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La Palazzata di Messina di Alessadro Fumia

Posted by on Mar 7, 2023

La Palazzata di Messina di Alessadro Fumia

L’edificio pubblico più grande realizzato dai Borbone in tutto il loro regno citra e ultra Faro, La Palazzata di Messina.

In un concorso d’idee a progetto, si ricostruì nel teatro marittimo di Messina, ossia, quella Palazzata biglietto da visita della città all’estero. L’opera imponente e magnifica sarà costruita in quarant’anni, e fu considerata da tutti gli osservatori che hanno potuto ammirarla, l’ottava meraviglia nel mondo. Il complesso monumentale iniziato al tempo di Ferdinando I, fu completato al tempo di Ferdinando II, ed è stata un’opera fuori dal comune, che superava tutti gli altri monumenti del regno delle due Sicilie reggia di Caserta compresa: nelle dimensioni murarie e materiale impiegato, per tempo di realizzazione e per metri cubi adottati, per sfarzo architettonico e per la cura degli arredi interni, fecero di questo complesso monumentale, un’opera meritoria distinguibile nell’immaginario collettivo dell’epoca. Una cortina meravigliosa costruita in pietre da taglio pregiate sfruttate anche in rapporto all’effetto cromatico rispetto ai riflessi marini, permetteva di proiettare le sue trovate architettoniche, come in un magnifico quadro rinascimentale. Le eleganti aperture disposte su 4 livelli per un totale di trentasette isolati, collegati fra loro da trentasei corpi porticati, si potevano osservare sulla Palazzata progettata da Giacomo Minutoli, contenente 3500 fra finestre e porte monumentali. Nel prospetto principale se ne potevano osservare 1282 suddivise: 851 aperte sui prospetti degli isolati e 432 affacciate sui prospetti dei porticati. La struttura possedeva il principale corpo murario sul corso della marina per una lunghezza di 2000 metri, e un’altezza di circa venti metri, raggiungendo un volume prospettico di 38.500 metri quadrati (pari a tre volte dell’area di piazza Plebiscito a Napoli). Allo stesso modo, le dimensioni dei ventuno palazzi formanti il primo corpo della Palazzata, ultimata intorno al 1840, possedevano una cubatura pari a 1.540.000 metri cubi. Le trentasei aperture per la maggior parte immettevano a delle strade, attraverso le quali si potevano accedere alla città di Messina, e alle sue conurbazioni. Le porte monumentali servivano dei sottopassi: arricchite sui prospetti principali da sculture a basso rilievo, e nei tunnel di riferimento, da trovate artistiche. L’articolato architettonico ricercato nelle cellule divisionali del prospetto affacciato sul teatro marittimo, fu suddiviso con un particolare criterio, come descritto dal Vadalà Celona nella sua cronaca: I palazzi con dodici colonne, dovevano comprendere un’isola, avere due grandi porte e dovevano essere in tutto sette, tre a sud e quattro a nord del municipio; quelli senza colonne, con in mezzo una sola piccola porta di poco più elevata delle botteghe, dovevano comprendere due isole ed essere in tutto tredici, cinque a sud e otto a nord del municipio, senza tener conto delle fabbriche iniziali e terminali della Palazzata; le porte monumentali isolate, sei in tutto, due a sud e quattro a nord del municipio medesimo. Sicché, si trovavano nella proiezione del complesso architettonico altri sette edifici, inglobati dopo il 1840 al monumento originale, aumentando la lunghezza per altri 500 metri e la cubatura che superava i due milioni di metri cubi, probabilmente in rapporto all’ingrandimento del bacino portuale, ricercato per l’accrescimento degli introiti commerciali prodotti dagli scambi con l’estero. Il complesso originario fino al suo completamento nell’anno 1840 era tutto impostato su ventuno palazzi di grandissime dimensioni, uniti fra essi, da porticati veri e propri e porticati ciechi. Dai porticati principali si diramavano i grandi viali che conducevano all’interno della città, mentre dai porticati ciechi ci s’immetteva in ambienti isolati di servizio, facente funzioni di androne o cortile. Questa diversa metodologia era necessaria per contenere parti dell’antica Palazzata del Gulli risparmiata dal terremoto del 1783. Da alcune cronache è possibile recuperare le soluzioni di restauro delle parti più antiche, sopravvissute nel progetto della Palazzata neoclassica di Giacomo Minutoli. Il complesso se pur mostrandosi apparentemente uniforme, possedeva una diversa strutturazione delle fabbriche portanti. Nei palazzi in cui fu impostato il colonnato si provvide il pianterreno, di un notevole muro portante in avancorpo, decorato con massiccio bugnato da pietra calcarea rossastra di Bauso, rinforzata alle fondamenta da una filiera di basalto dell’Etna che gli avrebbero conferito elasticità, necessaria a prevenire eventuali scosse telluriche. La scelta lapidea intervenuta nelle fondamenta dei palazzi con colonnato, mette in evidenza questo criterio statico. Una ricerca migliore d’impianto antisismico prevedeva l’abbassamento delle murature in alzato rispetto alla cortina settecentesca miseramente crollata: invenzione che ha consentito realmente di mantenere l’impianto in ordine, anche dopo il sisma del 1908, rispettando le parti in essere rimaste in piedi dopo le funeste scosse.  Sul possente pianterreno costruito come possibile zoccolo murario, poggiavano le monumentali colonne in pietra di Siracusa, che abbracciavano i due piani superiori sostenendo il cornicione. Queste colonne non furono monolitiche ma costruite con pietre a faccia, rivestendo il centro delle stesse con ciottolato a sacco: scelta voluta per rendere elastiche le sculture, aumentando la resistenza alle spinte trasversali delle scosse di un eventuale terremoto, prevenendo il crollo delle parti sommitali, che in presenza di elementi monolitici, meno statici di materiale montato con materiale idraulico. Il colonnato prevedeva l’uso di elementi stilistici imitanti i colonnati ionici, imitando l’esteta vitruviano per eccellenza, Andrea Palladio. L’effetto colossale veniva ad armonizzare gli elementi baroccheggianti: presenti nelle aperture, nelle balaustre, nelle cornici e nel marcapiano, seguendo direttive stilistiche che trovavano nello Juvarra un capo scuola, adottate da Giacomo Minutoli nel miscuglio stilistico con le forme neoclassiche. Tra le colonne s’impostarono balconi, al primo piano piuttosto semplici con fastigio o cappello retto, sostenuto da due mensole poste sull’architrave, con relativa palaustrata poggiante sulla sporgenza del pianterreno. Nel secondo piano più estesi, più ricchi, isolati con mensole oblunghe a fianco dell’architrave, per sostenere un fastigio piuttosto semplice, rettilineo incorniciando il piano; detti balconi erano difesi da una fila di palaustri sul ballatoio sorretto da tre mensoloni o da cinque nei corpi centrali sulle grandi porte. Nel fregio del cornicione si aprivano finestre quadre senza decorazione alcuna, e la cornice era sostenuta da mensole lisce; nessun attico ricopriva il tetto che poggiava direttamente sulla cornice stessa, eccezion fatta per gli edifici più notevoli. Le membrature furono ovunque limitate di numero e grandiose di forma, i basamenti delle colonne furono progettati piuttosto massicci, dai dadi schiacciati; i capitelli ionici saranno grandiosamente concepiti. Le botteghe dei palazzi senza colonne sempre fornite di aperture ad arco tondo, erano provviste di serragli a forma di mensola, e di queste undici aperture, la centrale espressa in forma di porta serviva di pubblico passaggio. L’enorme complesso signorile progettato dal Minutoli prevedeva di conglomerare alcuni edifici, veri e propri elementi distintivi del monumento. Fra questi da ricordare: il Palazzo Pubblico, la Biblioteca Comunale e l’Archivio Anagrafe, la Galleria degli artisti, (dove erano esposti i calchi delle sculture di Antonio Canova), il Palazzo della Banca Nazionale delle due Sicilie. A partire dal 1845, fu impiantato il Palazzo della Banca Jaeger, il Palazzo del Banco Comunale fino al 1848, il Palazzo di Giustizia comprendente la Prefettura, (servito da un’imponente doppia scalinata di marmo bianco, posta sulla retrostante via Ferdinandea). Sempre nella stessa Palazzata prendevano posto: i Magazzini del Commercio, il Deposito di legname per le attività del porto, il Palazzo delle Compagnie di Navigazione, il Palazzo dell’Albergo La Russia, il Palazzo dell’Albergo Trinacria, il Palazzo dell’Albergo Gran Bretagna gestito dal Nobolo, il Palazzo Sanderson, le residenze signorili in cui dimoravano i Fr.lli Ruggeri delle omonime industrie tessili, il palazzo del Console Generale di Russia Julianetz, lo stabilimento di acque sulfuree del Dr. Crisafulli, gli uffici commerciali di Guglielmo Aveline e delle omonime industrie chimiche, il Palazzo di John Broadbent mercante e industriale inglese di Messina, il Palazzo della Borsa fino al 1845, dove insistevano i locali per il Consiglio degli Ospizi. Tutti gli elementi citati, posti presso le fabbriche della Palazzata del Minutoli, subirono nel tempo altre trasformazioni d’uso, attraverso le quali si riesce a descrivere l’evoluzione d’impianto in essa ricadenti. La Palazzata fu l’edificio di rappresentanza della cultura fatta immagine, veicolata all’esterno del circuito murato di Messina. Le alte Stanze della Borsa, sorte per iniziativa dei negozianti nell’anno 1803, fungevano anche da ritrovi dove erano veicolate iniziative culturali; così nello stesso modo, nei saloni del Palazzo di Giovanni Broadbent, sito nel teatro marittimo entro il corpo della grande Palazzata, si stabilì un vero circolo di conversazione e di lettura. Il possente edificio possedeva decine e decine di uffici aperti agli affari di commercio, nel quale prendevano sede numerose rappresentanze diplomatiche, dove gli inglesi, per numero e rappresentanza la facevano da padroni. Giuseppe La Farina, in un suo lavoro edito nel 1840 precisava sul tema qui trattato, altri dati interessanti ma parziali, nel merito a delle spese necessitate alla realizzazione di uno dei palazzi principali della possente Palazzata, osservando che: Il Palazzo Comunale è maestoso e ricco di colonne, portici ed altro. Gli architetti impiegati a quest’opera furono l’abate D. Giacomo Minutoli, D. Antonio Tardì, e D. Andrea Arena, che di concerto ne fecero i disegni. Esso costò al municipio la somma di 300.000 ducati ossia 1.259.000 lire. Il Re volle che ivi si desse stanza agli uffici dell’Intendenza e del Consiglio degli Ospizi. Sono qui il pubblico Banco, e i Giudicati dei Circondari interni. Dovrà qui aver luogo la Borsa.

Testo tratto da “Messina la Capitale dimenticata”, capitolo 6, pp. 121- 125,

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