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IL TRAGICO DESTINO DEI SOLDATI NAPOLITANI PRIGIONIERI DEI SAVOIA

Posted by on Gen 27, 2023

IL TRAGICO DESTINO DEI SOLDATI NAPOLITANI PRIGIONIERI DEI SAVOIA

Il Real Esercito delle Due Sicilie fu fondato da re Carlo di Borbone nel 1734, anno dell’indipendenza del Regno dal dominio asburgico. La legge che istituì ufficialmente il Real Esercito Borbonico fu firmata da re Carlo il 25 novembre 1743, con la quale si costituivano 12 reggimenti provinciali e una compagnia di fucilieri da montagna.

Il 20 marzo 1861, dopo 127 anni, sulla fortezza di Civitella del Tronto si ammainava per l’ultima volta la bandiera del Regno delle Due Sicilie. Era la fine del Regno e del suo esercito. Tre giorni prima, il 17 marzo, era stata proclamata l’unità d’Italia con legge n° 4671.

Tra i vari problemi del nuovo governo italiano c’era quello dell’impiego degli ex appartenenti al disciolto esercito napolitano. Nel 1860 l’esercito borbonico aveva in forza circa 97 mila uomini, di cui 4 mila ufficiali. A questi si dovevano aggiungere i marinai della Real Armata di Mare, la polizia e una milizia territoriale denominata guardia urbana, mobilitata in caso di bisogno.

Dopo lo sbarco dei Mille a Marsala nel maggio del 1860, a seguito degli scontri armati e dell’avanzata dei garibaldini in Sicilia, in Calabria e in Basilicata, Garibaldi usò sempre liberare i soldati borbonici fatti prigionieri, la maggior parte dei quali raggiunge il nuovo fronte sul Volturno o andò a casa. Pochissimi accettarono di entrare nell’armata meridionale di Garibaldi.

Nel settembre del 1860 fu riorganizzato l’esercito borbonico ai comandi del generale Ritucci e schierate le unità sul Volturno, facendo perno sulla fortezza di Capua. Durante i vari scontri con i garibaldini i soldati napolitani catturati non furono più liberati, ma tenuti in prigionia. Con l’intervento dell’esercito piemontese penetrato nel Regno dagli Abruzzi, cadde il fronte del Volturno e, poco dopo, la fortezza di Capua. Di conseguenza, le autorità militari savoiarde si ritrovarono a dover governare migliaia di prigionieri napolitani, che aumentarono dopo la resa delle ultime guarnigioni di Gaeta, Messina e Civitella.

Finita la campagna meridionale, il ministro della guerra Manfredo Fanti con Nota n. 76 del 4 maggio 1861 decretava la fine dell’Armata Sarda e la nascita del Regio Esercito Italiano. Sui circa 4 mila ufficiali napolitani, 2.311 furono inseriti nel nuovo esercito nazionale. Se gli ufficiali in maggioranza presentarono domanda di ammissione all’esercito italiano, i sottufficiali e la truppa furono restii ad accettare di rimanere sotto le armi prestando giuramento al re Savoia.

Furono circa 30-40 mila i soldati napolitani catturati e deportati in campi di prigionia in nord Italia. Tra i primi vi furono quelli della guarnigione di Capua, imbarcati a Napoli, sbarcati a Genova e da lì trasportati in treno fino a Pinerolo. Erano destinati alla fortezza di Fenestrelle, un complesso fortificato di tre forti e sette ridotte ai confini con la Francia che arriva fino alla quota di 1800 metri. Sui 1300 prigionieri circa del primo contingente partiti da Napoli, ne giunsero a Fenestrelle la sera del 9 novembre 1860 solo 1186, dopo una lunga marcia sulle tortuose strade alpine (che fine avevano fatto gli altri?). Di questi, uno morì subito e 178 furono ricoverati in cattive condizioni in ospedale, dove ne morirono altri quattro. Erano uomini in uniformi leggere e lacere, affamati, prostrati dall’assedio, dal lungo viaggio e da una navigazione di tre-quattro giorni stipati sottocoperta come schiavi, detenuti nei freddi cameroni della fortezza alpina. Un articolo della rivista dei gesuiti “La civiltà Cattolica” pubblicato nel 1861 descrisse le condizioni di vita di quei prigionieri, parlando di uomini stremati dalle fatiche, nutriti con mezza razione di pane e con una ciotola d’acqua sporca chiamata minestra dall’ufficiale di rancio della fortezza: «Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano[…] Quei meschinelli coperti da cenci di tela, e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane e acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e di altri luoghi posti nei più aspri siti delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in un clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar dì fame e di stenti tra le ghiacciaie».

Le decine di migliaia di prigionieri napolitani furono detenute in vari campi, tra cui quello citato di Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Genova, Alessandria, Milano e altri. Qui subirono durissime pressioni da parte delle autorità savoiarde per accettare l’arruolamento nel nuovo Regio Esercito Italiano. Furono usati strumenti come il freddo, la fatica, la fame, la pressione psicologica, ma, nonostante ciò, furono migliaia quelli che rifiutarono, rispondendo «Uno solo Dio, uno solo Re, uno solo giuramento».

Dopo la caduta della fortezza di Capua il primo ministro piemontese Cavour inviò il generale Alfonso La Marmora ad ispezionare la cittadella di Milano, dove erano detenuti molti prigionieri napolitani, per avere un rapporto sulla possibilità di arruolarli nel nuovo esercito italiano che si stava formando. La relazione del generale piemontese fu un misto di disprezzo e razzismo. Il 18 novembre 1860, comunicò le sue valutazioni a Cavour: «I prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Di 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a prender servizio. Sono tutti coperti di rogna e di vermina, moltissimi affetti da mal d’occhi e da mali venerei […] dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Ieri a taluni che con arroganza pretendevano il diritto di andare a casa perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco II, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano di servire, che erano un branco di carogne, che avremmo trovato il modo di metterli alla ragione».

Il governo piemontese temeva che un numero così alto di ex militari borbonici, di renitenti alla leva e di disertori potesse creare gravi problemi di ordine pubblico nel territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie, ma nello stesso tempo si rese conto che arruolarli nel nuovo esercito non sarebbe stato fruttuoso, poiché la maggioranza dei napolitani rimaneva fedele al re Borbone. Cavour scrisse, quindi, al ministro della guerra Manfredo Fanti: «Torni con un piano pel riordinamento dell’esercito, o per dir meglio per l’introduzione in esso dell’elemento napoletano. Per carità, non si pensi a ritenere tutti i soldati borbonici sotto le armi. Si lasci andare a casa quelli imbevuti del malo spirito del regime passato. Avremo un minor numero di soldati, ma molto migliori».

Il Regio Decreto del 20 dicembre 1860 chiamava alle armi tutti gli ex militari napolitani delle leve dal 1857 al 1860, mentre le classi più anziane erano poste in congedo illimitato perché ormai irrecuperabili. Il termine di presentazione era fissato al 1° giugno 1861: chiunque non avesse risposto alla chiamata sarebbe stato perseguito per diserzione. Su 72.000 uomini previsti dalla chiamata nel territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie se ne presentarono 20.000, molti dei quali riottosi ed inquadrati in unità di disciplina dove subivano una dura rieducazione. Il rischio era che i renitenti e gli sbandati si sarebbero uniti alle formazioni di insorgenti borbonici già in fase di organizzazione e che stavano infiammando il sud Italia. Quindi, la reazione del governo di Torino fu di mantenere reclusi al nord chi rifiutava di giurare fedeltà a Vittorio Emanuele e fu attuata nelle province meridionali una durissima campagna repressiva contro la guerriglia e contro la dissidenza, con migliaia di uccisi, fucilati, arrestati e deportati.

Il governo di Torino tentò anche la deportazione oltre oceano di quei soldati. Alcune centinaia furono inviati negli Stati Confederati d’America e arruolati nell’esercito sudista. Altri furono proposti ai governi portoghese, australiano e argentino, con destinazione le isole atlantiche, quelle oceaniche e la fredda Patagonia, ma non fu trovato un accordo.

Una ricerca analitica sui caduti e sui prigionieri napolitani è stata realizzata dallo studioso Massimo Cardillo, il quale ha prodotto degli elenchi non definitivi. In questi, l’ultimo napolitano deceduto in prigionia a Fenestrelle risulta in data 01-01-1867. Ciò significa che la deportazione dei soldati, dei renitenti alla leva e dei disertori meridionali ebbe una lunga durata che si prolungò anche oltre la III guerra d’indipendenza.

Lo studio più recente sulla storia dei prigionieri napolitani dei Savoia è stato quello realizzato dal professore Giuseppe Gangemi dell’Università di Padova, il quale ha effettuato una minuziosa ricerca presso l’Archivio di Stato di Torino. Dopo aver analizzato migliaia di biografie e ruoli matricolari, è giunto a ipotizzare un numero impressionante di morti in prigionia: circa 16.000. Una tragedia non riconosciuta dalla storiografia ufficiale, emersa con una ricerca ostacolata dal dirigente dell’Archivio e dagli impiegati, è narrata nel saggio In punta di baionetta – 1860-1870: le vittime militari della Guerra Meridionale nascoste nell’Archivio di Stato di Torino.

BIBLIOGRAFIA

Cardillo Massimo, Onore al soldato napoletano, Youcanprint, 2019.

Fasanella Giovanni e Grippo Antonella, 1861. La storia del Risorgimento che non c’è nei libri di storia, Sperling&Kupfer, settembre 2010.

Gangemi Giuseppe, In punta di baionetta – 1860-1870: le vittime militari della Guerra Meridionale nascoste nell’Archivio di Stato di Torino, Rubettino, 2021.

https://www.linchiestaquotidiano.it/…/i-soldati…/29951

https://www.pontelandolfonews.com/…/il-forte-di…/

APPROFONDIMENTI:

Gigi Di Fiore, I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli.

Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, 1861: La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia

Giuseppe Gangemi, In punta di baionetta. Le vittime militari della Guerra Meridionale (1860-1870) nascoste nell’Archivio di Stato di Torino

Domenico Anfora

1 Comment

  1. Si’, ho usato le maiuscole per rispetto! Sono stata due volte lassù nella macabra e gelida fortezza di Fenestrelle… fatta a strapiombo di confini tra il Piemonte e la Savoia oggi Val d’Aosta… a ridosso dalla parte piemontese nelle vasche sono state recuperate ossa di scheletri dei morti di maltrattamenti, di fame e di freddo dei tanti soldati napolitani che non sopravissero nella nostalgia della patria lontana e della famiglia perduta… uno strazio!… e l’ilare Barbero a dire che dalle ricerche negli ospedali a valle non arrivano alla decina i decessi registrati… la fine degli altri non se la chiede neppure!… caterina

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