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Fondi: Onorato Caetani, artefice primo dell’elezione a papa di Clemente VII

Posted by on Gen 7, 2023

Fondi: Onorato Caetani, artefice primo dell’elezione a papa di Clemente VII

   Il 20 settembre 1378 ci fu il conclave a Fondi, in cui fu eletto il cardinale Robert di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII. Egli fu eletto dagli stessi porporati che avevano, cinque mesi prima, riconosciuto per pontefice Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari.

Era iniziato formalmente il “grande scisma d’Occidente”, che divise la cristianità per trentanove anni abbassando ancora di più il prestigio del papato. Già il 2 e il 9 agosto i cardinali avevano dichiarato, ad Anagni, dove si erano traferiti con il pretesto che l’aria era divenuta malsana, con una “Declaratio”, la sede apostolica vacante, giustificando l’insolito atto con il pretesto della tumultuosa elezione dell’8 aprile, originata dalle divisioni esistenti in seno al collegio cardinalizio, che compì con esso atti solenni ed ottenuto grazie da Urbano.

   L’origine della scissione non dipendeva da controversie dottrinali, ma da questioni di persone e di fatti. Il ruolo dei fattori politici dovette essere preponderante, secondo M. de Bouard, in “Les origines des guerres d’Italie. La France et l’Italie en temps du Grand Schisme d’Occident”. Secondo lo storico francese, l’origine del Grande Scisma era politico. Non tutti i cardinali ebbero la stessa responsabilità nel sorgere dello scisma. Quella più grande va attribuita particolarmente a quattro cardinali del partito dei limosini e al Camerario Pierre de Cros, deposti e scomunicati anche nominalmente da Urbano VI, il 29 novembre 1378, con bolla “Nuper cum vinea Domini”, riportata dall’erudito trevigiano Odorico Rinaldi in Annales Ecclesiastici”, VII, 363. Urbano  scomunica anche il conte di Fondi,  a cui furono strappate le terre di Campagna e Marittima, definendolo malvagio, meritevole di punizione. Fondi, definita “la città di Satana”, è colpita da interdetto. E’ conservata nella chiesa di S. Pietro Apostolo la cattedra  cosmatesca del vescovo di Fondi, risalente al Duecento, che servì  a Onorato Caetani per l’incoronazione di Clemente VII.  La tiara posta  dal conte di Fondi sulla testa di Robert da Ginevra viene riconosciuta da amici e da nemici. Questo solenne atto simbolico dimostrò chiaramente al mondo chi era  il promotore dello scisma.

   Il nemico dichiarato del pontefice itrano  era il cardinale Jean de la Grange, non presente nel conclave romano. L’influente porporato aveva acquisito, al servizio  della Chiesa e del sovrano di Francia, nome e ricchezza. Incaricato di molte missioni diplomatiche, membro del Grande Consiglio del re Carlo V,  designato da lui come esecutore del suo testamento e membro del futuro Consiglio di Reggenza, questo cardinale era la personalità più importante nel Sacro Collegio. E’ facile capire le conseguenze dell’imprudenza che ebbe Urbano VI nell’offendere pubblicamente il potente cardinale francese, giunto nella Città Eterna il 24 aprile, 16 giorni dopo l’elezione del successore di Gregorio XI.  Il rimprovero del pontefice a Jean de la Grange derivava dalla conclusione delle trattative di pace di Sarzana, tra la Francia e l’Inghilterra. Urbano pronunciò contro di lui, benedettino, in pubblico concistoro, parole asperrime, con furore, accusandolo di essersi appropriato di unna forte somma di denaro. Questo fu il riconoscimento delle sue attività diplomatiche. Quando il cardinale Bertrando Lagier fu nominato alla diocesi di Ostia, il de la Grange, cardinale  del titolo dei Santi Quattro coronati, insieme con il cardinale di Ginevra, fu rimproverato di essere un “malus homo”. Uguale responsabilità, se non maggiore, dobbiamo ascrivere al Camerario, arcivescovo di Arles, Pierre de Cros, che trovò poco gradita l’elezione del Reggente della Cancelleria. Il giorno seguente all’elezione, il Camerario non nascose la sua contrarietà per l’elezione avvenuta dicendo che Urbano  non era papa, né sarebbe rimasto papa. Il de Cros scrisse personalmente al re di Francia, in presenza del cardinale Flandrin, per svalutare l’ambasciata ufficiale di Urbano al re, e di aver scritto, da Anagni, alla regina Giovanna d’Angiò per lo stesso motivo. Il suo zelo di liberare la Chiesa sarebbe andato fino al punto di voler imprigionare Urbano, se fosse passato nei pressi di Castel S. Angelo. Già a Roma, alla fine di aprile, il Camerario, che era in possesso dei gioielli e della corona del tesoro pontificio,  ebbe l’intenzione di avvelenare Urbano. Egli aveva anche in progetto una spedizione, da Anagni a Tivoli, per impossessarsi del pontefice, con l’ausilio delle compagnie di ventura, assoldate da lui, ma non riuscì ad accordarsi con loro.

   L’intenzione dei cardinali di incarcerare il papa, se fosse andato ad Anagni viene attestata da alcuni testimoni, quali Garsias Martini, Alvarus Martini, Galhardus e Tommaso d’Acerno, già alla fine di giugno.

   Quali le cause di un odio così dichiarato, che alimentò la ribellione di Pierre de Cros? L’intenzione di Urbano di far valere i suoi diritti primaziali, di fronte ai cardinali, certamente comprendeva anche il responsabile della sua politica finanziaria.

   Come organizzatori principali dello scisma, sono da annoverare ancora i cardinali Flandrin, grande giurista del collegio cardinalizio e candidato al papato per il partito francese,e Gerardo di Puy, il cui atteggiamento verso Urbano  non appare troppo cordiale. A Fondi fu il cardinale Flandrin che attirò, insieme con i cardinali di Malesset,  di Sortenac e Noellet, alcuni porporati a far parte delle ribellione del Sacro Collegio, facendo balenare a ciascuno di loro la possibilità di essere eletti.

 Il cardinale Gerardo di Puy ebbe gravi difficoltà con Urbano, che considerava il cardinale l’organizzatore della rivolta, il vero responsabile della resistenza di Castel S.Angelo. affidato a Pietro Gandelin.

   I cardinali ribelli partirono da Anagni  per Fondi tra il 21 e 27 agosto. Il cardinale Pietro Corsini, in seguito alla sua opera di mediazione svolta assieme ai cardinali Simone Brossano e Giacomo Orsini, si abbandonò ingenuamente alle speranze di poter venir eletto papa. L’interesse di compiacere al potere politico aveva fatto dimenticare ai tre cardinali ogni coscienza ed ogni religione. Tutto questo per amor proprio, che  li aveva privati  della grazia spirituale e temporale.  I cardinali francesi riferiscono  nelle loro deposizioni, con sensibile soddisfazione, come il cardinale Corsini comperava, a Fondi, i loro voti. Anche il fratello del porporato venne in aiuto e fu impegnato nell’agitazione elettorale. L’Orsini, secondo alcune testimonianze attendibili, avrebbe già lavorato  per la propria candidatura nel futuro conclave di Fondi. I cardinali francesi guadagnarono alla loro causa l’ambizioso Orsini, che aspirava alla tiara pontificia.

   Sembra che il cardinale realmente abbia avuto illusioni del genere. L’amara delusione di Fondi costrinse poi l’Orsini a seguire la politica di neutralità. I tre cardinali italiani, il 12 settembre, erano stati chiamati a Fondi dai loro colleghi. Per una settimana, durarono le  ultime trattative. A trattare con gli italiani, furono incaricati i cardinali Flandrin, di Malesset, Noellet e di Sirenac. Il cardinale Robert di Ginevra non trattò con loro. La sua futura elezione era già decisa prima del 12 settembre. Rimaneva soltanto la fatica di convincere i colleghi italiani. Per risolvere la situazione, questi proposero il concilio generale o particolare. Esso avrebbe dovuto esser composto dai prelati di tutte le province (un terzo dell’Italia, un terzo della Francia, un terzo del resto della cristianità), da celebrarsi a Venezia, o a Pisa, o a Napoli. Al rifiuto dei cardinali francesi, quanto al luogo, venne proposto dagli italiani come luogo più più adatto il Piemonte. La cosa non fu accettata dai francesi, per cui venne allora proposto dai cardinali italiani che frattanto l’amministrazione dei beni temporali (“temporalia”) fosse affidata a due cardinali e la giurisdizione spirituale (“spiritualia”) a ciascun prelato.

   Un giorno, durante il pranzo, il cardinale Flandrin, l’anima delle trattative, rimproverò l’Orsini e i cardinali italiani, guadagnandoli poi alla sua causa con la promessa, fatta a parte a ciascuno di loro, che sarebbero stati eletti. La tentazione era troppo forte per l’ ambizione personale dei cardinali italiani e fu, senza dubbio, il vero movente del loro abbandono della “via concilii”. Per  assicurare ancora di più questo esito desiderato, essi proposero, alla fine, un comitato più ristretto degli elettori: tre  cardinali italiani e tre cardinali francesi. Questa ultima “via compromissi” fu patrocinata il 19 settembre, alla vigilia del conclave di Fondi, evidentemente per motivi patriottici, dallo stesso Niccolò Spinelli, conte di Giovinazzo , giunto da Napoli, anche per aiutare i cardinali nella scelta del papa italiano. Il rifiuto fu del cardinale Flandrin, il quale nel contempo era riuscito a condurre felicemente la navicella delle trattative in porto. Brossano, Corsini e Orsini  erano ormai presi al laccio.

   L’elezione del pontefice non italiano, però, era già decisa dai cardinali transalpini. Sicuri ormai della neutralità del reame di Napoli e della protezione del conte di Fondi, Onorato Caetani, e fiduciosi nella benevola accoglienza che avrebbe ricevuta la nuova elezione in Francia e nell’Impero, entrarono, il lunedì 20 settembre 1378, in conclave, nel palazzo del conte di Fondi. I cardinali italiani furono invitati e, sperando, ciascuno, nella propria elezione, parteciparono al conclave. Come sappiamo dalle deposizioni degli stessi cardinali francesi, il conclave fu brevissimo, una pura formalità, essendo l’elezione di Robert da Ginevra già concordata prima. Il cardinale Jean de Cros escluse la candidatura dei tre cardinali italiani e propose di eleggere un cardinale che non fosse né francese, né italiano, ma suddito dell’impero, cioè Robert dei conti di Ginevra. Tutti i cardinali francesi, senza eccezione, gli diedero il voto. I cardinali italiani si astennero dal votare pregando i colleghi francesi di rimandare almeno la pubblicazione dell’elezione al giorno seguente,e partirono immediatamente da Fondi, amaramente delusi. L’elezione di Robert di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII, venne poi proclamata il 21 settembre e il 31 ottobre il nuovo papa fu incoronato nella cattedrale, secondo le deposizioni dei cardinali Flandrin, di Puy e di Montalais, dal conte Onorato Caetani, rettore della Campagna e della Marittima, “cospiratore contro il pontefice legittimo”, alla presenza  di Ottone di Brunswich, il consorte della regina di Napoli, Giovanna I. L’ingenuità dei cardinali italiani fu coronata così da una completa sconfitta, dalle conseguenze ormai irreparabili. Solo ora, dopo aver assistito, con un colpo di mano, all’elezione di Clemente, essi ripresero la “via concilii”.

   La ripresa di quest’ultima da parte dei confusi porporati italiani, dettata ora più da sentimenti nazionali e da interessi familiari e beneficiarii, che non dalla compassione per la sorte di Urbano, non sarebbe mai avvenuta nel caso dell’elezione di uno di loro.

   Con il tradimento di Fondi dei cardinali italiani era fallita per Urbano VI, che, mandando i tre cardinali ad Anagni, era disposto a prendere la strada del concilio, l’ultima speranza ed anche l’ultima possibilità di impedire lo scisma. Purtroppo l’ottimismo dell’infelice papa, che si era reso conto troppo tardi delle proprie responsabilità, non gli permise di considerare i pericoli che nascondeva la partenza degli ultimi cardinali. Dando il suo consenso, dopo un periodo di incertezza, il pontefice non avvertì, all’inizio, che il concilio richiestogli dai cardinali italiani per decidere sull’elezione dell’8 aprile poteva nascondere degli imprevisti anche per l’autorità pontificia, qualora fosse attuato secondo le intenzioni dei cardinali italiani. E’ vero che il consenso di Urbano per il concilio, come attestò il cardinale Misquino, era condizionato dal fatto che i cardinali dovevano tenerlo come vero papa. Era, però, molto difficile prevedere i risultati del concilio, una volta avviate le discussioni e suscitate le idee pericolose da tempo latenti. Purtroppo, l’incoerenza dei cardinali italiani a Fondi, per quanto comprensibile nella divergenza delle opinioni canonistiche del tempo, non può essere scusata e rimarrà sempre un grave peso per la loro responsabilità nell’insorgere dello scisma. I motivi di ambizione sono troppo visibili nel loro abbandono della “via concilii” ed assicurarono principalmente l’elezione di Clemente VII.

   Si fronteggiarono allora due papi con i loro partiti e le loro “obbedienze”. Nella Chiesa si era creata una confusione nelle coscienze : i francescani di Fondi, dipendendo dalla provincia dei Minori di Napoli, aderirono allo scisma suonando le campane a distesa, riconoscendo, quindi, Clemente VII, mentre i domenicani non ossequiarono l’antipapa e si rinchiusero, in segno di lutto, nel loro convento. Facciamo presente che i più illustri giuristi dell’epoca, Giovanni de Lignano e  Baldo di Perugia, scrissero apologie in difesa del Prignano e alcune università si pronunciarono in suo favore.

   Clemente VII confermò Onorato Caetani nelle cariche, nei titoli e nei benefici largheggiando in questi ultimi, con la prerogativa della trasmissibilità dei beni da parte  del “diletto figlio” e “nobile uomo”, che tanto aveva contribuito al diffondersi dello scisma. Il conte Onorato I, fautore e protettore dello scisma, ottenne da Clemente VII,  ricordato più come uomo d’armi che di chiesa, alcuni territori, tra i quali le terre delle Fratte, l’odierna Ausonia, e Castelnuovo Parano, confiscate a Montecassino.

Alfredo Saccoccio

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