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“Ernesto il disingannato” (romanzo del 1874) introduzione di Gianandrea de Antonellis

Posted by on Dic 9, 2022

“Ernesto il disingannato” (romanzo del 1874) introduzione di Gianandrea de Antonellis

Lo Trovatore, Il passato ed il presente ovvero Ernesto il disingannato Prefazione S.A.R. Don Sisto Enrico di Borbone Abanderado de la Tradición Introduzione e cura del testo Gianandrea de Antonellis Postfazione
Francesco Maurizio di Giovine con due scritti inediti di Don Carlos vii, Duca di Madrid e di Francisco Elías de Tejada

Introduzione Dal Legittimismo al Carlismo

Opporsi ad un regime illegittimo – qualunque esso sia – è un atto doveroso, spesso anche di coraggio. Se poi si tratta di un regime illegittimo, potente ed uso alla violenza verso qualunque forma di seria opposizione, diventa addirittura un atto temerario. Temerario, ma nobile.

Per opporsi ad un governo illegittimo si possono usare vari tipi di arma: quelle bianche o da fuoco, naturalmente; ma anche – e soprattutto – armi di tipo culturale, perché per vincere la guerra non bastano le battaglie campali combattute dai soldati, ma sono assolutamente necessarie le campagne culturali che precedono, accompagnano e seguono gli scontri in campo aperto o la lotta casa per casa[1].

Il Regno delle Due Sicilie cadde per vari motivi, ma certamente le disfatte militari furono una causa secondaria rispetto all’indebolimento dovuto alla guerra di propaganda che il mondo risorgimentale scatenò dal 1848 in poi: da Calatafimi al Garigliano le sconfitte furono dovute, più che alla impreparazione dell’e­ser­ci­to, all’opera di indebolimento interno operata dalla formidabile macchina propagandistica liberale e democratica: prima di attaccare con le armi un governo legittimo e rispettoso dei diritti interni ed internazionali come quello dei Borbone di Napoli, lo si trasformò nella famigerata negazione di Dio, creando una (falsa) rappresentazione tanto efficace da essere tuttora presente nel­l’im­magi­nario comune.

La risposta del mondo culturale borbonico – gravemente fiaccato dalla decennale politica dell’amalgama[2] – fu inesistente o, tutt’al più, debole e tardiva. Mentre in Europa fioccavano libri, libelli, riviste e giornali di impostazione liberale, la replica ufficiale si limitò a ben poco: le flebili «Voci»(«della Verità» e «della Ragione») delle riviste di Modena e di Pesaro, ad onta degli intelletti che vi sussistevano (il Principe di Canosa ed il Conte Monaldo Leopardi) non trovarono a Napoli un eco degno di tal nome[3].

Anzi, la stessa «Civiltà Cattolica», fondata in riva al Golfo il 6 aprile 1850, rivista di grande autorevolezza e che poteva essere un eccezionale strumento di lotta culturale, nonostante lo stesso Ferdinando ii, «più seguendo le proprie ispirazioni che gli altrui suggerimenti»[4] avesse favorito la pubblicazione concedendole numerose esenzioni fiscali, a causa di un solo – pur discutibile – articolo[5] fu posta a vessazioni censorie[6], tanto che nel giro di sei mesi fu spinta ad emigrare: dopo dodici numeri “napoletani” e dopo circa un mese di chiusura riaprì i battenti a Roma nell’ottobre di quello stesso anno.

La situazione non cambiò dopo l’Unità, con la presenza di un go­ver­no illegittimo e violento, nonché ben conscio dell’im­por­­tan­za della lotta culturale, tanto da intervenire contro ogni critica di stampo reazionario: valga per tutti il caso de La Tragicommedia, giornale fondato nel 1861 da Giacinto de’ Sivo, che fu fatta chiudere dopo tre numeri[7].

Lo Trovatore, un giornale legittimista

Qualche tempo dopo (il primo numero era uscito nel 1865), anche il trisettimanale Lo Trovatore, inizialmente redatto in vernacolo napoletano, che pure non aveva la diffusione della rivista dei Gesuiti[8] né la ingenua sfrontatezza del giornale di de’ Sivo, subì gli strali censorii del governo piemontese, venendo più volte sequestrato, come ricordano le cronache del giornale stesso e uno studio coevo sulla produzione in lingua partenopea di Pietro Martorana[9]. Questi, un estroso artista dagli interessi compositi, affascinato dal vernacolo napoletano ma «non ismanioso di voler ridurre tutto a dialetto, ma oppositore solo di quelli che ardiscono dire che il dialetto Napolitano sia buono per le buffonerie, e per l’oscenità soltanto»[10], iniziò a studiarlo approfonditamente, tradusse gli Inni sacri del Manzoni e soprattutto raccolse tutte le notizie disponibili sugli autori e le pubblicazioni dialettali.

Grazie al suo studio veniamo a sapere che la fioritura di simili iniziative editoriali avvenne nel «1860, epoca in cui cominciarono i rivolgimenti politici, ed avemmo una pioggia di carte e giornali in dialetto»[11]. E, lamentando la scarsa longevità di tali pubblicazioni, sottolinea che l’unica eccezione era data da:

Il solo giornale del Trovatore, benché accolto con piacere dal pubblico, non gli è bastato l’animo di rimanere come nacque, e così cangiando abito ma non colore è diventato più toscano che napolitano.[12]

una scelta editoriale confermata nell’appendice-aggiorna­men­to dello stesso saggio:

(1873) Lo Trovatore. Questo giornale con l’ottavo anno di vita, camina sempre lo stesso, solamente à cangiato lingua ed invece di essere scritto in dialetto ora è quasi tutto in italiano.[13]

«Cangiando abito, ma non colore», «cam[m]ina sempre lo stesso»: il passaggio dal dialetto alla lingua (pur mantenendo fino al settembre 1877, due mesi prima della chiusura, una rubrica dialettale, la dialogica Chiacchiarata dint’a lo Cafè dell’Al­le­gria) fu dovuto all’intento di dare maggior peso culturale al giornale, che altrimenti poteva essere creduto «un giornale da buffoni, o per lo meno una gazzetta teatrale»[14] e non inficiò il carattere antiunitario del foglio, che anzi cambiò la propria testata da Lo Trovatore in Il Trovatore,sostituendo l’articolo determinativo dialettale con quello toscano al fine dichiarato di dare maggior serietà ai commenti politici delle proprie pagine. E il citato editoriale che annunciò tale cambiamento di abito e non di colore sottolineò esplicitamente l’appar­te­­nen­­za al fronte legittimista, chiudendosi con una versione – in grassetto – del motto carlista «Dios, Patria, Fueros, Rey»: «Per Dio, per la Patria, per la Giustizia e pel Diritto legittimo!!!».


[1] Cfr. il fondamentale saggio di Jean Ousset, L’azione. Manuale per una riconquista cattolica politica e sociale, Il Giglio, Napoli 2016, parte iii, cap. 8.

[2] Sull’argomento mi permetto di rimandare al mio saggio sul Principe di Canosa in corso di pubblicazione presso le Edizioni Il Giglio di Napoli.

[3] A proposito del clima politico del Regno di Napoli dopo il ’48, scrive Daniela Parisi (Gli studiosi cattolici e le analisi socialiste della società, in Marginalismo e socialismo nell’Italia liberale, 1870-1825, a cura di Marco Enrico Luigi Guidi, Luca Michelini, Feltrinelli, Milano 1999, p. 443 n. 11): «[i gesuiti] riorganizzano la propria struttura e le proprie iniziative, danno vita a “La Civiltà cattolica” (5 [sic] aprile 1850), tra la noncuranza degli ecclesiastici, il sospetto dei liberali e poi, dal luglio 1850, anche la censura borbonica e il trasferimento (nel novembre 1850) della rivista a Roma».

[4] Carlo Maria Curci, Memorie della Civiltà Cattolica. Primo quadriennio, La Civiltà Cattolica, Roma 1854, p. xxxviii.

[5] Anzi, di una sola frase: «Per quale forma di governo parteggeremo? siamo noi assolutisti o costituzionali? monarchici o democratici? per cui in somma sono le nostre propensioni e simpatie? E la risposta ci è indettata, ci è anzi imposta dallo scopo a cui miriamo e fino dal nome che abbiamo dato alla nostra pubblicazione. Una Civiltà cattolica non sarebbe cattolica, cioè universale, se non potesse comporsi con qualunque forma di cosa pubblica». Programma, in «La Civiltà Cattolica», anno i (1850), n. 1, p. 18.

[6] Cfr. C. M. Curci, Memorie della Civiltà Cattolica, cit., p. xxxviii-xl.

[7] Gli articoli del giornale sono stati integralmente riproposti in Giacinto de’ Sivo, La Tragicommedia. L’unificazione dell’Italia vista dalla parte del Sud, a cura di Francesco Maurizio Di Giovine e Gabriele Marzocco, Il Giglio, Napoli 19962.

[8] Nei primi anni giunta addirittura a 12.000 abbonamenti, cifra eccezionale per l’epoca. Cfr. C. M. Curci, Memorie della Civiltà Cattolica, cit., p. xxxv.

[9] «(1866) 15 Gennajo – Lo Trovatore. Quarantasette numeri in folio piccolo. Tutto in dialetto. Sofferse quattro sequestri. Direttore D. Saverio. Gerente Giuseppe Sferra. Tipografia dell’Ateneo, eccetto i numeri dal 15 al 18 che sono editi dalla Tipografia di Pasquale Androsio: dopo tre mesi e 24 giorni propriamente il dì 28 Agosto ricomparve di nuovo, seguendo l’antica numerazione, con lo stesso D. Saverio Direttore, Gerente Giuseppe de Angelis; Tipografia vico Gerolomini; e dal n° 81 fino al n° 100 nella Tipografia dell’Ateneo, e con questo numero termina il 1° anno. Questo giornale è in corso ed ha avuto altri tre sequestri, e fin oggi è giunto al n° 24 del 2° Anno». Pietro Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano,Chiurazzi, Napoli 1874, p. 251-252.

[10] Ivi, p. 299.

[11] Ivi,p. xxii.

[12] Ivi, p. xxii-xxiii

[13] Ivi, p. 437-438.

[14] Il Trovatore, editoriale del 4 gennaio 1873. Cfr. Appendice III.

Gianandrea de Antonellis

editore

D’Amico Editore

………….continua

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