Alta Terra di Lavoro

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Un traffico infame ed il salvataggio di ottanta piccoli martiri (tratta dei fanciulli) (IV)

Posted by on Ago 4, 2023

Un traffico infame ed il salvataggio di ottanta piccoli martiri (tratta dei fanciulli) (IV)

L’incettatore è forte perché è il preferito dai grandi industriali vetrai. Invece di aver da fare con dieci capi-famiglia zotici, ignoranti, che non parlano che il loro dialetto, il capo del personale ha da trattare con un solo individuo, svelto, intelligente, che parla bene il francese ed è quanto mai remissivo.

L’incettatore, infatti, non si lamenta mai né dell’orario o del turno di lavoro, se sia di giorno o di notte, né domanda garanzie di sorta per l’avvenire dei garzoni. Quanto più lungo è il turno di lavoro, tanto meglio è per l’incettatore; se i suoi garzoni, invece di otto ore al giorno, lavorano dodici, invece di 45 lire mensili per ciascuno, egli ne intascherà 70; e se lavorano sedici ore, ne prenderà 90 e risparmierà sul vitto. Che se avvenga che i forni siano spinti a temperature altissime, ed i gamins, sopraffatti da vampe di calore infernale, fuggano gridando: «Metteteci dentro nel forno! Non ne possiamo più!», l’incettatore andrà a riprenderli, volenti o nolenti li ricondurrà al supplizio, e il lavoro non si interromperà. E se svengono nella vetreria per inanizione, il che avviene spesso, non perciò si dovranno fare mutamenti nel turno. L’incettatore, inoltre, ha cura di avere costantemente personale giovane; ha regolarmente una schiera di ragazzetti sotto i 13 anni che, come porteurs, sono tutto quanto si possa desiderare di meglio; li ritiene di solito per quattro, cinque o sei anni, passati i quali, se la morte non li ha falcidiati, li rimanda esausti ai loro parenti, chiedendo magari al consolato il rimpatrio gratuito, che suole essere conceduto agli infermi! E intanto nuova merce giovane arriva e supplirà l’antica.

Fu per strappare i piccoli martiri a codeste belve umane che lo Schiapparelli iniziò la sua campagna. La quale non fu agevole né lieta. I fanciulli italiani medesimi, terrorizzati dai loro padroni, occultavano la verità.

Scarni e del pallore della morte, con le tracce visibili dei patimenti a cui sono sottoposti, essi negano il vero perché sanno di essere spiati.

«Stimmo bene, simmo contenti!… In Italia se more de fame… Qui se mangia bene… In Italia no’ volimmo tornar più!…».

Non è possibile parlare a lungo coi fanciulli perché le donne incettatrici stanno sempre all’erta. Già sanno confusamente che in Italia esiste un’opera intesa a combattere il loro infame negozio. Poche ore dopo che lo Schiapparelli era giunto a Rive-de-Gier, la voce era corsa di bocca in bocca che l’ispettore, vagamente temuto, era giunto, ed ovunque egli passava, dalle porte delle case, dai terrazzini e dalle finestre, tutti lo segnavano a dito.

All’uscita dalle vetrerie, i ragazzi piccoli, senza dubbio inferiori ai 13 ed anche ai 12 anni, che lo Schiapparelli vede, sono molti.

«Avevano un’aria stanca, sfinita, che muoveva a pietà: scarni, con larghe bruciature, chi alle gambe, chi sul collo, chi sul viso. Camminavano zoppicando, strascicando i piedi come se fossero vecchi cadenti. Cercai interrogarne qualcuno; mi guardavano per un momento come istupiditi e poi se n’andavano senza rispondere o mormoravano come persona seccata: Sì!… simmo contenti… Qua se mangia… In Italia se more de fame… Né potuto dir altro, perché gli incettatori erano loro alle costole. A Venissieux, sobborgo di Lione, uno degli incettatori, inforcata una bicicletta, mi precedeva e mi seguiva dovunque, intimidendo i ragazzi, che più non ardivano parlare».

Lo Schiapparelli però non si scoraggia. Coadiuvato dal cav. Perrod, nostro console generale a Lione, funzionario meritevole di encomio per l’abnegazione con cui adempie ai più rudi doveri dell’ufficio suo, egli riesce ad ottenere l’appoggio delle autorità francesi, le quali con prontezza ed entusiasmo mettono a sua disposizione una squadra di gardiens de la paix. Con questi comincia la crociata. Una vera crociata, perché bisogna lottare con la forza e l’astuzia per strappare la preda agli incettatori.

Al Bâtiment de Gerlan, gran casamento dipendente dalla vetreria Jayet, nel sobborgo della Mouche, a Lione, sporco, umido, senza aria, sono accatastate almeno venti famiglie, quasi tutte di incettatori, con oltre cento garzoni. Quando vi giunse la squadra liberatrice, i ragazzi erano appunto rientrati dalle vetrerie; ma non appena si sa del suo arrivo, dalle finestre del piano terreno ed anche del primo piano gli incettatori fanno fuggire i ragazzi, specialmente i piccoli, sicché se ne possono liberare soltanto quattro.

Così in tutte le altre località. A Rive-de-Gier le resistenze furono tenaci. Gli incettatori maledivano, minacciavano, sfidavano l’ispettore a ritornare, ed avevano diffuso la voce che egli raccoglieva i ragazzi per gettarli nel fiume od ucciderli in modo misterioso; ma ben maggiore era il fermento alla Mouche, dove terribili furono le minacce che gli incettatori e le loro donne, vere furie infernali, fecero ai poveri ragazzi nella notte precedente al giorno in cui si aspettava lo Schiapparelli colle guardie.

«Al mattino, verso le undici, ora in cui i ragazzi dovevano essere usciti dalle vetrerie, ci presentammo alla casa n. 22 dello Chemin des Culattes, accompagnati da buon nerbo di gardiens de la paix. I due incettatori D’Agostino si erano nascosti; non c’era in casa che una delle donne, che ci stava aspettando con aria di sfida; vi erano pure i dodici ragazzi, intenti, più che a mangiare, a divorare ciò che la loro padrona aveva imbandito con grande larghezza. Sopra una tavola, in cucina, vi era, in abbondanza, minestra asciutta e in brodo, carne lessa ed arrostita, prosciutto, formaggio, vino».

«Ecco ciò che io dò ai miei garzoni» gridava D’Agostino, apostrofandoci.

«Tacete, malvagia donna» rispose il cav. Perrod, «non sentite il rimorso pei ragazzi che avete uccisi?»

«Ah! quelli è il Padre Eterno che se li è presi» rispose essa con un sorriso cinico, e rivolta ai ragazzi: «Mangiate, mangiate, figliuoli, finché ne avete il tempo».

I ragazzi divoravano colla bocca, cogli occhi, colle mani nervose, rivelando coll’avidità loro la lunga fame patita.

Quando i ragazzi ebbero dato fondo a quanto era stato loro imbandito, li interrogammo ad uno ad uno, e ci assicurammo che, su dodici, sette erano minori di 13 anni.

«Questi sette verranno con noi».

La D’Agostino lanciava dagli occhi lampi di collera minacciosa; i sette ragazzi cominciarono a dare in ismanie, piangevano, gridavano:
«No’ vulimmo andare a morire in Italia… in Italia se more de fame… Vulimmo restar qui…»

continua

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1 Comment

  1. Non mi riesce di leggere cose così strazianti… come sia potuto protrarsi così a lungo quando bastava che qualcuno senza avvertire andasse a verificare… a tanto era caduta la povertà… ma soprattutto l’indifferenza dei procaccia francesi e la stupidita’ indifferente dei genitori nostrani… Un degrado di coscienza incomprensibile da una parte degli sfruttatori ma anche dei genitori …poveri fanciulli, di cui nessuno naturalmente avrà voluto neppure parlare per non riconoscere le proprie colpe… dei genitori e degli sfruttatori!

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