Alta Terra di Lavoro

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LA SFIDA DEI CENTO CAVALIERI

Posted by on Apr 17, 2023

LA SFIDA DEI CENTO CAVALIERI

La storia a volte, nasconde retroscena, negati ai più e favorisce, nei racconti, vicende fantastiche, celate in epiche celebrazioni. Accadde fra le altre faccende, dopo la guerra del Vespro, che ognuno raccontasse i fatti, come meglio gli convenisse, stendendo sugli accadimenti di quel tempo, una coltre fitta e difficile da diradare, dopo i primi anni di quegli occorsi tempi.

Perciò, in quella zuppa, in molti intinsero il velenoso pane, scarlatto e di vermiglie tonalità, davano ragione agli uni oppure, agli avversi convitati. Si celebravano fin dagli inizi del trecento, durante la guerra occorsa nei novanta anni successivi, alla guerra del Vespro, tumultuosi giochi di guerra; dove in alterne fortune, primeggiavano sui mari del Mediterraneo, a volte gli aragonesi e le rispettive schiere, a volte gli angioini e i loro alleati. In questo difficile momento storico, ognuno raccontava, come meglio poteva, le vicende dei propri pupilli, lasciando la verità, come orpello e i fatti bellici, come riscontro a seconda degli incerti risultati, nel momento in cui si palesavano. Per questo e per tanti altri motivi, nell’intricato momento storico in cui molti vissero, si ricordava ciò che si voleva ricordare. In una incerta cronica del partigiano Villani, la penna festeggiava trionfi mai avvenuti e sconfitte risultanti vittorie, nelle sue lucrose pagine di storia; rammentando fatti, accadimenti e stratagemmi, a secondo del gusto e del momento. Sicché, recuperando un racconto che di storico ne ebbe alcuni accenni, traviò le risultanze, mettendo sul suo piedistallo, uno dei più discussi sovrani del momento, Carlo Primo D’Angiò. Uno dei più invitti principi della storia per la Sicilia che raccolse, dietro i suoi febbrili affanni per soggiogare i siciliani piani di guerra e di molestia; pervaso da notti insonni e febbrili contumelie. Messina, la città che di quel regno, in molte lettere dimostrava di amare, venne a ribellione, dopo che tutto un popolo di Sicilia, fece della sua gente francese macello. E lui per somma clemenza, pose d’assedio in disfregio della misericordia umana, la sua amata Messina. Per questo vilipendio, fu onorato con moneta pesante; e in molti consessi, tutti celebravano il coraggio degli impavidi messinesi, fuorchè il bravo Villani, sempre partigiano, sempre un suddito cortese verso il Casato degli Angiò. Raccontando si fervidamente, quello che più gli conveniva e quello che in cuor suo sperava.
In questa sua frenetica ritrosa memoria, un giorno scrisse, di un cavalleresco incontro, dove l’insulto, suo caro amico e fedele compagno lasciato libero ed invadente nelle pagine che componeva contro gli aragonesi e contro la Sicilia, divenne un cruccio assai morboso, vedendo lucciole per lanterne. Un fatto o un sogno, raccontare di una disfida di impari memoria, quando a contrarsi in campo neutrale, si incontrarono 100 cavalieri, di entrambi gli schieramenti che alla vittoria degli uni, secondo i patti celebrati al cospetto del Papa Martino, si sarebbero macchiati di infamia i perdenti. Tanti furono veduti dal Villani, schierarsi volontariamente al fianco di Carlo: tanti per non esagerare, i cavalieri che si schieravano gagliardamente al fianco di un sovrano, ricordato come abile corruttore di giovani principi, comprati con moneta sonante e dirli servitori leali. Mentre di contro, il povero Pietro D’Aragona, a stento raccoglieva con se, quei cavalieri degni di questo nome. Pochi, fra gli italiani e fra i francesi di Filippo suoi vassalli, altrettanti del suo paese e il resto i più ardimentosi fra i Siciliani e con essi, alcuni che si distinsero nel sacco di Messina. E per dimostrarli nemici della chiesa, gli affiancò un principe del Marocco, un infedele, lasciando sospeso quel giudizio in quelle righe pruriginose.
Così, in un linguaggio pomposo, ricordava il Villani, queste memorie.
Come lo re Carlo e lo re Piero d’Araona s’ingaggiarono di combattere insieme a Bordello in Guascogna per la lenza di Cicilia.
In questi tempi essendo lo re Carlo con tutta la sua baronia a corte di Roma, nella città di Roma e dinanzi a papa Martino e a tutti i suoi cardinali, avea fatto appello di tradigione contro a Piero re d Araona, il quale gli avea tolta l’isola di Cicilia e che il detto re Carlo era apparecchiato di provarlo per battaglia al detto re Piero, mandati suoi ambasciadori alla detta corte a contrastare al detto appello e a scusarsi di tradigione, e che ciò ch’avea fatto, era a lui con giusto titolo e che di ciò era apparecchiato, di combattere corpo a corpo col re Carlo in luogo comune onde si prese concordia, sotto sacramento in presenza del papa, di fare la detta battaglia Ciascuno de detti re con cento cavalieri, i migliori che sapessero scegliere a Bordella in Guascogna, sotto la guardia del balio ovvero siniscalco del re d’Inghilterra di cui era la terra con patti che quale de detti re vincesse, la detta battaglia avesse di questo l’isola di Cicilia con volontà della Chiesa; e quegli che fosse vinto, s’intendesse per ricreduto e traditore per tutti i cristiani e mai non s’appalesasse re disponendosi d’ogni onore. Per la qual cosa il detto re Carlo si tenne molto per contento, desiderando la battaglia e parendoli avere ragione e invitarsi a lui de migliori cavalieri del mondo d’arme per essere alla detta battaglia per parte più di cinquecento e feciono apparecchio la maggiore parte Franceschi e Provenzali, e alcuno altro baccelliere d’arme nominato d’Alamagna e d’Italia e di Firenze, se ne proffersono assai. E simile al re Piero d’Araona s’invitarono molti cavalieri i più di suo paese e alquanti Spaglinoli e alcuno Italiano di parte ghibellina, e alcuno Tedesco del legnaggio di Soave e il figliuolo del re di Marocco saracino si profferse al re d’Araona e promise se si volesse di farsi cristiano quello giorno. E partissi di Cicilia con molti cvalieri suoi figli e lasciovvi don Giacomo suo secondo figliuolo per re e egli n’andò in Catalogna per essere a Bordella alla detta giornata. E iI detto re Carlo, lasciò Carlo prenze suo figliuolo, alla guardia del Regno e partissi di corte per andare a Bordello, e passò per Firenze a dì 14 di marzo nel detto anno 1283 e da’ Fiorentini fu ricevuto con grande onore e fece in Firenze otto cavalieri tra Fiorentini Pistoiesi e Lucchesi.

Alessandro Fumia

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