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La guerra anti-seigneurial dei contadini “Tuchini” canavesani

Posted by on Mag 17, 2023

La guerra anti-seigneurial dei contadini “Tuchini” canavesani

 “Il moto dei Tuchini scoppiò nel Canavese nel 1386 e, al grido di ‘vivat populis, moriantur nobiles’, i ribelli insorsero contro i signori locali”. Con questa sintetica e concisa informazione inizia l’approfondito studio di Tina Muzii Paratore sulla prima, grande ed implacabile rivolta contadina che fece tremare i potenti feudatari; un lavoro importante,  pubblicato in questi giorni dall’editore Roberto Chiaramonte (pag.128, euro 20. roberto.chiaramonte@fastwebnet.it).


    Come ha ben chiarito Gustavo Buratti nel saggio edito da Porfido, i contadini che in mezz’Europa si rivoltarono contro i signorotti arroganti sono passati alla storia (purtroppo, solo di quella minore) perché uno dei primi atti di ribellione era “uccidere i cani dei feudatari. Tuchiens, quindi, sta per “scalzacani” in tutti i sensi, concreto e traslato (per “poveraccio”, “mascalzone” ecc.) che il termine comporta”.


    La guerra degli straccioni ai potenti, ma anche alla miseria, già perduta in partenza, era in realtà iniziata in Alta Alvernia, s’era estesa al Velay e poi in Linguadoca, Provence e Lionnaise lasciando memoria di ferocia e di tale rabbia che ancora nel Settecento i preti francesi tramandavano il sacro terrore per questi ‘Tuchins’ che si scagliavano contro i nobili “comme poussés par le démon et agités d’une race forcenée”. Soffocata in Francia, l’internazionale rurale spontanea in armi aveva passato le montagne piemontesi e valdostane dando sfogo a tutta la sua rabbia demolitrice nel Canavese, dove nobilastri senza freno tiranneggiavano le comunità paesane e la loro povera gente.


  Già Marta Gravela ha documentato che il primo episodio di nostrana rivolta rurale é stato quello dei sudditi dei San Martino di Valperga fra il 1386 ed il 1391 che obbligò i Savoia a mandare un vero e proprio esercito per fermare gli assalti ai castelli.     Gli scontri si conclusero con il vendicativo incontro d’Ivrea dove Amedeo VII di Savoia, come ben mette in rilievo l’Autrice, colpì duro perché “furono istituiti regolari processi [dei vincitori sugli sconfitti] e molti capi contadini finirono giustiziati” anche se “vennero stabiliti nuovi regolamenti sui tributi, proibite le taglie e fissate le corvée” ed i signorotti canavesani “furono obbligati a trattare con maggiore umanità i propri sottoposti”.


   Il bastone e la carota.
    Ma il fuoco covava sotto la cenere e le ribellioni contadine tornavano ad esplodere in val di Brosso ed ancora una volta i Savoia strozzavano il moto nel sangue ed il Tuchinaggio canavesano aveva termine solo nel 1447 con quella che l’Autrice definisce “pacificazione definitiva”, consistente in poche concessioni ai contadini e l’occupazione militare delle valli. Un’ultima fiammata di rabbia montanara in val Soana vedeva ancora soccombere i popolani e il definitivo prevalere dei Savoia nella regione dove affermavano il proprio predominio sul “potere oppressivo e disordinato della dominazione signorile”.


   Pur sconfitta, come ha notato lo storico francese Victor Challet, “l’organisation du Tuchinat portait en elle les germes d’une contestation de l’autorité” e nel suo sviluppo caotico e violento anticipava sia le gloriose ‘Insorgenze’ antifrancesi ed antinapoleoniche che l’insurrezione valdostana iniziata il giorno di Natale del 1853 contro le nuove tasse di Cavour; quando la rabbia spingeva i montanari a bruciare la nuova bandiera tricolore, odiato simbolo della fine del ‘buon tempo antico’.


   Aveva piena ragione Buratti quando considerava la rivolta del Tuchinaggio “il conflitto tra la civiltà della pianura, espressione del diritto romano e feudale, e una civiltà “altra”, rustica e arcaica, che lo Stato moderno in formazione doveva con ogni mezzo estirpare”.
  Quelle dei Tuchin furono rivolte del vino e del formaggio, combattute ad armi impari da popolani senza capi, confusi e disorientati, brandenti pale e forconi contro cavalieri e soldati bene armati ed addestrati.


   Anima e braccio della guerra contadina  montanara erano i giovani delle Badie (ben studiate a suo tempo da Pola Falletti) cui l’Autrice dedica grande attenzione, sottolineando che “non erano soltanto gruppi tradizionali che organizzavano feste, ma anche gruppi armati che nelle occasioni di contrasto con i signori si ponevano a fianco del popolo nelle rivendicazioni dei propri diritti e quindi, avrebbero rivestito un ruolo importante durante la rivolta del Tuchinaggio” che si batteva anche perché le comunità rurali contestavano le pretese tributarie dei signorotti cercando “di raggiungere una certa autonomia”. Ovviamente, uscendo sconfitti in una lotta impari, disperata ma comunque eroica.


    La memoria di quelle battaglie non é andata perduta e la stessa Muzii Paratore ricorda che ancor oggi “in val di Brosso si addita una balza da cui, si narra, sia stato precipitato il ‘feudatario’ rinchiuso in una botte” mentre al Carnevale d’Ivrea gli aranceri più determinati prendono il nome di “Tuchini del borghetto”; legittimi eredi delle antiche badie giovanili e paesane che furono l’esercito di difesa del popolo e delle sue autonomie.

Roberto Gremmo

fonte

https://www.lanuovapadania.it/piemonte/la-guerra-anti-seigneurial-dei-contadini-tuchini-canavesani/amp/

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