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L’Antimafia dei Borbone e dell’Italia padana monarchica/repubblicana (III)

Posted by on Mar 14, 2023

L’Antimafia dei Borbone e dell’Italia padana monarchica/repubblicana (III)

Così fanno nei confronti di Roberto Saviano, un vantato eroe dell’antimafia che è bravo solo a usare parole diffamatorie verso l’innocente Napoli; di Leoluca Orlando, un altro professionista dell’Antimafia, noto per aver tentato di abolire ingiustamente lo Statuto siciliano attraverso una proposta di legge costituzionale nel luglio del 1992 ma per fortuna non passò, ma rimane un duro colpo al popolo siciliano; e dell’associazione Libera che, nelle riunioni e nelle manifestazioni, continua a elogiare lo Stato coloniale e a ripetere una frase al di fuori della realtà: “Lo Stato siamo noi”.

Loro sanno o non sanno che lo stesso “Stato” è un assassinio del nostro popolo, assieme alla mafia? Ma per quale motivo lo elogiano se tutela la mafia dai primi inizi della colonizzazione sabauda spacciata come “Unità d’Italia”? Allora dovrebbero domandarsi da che parte stanno loro. Dalla parte degli innocenti o dalla parte dei complici? Si vedrà. Comunque la tutela coloniale della mafia viene garantita sia nella monarchia dei Savoia sia in questa Repubblica, anch’essa di guida padana, e il governo razzista sarebbe disposto ad offrirli tutti i mezzi per reprimere ogni dissenso, soprattutto con la minaccia verso i napolitani e i siciliani sottomessi per obbedire alle leggi e alle personalità di politici e mafiosi. In ogni giorno e anno per ricordare le vittime, tale associazione introduce discorsi intenti di spingere i popoli sottomessi all’importanza della Costituzione (mai applicata) e alla collaborazione con lo Stato coloniale (senza garantire a essi maggiore sicurezza per i loro diritti e per le loro libertà) per combattere la mafia che viene usata per diffamare ripetutamente e con odio quei popoli, ma per fortuna molti abitanti e i loro legittimi movimenti identitari lanciano una serie di proteste che, purtroppo, rimasero inascoltate. Cosa ne sanno sulla lotta dello Stato contro la mafia? Questo obiettivo è fuori dalla realtà finché è in atto la famosa Trattativa Stato-Mafia che contribuisce indubbiamente al sostegno della propaganda razzista unitaria, pure per aiutare gli ascari a nascondere la vera storia dell’insorgenza napolitana (1799, 1806 e 1860-70) e, anche, dell’indipendentismo siciliano (1943-1950). Naturalmente le prove sulla verità di tali due fenomeni storici non mancano mai e sono necessarie anche quando siamo dinanzi ad un processo, per dare un utile senso alla nostra ricerca storica del nostro passato e dei misteri nascosti dall’Italia padana. Sull’insorgenza napolitana, viene mossa la tesi che brigantaggio e mafia sono fenomeni legati perché basati sul furto, sui sequestri di persona e sulle ritorsioni. Casomai tali gesti vengono commessi da organizzazioni banditesche finanziate dai boss criminali e da agenti dei servizi segreti, come la Falange armata operativa negli anni 90 supportata da Cosa Nostra, e ritengo infondata la prima parte della storia di Anna Nocera, una picciotta diciasettenne vittima di Cosa Nostra, che cita le seguenti parole: “Il Ministro dell’Interno è un ex-garibaldino (falso, fu un terrorista risorgimentale), Giovanni Nicotera, che invia a Palermo il Prefetto Antonio Malusardi per condurre una campagna contro il banditismo e per stanare organizzazioni di tipo mafioso, di cui fanno parte banditi, possidenti, notabili, professionisti e, persino, sacerdoti”. Associare il patriottismo dei briganti napolitani e siciliani al banditismo filo-mafioso è un errore storico. Lo storico napolitano Enzo Ciconte dà una chiara e realistica differenza tra i due fenomeni citati, ammettendo che il brigantaggio è un fenomeno sociale e la mafia, al contrario, è di carattere delinquenziale. Il brigantaggio è esistito sotto i viceré spagnoli e durante i domini francesi e piemontesi, mentre con i Borbone era minimo, anche se c’è n’erano alcuni che, però, ebbero molti benefici dalla legittima dinastia, come a Giosafatte Talarico, il brigante di Sila, che nel 1844 ottenne la pensione di sei ducati e visse a Ischia con sua moglie, senza essere portato con la forza nelle carceri e subire una qualsiasi pena. Una delle caratteristiche fondamentali nel brigantaggio è la sua collaborazione con la dinastia borbonica e con il popolo napolitano nella lotta contro l’invasione francese prima repubblicano poi napoleonico, ottenendo varie vittorie e sconfitte ma, purtroppo, molti patrioti ebbero una ingiusta fine, come a Fra Diavolo, catturato e fucilato a Napoli l’11 novembre 1806. Il termine brigantaggio veniva usato dagli invasori francesi e piemontesi per diffamare i patrioti e i popoli che si opposero alle loro politiche e avvolte veniva represso con le catture e le fucilazioni senza processo dei primi previsti da decreti speciali, come la famigerata Legge Pica del 1865 rivolta non solo ai napolitani ma pure ai siciliani. Il brigantaggio del patriottismo napolitano e siciliano è interamente distinto dal fenomeno mafioso, perché esso si mette al servizio delle famiglie prepotenti e assolda banditi per commettere soprusi verso chiunque si opponesse ai suoi crimini. Quindi Libera si metta in testa questa verità svelata. Poi sull’indipendentismo siciliano, molti storici e attivisti politici, soprattutto quelli di sinistra ascara, demonizzano la spontaneità dei siciliani nell’essersi battuti per la conquista dei diritti e dell’indipendenza isolana, facendo di tutto per dimenticargli, pure a essi, il secolo dei progressi. Molte opere della demonizzazione razzista, tra cui il film “In guerra per amore” del 2015 di Pif, il documentario “sasso in bocca” e le descrizioni delle vittime negli anni Quaranta del Novecento, affermano falsamente che il separatismo isolano fu guidato dalla maggioranza degli agrari di destra con l’aiuto della mafia, arrivando ad accusare improvvisamente Salvatore Giuliano di essere stato il responsabile della Strage di Portella della Ginestra dell’1° maggio 1947. Tali affermazioni irrealistiche non solo la pensano i poliziotti e i prefetti coloniali, ma anche gli attivisti di Libera e i politici di diverso colore, favorendo di più l’odio verso i siciliani. Nel rispetto totale verso il popolo isolano, dopo lo sbarco anglo-americano tutti gli abitanti hanno cominciato ad avere il desiderio di liberarsi dall’Italia padana, mettendo in attenzione la loro identità isolana e, per questo motivo, furono supportati maggiormente dai militanti del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS) di Finocchiaro Aprile finché non venissero lasciati da soli. Tutto il popolo voleva l’indipendenza per riavere i diritti e le libertà usurpate dagli invasori piemontesi e dai collaborazionisti dei Savoia, protestando con coraggio contro la nascente malaunità del governo CLN ascaro dopo la consegna dell’isola nel febbraio del 1944. Da quell’anno molte proteste e ribellioni, mossi dalla presa di coscienza e dal bisogno, si capisce che è stata alta la presenza della partecipazione dei siciliani nella lotta per l’indipendenza, e non per parteggiare come servi  per i mafiosi dei partiti dell’ordine o per gli inutili socialisti vicini al colonialismo padano, i cui entrambi imposero le idee sempre estranee ai principi civili del popolo isolano. La cosa bella è che gli ascari usano le ideologie politiche, compreso il socialismo, per impedire ai siciliani il recupero dell’identità nazionale e dei loro progressi, sempre con lo scopo di imporre i modelli della Grande Padania. Loro fanno finta di sapere che come noi napolitani conosciamo il concetto di socialismo e comunismo grazie al pensiero di Nicola Zitara, i siciliani li conosco grazie al loro compagno Antonio Canepa, martire dell’indipendenza isolana. La lotta popolare per l’indipendenza siciliana doveva abbattere i duri ostacoli degli ascari e dello Stato coloniale che non permettevano la sua diffusione nei quartieri popolari e si dovette usare, per forza e con il consenso popolare, la lotta armata, nonostante che la componente moderata del MIS, tra cui faceva parte il socialdemocratico Antonino Varvaro, si oppose puntando sulla via del gandhismo. Nel febbraio del 1945 viene costituita l’EVIS, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia, sia come braccio armato del MIS sia come esercito legittimo della Nazione siciliana. I principali comandanti furono Antonio Canepa (febbraio 1945-17 giungo 1945); Attilio Castrogiovanni (17 giugno1945-1° luglio 1945) e Concetto Gallo (1° luglio 1945-29 dicembre 1945), tutti separatisti di diverso colore politico ma accettati dai giovani volontari e dall’intero popolo isolano e mai si sono collusi con la mafia, come l’ha vorrebbe pensare la propaganda razzista unitaria. Gallo sensibilizzò i briganti fuorilegge per spingerli pacificamente alla conoscenza dello spirito nazionale isolano senza farsi influenzare dai mafiosi alleati con gli ascari unitari. Grazie all’impegno di Gallo che Salvatore Giuliano, un povero fuorilegge di Montelepre, prese le distanze dalla peste mafiosa per avvicinarsi all’idea dell’indipendenza, ricevendo l’incarico ufficiale di colonnello dell’EVIS e, leggendo molti libri sulla storia della Sicilia, nel settembre del 1945 fece un aperto discorso rivolto a tutti i manifestanti che presero parte ad una riunione del MIS indetta nelle montagne della sua città natale, consigliando agli abitanti isolani di opporsi alla tirannia dell’Italia padana e di difendere l’isola da ogni tentativo di colonizzazione padana. Attraverso la sua fedeltà verso l’indipendentismo isolano che Giuliano viene chiamato il “Guido del Monte” in quanto organizzava l’arruolamento dei volontari evisti siciliani nella montagna per non finire nelle trappole dell’Esercito coloniale filo-padano.

Il consenso popolare per l’indipendentismo siciliano è stato forte e tale sarà per dimostrare che la Sicilia non sia più una colonia interna della Grande Padania, come non lo sarà o non lo deve essere la nostra Napolitania che ha avuto tanti eroi che l’ha presero cura e l’ha difesero fino alla fine. Nonostante ciò, i discorsi dei professionisti dell’Antimafia diffamano l’eroismo degli antenati dei due popoli che si sono sacrificati a difenderli e a ripristinare i loro progressi sepolti. Come è un dovere fondamentale che i napolitani si ricordano nel cuore tutte le vittime della tirannia unitaria-mafiosa, la stessa cosa vale anche per i loro antenati per non dimenticare tutto quello che gli è stato insegnato con la coscienza, con amore e con pietà. Non ci possono essere progressi e pace se un determinato popolo è soggetto ad un governo che gli trasmette odio e schiavitù per se stesso e per il prossimo, cercando di privilegiare la tirannia anziché l’amore verso il popolo che la si può trovare nella fede in Dio e nella memoria dei nostri antenati. Coloro che ci stanno denigrando con le frasi razziste senza ricevere una doverosa condanna né dalla Magistratura-senza giustizia né dallo Stato coloniale hanno avuto pietà ai popoli sottomessi, compreso il nostro? Che senso ha combattere la mafia se, con l’avvenire di ogni caso di criminalità, ci si diventa bravi a usare l’odio? Per ottenere tanti consensi e tanta attenzione? Non si otterrà niente. Chi tifa per l’odio non è un essere umano, chi crede nella pietà non ha torti di stare nella parte della giustizia. Come conclusione vorrei inviare un messaggio a tutti i professionisti dell’Antimafia e agli attivisti delle associazioni antimafia, tra cui Libera stessa, non minaccioso e morale: se volete amare la vostra terra di cui appartenete e vi siete nati seguite l’esempio dei nostri antenati che erano al fianco del proprio popolo e che furono lasciati da soli nel destino da chi continua a negare la verità.        

Antonino Russo 

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