Alta Terra di Lavoro

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Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (VIII)

Posted by on Feb 7, 2023

Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (VIII)

CAPITOLO OTTAVO
Quegli assassini dei fratelli d’Italia sono un nuvolo di cavallette voraci

Se si dovesse credere alle parole dei rivoluzionarii, ed ai loro giornali,  tutti gli antichi governi  d’Italia erano detestabili per le loro tirannie, deplorabili per la mala amministrazione,  esecrabili  in  ogni  modo,  e  contrarii fino alla civilizzazione ed al progresso dei lumi. Volendo ascoltare la rivoluzione, essa è la sola che possa dare la pace, la felicità, la civilizzazione e la libertà, e che fuori di lei non c’è che barbarie, schiavitù, miserie e tenebre. Ma la rivoluzione non ha dunque mai versato il san­gue dei popoli per parlare in tal maniera? Essa dunque non ha rapito, imprigionato, esigliato, aggravato di favo­lose imposte, e suscitate guerre fratricide?… Non è dessa cheda 75 anni riempie le nazioni di disordine, innonda l’Italia meridionale di sangue e di rovine?… Non è dessa che sotto pretesto di libertà rovescia in Europa i sovrani legittimi, ora colla violenza, ora col tradimento, e che mette al loro posto, spesso intriganti e sempre oppresso­ri?… Non è dessa che confiscava poco fa in Francia i beni  dei  preti  e  degli  emigrati,  e  che confìsca nella Penisola i beni della Chiesa ed i troni dei Re?… Non è dessa che aggrava la Francia e l’Italia di debiti e d’im­poste d’ogni genere?… Non è dessa che ha fatte quelle odiose liste di proscrizione che fecero fremere tutto il mondo?… Non è dessa in fine che da quasi un secolo arma i popoli contro i popoli, e che per dominare da per tutto getta ovunque col suo giogo, i suoi intriganti ed i suoi regicidi, i suoi patiboli e le sue fucilazioni, la deso­lazione e la morte?…

E chi dunque potrebbe aver commessi tanti delitti, se non fosse lo spirito fatale del disordine che dopo Voltaire non ha cessato di soffiare sull’Europa l’odio a Dio ed ai Re?… Ieri lo spirito del disordine faceva in Francia strazio e rovina, oggi in Italia sparge sangue ed oppressione. Ieri i re gli facevano la guerra, oggi proclamano il suo diritto e la sua sovranità. Ieri si chiamava Robespierre o Marat, oggi si chiama Mazzini, Napoleone, Vittorio Emmanuele, Garibaldi; e questi nomi diversi che servono a distinguere i suoi diversi attributi, e le sue diverse fasi politiche, non ne formano realmente che un solo, il quale è scritto nella storia con lettere di sangue! Questo nome formidabile è la Rivoluzione!!!

Vediamo dunque ciò che la rivoluzione, che si chiama anche piemontesismo e mazzinianismo, abbia fatto in Italia dopo le conquiste e le annessioni. Noi non possiamo che indicare sommariamente i fatti, giacché gli avveni­menti si precipitano. La rivoluzione italiana è già sulla strada di Roma, e noi ci occuperemo d’avvilire anche un’ultima volta questo Governo di fucilatori prima che salga sul Campidoglio dove Mazzini lo crocifiggerà sulla croce del cattivo ladrone. Cominciamo dalle imposte: le cifre sono officiali.

Ecco un quadro istruttivo di qualcuna delle numerose imposte che aggravano oggi il regno di Napoli, confronta­te colle imposte che si pagavano sotto l’odioso, sotto il deplorabile governo dei Borboni.

Le cifre parlano tanto eloquentemente come i fatti stessi.

Sotto i Borboni Sotto i Piemontesi

Diritti sugli atti civilie sui contratti
Franchi 27.037.5018.000.000
Diritti sugliatti giudiziali
Franchi799.0002.800.000
Diritti disuccessione
FranchiNiente6.000.000

Sigillo

Franchi2.863.00010.800.000
Attiamministrativi

TOTALE

Franchi6.365.75038.434.600

Daremo ancora un quadro comparativo sulla felicità dell’Italia rigenerata e annessa. Le cifre che presentiamo sono officiali, ma non riguardano che cinque imposte solamente.

Sotto iGoverni LegittimiSotto il Piemonte
9.116.000Lombardia12.517.050
2.800.000Toscana7.946.000
1.176.000Parma2.248.650
945.000Modena2.676.600
1.828.961Romagne4.655.850
2.320.700Marche ed Umbria6.358.100
6.335.750DueSicilie39.721.600
Fr.24.522.411Fr.76.123.850

II numerario della banca di Napoli, che il 27 agosto 1860 ascendeva a 19.316.295 ducati, il 27 settembre del medesimo anno non era che di 10.930.811 ducati. Il 28 gennaio 1861 discendeva a 7.900.115 ducati, ed il 2 aprile seguente non era più che di 6,983.724 ducati (Segretariato generale delle finanze napoletane, p. 16, Napoli 1861). Non v’è città in Italia in cui i piemontesi abbiano tanto rubato quanto a Napoli, ed in cui i pubblici tesori siano stati tanto spudoratamente vuotati: fino i conventi sono stati messi a ruba da questo nuvolo di cavallette voraci giunte dal regno subalpino.

Ecco quanto basta per le imposte e le finanze; passiamo ora agli arresti, e citiamo un rapporto ufficiale sulle prigio­ni nel regno delle Due Sicilie: è del 27 febbraio 1862. Fu pubblicato da tutti i giornali anti-piemontesi d’Europa, e la sua autenticità non è stata né negata, né posta in dubbio

A quest’epoca v’erano nelle prigioni e nei forti di Napoli 12.000 detenuti politici, ed in mezzo a questi, 4.000 donne la maggior parte che davano ancora il latte ai loro teneri figli. Nelle 16 provincie del regno i detenuti politici sommavano a 47.700. Durante i soli tre primi mesi di quest’anno, la polizia di Napoli, puramente, ha fatte 1511 visite domiciliari. Ed il Piemonte osa dire che è stato chiamato dai voti delle popolazioni italiane! Dopo la guerra del 1859 si può fare ammontare certamente in tutta l’Italia a 500.000 il numero dei detenuti politici. Mai non si prese tanto giuoco della libertà dei popoli, se non forse ai tempi di Robespierre! Mai un re Cristiano non ha cosi strascinata la sua corona ed il suo scettro nel sangue e nella polvere.

Che se noi volessimo parlare del come si tenessero nelle carceri quei miseri detenuti, ognuno si ritrarrebbe con orro­re alla vista d’un quadro così odioso e ributtante. Gli assassi­ni sono più fortunati, perché possono passeggiare dall’una estremità all’altra dell’Italia senza essere molestati dalla poli­zia piemontese che però li conosce tutti, diceva il 12 novembre 1861 L’Opinione giornale ministeriale di Torino.

Nello scorso mese di giugno, dicevano i giornali di Napoli, le prigioni di Campobasso, Avellino, Salerno, Santa Maria e Capua, rigurgitavano talmente di prigionie­ri, che il tifo vi faceva un’orrenda strage.

Quanto al numero degli spatriati ed esigliati italiani, è talmente grande, che se ne incontrano migliaia in quasi tutte le grandi città d’Europa, ma principalmente in Francia, in Inghilterra, in Austria ed a Roma.

Ma il Piemonte non contento di reprimere lo slancio nazionale nel regno delle Due Sicilie cogli imprigiona­menti arbitrarii e gli esilii, ha voluto ancora consolidare la sua unità con un terrore terribile. Dopo il rapporto ufficiale del 27 febbraio, che noi abbiamo citato più sopra, dice, e lo conferma una lettera del Barone Antonio Valerio letta nel Parlamento inglese, che 15.665 persone, uomini, donne e fanciulli sono state fucilate nel 1861 come bri­ganti, o come persone amiche dei medesimi. Sono state mitragliate le popolazioni insorte di dieci città. Diecinove città o paesi sono stati saccheggiati e poi incendiati come per lasciare alla posterità un infame ricordo dell’odioso brigantaggio dei Cialdini, dei Pinelli, dei Fantoni, dei Virgilii e dei Fumel, carnefici vestiti da soldati, e figure­ranno nella storia come un monumento del passaggio della Rivoluzione in Italia e come un’infamia per gli ese­cutori.

Ecco il nome d’alcune delle città messe a ferro ed a fuoco nelle Due Sicilie dalla soldatesca piemontese diven­tata feroce come i suoi capi. – Popolazioni massacrate ad Ariano, a Frasso, a Paludi, a Monte Mileto, a Terrecuso, a Paopisi, a Sant’Antimo, ad Isernia. Il Giornale ufficiale di Napoli annunciava, il 6 dicembre 1861, l’ingresso delle truppe piemontesi a Trivigno, e diceva che s’erano fucilati quaranta insorgenti legittimisti. Questi pretesi insorgenti non erano che poveri disgraziati che il timore aveva fatti fuggire e che rientravano alle loro case sulla parola del sindaco della città. Gli Ungheresi, questi carnefici di Monte Falcione, furono incaricati di questa orribile esecu­zione. – Città incendiate e distrutte: San Marco in Lamis Castelluccio incendiato per ordine d’un certo Benzoni capitano al 42° di linea; Ponte Landolfo, città di 5000 abi­tanti, e Casalduni di 4000 anime, arse tutte e due per ordine di Cialdini; Crotonei, Gioja, Viesti, Spinelli, Rignano, Vico di Palma incendiate per ordine di Pinelli. Piedimonte, Barile, Campo di Chiaro, Guardia-Regia, Monte Falcione, Auletta ove le coorti piemontesi ebre di sangue penetravano nelle città condotte da un capo che armato d’un revolver faceva fuoco su tutti quelli che gli indicavano per reazionarii. A Ponte Landolfo e Casalduni quasi tutti gli abitanti perirono nelle fiamme!!! E la terra non s’è aperta per inghiottire tali mostri?… E non solo i Piemontesi hanno bruciate le città, ma ben anche le case di campagna e le capanne che potevano supporre servis­sero d’asilo ai rivoltosi. Era proibito, sotto pena di morte, ai paesani d’uscir di casa dopo il tramonto del sole. I sac­cheggi, le violazioni ed i sacrilegi hanno preceduto ovun-que i massacri e le distruzioni; e le popolazioni piene di disastri e di terrore assistevano a questi orribili spettacoli senza opporsi né fuggire. E centinaia, e migliaia di intiere famiglie si vedevano intanto ridotte ad errare nei campi senza pane e senza tetto.

Quanto alle fucilazioni vi sono dei casi così orrendi che la posterità rifiuterà di crederli, e che la storia non rac­conterà che esitando, e solo perché appoggiata a docu­menti irrefragabili. Faremo solamente due o tre citazioni: un giorno gli annali diranno i particolari di questa odiosa conquista.

L’Osservatore romano del mese d’aprile passato contiene una lettera di Napoli del 9 del medesimo mese: noi ne tradurremo fedelmente i passi principali. “Il Governo pie­montese che si vede presto costretto a dover abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro ed a fuoco. Mi si comunicano cinque lettere dalla Capitanata, dalla Basilicata e dalla Terra di Bari. La descrizione ch’es­se fanno della situazione di quelle infelici provincie fa veramente male al cuore. Esse ci offrono il doloroso qua­dro delle esecuzioni capitali fatte dal consiglio di guerra in virtù dei proclami di Fantoni e di Fumel: raccolti incen­diati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I Piemontesi adoperarono tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, finalmente arrivarono alle fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fan­ciulli. Ascoltate questo racconto. A Trani il comandante piemontese fece affìggere il proclama feroce di Fantoni, e dopo fatto venire il capitano della guardia nazionale gli disse in tono di minaccia: M’occorrono tre briganti da far fucilare. – Dove li prenderò io? rispose il capitano. -Questo non mi riguarda, riprese il comandante: bisogna che io dia un esempio onde il proclama che ho comunica­to al pubblico non sia preso per una vana minaccia. Il capitano ricusò e partì, ma poi trovò alcuni italianissimi che per entrare nella grazia del comandante gli presenta­rono tre poveri paesani cui fu trovato in dosso un poco di pane, e che per questo vennero accusati come conniventi ai briganti. Che siano fucilati, gridò il comandante! E que­sti tre infelici furono fucilati. Bisognava un esempio per ispaventare le popolazioni, ecco come fu dato!”.

Nel medesimo mese di aprile passato, il maggior Fumel, questo feroce proconsole piemontese, fece arrestare nove persone a Sarracena, comune del distretto dì Castrovillari; dopo averli fatti legare coi due piedi in terra, ordinò ai suoi soldati di tirare. I cadaveri di quelle infelici vittime della barbarie piemontese restarono privi di sepoltura per sette giorni ed esposti come oggetto d’or­rore e di spavento. Questa esecuzione è raccontata con molti dettagli nel Difensore del 10 aprile ed in tutti i gior­nali di Napoli.

L’Osservatore napoletano, parlando delle sanguinose ese­cuzioni di Policastro, pubblicò un Memorandum datato da questa città il 20 aprile 1862, in cui è detto che Vincenzo Minelli dell’età di 40 anni, vignaiuolo di Policastro, viveva esclusivamente occupato di lavori di campagna in mezzo a numerosa famiglia composta di sua moglie e dodici figli, quasi tutti in giovane età: fu accusato come connivente con altri abitanti sospetti di Borbonismo e di Papismo. Dietro questa denunzia verbale e nel corto spazio di due ore, Minelli fu arrestato e fucilato con altre tre persone indicate dai denunciatori. Questo successe il 3 aprile, e l’esecuzione ebbe luogo sulla rocca di san Francesco. Ecco il nome dei tre disgraziati compagni del Minelli. Domenico Scandale soprannominato Nicolo Matteo, mulattiere, di 33 anni; Domenico la Rosa soprannominato Grampillo, calzolaio, di 22 anni, e Francesco Critozzo, mercante, di 60 anni. Quest’atrocità ispirò un tale orrore in tutta la città che le persone oneste s’affrettarono di lasciare i loro focolari abbandonando quanto possedevano in balia delle truppe. Tutte le preghiere, tutte le istanze fatte per ottenere una sospensione di 24 ore onde dimo­strare l’innocenza degli accusati furono inutili: furono pure inutili le lagrime dei parenti, delle mogli, delle madri e dei figli di quei disgraziati. Il sacrifìzio fu consu­mato. Questa carnificina fu eseguita per ordine di certo capitano Bigotti del 17° di linea, che non contento d’arro­garsi un potere che il re stesso non ha sotto un governo costituzionale, volle ancora assistere a questo doloroso spettacolo. E siccome le scariche dei soldati non riusciva­no ad uccidere le vittime, egli ebbe il tristo coraggio di compiere l’uffizio di carnefice; lo si vide avanzare verso il Minelli colla sciabola alla mano, e spaccargli il cranio con un sol colpo. Dopo questo fatto glorioso, il Bigotti deside­roso di regolare la sua condotta con quella del triumviro Antonio, si stabilì a Policastro con una certa Maria, figlia di Santo, detta la Polisone, donna tanto crudele quanto scostumata, che aveva spinto la rabbia fino a far tagliare le lingue dei supplicanti. Ovunque gli insorti sono caduti nelle mani dei Piemontesi sono stati fucilati immediata­mente. In molti luoghi si sono veduti dei sacrifizii umani di quaranta e fin cinquanta prigionieri fucilati tutti in una volta. A Monte Cilfone, per esempio, su ottanta prigionie­ri quarantasette vennero immediatamente uccisi; a Monte Falcione cinquanta uomini rifugiati in una chiesa furono massacrati nella medesima dagli Ungheresi. Sembra che i soldati piemontesi uccidano per solo piacere di uccidere! Un pastore che dormiva nei campi presso Pozzuoli, è sor­preso da un ufficiale che comandava un distaccamento di truppe e che lo fa fucilare immediatamente. Un’altra volta alcune donne erano occupate a levare le erbe cattive da un campo seminato: arrivano dei soldati che scambiando queste donne per briganti fanno loro fuoco sopra ed ucci­dono così tutte quelle disgraziate. L’ufficiale che comanda­va quelle truppe non ricevette il più leggiero rimprovero. Questo successe nel maggio scorso a Vico, villaggio di Terra di Lavoro nel territorio di Tricola vicino a Santa Maria. Tutti questi fatti sono autentici: i giornali e gli opu­scoli che parlano del brigantaggio piemontese nelle Due Sicilie li hanno già pubblicati. Si sono anche detti nello stesso Parlamento di Torino, e nessuno li ha potuti mette­re in dubbio.

Citeremo intanto qualche ordine del giorno, qualche decreto e qualche proclama militare pubblicato dai feroci proconsoli di re Vittorio Emmanuele per estinguere il pre­teso brigantaggio nel regno delle Due Sicilie. Eccone alcuni dei più notevoli; essi hanno una tale impronta di ferocia che si crederebbero estratti dai sanguinosi annali del 1793.

Dispaccio telegrafico indirizzato da Cialdini al governa­tore di Molise. – “Fate pubblicare che io fucilo tutti i conta­dini armati che trovo. Ho già cominciato oggi”. Decreto di P. Virgilii governatore di Ferrara in data del 2 novembre 1860. – “Tutti i comuni delle provincie, nei quali si sono manifestati e si manifesteranno dei movimenti reazionarii, sono dichiarati in istato d’assedio. In ogni comune si pro­cederà ad un disarmo generale rigoroso… I cittadini che non deporranno tutte le armi di qualunque natura siano, saranno subito puniti colle leggi militari da un consiglio di guerra. Gli attruppamenti saranno dispersi colla forza. I reazionarii presi colle armi alla mano saranno fucilati… quelli che spargeranno notizie allarmanti saranno conside­rati come reazionarii e puniti militarmente”.

Ordine del giorno di Pinelli in data d’Ascoli 3 febbraio 1861. “Soldati… Siate inesorabili come il destino. Con tali nemici la pietà è un delitto. Noi schiaccieremo questo prete Vampiro, non Vicario di Cristo, ma di Satana; lo faremo scomparire. Purificheremo col ferro e col fuoco le contrade infettate dalla sua bava immonda”.

Proclama del cavalier Galateri comandante militare della provincia di Teramo. – “Io vengo per difendere l’umanità, la proprietà, e sterminare il brigantaggio. Buono coi buoni, sarò inesorabile e terribile coi briganti… Chiunque darà asilo ad un brigante sarà fucilato senza riguardo all’età, al sesso od alla condizione: la stessa sorte toccherà alle spie. Chiunque conoscendo i passi od i nascondigli dei briganti, non li denunzierà, o non pre­sterà aiuto alla forza pubblica essendone richiesto, avrà saccheggiata ed incendiata la casa. Quelli che pubbliche­ranno notizie false od allarmanti saranno severamente puniti: come la punizione seguirà il fallo, così la ricom­pensa seguirà le buone azioni. Io sono uomo di parola”. Questo proclama è controfirmato da un certo Polacchi sin­daco di Teramo.

Ordinanza del tenente colonnello Fantoni comandante un distaccamento dell’8° reggimento di linea di guarni­gione a Lucera (Capitanata) 9 febbraio 1862. – “Visti gli ordini trasmessi dal Prefetto della provincia aventi per iscopo di giungere con tutti i mezzi creduti efficaci alla pronta distruzione del brigantaggio, ordino: 1°. D’ora in avanti nessuno potrà più penetrare, neanche a piedi, nelle foreste di Dragonaro, di Sant’Agata, di Selva Nera, di Gargano, di Santa Maria, di Pietra, di Motta, di Volturara, di Volturino, di San Marco-la-Catola, di Celenza, di Carlentino, di Bicari, di Vestrucella, e di Caserotte. 2°. Ciascun proprietario, affittaiuolo o castaido sarà obbligato subito dopo la pubblicazione del presente avviso di far ritirare dalle dette foreste tutti i lavoranti, i pastori e quel­li tutti che potessero trovarvisi, come pure tutte le man­drie; i suddetti saranno egualmente obbligati di atterrare tutte le capanne che vi sono state costrutte. 3°. D’ora innanzi nessuno potrà trasportare nelle contrade vicine alcun comestibile per l’uso dei contadini, e questi non potranno tenere presso di sé che la quantità di viveri necessarii pel mantenimento d’una sola giornata, per ciascuna persona della famiglia. 4°. I contravventori al pre­sente ordine (esecutorio due giorni dopo la sua pubblica­zione) saranno trattati come briganti, e come tali fucilati senza nessuna eccezione di luoghi, di tempi e di persone. Pubblicando il presente ordine, il sottoscritto invita i pro­prietarii a darne subito cognizione alle persone sue dipendenti, affinchè queste possano evitare i rigori di cui sono minacciate, avvertendole nello stesso tempo che il Governo sarà inesorabile nella loro applicazione”.

Avviso del maggior Fumel in data di Ciro 12 febbraio 1862. – “II sottoscritto incaricato dalla distruzione del bri­gantaggio dichiara che tutti quelli che daranno asilo ai briganti, prowederanno alla loro sussistenza, loro preste­ranno aiuto e soccorso, li vedranno, o conosceranno sola­mente il loro rifugio senza avvertirne immediatamente l’autorità civile e militare saranno fucilati senza dilazione. Per la custodia delle mandrie i pastori sono invitati a formare parecchi centri con una forza armata sufficiente perché in caso d’attacco la scusa di forza maggiore non sarà ammes­sa. Nello spazio di tre giorni tutte le capanne devono esse­re scoperte e le loro finestre murate. Passato questo tempo, saranno incendiate, e gli animali che non saranno custoditi da una forza sufficiente saranno distrutti. È for-malmente proibito il portare pane o viveri di qualunque natura fuori del proprio comune. I contravventori a que­st’ordine saranno considerati come complici dei briganti. Provvisoriamente, per la circostanza, i sindaci sono auto­rizzati ad accordare il permesso di portar le armi ai conta­dini sotto la responsabilità dei proprietarii che ne avranno fatta la domanda. L’esercizio della caccia è provvisoria­mente proibito, e non si potrà far fuoco che per avvertire l’autorità militare della presenza o della fuga dei briganti”. “Ogni guardia nazionale è responsabile del territorio del proprio comune. Qualche proprietario di Longo-Becco ha promesso una ricompensa di 600 ducati per la distruzione della banda di Palma.

Il sottoscritto non intende vedere in questa circostanza, che due partiti: / briganti ed i contro briganti; dichiara anche che gli indifferenti saranno posti nella prima categoria, e che contro di essi saranno prese le misure più energiche, per­ché quando l’interesse generale domanda il loro concorso è un delitto il ricusarlo”.

Avviso del medesimo maggior Fumel in data di Celico 1° marzo 1862.

“Il sottoscritto incaricato della distruzione del brigan­taggio promette una somma di 100 franchi per ogni bri­gante che gli sarà condotto morto o vivo. Un premio egua­le sarà accordato a qualunque brigante ucciderà uno de’ suoi compagni, di più avrà salva la vita. I soldati sbandati che non si presenteranno nello spazio di quattro giorni saran­no considerati come briganti”. – Questo Fumel è una spe­cie d’awenturiero mandato dal Piemonte nelle Calabrie per organizzarvi la guardia nazionale, che poi non ha organizzata. Egli s’è vendicato della sua sconfitta abban­donando il paese che attraversava al saccheggio, al fuoco, alle fucilazioni, ed alla rovina.

Avviso del maggior Martini, in data di Monte Sant’Angelo 16 settembre. – “Tutti i proprietarii, castaidi, pastori, campagnuoli, abbandoneranno le loro proprietà, i loro bestiami, le loro campagne, le loro industrie, tutto in fine, e si ritireranno in 24 ore nei paesi ove hanno domicilio. Quelli che non si conformeranno all’ordine presente saranno arrestati e condotti in prigione”.

Ecco come i Piemontesi intendono la rigenerazione dell’Italia; ecco con quali mezzi si mantengono da due anni nel regno delle Due Sicilie. Ma se un giorno il popolo napoletano esaltato dalla sua miseria, o stanco d’un giogo che gli è odioso, arma il suo braccio contro i suoi oppressori, non si vede fin da questo momento che quel giorno sarà terribile, e che la guerra della rivoluzione sarà una spaventosa guerra di sterminio! Le reazioni d’un popolo sono sempre terribili quando hanno per iscopo l’indipendenza nazionale e la libertà. Si ricordino i Piemontesi del giorno nel quale il valoroso popolo spa-gnuolo domandò alla rivoluzione la libertà della sua patria! Ebbene si versò allora tanto sangue che la storia freme d’orrore innanzi a tali racconti! Il giogo dei Mori subalpini potrebbe finire nel regno delle Due Sicilie come finì nella Spagna quello dei Mori d’Africa!!!

Noi vorremmo parlare del voto popolare che ha segui­to le conquiste e le annessioni piemontesi; ma siamo obbligati di abbreviare il nostro racconto. Tutta l’Europa sa con quali artifizii, con quali mezzi frodolenti ed ignobi­li, e con quale terrore hanno preparati questi appelli deri­sorii alla volontà popolare. A Napoli, per esempio, hanno fatto scorrere nell’urna maggior quantità di bollettini affermativi, che non fossero in tutto gli elettori, e da per tutto hanno forzati i voti colla minaccia. I misteri dell’ur­na piemontese sono da molto tempo noti a tutti: lascia­moli dunque nel loro fango italianissimo, e passiamo al riconoscimento del Regno d’Italia, onta diplomatica unita a tante altre vergogne.

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fonte

https://www.eleaml.org/sud/borbone/brigantaggio_piemontese.html#ottavo

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