Alta Terra di Lavoro

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Essere scrittore a Napoli dopo Gomorra

Posted by on Gen 2, 2023

Essere scrittore a Napoli dopo Gomorra

Napoli è stata per secoli una capitale europea, alla pari di Londra e di Parigi, con il vantaggio di essere posta sul Mediterraneo, una posizione centrale favorevole per gli scambi non solo commerciali, ma anche culturali; a  differenza delle altre  grandi città non ha però avuto celebri scrittori della  statura di Balzac o Hugo o Dickens, che ne abbiano saputo raccontare la storia  e le storie. Pochi i nomi che potremmo citare, come Mastriani o la Serao, ma  parliamo sempre di narratori d’appendice che scrivevano in dialetto o si  interessavano di problematiche prive di un respiro universale.

Il motivo di questa carenza va ricercato, oltre che nel carattere  autoreferenziale che ha sempre caratterizzato la nostra cultura, nella  circostanza, comune a tutte le società povere e con molti analfabeti, di  utilizzare come principale forma espressiva il teatro e la musica popolare con le sue canzoni struggenti e malinconiche, vivaci ed appassionate.
Il cuore palpitante di Napoli ha trovato degni interpreti in Viviani, attento  ai bisogni del sottoproletariato, che affollava i vicoli brulicanti di passioni
e di umanità ed in Eduardo acuto osservatore della piccola borghesia con i suoi  pregi ed i suoi difetti.
Tra gli scrittori del secolo scorso in grado di portare le vicende  napoletane, per quanto squallide, all’attenzione di una platea internazionale,
vi è il solo Curzio Malaparte, oggi in parte dimenticato, ma all’epoca in grado di incendiare il dibattito sulla città.
Dopo il successo planetario di Gomorra la letteratura napoletana, già povera  di firme prestigiose, ha inseguito un solo tema: la camorra, con la segreta  speranza, fomentata dagli stessi editori, di sfruttare l’effetto Saviano.
Abbiamo avuto un diluvio di pubblicazioni, tutte brutte copie dell’originale,  dal libro della giornalista Capacchione a quello del pluriscortato giudice
Cantone, oltre ai testi di Simone Di Meo, che rivendica alla sua penna di  cronista interi brani di Gomorra.
Il risultato è stato un aumento di prestigio dei clan, dotati ora di una celebrità gratuita legata a libri, film e spettacoli teatrali.
Napoli ha un disperato bisogno di autori che sappiano raccontare una società   in trasformazione dopo essere stata immobile per secoli, al punto da far  pronunciare a Pasolini la celebre frase che “I Napoletani sono l’ultima tribù  che lotta contro la modernità”.

Nessuna voce, né indigena né aliena, ha saputo captare quel coacervo di suoni, odori, sapori, sensazioni che promana potente come un afrore inebriante dai tanti immigrati, di colore o meno, che a decine di migliaia hanno sostituito i napoletani nel centro storico.
Aspettiamo ancora quell’intellettuale il quale, invece di limitarsi a descrivere, sappia spiegarci il perché in tanti quartieri della città vi sia un odio verso le forze dell’ordine, verso lo Stato e verso la legge, visti come  carnefici, come persecutori, come custodi di norme incomprensibili. Come in così vasti settori della popolazione vi sia un’idea di aggregazione limitata a pochi isolati, a poche famiglie e non si riconoscano regole che non siano quelle dettate da secoli di ignoranza e di incuria pubblica e dove si  perpetuano usanze tribali, portando inesorabilmente verso il degrado, la povertà e la subordinazione alla malavita, che a sua volta considera la polizia  come un esercito straniero e le vittime degli scontri caduti in guerra.
Negli ultimi decenni la città si è dilatata in una periferia anonima, un  mondo grigio di palazzi tutti eguali, abitati da centinaia di migliaia di  persone che non si conosco più come nel vicolo, un popolo senza memoria storica  e senza un ragionevole progetto per il futuro, costretto a vivere, purtroppo, in un interminabile e soffocante presente.
Un universo che somiglia a tante periferie del sud del mondo con le stesse  ansie e gli stessi problemi, ma che a Napoli non poteva non avere il suo lato  comico nello stridente contrasto tra il nome altisonante di alcune strade e lo  squallore che le circonda, indirizzi beffardi a Secondigliano per abitanti  costretti a vivere gomito a gomito con la criminalità organizzata. La più  grande piazza per lo spaccio della droga d’Europa che confina con Il posto  delle fragole o Il giardino dei ciliegi, mentre le vedette della camorra si  stagliano prepotenti in via La certosa di Parma o I racconti di Pietroburgo. A  Ponticelli, altro Bronx invivibile, si passeggia in strade desolate che  richiamano un lontanissimo mondo di favola da via Walt Disney a via Marilyn  Monroe o viale Fratelli Grimm. Come se i nostri incauti amministratori avessero  voluto affidare ad un’improbabile toponomastica il compito improbo di rendere
quei luoghi inospitali, vivibili e civili.

Ed infine in questo disperato crepuscolo delle coscienze attendiamo un valido  cantore di una borghesia malata e collusa e dell’intreccio inestricabile tra
imprenditori voraci e politici corrotti, mentre magistratura ed opinione  pubblica non si accorgono di nulla.

Achille della Ragione

fonte

https://www.adsic.it/2009/05/30/essere-scrittore-a-napoli-dopo-gomorra/#more-2041

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