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‘C’ ERA LA MANO DELLA CORONA SAVOIA NELL’ OMICIDIO DI MIO PADRE’ (GIACOMO MATTEOTTI)

Posted by on Apr 28, 2023

‘C’ ERA LA MANO DELLA CORONA SAVOIA NELL’ OMICIDIO DI MIO PADRE’ (GIACOMO MATTEOTTI)

ROMA – L’ assassinio di Giacomo Matteotti non fu un omicidio di regime, voluto da Mussolini per mettere a tacere un avversario irriducibile del fascismo, ma un “delitto affaristico” compiuto, si direbbe oggi, a scopo preventivo, dietro il quale si può intravedere la longa manus della corona.

A suggerire quest’ ipotesi (perchè solo di un’ ipotesi si tratta, sia pure suffragata da una ricostruzione inedita del contesto in cui maturò il delitto) è una fonte degna di considerazione: Matteo Matteotti, ex deputato socialdemocratico, per due volte ministro della Repubblica, figlio dell’ esponente socialista il cui sacrificio, in nome della libertà e contro la dittatura mussoliniana, è ormai consegnato alla storia. Non fu forse lo stesso Mussolini ad assumersi la responsabilità del delitto, apertis verbis e giusto nella sede parlamentare (sia pur ridotta a “bivacco di manipoli” e svuotata dalla protesta aventiniana)? E non fu proprio il duce, dopo la implacabile requisitoria di Matteotti contro le elezioni truffa del 24 a pronunciare le parole fatidiche (“che fa la Ceka? Che fa Dumini?”) interpretate come una vera e propria istigazione al delitto? Ma è proprio questo nesso che Matteo Matteotti pone in discussione offrendo in un’ intervista al mensile “Storia illustrata” una nuova chiave di lettura. Mussolini, dice in sostanza Matteotti, non aveva alcun interesse a fare uccidere mio padre, giacchè il duce in quel momento meditava un riavvicinamento – e addirittura la possibilità di un coinvolgimento nel governo – dei socialriformisti. Dumini e gli altri scherani della Ceka “erano convinti di agire in nome di Mussolini… in realtà salvavano la corona dall’ affare Sinclair”. Chi aveva interesse, dunque, ad eliminare Matteotti? L’ ipotesi avanzata oggi dal figlio Matteo tende a collegare l’ uccisione del padre proprio all’ affare Sinclair che potremmo definire come uno scandalo dei petroli ante litteram, con soddisfazione di quegli storici che nelle vicende politiche italiane vedono il perpetuarsi di inquietanti analogie e di comportamenti costanti. Fu questo uno scandalo di cui molto si occuparono i giornali dell’ epoca (siamo proprio all’ indomani del sequestro di Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924) alcuni per accreditare l’ ipotesi di coinvolgimenti, come si dice, in alto loco, altri per sviare l’ attenzione dalle eventuali complicità del “palazzo”. Si sospettava, infatti, che Vittorio Emanuele III fosse in qualche modo interessato alla convenzione stipulata il 29 aprile del 1924 tra il ministero dell’ Economia e la Sinclair Exploration Company, una potente compagnia americana affiliata alla “Anglo Persian Oil”, la futura British Petrolium. Convenzione grazie alla quale venivano garantite alla Sinclair condizioni di esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento di pozzi in Italia e in Nord Africa. Ora pare che Matteotti avesse subodorato un qualche inghippo, tant’ è che il 5 giugno (cinque giorni prima di scomparire) pubblicava sulla rivista “Echi e commenti” un articolo anonimo, con alcuni riferimenti allo scandalo. E dell’ originale di quest’ articolo, su carta intestata “Camera dei Deputati”, Matteo Matteotti rivela di essere entrato in possesso nel ‘ 78. “Nel 1924 – afferma – dopo l’ uccisione di mio padre i giornali parlarono della denuncia che avrebbe dovuto essere portata da Giacomo Matteotti, davanti alla Camera, riferendosi in particolare ad un dossier contenuto nella sua cartella il giorno del rapimento…”. Ma di questi documenti non vi è traccia precisa. Matteotti cita invece la ricostruzione fatta da Giancarlo Fusco per “Stampa sera”, del 2 gennaio 1978 e mai smentita. “Nell’ autunno del 1942 – scriveva Fusco – Aimone di Savoia duca d’ Aosta raccontò ad un gruppo di ufficiali che nel 1924 Matteotti si recò in Inghilterra dove fu ricevuto, come massone d’ alto grado, dalla Loggia ‘ The Unicorn and the Lion’ (l’ unicorno e il leone). E venne casualmente a sapere che in un certo ufficio della Sinclair esistevano due scritture private. Dalla prima risultava che Vittorio Emanuele III, dal 1921, era entrato nel ‘ register’ degli azionisti senza sborsare nemmeno una lira; dalla seconda risultava l’ impegno del re a mantenere i più possibili ignorati (covered) i giacimenti nel Fezzan tripolino e in altre zone del retroterra libico”. L’ ipotesi avanzata da Matteo Matteotti è dunque la seguente: ai primi di giugno De Bono (allora capo della polizia) viene a sapere da un informatore, certo Thirshwalder, che Matteotti “aveva un dossier non solo sui brogli elettorali del ‘ 24 ma anche sulle collusioni tra il re e Sinclair”. De Bono interpella il fido Filippelli (un giornalista fascista direttore del “Corriere italiano” la cui auto venne adoperata per sequestrare Matteotti) il quale si rivolge ad Amerigo Dumini uno dei mazzieri della Ceka, chiedendogli di organizzare la spedizione. Alle 16,30 del 10 giugno, un sabato caldo e afoso, Matteotti, appena uscito dalla sua abitazione sul lungotevere Arnaldo da Brescia, viene sequestrato. Il suo corpo, martoriato a colpi di lima, verrà ritrovato il 16 agosto nella macchia della Quartarella. Mussolini, secondo Matteotti, ne venne al corrente solo due giorni dopo. La ipotesi prospettata da Fusco e raccolta da Matteo Matteotti è che vi fosse un filo diretto tra De Bono e la Corona che scavalcò Mussolini, il quale, probabilmente, era interessato solo a dare “una lezione” a Matteotti. Il duce, tuttavia, decise di intascare i frutti perversi di quel delitto, servendosene con arroganza e spregiudicatezza, per il proprio rafforzamento. Ma, prima, doveva passare momenti di grande isolamento, durante i quali il regime sembrò tremare sotto l’ impeto della reazione popolare. Non è certo la cronaca, la sede più adatta per confutare una ricostruzione che contrasta con le conclusioni storiche prevalenti e comunemente accettate. Sulla pista del “delitto affaristico” alcuni studiosi si sono cimentati. Ma tutte le ipotesi sembrano arenarsi davanti al fatto che quel delitto ebbe un mandante morale (lo ricorda all’ Agenzia Italia lo storico Lucio Villari) che fu Benito Mussolini.

di ALBERTO STABILE

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/10/27/era-la-mano-della-corona-nell.html

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