Alta Terra di Lavoro

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Un traffico infame ed il salvataggio di ottanta piccoli martiri (tratta dei fanciulli) (V)

Posted by on Ago 6, 2023

Un traffico infame ed il salvataggio di ottanta piccoli martiri (tratta dei fanciulli) (V)

utti i vicini si erano affollati nel corridoio e per la scala, evidentemente nell’intento di provocare un tumulto, durante il quale i ragazzi potessero fuggire; d’uopo era agire colla massima energia. Come Dio volle, coi sette ragazzi minori, alcuni dei quali portati di peso dai gardiens de la paix, si arrivò fino in fondo alle scale, fra le strida delle comari, le invettive, le minacce un po’ di tutti, un vero pandemonio.

Sullo Chemin des Culattes, ove tenevamo pronte delle vetture, si faceva intanto un altro assembramento; ma erano principalmente francesi. «On délivre les petis verriers! – si gridava da ogni parte – Quelle belle oeuvre! – C’était bien le temps! – C’est le consul d’Italie, le voilà – Vive le consul d’Italie!». Le buone madri francesi, accarezzando i ragazzi, che si abbandonavano più che mai a smanie d’ogni sorta, cercavano di calmarli e persuaderli che quella era la loro liberazione.

Messi i sette ragazzi in vettura, li avviammo in consolato, custoditi da gardiens de la paix, e noi, col brigadiere e altri militi, andammo per prendere i ragazzi dall’incettatore Vincenzo Franco. Questi, come i due D’Agostino, si era eclissato, lasciando soli in casa la moglie – una megera – e i quattro ragazzi, che erano come impazziti dal terrore. Essi, clandestinamente, e per due volte, mi avevano domandato il rimpatrio, accusando i peggiori maltrattamenti, e per questo motivo mi ero deciso a liberarli, sebbene fossero tutti ragazzi forti, d’età superiore ai 13 anni. Il padrone aveva intuito che la domanda era venuta da loro, ed aveva loro imposto, come ammenda, pena la morte, di opporre a noi una resistenza disperata.

Entrati nella piccola cucina, in cui stavano raccolti, sotto la sorveglianza della Franco:

«Perché non li conducete in consolato?» domandammo a questa.

«Chiedetelo a loro, signore; sono essi che non vollero venire. Io li lasciai liberi».

I ragazzi si erano messi in piedi l’uno accanto all’altro, colle braccia incrociate sul petto, in atto di lotta; tutti insieme gridarono, scuotendo il capo minacciosamente:

«No, no’ venimmo in Italia! vulimmo restar qui!».

«Voi verrete!».

«No!»

gardiens de la paix si mossero per prenderli e incominciò una zuffa accanita, in mezzo alle strida della Franco e di un nugolo di comari meridionali, che, in previsione, s’erano portate sul pianerottolo della scala.

«Lasciateli, – gridai allora. – Disgraziati, vi lascio! Non capite che resistendo alla polizia andrete in prigione?».

«Oh! poveri noi» gemettero come fuori di sé, durante un ben penoso tragitto.

Giunti alla stazione la scena cambiò. Discesi dalla vettura, si guardarono l’un l’altro, contandosi e interrogandosi vicendevolmente:

«È dunque proprio vero che siamo liberi? che andiamo in Italia?»

E a mano a mano che questa speranza si chiariva nella loro mente, il loro occhio si accendeva e la gioia traspariva da tutto l’essere loro. Né ebbe più limite quando a ciascuno fu rimesso il biglietto ferroviario fino alla frontiera, e un bel scudo per provvedersi del vitto durante il viaggio. Quei poveri figliuoli si abbandonarono allora alle più tenere dimostrazioni di affetto non solo verso di me e verso il cancelliere del consolato, che era stato pieno di premure per loro, ma anche col gardien de la paix, che li aveva scortati fino alla stazione. Quando il treno si mosse, partirono agitando le mani in segno di gioia e gridando: Viva l’Italia!

Alla Mulattière, a Rive-de-Gier continua l’opera di liberazione. In quest’ultima città furono liberati diciassette fanciulli che erano sotto falso nome, di dodici, undici, fin di dieci anni, i più in condizioni di salute infelicissime o disperate.

«Vi era, fra gli altri, un piccolo ragazzo, Francesco Fallone, di undici anni, che stava col cognato Vetrajno, uno dei più snaturati incettatori. Obbedendo alle ingiunzioni del Vetrajno, il povero fanciullo aveva sempre trovato modo di schivarsi uscendo dalla vetreria mezz’ora dopo gli altri, fino a che una sera, per puro caso, lo sorprendemmo; e, al vederlo, non potemmo trattenere un grido di pietà. Era un piccolo scheletro, che sussultava tutto per un tremito nervoso; ogni po’ doveva fermarsi, perché non poteva più camminare; eppure nelle otto ore precedenti gli avevano fatto fare i suoi settecento giri per portare settecento bottiglie!».

A Saint-Galmier lo Schiapparelli si reca da Antonio Fusco, un famoso incettatore, che contro l’ispettore dell’opera aveva proferito minacce di morte.

«Lo trovammo in casa con una parte dei garzoni che dovevano prendere il turno alle quattro del pomeriggio.

«Come vi chiamate? – Antonio Fusco. – Ah! siete quella canaglia di Fusco!; e su questo tono si proseguì. Scopersi documenti alterati, ragazzi sotto falso nome; presi a parte, alcuni di essi rivelarono i maltrattamenti subiti. Lavoravano tutti, ogni giorno, da 12 a 16 ore consecutive; uno, Antonio Cima, aveva lavorato fino 36 ore di seguito; per nutrimento non avevano, lungo la settimana, che pane duro e minestra immangiabile, – una broda con pasta corrotta e condita con sego; – alla domenica soltanto un bicchiere di vino cattivo e salsicce o altra carne putrefatta; ogni cinque, avevano un letto, e così pullulante di insetti, che i ragazzi preferivano dormire alla vetreria sopra un mucchio di paglia; due ragazzi piccoli, di dieci anni, con bruciature ai piedi, non erano registrati e ci erano stati nascosti. Le lettere dei genitori erano intercettate; ai due fratelli Cima, uno di 16 e l’altro di 10 anni, il Fusco aveva detto pochi giorni innanzi: «Vostro padre mi scrive che state male e che verrà a prendervi; se salirà le scale, non le scenderà; ammazzerò lui e voi, e berrò lo sangue suo e lo sangue vostro.

Antoniuccio, come si faceva chiamare, le Monsieur, come lo chiamavano i francesi, non lavorava e viveva sui ragazzi; ne aveva 13 registrati e 2 clandestini; dedotte le 100 lire annue, che passava ai parenti, e le spese di mantenimento, egli guadagnava, oziando, oltre 8.000 lire all’anno! Dei suoi 15 garzoni ne portai via 13, e gli altri due, maggiori di età, rimpatriarono poi. – Qual male ancora mi potete fare voi? – mi gridava furente la moglie del Fusco…».

Ottanta fanciulli liberati dal martirio lento e dalla morte sicura sono qualcosa. Ma ben più occorre fare. L’Opera, così ci promettono il vescovo Bonomelli, presidente dell’Opera, ed Alberto Geisser, delegato per l’assistenza dei minorenni, continuerà vigorosamente la crociata intrapresa, e proseguirà le denunzie, le liberazioni ed i rimpatrii, fino a che questa mala pianta degli incettatori non sia estirpata, a conforto della nostra coscienza, per il buon nome dell’Italia, per l’onore comune.

[1] La materia dei due articoli qui raccolti era stata ricavata da due più ampi studi che col titolo La tratta dei fanciulli italiani (in continuazione di altro studio, apparso nel medesimo fascicolo su L’emigrazione temporanea italiana e l’opera di assistenza di mons. Bonomelli, dovuto a Giuseppe Prato) e con quello La liberazione di ottanta piccoli martiri furono pubblicati rispettivamente nei fascicoli del giugno e del novembre dell’anno 1901 della rivista «La riforma sociale»; il primo ad opera del dott. Ugo Cafiero ed il secondo scritto in collaborazione fra l’autore e Giuseppe Prato.

[2] Con il titolo Un traffico infame di carne umana. Dolorose risultanze di un’inchiesta [ndr]

[3] Con il titolo Il salvataggio di ottanta piccoli martiri [ndr]

[4] Dell’«Opera di assistenza per gli operai italiani emigranti in Europa e nel Levante» fondata da monsignor Bonomelli, le testimonianze recate in questa raccolta lasciano intendere le benemerenze acquistate in un tempo, nel quale la tutela degli emigranti era stata assunta in fatto da due vescovi, Bonomelli di Cremona e Scalabrini di Piacenza. Insigne tra i collaboratori piemontesi dell’opera Bonomelli era Ernesto Schiapparelli, professore di archeologia nell’università di Torino, meritamente celebre per scavi nell’isola di Creta ed in Egitto. Egli si era dedicato alla tutela dei piccoli emigranti dei quali con energia non comune trasse centinaia a salvezza. Eragli compagno nell’opera benefica Alberto Geisser, che ebbe poscia parte notabile nella direzione della rivista «La riforma sociale», sostenne battaglie impopolari nel consiglio comunale di Torino e fu integro valoroso presidente della Cassa di risparmio di Torino (Nota del 1959).

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1 Comment

  1. Vedo che tale sconvolgente vicenda fu affrontata a livello diciamo “pubblico” solo ai primi del ‘900 per iniziativa di un’associazione benefica piemontese… e questo sta a confermare il degrado in cui in poco tempo cadde quello che era il fiorente Regno delle Due Sicilie, al punto di permettere che vi si facesse l’osceno mercato dei fanciulli operato da sfruttatori esteri in combutta evidente con disonesti malfattori locali che chissà se mai sono stati chiamati a pagarne il fio… Straziante oggi leggere la storia di questi fanciulli martiri… caterina

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