoire & Collections – 2004

1° Gruppo Generale Destres e Aiutante-Comandante Thomas con il compito di attaccare Capo Carena e Anacapri

            L’Aiutante-Comandante Thomas guidava la prima ondata con:
I Volteggiatori del 10° e 52° di Linea
I Cacciatori Corsicani

            Il Generale Destres li supportava con
I Granatieri del 10° e 52° di Linea
Gli Zappatori
L’artiglieria

2° Gruppo Aiutante-Generale Chaverdes con il compito di attaccare Marina Grande con:

                        I Volteggiatori del 102°
I Carabinieri Napoletani
I Granatieri Italiani
Le compagnie d’élite del reggimento Isemburg

3° Gruppo Generale Montserrat con il compito di attaccare la Marina Piccola con:

                        I Granatieri del 102°
100 Carabinieri Napoletani
120 Granatieri Svizzeri

fonte

http://www.quicampania.it/giacobini/conquista-di-capri.html




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