Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

BRIGANTAGGIO-NELLE PROVINCIE NAPOLETANE DAI TEMPI DI FRA DIAVOLO SINO AI GIORNI NOSTRI-MARCO MONNIER (GIORNALE DI BORJÈS-BASILICATA)

Posted by on Set 4, 2023

BRIGANTAGGIO-NELLE PROVINCIE NAPOLETANE DAI TEMPI DI FRA DIAVOLO SINO AI GIORNI NOSTRI-MARCO MONNIER (GIORNALE DI BORJÈS-BASILICATA)

Ci sono dei testi che hanno fatto la storia del Sud, partecipando a quella “guerra delle parole” che ci ha ridotti a dei servi senza dignità. Ebbene i libri scritti da Marco Monnier, scrittore che ebbe accesso alla documentazione delle gerarchie militari piemontesi (del La Marmora tanto per citarne uno a caso…) fanno parte di quei testi. 

I suoi scritti sul brigantaggio e sulla camorra verranno scopiazzati da tutti coloro i quali si occuperanno di tali argomenti dopo di lui. Nessuno dirà più di lui nè aggiungerà nulla a quanto detto da lui. Salvo rare eccezioni, quali il Molfese, secondo il nostro modesto parere.

I termini scelti da Monnier, i suoi giudizi, la sua valutazione degli eventi, tutto verrà ripetuto migliaia di volte sui giornali, nelle accademie dove si formano le classi dirigenti, nelle scuole di ogni ordine e grado.

Le sue omissioni saranno le loro omissioni – vedi le deportazioni dei Soldati Napolitani, giusto per non restare nel vago.

Zenone di Elea, 23 Dicembre 2008

11 ottobre 1861.

Un’ ora dopo mezzanotte.

– Giungiamo alla destra della Donna, dove, perduti, ci ricoveriamo sotto una tettoia e ci sdraiarne), a malgrado della prossimità di Torre Nuova. Questa notte abbiamo passato quattro ore pessime, ma Dio ha voluto che giungessimo senz’ altra perdita fuori di quella di un uomo il quale era un po’ l’malato. Si chiamava Pedro Santo Leonato, figlio di Rosa.

Ore tre e mezzo di sera,

– Ci mettiamo in marcia e passiamo dinanzi a Torre Nuova, la cui popolazione è assai buona, e fra San Costantino, Casale Nuovo, Noja e San Giorgio. Costantino e Casale Nuovo sono pessimi, come tutte le popolazioni greco-albanesi.

12 ottobre.

Sei ore del mattino.

– Siamo giunti alla montagna Silfera, ai confini di San Giorgio a due ore del mattino, vale a dire dopo dieci ore e mezzo di marcia per strade detestabili, tanto il terreno è scoglioso. Ieri fummo senza pane, e quindi dovemmo fare strada digiuni. Comincio a disperare di giungere a Roma:

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le nostre forze diminuiscono e il mio malessere aumenta. Poco nutrimento e quasi sempre mal sano, acqua sola per bere, e molte fatiche, distruggono i più robusti. Pure io marcierò fino a che potrò: ma se Dio vuole che io soccomba, consegnerò questi appunti a Capdeville, affinchè li faccia pervenire al generale Clary, o a Scilla, e se Capdeville morisse, dovrebbe consegnarli al maggior Landet, affinchè questi faccia ciò che Capdeville dovea fare. Mi preme che questo scritto pervenga a S. M., affinchè Ella sappia che io muoio senza rimpianger la vita che potrei aver l’onore di perdere servendo la causa della legittimità.

13 ottobre.

Ieri sera avemmo del pane e della carne: il pane ci è giunto da Colobrara, la carne siamo andati a mangiarla alla Serra di Finocchio, ove siam giunti alle 7 circa di sera. Dopo il pasto ci sdraiammo sulla paglia in luogo coperto: il che ci fu di gran sollievo. Avevo pensato di passarvi tutta la giornata d’oggi: ma sventuratamente non ho potuto farlo.

Verso le quattro del mattino un pastore è venuto a dirmi che le guardie nazionali di San Giorgio a Favara, eransi riunite per attaccarci oggi, e sebbene io l’abbia tenuta in conto di falsa tale notizia, pure si è avverata… Alle sette del mattino sono stato avvertito dal maggior Landet che una compagnia di guardie nazionali percorreva i boschi, ove passai la giornata di ieri. Ho guardato col cannocchiale, e infatti l’ho veduta. Allora ho pensato che un pastore che ci aveva rubato cinque piastre sotto pretesto di recarci delle scarpe, aveva fatto il colpo, lo che mi ha dato a temere di qualche tradimento. In questa previsione ho ordinato che i miei soldati prendessero le armi, e poi immediatamente ho tentato di raggiunger la cima della montagna per non esser preso tra due fuochi. Non appena fui sul punto culminante, ho veduto una compagnia che ci prendeva alle spalle, il che mi ha obbligato a ritirarmi verso il settentrione della montagna, ove mi sono imboscato. Là ho saputo che questa forza era la guardia nazionale di Rotondella.

Mezzogiorno e dieci minuti.

– I nemici prendono riposo alla fonte dove noi attingevamo l’acqua stamane.

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Tre ore della sera.

– I nemici ripiegano sulla nostra diritta a mezz’ora di distanza: tuttavia ne rimane ancora una parte a tiro di fucile che ci cerca ne’ boschi: pure, a malgrado di ciò, persisto a credere che non ci vedranno.

Tre ore e un quarto.

– La squadra che avevamo sopra di noi batte in ritirata, dirigendosi sulla nostra diritta come la precedente.

Tre ore e venti minuti.

– Sono informato che quegli che ieri ci portò il pane, ci ha venduti al capitano della guardia nazionale Don Gioacchino Mele di Favale.

Tre ore e 35 minuti.

– II restante de’ nemici si ripiega sulla riserva.

Tre ore e 40 minuti.

– I nemici si ritirano prendendo la direzione di Rotondella e di Belletta.

Quattro ore e 45 minuti.

– I nemici si fermano.

Quattro ore e 46 minuti.

– I nemici si ripongono in marcia.

Quattro ore e 50 minuti.

– Levo il mio piccolo accampamento per dirigermi verso il fiume Sinna, che ho l’intenzione di passare un poco al disotto di Favanola, se è guadabile.

Nove ore di sera.

– Passo il fiume al punto indicato per seguire la direzione del bosco di Columbràra. Per la strada chiedo ovunque del pane, e ne ho a mezzanotte per tutti.

14 ottobre.

Un’ora del mattino.

– A un quarto di lega dal bosco faccio fare alto e do riposo alla mia truppa, fino alla punta del giorno. A tale ora mi metto in via per imbarcarmi, e mi accorgo, una volta stabilito, che il sottotenente Don Benito Zafra è scomparso, sebbene lo abbia veduto seguire il nostro accampamento. Questa circostanza unita alla poca o punta fiducia che m’ispira Zafra, mi costringe a cambiar posizione e direzione.

Sei ore del mattino.

– Mentre io stava per partire, Zafra ricomparisce, dicendo che si era smarrito, ed io fingo di crederlo; perché ciò mi permette di conservar lamia posizione, e la conservo.

Sei ore e mezzo della sera

– Ci mettiamo in marcia per passare il fiume Acri, ma verso mezzanotte scoppia un uragano e ci costringe a ritirarci nel casino chiamato Santanello, ove giungiamo verso un1 ora del mattino, bagnati fino alla pelle. Due contadini, profittando della nostra stanchezza e dell1 oscurità della notte per evadere, si recano a darne avviso alla guardia nazionale di Sant’Angelo,

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luogo che trovai sulla nostra diritta, a 4 miglia di distanza dai nostri alloggi.

15 ottobre.

Il mattino verso cinque ore e mezzo i contadini si presentano infangati fino ai ginocchi. Questa circostanza risveglia i miei sospetti, e mi decide a dirigermi verso il fiume sopra indicato, e a condurre meco quelli che mi hanno venduto, perché mi servano di guida. Appena l’ebbi guadato, vidi la guardia nazionale di Sant’Angelo che marciava verso di noi. Minacciai allora le guide se non ci salvavano; e tale minaccia ha fatto loro operar miracoli: ci hanno condotto così bene, che poco dopo non abbiamo visto nemici da alcuna parte. Un po’ più tardi abbiam passato il fiume di Rosauro, lasciando Albano alla sinistra, e ci siamo diretti verso la taverna Canzinera, dove abbiamo mangiato un boccone. Di là abbiamo fatto strada, con una pioggia tremenda, verso il fiume Salandra, che avevamo traversato verso le due dopo mezzogiorno: e siccome avevamo percorso una ventina di miglia, facemmo alto per riposarci: ma dopo una mezz’ora la pioggia riprese e ci costrinse a ricoverarci in una villa di proprietà di Don Donato Scorpione, capitano della guardia nazionale di Formina. A sei ore della sera, ci ponemmo nuovamente in marcia per raggiungere i boschi della Salandra; ma verso le sette una pioggia forte ci sorprese, e il terreno, che è assai grasso, cominciò a divenir talmente melmoso, da impedirci di marciare. Tuttavia pazientammo fino alle dieci della sera, e vedendo che la pioggia non cessava e che era impossibile proceder oltre, ci arrestammo alla montagna Ferravante nelle stalle di Niccolo Provenzano; ci rasciugammo un poco, e dopo aver dato ordine al padrone che nessuno dalle baracche si muovesse senza mio ordine, ci sdraiammo.

Nota. – I contadini sono realisti qui come altrove, ma molto più vili. Il timore di esser imprigionati e il desiderio di aver danaro fa loro commettere ogni sorta di bassezze II 12 non mi sono state restituite quattro piastre, il 13 mi hanno rubato 30 franchi che dovevano servir per comprare scarpe e altre cose necessarie.

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In quel medesimo giorno, o meglio nella notte, mi hanno denunziato alla guardia nazionale di Sant’Angelo, e stanotte hanno fatto lo stesso, ma ignoro dove.

16 ottobre.

Sei ore del mattino.

– Il padrone e due de’ suoi pastori sono scomparsi furtivamente, e indovino il perché. Ciò mi decide a fuggire al più presto verso il bosco della Salandra, a malgrado della pioggia che cade a torrenti. Conduco meco un fanciullo che avrà dodici anni, per conservarlo in ostaggio tutta la giornata.

Sette ore.

– Ci fermiamo per mangiare un pò1 di pane.

Sette ore e mezzo.

– Ci mettiamo nuovamente in marcia.

Otto ore e dieci minuti.

– Vedendo che debbo scuoprirmi se vado più oltre, mi fermo per attendere gli eventi o l’ora propizia per mettermi in via.

Due ore della sera.

– L’umidità, il freddo e la fame mi costringono a togliere il campo.

Tre ore e mezzo.

– Scuopriamo una baracca, ove troviamo una mezza razione di pane, che fo dividere, e mi ripongo in cammino.

Quattro ore e mezzo.

– Giungo ad una casupola, dove trovo degli armenti. Faccio uccidere due montoni: ne mangiamo uno, e serbiamo l’altro per domani.

Otto ore.

– Mi ripongo in via per traversare il fiume Grottola.

Nove ore.

– Avevamo appena passato il fiume, che cinque uomini armati si slanciano sopra di noi, intimandoci di fare l’alto. Noi cadiamo loro addosso, fuggono a gambe, e passano in senso opposto il fiume, che io lascio dietro di me, senza far fuoco. Subito dopo prendiamo la via di Grassano, ove havvi una guarnigione piemontese, per evitare un lungo giro.

Undici ore.

– Giriamo attorno alla parte settentrionale esterna delia città aspettando un

chi va là

che non udiamo. Siamo passati vicinissimi alla chiesa e senza nessuno incidente.

Nota. – II bosco della Salandra è magnifico, e vi occorrerebbero 15 ore per farne il giro. Il terreno è assai buono e quindi suscettibile di produrre tutto, anche fichi e olivi, ma non vi si è tentata la minima cultura:

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gli alberi che abbondano sovra ogni altro in questo grande spazio, sono le querce. Potrei parlare di altre specie, se ne avessi il tempo; ma credo che ciò basti per dare un’idea della bella vegetazione di questo luogo. I secoli passarono sulle frondose cime di questo Be delle foreste, e non hanno lasciato traccia sulla loro freschezza. Sono ciò che potevano essere cento anni indietro, e credo che un secolo di più non cangierà il loro aspetto, se il fuoco o la scure non se ne immischiano. Un ceppo colossale ed intiero, rami proporzionati alla loro altezza e alla loro grossezza, una fronda fitta e fresca come le acque delle fontane che spesso scorrono a7 loro piedi, completano questo ritratto disegnato a grandi linee. Tuttavia debbo dire qualche cosa delle foglie di questi alberi: ne ho colte in diversi luoghi alcune lunghe quattro pollici e larghe tre. La parte superiore ha una forma ovale, senza cessare per questo di essere sui bordi graziosamente smerlata.

17 ottobre.

Quattro ore del mattino.

– Giungiamo alla montagna Piano della Corte, e alloggiamo in una baracca di Don Giuseppe Santoro, capitano della guardia nazionale di Tricarico, ove io mi decido a passare la giornata, sebbene abbia a diritta e a mezzogiorno Montesolero, città di sei mila anime, e Tricarico alla sinistra e per conseguenza a settentrione.

Tre ore e mezzo di sera.

– Mi ripongo in marcia per raggiungere la provincia di Avellino, ove arriveremo fra due o tre giorni, se U tempo si rimette, e se le circostanze lo consentono.

Nota. – Abbiamo traversato una pianura assai grande e ricca, ma io ho osservato che l’agricoltura è molto addietro. Pure, siccome la terra è buona, produce molto grano e molte frutta, quasi per forza naturale. Che sarebbe, se vi fosse a Napoli un buon ministro che desse impulso al lavoro, e un altro che regolasse con mano franca la giustizia, che trovo incurata dappertutto? A senso mio, è necessaria una legge, se non esiste, che proibisca il matrimonio alla gioventù, prima che non abbia servito e ottenuto il congedo.


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18 ottobre.

Due ore e mezzo della sera.

– Mi pongo nuovamente incammino senza guida, come ieri, per seguire a tasto la direzione di Napoli.

Tre ore e mezzo.

– Zafra mi significa che vuoi, partir col soldato Moutier, ed io vi consento. L’intemperie della stagione, la fame, la fatica, il letto a ciel sereno non possono convenire a uomini di fibra molle e di costumi effeminati. Avrei potuto fucilarlo, ma forse non sarebbe stata una pena. Quando potrò, farò conoscere la loro vigliaccheria dovunque, e in specie in Spagna, perché sieno da per tutto e sempre spregiati.

Tre ore e tre quarti.

– Mi dirigo facendo un gran giro, per evitare un villaggio, verso il famoso bosco di Barile, e di là verso il bosco di Manguesci Pichitello, ove conto mangiare qualche cosa.

Cinque ore e mezzo.

– Erriamo nel bosco di Barile, senza trovare un egresso, e per conseguenza senza sapere dove andiamo.

Cinque ore e tre quarti.

– Udiamo una campanella e la seguiamo! Poco tempo dopo ci imbattiamo in una baracca e in tre uomini che guardano i giumenti. Ne prendiamo due che ci guidano al bosco Manguesci, ove mangiamo un montone e un agnello con del pane, che trovammo per miracolo.

Undici ore di sera.

– Ci mettiamo in cammino per prender posizione nel bosco di Monte Marcone; strada facendo lasciamo sulla nostra sinistra Barile, Gensano e Forenza.

19 ottobre.

Bosco di Lagopesole. –

Due ore e mezzo del mattino.

– Giungemmo al bosco sopra indicato non senza fatica. La pioggia ci incomoda assai, e i giri cui siamo costretti ci fanno perdere un tempo immenso: per quattro miglia e mezzo abbiamo impiegato più di otto ore. Piove tutto il giorno: siamo senza pane, ma ho preso provvedimenti per averne.

Dieci ore del mattino.

– Abbiamo avuto un pò di pane e un po’ di piménto.

Tre ore della sera

– Alcuni soldati de’ nostri giungono, e mi dicono che a otto miglia di distanza si trovano mille uomini sotto gli ordini di Crocco Donatello. Mi decido a inviargli il signor CapdevUle con una lettera, scortato da due soldati per vedere se possiamo intenderci, del che dubito, giacché osservo il più grave disordine.

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Qual danno che io non abbia trecento uomini per sostenere i miei ordini! Oh allora le cose prenderebbero una piega favorevolissima per la causa di S. M.

Quattro ore della sera,

– Cambiarne di luogo, ma restiamo nello stesso bosco.

Tre ore

– Sono informato che le forze piemontesi del circondario son poche, sebbene non mi sia noto giustamente il loro numero mi dice che siano bersaglieri e che abbiano seco due pezzi da montagna.

20 ottobre.

Sei ore del mattino.

– Nulla di nuovo; la notte è stata assai rigida.

Dieci ore.

– Mi dicono che qui avviene quello che ordinariamente ha luogo in tutti i posti da cui sono passato: si imprigionano i realisti a torto o a ragione.

21 ottobre.

Sette ore del mattino.

– I due soldati che hanno scortato Capdeville ritornano senza di lui e senza sue lettere lo che per parte sua non è regolare: ci dicono che dobbiamo andare a raggiungere la forza, e lo faremo dopo aver mangiato.

Dieci ore.

– Ci mettiamo in marcia per raggiungere 1 altra truppa e Capdeville che non è tornato, e che si trova con essa nel bosco di Lagopesole.

Un’ora e dieci minuti della sera.

Facciamo alto per riposarci.

Tre ore e mezzo.

– Ci riuniamo ad una piccola banda; la credevamo più numerosa; ma altre devono giùngere col suo capo.

22 ottobre.

Sei ore del mattino.

– II capo della banda è giunto questa notte, ma io non l’ho veduto. Egli è andato a dormire con una sua concubina, che egli tiene in uno de’ boschi vicini, con grande scandalo di alcuni.

Otto ore e mezzo.

Il capo della banda giunge: gli faccio vedere le mie istruzioni, ed egli cerca di esimersi con falsi pretesti. Temo di non poterne trarre partito, tuttavia non ho perduto ogni speranza:

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mi dice che dobbiamo attendere l’arrivo di un generale francese, che è a Potenza e che giungerà domani sera, e da lui sentiremo cib che dice, prima di decidete qualche cosa di definitivo.

Due ore della sera.

– Il capo della banda parte, senza dire dove va: fei fa dare il titolo di generale. Ho dimenticato di dire che gli ho proposte di prendere 500 uomini d’infanteria e 100 cavalli, assicurandolo che con questa forza mi sento capace di tener la campagna: mi rispose che i fucili da caccia sono inutili per presentarsi in faccia al nemico; io combatterò quest’obiezione, ma senza frutto.

23 ottobre.

Otto ore del mattino,

– II signor De Langlóis giunge con tre ufficiali: si spaccia come generale e agisce come un imbecille. Lo lascio fare per vedere se la sua nascita lo ricondurrà ai dovere: ma vedendo che egli prende maggior coraggio dai mio silenzio, lo chiamo a me e gl’intimo ad esibire le sue istruzioni. Risponde non averne in scritto; e allora abbassa il suo orgoglio.

Carmine Crocco, capo della banda, per il momento è assai attento, ma non si da cura di riunire le sue forze per organizzarle. Qual danno che io non abbia 500 uomini per farmi obbedire prontamente!

24 ottobre.

Sei ore ad mattino.

– Nulla di nuovo per ora. Passiamola giornata nello stesso luogo.

25 ottobre.

Sei ore e un quarto del mattinò.

– Tre colpi di fucile ci annunziano l’apparizione del nemico.

Sette ore.

– Ci scontriamo col nemico a cento passi di distanza; una viva fucilata s’impegna fra una quarantina de’ suoi bersaglieri e una ventina de’ nostri. Sostengo gli sforzi dei nemico per un’ ora.

Otto ore.

– I nemici ci hanno circondato: abbandoniamo questi che ci attaccane di fronte per gettarci su quelli che ci attaccano di dietro.

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Otto ore e mezzo.

– Gravi perdite: il mio ufficiale della diritta, il maggiore La Candet, è colpito alla testa da due palle e rimane sul campo. Quattrocento piastre che avea indosso e il suo fucile rimangono in potere de1 nemici, i quali lo spogliano di tutto, meno de1 pantaloni e della camicia. Nel tempo stesso vien ferito gravemente uno de’ quattro Calabresi che mi hanno accompagnato, per nome Domenico Antonio, il Rustico: la palla che lo ha colpito mi ha salvato da una ferita.

Due ore e mezzo della sera.

– II nemico si pone in imboscata nella foresta, mentre io invio il Calabrese al medico. Ho decorato due individui della banda per la bella condotta da essi tenuta la mattina; ma non so i loro nomi. Il capitano di cavalleria Salinas non è più con noi: ignoro se sia morto,

26 ottobre.

Sei ore del mattino.

– Occupiamo lo stesso bosco. Il capitano Salinas manca sempre: son convinto che egli è morto.

Otto ore.

– Crocco, che è assai astuto, guadagna tempo e non mantiene la promessa di organizzare da lui fattami. ‘ Non posso intendere quest’uomo, che, a dir vero, raccoglie molto danaro: cerca l’oro con avidità.

Nove ore.

– De Langlois mi narra che Crocco ha ricevuto una lettera di un canonico che gli promette completa amnistia se si presenta colla sua banda, il suo silenzio di fronte a me in un affare si grave mi fa temere che egli, ricolmo di danaro, vinto dalla sua concubina che egli conduce con noi, non commetta qualche viltà. L’affare di ieri non diminuisce i miei sospetti. Allorché vedemmo che il nemico veniva a noi, egli si è messo in marcia per il primo; ma giungendo ad una certa distanza ha fatto una contromarcia, talché quando io mi credeva appoggiato da lui sulla diritta, mi son trovato attaccato a rovescio. In breve Crocco, De Langlois e gli ufficiali napoletani non hanno udito fischiare una palla: co’ miei uomini e con due della banda di Crocco ho pagato le spese del combattimento, e mi è costato caro.

27 ottobre.

Il capitano Salinas é ricomparso or é poco in buona salute. I nemici hanno ucciso Niccola Falesco ammogliato con cinque figli, mentre ci recava del vino. La vedova di lui si è presentata a me, ed io le ho assegnato nove ducati mensili

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in nome di S. M. Ieri l’altro i nemici hanno bruciato le capanne e le casette che si trovano alle falde del bosco.

28 ottobre.

Sette ore del mattino.

– Dal medesimo bosco. – Ci riuniamo per saper quanti siamo e per organizzarci.

Sette ore e mezzo.

– II capo da un contr’ordine, e dice che non vuole che noi formiamo due compagnie, fino a che non sieno giunti 130 uomini che egli attende, ma inutilmente.

Dieci ore e mezzo.

– De Langlois, uomo che temo assai intrigante, mi narra che ieri sera ha avuto una conferenza di più di due ore con Crocco, e che questi gli ha detto: «Se io ammetto una organizzazione, non sarò più nulla; mentre restando in questi boschi sono onnipotente, nessuno li conosce meglio di me: se entriamo in campagna, ciò non accadrà più. Del resto i soldati mi hanno nominato generale, ed io ho eletto i colonnelli e i maggiori e gli altri ufficiali, i quali nulla più sarebbero, se cadessi. Del resto io non sono stato che caporale, lo che vuoi dire che di cose militari non me ne intendo, dal che ne segue che non avrò più preponderanza il giorno in cui si agirà militarmente.»

29 ottobre.

Sette ore del mattino.

– Dallo stesso luogo di ieri.- De Langlois mi riferisce quanto segue: «Ieri sera ho avuto un colloquio col nipote di Bosco, il solo cui Crocco si confidi e gli ha detto…1 Egli pretende, e mi ha incaricato di dirvelo, un brevetto di generale sottoscritto da S. M. e altre promesso che non specifica per il futuro, una somma corrispondente di danaro, e non so che altro ancora.» De Langlois avrebbe risposto che non può garantire tutto, ma che il modo di. regolarizzare queste faccende era quello di riconoscere i capi. Crocco e i suoi hanno rubato molto, e quindi hanno molto danaro che vogliono conservare e aumentare; se vedono che si aderisce a questo loro intendimento, consentiranno a lavorare

1 Il manoscritto non è intelligibile; però lasciamo questi spazii, che indicheranno al lettore non essere stato possibile raccogliere il pensiero di chi scriveva il Giornale.

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per la causa di Sua Maestà, ma in caso contrario non si adopereranno che per loro medesimi, come hanno fatto fin qui.

Mezzogiorno.

– Sono informato che quattro guardie nazionali di Livacanti, hanno fucilato ieri la donna Maria Teresa di Genoa, perché il suo fratello era con noi.

Nove ore di sera.

– Giungono in questo momento alcuni nostri uomini che si sono imbattuti in una guardia nazionale che ha fatto villanamente fuoco sopra di essi Sono saltati addosso a lui, e dopo avergli tirato cinque colpi di fucile l’hanno ucciso e disarmato.

30 ottobre.

Nove ore del mattino.

– Siamo nel medesimo luogo: in questo momento abbiamo un allarme, la gente di Crocco fugge come un branco di pecore: resto con i miei officiali al posto e mostro disprezzo per quei vigliacchi, onde farli arrossire, e costringerli a condursi meglio, se è possibile; ma tutto è inutile.

Dieci ore e mezzo.

– Cambiamo luogo a un’ora di distanza da quello da noi lasciato ma sempre nel medesimo bosco.

Cinque ore della sera.

– De Langlois viene ad avvertirmi che il padre di Crocco si trova in relazione con il generai La Chiesa, e che questi ha scritto una lettera a Crocco, esortandolo a presentarsi colla sua banda. Questi avrebbe risposto, secondo Langlois, che il generai La Chiesa dovea presentarsi a noi. La Chiesa avrebbe soggiunto che se gli davano sei mila ducati e 30 pezze al mese, avrebbe dato in nostro potere la provincia. Ora siccome io vedo che la reazione è fatta, ciò che ho di meglio a fare si è di trame il miglior partito possibile. Non ho, è vero, i ducati in questione: ho detto a Langlois, malgrado ciò, che appena La Chiesa ci avesse consegnato una grande città, gli avrei sborsato i sei mila ducati

So però fatto notare a De Langlois che io dubitava di quanto mi diceva, e che Crocco non mi aveva di ciò fatto parola. Crocco vi presta fede, rispose, ma non ve ne parla, perché vuoi far <ciò senza discorretene.

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De Langlois mi ha detto ancora che Crocco vorrebbe conservare in apparenza il comando di generale. Sta bene, ho detto, che ei faccia trionfar la causa e vi acconsento; ma io so che egli pensa ad una cosa, e potrebbe accader che no avvenisse un’altra. I soldati e il paese ci ammirano dopo il fatto dei 25, ed io credo che il giorno in cui mi converrà alzar la voce, Crocco non sarà nulla. Qualunque cosa ei trami, son deciso a rimanere, per assistere allo scioglimento di questi intrighi, e per vedere se essi offriranno alcun che da permettermi di trame partito. Se io avessi qualche centinaio di migliaia di franchi, trecento uomini, e un numero di officiali, probabilmente diverrei il padrone della situazione.

31 ottobre.

Sette ore e mezzo del mattina

– Crocco mi legge una, lettera di un capo di una banda, nella quale pone 500 uomini a mia disposizione. Se non cambia consiglio, stanotte senza fallo anderemo a raggiungerli e formeremo domani il primo battaglione

novembre.

Ieri ci siamo posti in marcia per andare al bosco… di Potenza. Cammin facendo abbiam costeggiato la Serra Iacopo Palese che va dal settentrione a mezzogiorno: alle sue falde abbiamo trovato il fiume della Serra del Ponto, e siamo giunti verso le 2 del mattino al luogo sopra indicato.

novembre.

Un’ora di aera.

– Nulla di nuovo, se ne eccettuiamo la mancanza di razioni. Ci dicono che ne avremo più tardi: ione dispero, perché l’ora è avanzata; i soldati muoiono di fame.

novembre.

Nulla di nuovo,

Undici ore. –

Usciamo dal bosco, ci rechiamo a Trevigno, distante di qui quattro miglia,

Un’ora mezzo della sera. –

Giungiamo al luogo indicato e siamo ricevuti a colpi di fucili.

Tre ore e mezzo.

– Dopo un combattimento di oltre due ore, ci impadroniamo della, città; ma debbo dirlo con rammarico,

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il disordine più completo regna fra i nostri, cominciando dai capi stessi. Furti, eccidii e altri fatti biasimevoli furono la conseguenza di questo assalto. La mia autorità è nulla.

novembre.

Sei ore e mezzo del mattino.

– Lasciamo Trevigno e ci dirigiamo verso Castelmezzano, ove arriviamo alle undici e mezzo. Vi facciamo un alto di due ore.

Tre ore della sera.

– Ci mettiamo in marcia dirigendoci verso il bosco di Cognato, ove giungiamo alle 7. Alle 8 e 1/2 sono informato che Crocco, Langlois e Serravalle hanno commesso a Trevigno le più grandi violenze. L’aristocrazia del luogo erasi nascosta in casa del sindaco, e i sopraddetti individui, che hanno ivi preso alloggio, l’hanno ignobilmente sottoposta a riscatto. Più; percorrevano la città, minacciavano di bruciare le case de’ privati, se non davano loro danaro. Langlois interrogato da me intorno alle somme raccolte in quel luogo, mi ha risposto che il sindaco gli aveva dato 280 ducati soltanto, e che questo era tutto quanto avean potuto ottenere.

novembre.

Sei ore e mezzo.

– Ci vien dato l’ordine di riunirci, per dirigerci non so in qual luogo.

Undici ore.

– Ci imbattiamo in otto guardie nazionali, che inseguiamo fino a Caliciana; là ci arrestiamo: è stato saccheggiato tutto, senza distinzione a realisti,o a liberali in un modo orribile: è stata anche assassinata una donna, e, a quanto mi dicono, tre o quattro contadini.

Cinque ore e mezzo.

– Giungiamo a Garaussa, ove il curato insieme ad altre persone è uscito col Cristo, chiedendoci una pace che io gli accordo ben volentieri. Dio voglia che gli altri facciano lo stesso. – Non racconto cosa alcuna della scena che è avvenuta dopo la mia partenza, cagionata dall’indignazione che mi avea suscitato il disordine.

novembre.

Dieci ore del mattino.

– Ci mettiamo in marcia per andare ad attaccar la Salandra, ma havvi una guarnigione di

– 142 –

un centinaio di Garibaldini e un distaccamento di Piemontesi. Appena ci hanno scorto, hanno preso posizione sopra un’inespugnabile altura a settentrione. Allorché sono stato a mezzo tiro di fucile, ho spedito il maggiore Don Francesco Pome alla testa di una mezza compagnia, che malgrado il declivo del luogo e il fuoco che si faceva contro di lui, si è impossessato del punto che i nemici occupavano pochi momenti prima. I nemici respinti hanno preso le case, dove hanno provato una più vigorosa resistenza; ma essendosi accorti che io andava a prenderli alle spalle colla mia colonna, hanno lasciato la città a passo di corsa. Quando li ho veduti, son piombato sopra di essi; ne abbiamo uccisi dodici, abbiam preso la loro bandiera e abbiam fatto de’ prigionieri. Dal lato nostro Serravalle è stato ferito, ma non gravemente, alla testa. – La città è stata saccheggiata.

novembre.

Serra di Cucariello, Comune di Salandra, 2

ore e mezzo di sera.

– II signor Angelo Serravalle muore in questo momento. Mi pregano di scrivere a S. M. di far innalzare un castello in questo luogo.

8 novembre.

ore del mattino.

– Riuniamo la truppa, e prima di partire Crocco fucila in una sala della città Don Pian Spazziano; poi noi abbiam fatto strada verso Cracca, ove noi siam giunti a tre ore di sera: la popolazione intiera ci è venuta incontro; e malgrado di ciò, avvennero non pochi disordini.

novembre.

Sei ore e mezzo del mattino.

-Usciamo da Cracca e marciamo verso Alliano: ma circa due pre dopo mezzogiorno nella pianura bagnata dall’Acinella, troviamo una quarantina di guardie nazionali, che attacchiamo con vigore. – Vedendoci, si danno ad una fuga precipitosa e si nascondono in un bosco vicino; malgrado ciò, la cavalleria li raggiunge, ne uccide quattro, fa un prigioniero, che ho posto in libertà, perché non aveva fatto uso dei suo fucile.

Sette ore della sera.

– Giungiamo ad Alliano, dove la popolazione ci riceve col prete e colla croce alla testa, alle grida

– 144 –

di

Viva Francesco II;

ciò non impedisce che il maggior disordine non regni durante la notte. Sarebbe cosa da reca sorpresa, se il capo della banda e i suoi satelliti non fossero i primi ladri che io abbia mai conosciuto.

10 novembre.

Nove, ore del mattino:

– I miei avamposti mi avvertono che una forza nemica è comparsa sull’Acinella. Io esco immediatamente per incontrarla e mi accorgo che è un corpo di 550a 600 uomini. Faccio riunire la mia gente, che non supera i400 uomini, in faccia ad essi, e attendo le disposizioni del nemico per prenderle noi. Mi persuado ben presto che il capo piemontese era un nemico che non conosceva il suo mestiere. Vedendo la sua inesperienza, mi rivolgo ai miei soldati e prometto loro la vittoria, ove mi prestino fede: me ne fanno sicuro, ed io mi pongo in marcia. Allorché, ebbi raggiuntola cappella, distante un tiro di fucile e sul declive dei villaggio, invio la prima compagnia sotto gli ordini del (maggiore) capitano Don Francesco Farne prevenendolo di spiegare in bersaglieri la metà della sua forza e di seguire col rimanente per proteggerli, percorrendo la via che da Alliano conduce al fiume. Nel tempo medesimo ordino al luogotenente colonnello di cavalleria comandante la seconda compagnia; di marciare sopra una cresta che il terrena forma a dritta,e di prender il nemico di fianco; il che esegui con grande precisione, mentre la prima compagnia lo attaccava difronte.

Siccome lo spazio del letto del fiume è assai grande, così ho posto la cavalleria a retroguardia della prima compagnia ordinandole, di passar il fiume e di porsi m un’isola piantata di olivi per prender il nemico alle spalle.

Quanta a me, col resto dell’infanteria marciai in colonna al centro delle due ali per proteggerle in caso di scacco: ma r impulso delle due compagnie è stato così vivo, che il nemico non ha potuto sostener il primo scontro. Vedendolo sbandato, attesi che la cavalleria gli facesse mettere le armi a basso. Vana speranza. Guardo e la vedo alla mia dritta a piedi, in un burrone che faceva fuoco, anzi che. eseguire i miei ordini. Questa circostanza ha reso dubbiosa l’azione; ma siccome a colpi di sciabola ho fatto avanzare

– 145 –

la cavalleria, e ho marciato rapidamente colla riserva verso il centro del fiume, ho avuto il di sopra anche una volta sul nemico,il quale si è riunito ai piedi di un mulino. Vedendolo in una posizione forte, ho staccato una sezione della mia compagnia di riserva per prenderlo alle spalle, mentre la prima compagnia lo attaccava di fronte e la seconda a sinistra. Questa manovra è bastata per sloggiarlo dalla sua formidabile posizione; ma siccome l’altezza della montagna che dal mulino si spinge fino a Steggiano è piena di piccoli colli che si difendono da sé stessi, il nemico si è nuovamente riformato e ha preso 1 offensiva caricandoci alla baionetta. La seconda compagnia ha sostenuto la mischia per dieci minuti sulla dritta e la prima ha fatto altrettanto a sinistra. In questo tempo son potuto giungere con la riserva, e allora la sconfitta del nemico è stata completa. Egli si è sparpagliato per i boschi, ma noi abbiamo ucciso 40 individui, fra i quali un luogotenente che è morto da eroe mentre ci caricava alla baionetta: abbiamo fatto cinque prigionieri che si sono arruolati nelle nostre truppe… Abbiamo fatto alto a un miglio da Astagnano lasciando in pace i nemici.

Le nostre perdite sono meschinissime, il che è piuttosto un miracolo che frutto del caso. Il luogotenente colonnello Don Agostino Lafont ha ricevuto un colpo di una bocca di cannone al di sopra del sopracciglio dell’occhio sinistro: ma non è nulla: un altro soldato ha avuto una parte della testa sfiorata da una palla; ecco tutto.

Dopo un’ora di riposo, un corriere di Astagnano viene ad avvertirci che la popolazione ci attende, e ci prega di andarvi. In conseguenza di che faccio metter la truppa sotto le armi, e mi pongo in marcia. Appena avevamo sfilato, scorgo delle croci e de’ preti che venivano verso di noi, e una folla immensa che riempiva la strada con bandiere bianche e gridava

Viva Francesco II.

In mezzo a tale entusiasmo siamo entrati trionfalmente nella città, con ordine ai soldati, che abbiamo pagati prima di alloggiarli, di osservar la più stretta disciplina. Ma siccome hanno l’abitudine del male, hanno cominciato a farne delle loro solite, di guisa che siamo stati costretti a fucilarne due; provvedimento che ha ristabilito subito l’ordine.

– 146-

11 novembre.

Astagnano. Abbiamo passato la giornata tranquillamente,o meglio lavorando. Ci si presentarono 300 uomini di diversi paesi, di guisa che… contiamo 700 uomini assai bene armati.

12 novembre.

Nove ore del mattino. –

Partiamo da l’Astagnano per recarci a disarmare i Nazionali di Cirigliano e al primo luogo siamo rimasto due ore, o per meglio dire ne siamo usciti a un ora e mezzo della sera per recarci al secondo: ma quando siamo stati al principio della salita, fummo avvertiti che il nemico era ad un miglio di distanza. Vedendo la mia posizione assai compromessa, inviai il maggior Forne comandante la prima compagnia al villaggio, ed io col resto della forza presi posizione sulle alture che avevo alla mia sinistra: una volta che fui in grado di difendermi, attesi, spiegato in battaglia, gli eventi. Dopo un quarto d’ora scorsi la testa della colonna nemica forte di 1200 uomini, che si poneva nella strada che divide i due villaggi suddetti; ma era troppo tardi. Comprendendo la forza della mia posizione ho offerto la battaglia al nemico, il quale ha manovrato fino al cadere della notte, senza nulla intraprendere. Dopo di che ci ponemmo in marcia diretti al bosco di Montepiano di Pietra Portassa.

13 novembre.

Sei ore del mattino.

– Partiamo dal bosco, facendo via verso l’Autura: arrivando in questo luogo ho fatto, malgrado la volontà di Crocco, accampar la truppa per prevenire una sorpresa e il disordine, ordinando che ci fosse recato del pane e del vino, il che è stato eseguito di buon grado. Mentre si distribuivano le razioni, il clero vestito dei suoi abiti sacerdotali, colle croce alla testa, si è presentato per complimentarci, e per pregarmi di andar ad ascoltare una messa co’ miei officiali: l’ho ringraziato, dicendo che sebbene io desiderassi moltissimo di accettar tal proposta, non mi era possibile: tuttavia ho aggiunto che quanto era differito non era perduto. In questo mentre fui avvertito che il nemico veniva incontro a noi: ho fatto riunire la truppa e ho congedato i preti.

– 147 –

Nove ore e mezzo.

– Gli avamposti scuoprono il nemico, ed io mi pongo in moto per prendere posizione ad Arause, ove, giungo a mezzogiorno.

Due ore della sera.

– II nemico è alle viste. Faccio battere la generale e gli offro battaglia: il nemico si pone sulle difensive.

Sei ore della sera.

– Mi ripiego nel bosco chiamato

la macchia del Cerro,

dove ci accampiamo per passarvi la notte.

14 novembre.

Sei ore del mattino.

– Ci mettiamo in marcia verso Grassano, dove giungiamo a 10 ore del mattino. Alloggiamo la truppa, e i nostri capi vanno a rubare dove più lor piace.

Due ore. della sera.

– Il nemico si avvicina, e gli offro battaglia, ma egli non l’accetta, sebbene abbia il doppio della mia forza. Ci scambiamo alcune fucilate nel resto della giornata.

Otto ore di sera.

– Vedendo che il nemico non sa decidersi, lascio gli avamposti, e mi ritiro con tutto il rimanente della mia forza in città per passarvi la notte.

15 novembre.

Sette ore e mezzo del mattino.

– II nemico rimane nelle stesse posizioni d’ieri sera.

Otto.

Ritiro i miei avamposti per andare verso San Chirico, ove sono giunto verso le undici: ho fatto alloggiare un officiale in casa del capitano delle guardie nazionali per impedire che gli si arrecasse del danno, e credo che questi me ne fosse grato. In questo luogo vi è stato un po’ d’ordine; il che mi ha fatto un gran piacere.

Tre ore dì sera.

– Ci mettiamo in via per attaccare il villaggio Loagle: ma ad un miglio di distanza ci accampiamo e aspettiamo il giorno.

16 novembre.

Sei ore del mattino.

– Riconosco la posizione e la trovo fortissima; malgrado ciò, mando innanzi la quarta compagnia per attaccar la sinistra del villaggio: invio la terza sulla diritta: la prima al centro: il resto dell’infanteria rimane con me sull’altura a dritta della nuova strada e in faccia al villaggio.

– 148 –

Destino una parte della sedicente cavalleria a sinistra e una parte a diritta, e questa per togliere la ritirata del nemico a Potenza. Allorché l’infanteria è giunta al ponte che trovasi a’ piedi della salita, il nemico fa una forte scarica e ferisce un uomo della prima compagnia; ma la truppa si slancia all’assalto. Il nemico, accortosi della nostra fermezza, ripiegò e si racchiuse in un gran palazzo: una parte fugge per cadere nelle mani de nostri, che li massacrano.

Il capitano della prima compagnia attacca1 il palazzo e l’incendia con della paglia e con delle legna resinose: il nemico cominciò a saltare da un balcone: ma in questo mentre, taluno, non so chi, si permette di far batter la generale: la truppa si riunisce e l’operazione rimane incompiuta. Due de’ nostri feriti rimangono nel villaggio: abbiamo due morti e alcuni feriti.

Cessato l’allarme, ci mettiamo in marcia per attaccare Pietragalla, dove giungiamo alle 3 della sera. Riconosciuta la posizione, invio la terza e la quarta compagnia sulla diritta della città, la quinta e la sesta con porzione della cavalleria verso la sinistra, la prima e la seconda verso il centro. Il nemico in forti posizioni dietro una muraglia apri un fuoco vivissimo. Ma il maggior Don Pasquale Marginet, luogotenente delle seconda compagnia, si slancia come un fulmine seguito da alcuni soldati e si impadronisce delle prime case della città.

Il capitano lo segue col reato della compagnia, e la città meno il castello ducale, ove i nemici si sono racchiusi, fu presa in un batter d’ occhio. Abbiamo avuto quattro morti e cinque feriti, o piuttosto 9 feriti ne’ punti che abbiamo attaccato, e fra essi il luogotenente Laureano Carenas. Compiuto il fatto, abbiamo preso alloggio, per non esser testimonio di un disordine contro il quale sono impotente, perché mi manca la forza per far rispettare la mia autorità. Temo che Crocco, il quale ha molto rubato, non commetta qualche tradimento.

17 novembre

Dieci ore del mattino.

– Ci riuniamo per accamparci nel bosco di Lagopesole, ove giungiamo a quattro ore della sera.

– 149 –

Crocco ci lascia sotto pretesto di andare a cercare del pane, ma temo che sia piuttosto per nascondere il danaro e le gioie che ha rubato durante questa spedizione.

18 novembre.

Un ora dopo mezzogiorno.

– Siamo nel medesimo bosco senza Crocco e senza pane. La condotta del capo ha fatto sì che in tre giorni abbiamo perduto la metà della forza, circa 350 uomini.

Quattro ore della sera.

– Noi sloggiamo per accamparci ad un miglio più lontano. – Crocco non è venuto.

19 novembre.

Otto ore del mattino.

– Crocco è giunto, ma non si è presentato ancora dinanzi a me.

Mezzogiorno.

– Crocco ha fatto battere l’appello dopo aver tirato diversi colpi di fucile. Monto la collina e chiedo cosa significhi ciò. Crocco mi risponde che noi dobbiamo andare ad attaccare e prendere Avigliano, città di 18 mila anime. Gli dissi che era impossibile, che i Nazionali di quella città erano assai superiori in numero. Mi obiettò che in qualche luogo dovevamo andare: gli risposi che ci attendeva con impazienza: replicò che ciò gli andava a genio e che mi vi condurrebbe. Dopo ciò disparve, e andò a consigliarsi con gente che non avrebbe mai dovuto né vedere né ascoltare, e venne a dirmi che potevamo metterci in cammino; il che facemmo.

Dopo aver marciato per qualche tempo chiesi ad un uomo del paese, quale era la via che noi seguivamo. Mi rispose esser quella di Avigliano. Non ho di ciò parlato ad alcuno: ma ho pensato che quell’uomo senza fede mi aveva ingannato. Non era passato un quarto d’ora che il maggiore di cavalleria venne a dirmi: Mio generale, noi prenderemo una graziosa città. – Noi andiamo a Avigliano, dunque? gli chiesi – Sì, signore – Ebbene io protesto contro questa impresa.

Tre ore e mezzo di sera.

– Siamo giunti ad Avigliano. Crocco mi dice di prendere le disposizioni opportune per assalirla e impadronirsene. Gli rispondo che avendo fatto egli il contrario di quanto avevamo stabilito, prendesse le disposizioni che più gli piacevano, dacché io non voleva assumere

– 150 –

la responsabilità di una impresa che non poteva riuscire. Allora ha fatto attaccare la piazza con tutta la forza e senza lasciar riserva; aperto il fuoco, egli si è ritirato sulle alture e vi è rimasto per vedere ciò che accadeva.

Il fortino che è al fianco della città e al settentrione fu preso di primo slancio dalla prima compagnia sostenuta dalla seconda: ma non si è potuta prendere una cappella che si trova sulla stessa linea e protegge le vicinanze del centro della città. La diritta è stata attaccata dalla forza rimanente; ma è stata tenuta in scacco da un muro che servì di barricata alla parte di ponente della città. In breve, la notte è sopraggiunta e con essa una nebbia e una pioggia intollerabile, tanto era fredda. Crocco ha fatto suonare la ritirata e ci siamo condotti ad una piccola borgata chiamata Favolo Duce, dove abbiamo passato gelati e bagnati fino alla pelle una pessima notte…

Questa circostanza, unita ai disordini precedenti, ha scemato la nostra forza, che era assai piccola. Durante la notte non ho mai potuto sapere dove fosse Crocco.

20 novembre.

Cinque ore del mattino.

– Faccio battere la sveglia.

Sei ore e mezzo.

– Faccio batter l’appello. Ninco Nanco si presenta e mi dice che mi servirà di guida, come ha poi fatto. Dopo una mezz’ora di marcia, mi vien detto che Crocco si trova ad una piccola casa di campagna alla distanza di 200 passi a sinistra della strada da noi percorsa. Nel momento medesimo (8 ore) mi fa avvertire di far alto; mi fermo e l’aspetto, ma inutilmente.

Nove ore del mattino.

– Ninco Nanco, Donato, e un altro degli ufficiali mi dicono che Crocco ci ha lasciati. Riunisco gli ufficiali tutti per chieder loro ciò che intendono di fare, assicurandoli che io era deciso di andar fino in fondo, se avessero persistito nei loro propositi. Bosco prende la parola e discorre assai bene: ma un altro ufficiale dice, che i soldati non ci seguiranno se saranno comandati da ufficiali spagnuoli; che d’ altra parte io era destinato al comando in Basilicata, il che mi spiegò tutti gli intrighi di costui. Pure ho fatto dare la dimissione a tutti i miei uffiziali, per provare a quelli

– 151 –

della banda che noi servivamo per devozione e non per interesse. De Langlois durante questa riunione si è tenuto in disparte, ma ascoltandone il resultato. Comprendendo che egli era l’anima di tutto ciò, ho detto agli uffiziali della banda di deliberare fra di loro, promettendo di aderire alla loro decisione. Terminata la deliberazione, hanno posto gli ufficiali della banda a capo delle compagnie e De Langlois alla loro testa, senza che io sia stato fatto consapevole di quanto avevano risoluto, sebbene mi sia facile intenderlo, giacché De Langlois da ordini, fa batter l’appello ecc. senza dirmi perché, senza domandarmene licenza. In breve, sono stato destituito e anche con mal garbo.

21 novembre.

Ieri sera De Langlois mi inviò il suo, aiutante per prevenirmi di esser pronto a partire oggi alla punta del giorno: pure sono le otto e siam sempre nel bosco di Lagopesole.

Otto ore e mezzo.

– Ci mettiamo in marcia per andare non so dove

Nove ore e mezzo.

– Facciamo alto in uno spulito donde scopriamo Rionero.

Dieci e 45 minuti.

– Ci mettiamo in marcia per andare a Santa Laria, dove arriviamo a un’ora 45 minuti.

22 novembre.

Noi ci mettiamo in marcia a 6 ore e mezzo del mattino diretti alla Bella, ove giungiamo a mezzogiorno. De Langlois si ferma, riunisce la truppa, ed io che mi trovo alla retroguardia mi fermo del pari. De Langlois viene a trovarmi per chiedermi se contavo di prendere il comando per attaccar la città. Gli rispondo, che colui che tutto, si arroga deve dar la direzione anche a questo affare. Non sapendo che rispondere, se ne é andato e ha preso le sue disposizioni, per provarmi senza dubbio che non è mai stato militare: ora sono quattro ore da che abbiamo attaccato questa posizione, senza che siasi potuto prenderla, e pure un quarto d’ora bastava per impadronirsene.

Quattro ore

1/4

della sera.

– La città é attaccata da ambo le parti, poiché vedo bruciare tre case; ma il fuoco del nemico non rallenta in guisa alcuna.

– 152 –

Sei ore della sera.

– Abbiamo preso una strada verso la parte meridionale della città: il centro e una gran parte del settentrione resta in potere dei rivoluzionari. La parte di cui ci siamo impadroniti comincia a bruciare in un modo spaventoso.

23 novembre.

Sei ore e mezzo del mattino.

– Usciamo dalla città o meglio dalla terza parte di cui ci eravamo impadroniti. Un luogotenente vi resta ferito mortalmente. Andiamo a riunirci al levante sotto il tiro de’ nemici.

Otto ore e mezzo.

– Ci mettiamo in marcia per raggiungere le forze sparse, che si trovano dalla parte meridionale della città.

Dieci ore.

– Crocco, che è ricomparso ieri, brucia le ville che si trovano nella parte di ponente della città.

Undici ore.

– Ci mettiamo di nuovo in marcia diretti a Mure.

Mezzogiorno.

– Alcuni colpi di fucile si odono dall’avanguardia: l’infanteria grida ali1 arme: la cavalleria si spinge innanzi. Ben presto mi accorgo che si distribuiscono le compagnie in varie direzioni e malamente.

Un’ora.

– Arrivo al culmine, della serra e vedo tutta la nostra gente dispersa. Alcuni colpi di fucile si scambiano contro una capanna: vi vado per veder di che si trattava. A mezza strada trovo Crocco e Ninco Nanco che fuggono a spron battuto. A malgrado di ciò mi inoltro, sebbene non avessi alcun ordine, per sapere il numero de’ nemici che ci attaccavano. In questo istante scorgo De Langlois che, solo, si mette in salvo dalle palle nemiche. Gli chiedo dove sono i capitani delle sue compagnie. Non mi risponde. Tiro innanzi cogli ufficiali che mi rimangono e con alcuni soldati italiani e scuopro il nemico, che uccide con un colpo di fuoco uno di questi ultimi. Faccio una recognizione, e mi accorgo che la sua sinistra si da alla fuga e che la destra, appoggiata ad un boschetto di querci, sostiene la posizione. I nostri soldati vedendosi senza ufficiali si sbandano, abbandonano i feriti, il frutto delle loro rapine, i bagagli e alcuni fucili e fuggono dinanzi a 40 guardie nazionali, provenienti da Balbàno. In mezzo a questi disordini, noi ci siamo riparati verso un piccolo fiume,

– 153 –

che scorre ai piedi di una montagna, e traversatolo, De Langlois ha fatto riformare la sua truppa, lo che non gli è stato difficile, non avendo il nemico osato seguirci. Indi dopo aver fatta via, seguendo il corso del fiume che dal settentrione scende a mezzogiorno, e dopo un’ora di marcia abbiamo incontrato una compagnia di 47 uomini, egregiamente formata e disciplinata. Questa forza ci ha preceduti e noi l’abbiamo seguita nella direzione di Balbano, ove siamo giunti a 7 ore di sera. La città era illuminata, e al nostro ingresso fummo gradevolmente assordati dalle grida di

Viva Francesco II.

Il vescovo, alcuni preti e la guardia nazionale si racchiusero nel castello situato al mezzogiorno, in una posizione inespugnabile. I nazionali ci han fatto dire che sarebbero ben contenti se avessimo rispettato le proprietà, e che non avrebber fatto fuoco sopra di noi, se non quando i nostri avessero tirato su di essi. Il capitano è uscito e si è abboccato con Crocco. Don Giovanni e De Langlois sono stati al castello, ma ignoro ciò che abbian detto e fatto. So unicamente che la cosa che mi è più grato scrivere si è che 1 ordine il più completo è regnato nella città durante la notte.

24 novembre.

Balbano, sette ore e mezzo del mattino.

– Ascendiamo la montagna, e allorché siam giunti a mezza via per una contromarcia ci dirigiamo a Ricigliano, dove siam giunti a un’ ora dopo mezzogiorno, e dove siam ricevuti con ramoscelli d’ olivo in mano.

Undici ore della sera.

– I disordini più inauditi avvennero in questa città; non voglio darne i particolari, tanto sono orribili sotto ogni aspetto.

25 novembre.

Sei ore del mattino.

– Ci riuniamo: ma siccome a ciò si richiede un gran tempo, non so se per marciare o per qualche altro motivo.

Otto ore e mezzo.

– Crocco ordina l’all’avanguardia di Avanzare, perché il nemico segue le nostre traccie.

Nove ore.

– Odo una fucilata assai viva.

Nove ore e cinque minuti.

– … e i nazionali si ritirano.

– 154 –

I Piemontesi in numero di 100 hanno preso una forte posizione e non si muovono.

Mezzogiorno e 45 minuti,

– Ci riuniamo e riprendiamo la marcia diretti ad alcune baracche distanti cinque miglia, nelle quali ci riposiamo assai male, avendo un freddo orribile.

26 novembre.

Nove ore e mezzo del mattino.

– Ci mettiamo in marcia in mezzo a monti altissimi e freddissimi. A mezzogiorno scendiamo la montagna e scuopriamo un distaccamento di 40 uomini: si preparano al combattimento, ma senza aver il coraggio di resistere al primo scontro; una carica di cavalleria bastò per farli fuggire a Castello grande.

Due ore e mezzo di sera,

– Proseguiamo il nostro cammino alla volta di Pescopagano, ove giungiamo a 3 ore e 45 minuti della sera. La città è investita; una viva fucilata si impegna: ma i nostri soldati oscillano. Il luogotenente colonnello Lafont e il maggior Forne, fermandosi, dicono alla truppa: «noi non abbiamo comando: pure, se volete seguirci, prenderemo la città.» Ottenuta risposta affermativa, si slanciano e si impadroniscono della posizione in un quarto d’ora.

27 novembre.1

Cinque ore del mattino.

– Invio il capitano di cavalleria Martinez a Crocco per fargli dire esser tempo di suonare la diana, ma egli non presta attenzione alla mia preghiera.

Sei ore del mattino.

– Vedendo che non si fa suonar l’appello, vado in cerca di Crocco: egli era nella strada discorrendo con taluno de’ suoi. Giungo e lo saluto, e gli dico subito esser mestieri uscire dalla città, altrimenti avremmo perduto molta gente. In questo momento giunge un trombetta, ed io gli ordino di suonar l’appello alla corsa. Crocco glielo proibisce: lo prego allora di far suonare l’appello ordinario: lo nega. Riflette un momento e subito dopo se ne va, ed io, prevedendo il pericolo che ci minaccia, me ne vado del pari. Il resultato di ciò è stata la perdita di 25 uomini,

1 Qui nel manoscritto sono cinque versi cassati in guisa tale, che è impossibile leggervi ciò che vi era scritto.

– 155 –

secondo gli uni, di 40 secondo gli altri. È certo però che abbiam perduto molti soldati di linea e anche alcuni cavalli.- La mancanza di soldo, il disordine e l’apparizione di una forza assai considerevole producono la dispersione della, banda.

Quattro ore di sera,

– La forza nemica di cui ho parlato di sopra sta sempre di fronte a noi, ma non osa attaccarci.

Cinque ore.

– Entriamo nel bosco di Monticchio, dove ci accampiamo, digiuni e senza pane.

Sette ore del mattino.

– Ci mettiamo in marcia per internarci nel bosco.

Mezzogiorno.

– Facciamo alto nel centro del bosco senza aver pane: la banda si scioglie.

Mezzogiorno e mezzo.

– Ci prepariamo a marciare, ma non so dove; se la direzione che prenderanno non mi anderà a genio, prenderò la via di Roma.

Tre ore della sera.

– Scena disgustosa. Crocco riunisce i suoi antichi capi di ladri e da loro i suoi antichi accoliti. Gli altri soldati sono disarmati violentemente; prendono loro in specie i fucili rigati e quelli a percussione. Alcuni soldati fuggono, altri piangono. Chiedono di servire per un pò di pane: non più soldo, dicono essi: ma questi assassini sono inesorabili. Si danno in braccio a capitani della loro tempra, e li congedano dopo un digiuno di due giorni.

Tutto ciò era concertato, ma lo si nascondeva con molta astuzia. Alcuni soldati venivano da me piangendo, mi prendevano le mani e me le baciavano dicendo: – Tornate con una piccola forza, e ci troverete sempre pronti a seguirvi. –

Per conto mio pregai Crocco a salvar questa gente, e piangendo con i soldati, per quanto era in mio potere, cercai di consolarli.

29 novembre.

Abbiamo marciato tutta la notte.

30 novembre.

Abbiamo marciato assai, e vinti dalla fatica facciamo alto…1

1 II giornale ora non contiene che appunti disordinati. Così sotto la data del 1° dicembre troviamo i seguenti l’appunti:

– 156 –

Qui il giornale di Borjès ha fine. Alcuni appunti che vi si trovano, sono privi di nesso fra di loro.

12° Rocca di Cerri; 13° Colli Catena; 14° Carruzzole; 15° Rio fredo. 1° Esquiave: 21° Anone: 3° Caprecotta: 4° Tolete: 5 Preteniera: 6° Roccarasa: 7° Rocavalle scura: 8° Purca Caruse: 9° Arco di Paterno: 10° Lasactura: 11° Tagliacozzo.

In mezzo ad alcune pagine bianche trovasi la seguente lettera, probabilmente diretta al generale Clary:

«26 ottobre 1861.

Mio Generale.

È tempo che io vi dia segno di vita. L’avrei fatto innanzi, se avessi saputo come, ma non ho trovato una persona abbastanza devota in alcun luogo per affidarle l’incarico di rimettervi le mie lettere. Oggi che De Langlois mi offre mezzo di farvi giungere questa mia, profitto di tale occasione, non per darvi i lunghi e penosi ragguagli della mia spedizione, che è andata a vuoto per mancanza di una forza di 300 uomini che sostenesse la mia autorità, ma per dirvi ohe mi trovo nelle vicinanze di Melfi con Crocco, col quale conto rimanere, se egli vuole sottoporsi a me, e ammettere la necessità di un po’ d’ordine, del che dubito assai.

Lo spirito delle cinque provincie da me percorse è eccellente, o per meglio dire, vi sono nove realisti sopra dieci persone. Se Crocco volesse disciplinarsi e io potessi aver un po’ di danaio e cinquecento fucili, la rivoluzione

(l’affaire révolutionnairé)

sarebbe terminata, ma se quest’uomo agisce in senso contrario, nulla si può fare senza una forza di cinquecento uomini, colla quale si costringerebbero i recalcitranti a marciare. Crocco tuttavia mi promette, se me lo da, terrò la campagna; se me lo rifiuta, non ho altro partito da prendere che tornarmene a Roma, per rendervi conto della mia missione, e per esporre nel tempo stesso ciò che importa fare per riuscire.

Ieri a sei ore e un quarto siamo stati avvertiti che i nemici in numero di 150 bersaglieri venivano incontro a noi; siamo andati subito incontro ad essi; Crocco si è posto innanzi, ed io co1 miei Spagnuoli ho marciato alla retroguardia, ma allorché Crocco è stato ad una certa distanza, ha fatto una contromarcia senza avvertirmi, per il che mi sono trovato di fronte ai nemici e ad una distanza di cinquanta passi. Una viva fucilata si è impegnata immediatamente: noi siamo andati avanti, credendomi sostenuto sulla diritta, fino

– 157 –

Certo è per altro che ei prese la risoluzione, che avea accennato prima della scena disgustosa della quale ei da

a venti passi dai nemici, che ci cedevano il terreno: ma vedendo che facevamo poco fuoco, si sono avanzati nuovamente fino a dieci passi da noi, e noi abbiam sostenuto l’attacco, sebbene non fossimo che venticinque uomini. Abbiamo ucciso nove bersaglieri: ma io ho avuto ferito gravemente il soldato Domenico Antonio Mistico, e il maggiore Don J. Landet, è morto al momento della ritirata. Questa perdita è irreparabile, perché un tale uomo era dotato di qualità eccezionali.

Debbo ritornare sulla nostra ritirata e sui motivi che l’hanno cagionata: mentre noi ci difendevamo con accanimento al fronte e alla dritta, una forza piemontese si è presentata alle nostre spalle. Non scorgendola, continuavamo a resistere: ma ad un tratto i nemici che erano dietro di noi ad alta voce ci ordinano di arrenderci. A questa ingiunzione caccio un grido a miei Spagnuoli e agli altri sei che trovavansi meco, e mi slancio co’ miei contro il nemico fu allora che il maggior Landet colpito da due palle alla testa è morto. La cosa è stata talmente pronta che io non ho, veduto il colpo, e non ho potuto far prendere il suo fucile e le 400 piastre che aveva indosso.

Ho nella mia compagnia il fattore del signor principe di Bisignano, per nome D. Michele Capuano, il quale mi ha reso rilevantissimi servizi e desidera che il suo padrone sappia che ei si trova meco, ed io pure lo bramo.

Mettetemi ai piedi delle LL. MM, e voi, mio generale, fate conto sempre sul profondo rispetto del vostro sottoposto

Borjès.»

A questa lettera seguono moltissimi appunti di spese fatte e di requisizioni ordinate che non sono intelligibili. – È notevole però quanto segue:

Spese occorse.

A 18 febbraio. – Dato a Niccola Sansaloni per num. 32 carabinieri corrotti alla reazione per 2 piastre per ciascuno…………76. 80.

Idem, per corrieri ed altri individui che componevano il partito……………………………………………………………………34 60.

Preparativi per formare altre reazioni ………………….111. 40.

Polvere conto id. 3…………………………………………….300. 00.

Piombo id. l’3……………………………………………………..70. 00.

armi comprate num. 30………………………………………192. 00.

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pochi cenni, ma dalla quale apparisce che gli uomini di Crocco, non avendo più villaggi da saccheggiare, spogliarono gli stessi loro compagni d’ arme.

Finalmente gli riesce di fuggire con 24 uomini; che farà egli? Si dirige verso gli Stati Romani; non ha più tempo di scrivere; la ritirata era una impresa più difficile della restaurazione dj Francesco II. Dinanzi a questa terribile avventura non indietreggia, ma è impossibile seguirlo; sì perdono le tracce di lui, si ignora da quali luoghi sia passato, e non lo ritroviamo che in Terra di Lavoro, quasi alla frontiera. Il 4 dicembre fu veduto nella pianura di Cinque Miglia, mentre dirigevasi a Pescasseroli. Poteva seguire due strade per raggiungere gli Stati Romani, il monte o il piano, il Valle di Roveto, o la gran via di Avezzano. Costretto dalle nevi, seguì quest’ultimo sentiero.

A due miglia di Avezzano fece un giro e prese per Cappelle e Scurgola. Dovè traversar quest’ultimo villaggio a dieci ore di sera, e passar davanti il corpo di guardia della nazionale. – Chi va là? gridò la sentinella – Buoni amici, rispose Borjès, e passò oltre senza ostacoli co’ suoi uomini.

Potè anche spingersi al di là di Tagliacozzo senza essere arrestato. Sul consiglio della sua guida rispose al milite nazionale che era in fazione fuori di quella Comune:

Siamo castagnari che andiamo a Santa Maria.

Borjès si credè in salvo, dacché non era che a cinque ore di distanza dalla frontiera. Fece alto, accordando ai suoi uomini estenuati poche ore di riposo.

Mi resta a narrare la sua tragica morte. Vedemmo come per miracoli di audacia e di fortuna era riuscito

Ciberne 18…………………………………………………………………18. 00.

Per la formazione di 400 individui a due piastre

per cadauno……………………………………………………………..990. 00.

Spesa cibaria per dodici giorni circa 500 individui……….364. 00.

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a traversare in tutta la sua estensione il continente dell’antico regno delle Due Sicilie, in mezzo a popoli nemici, a migliaia di guardie nazionali, di guardie mobili, di carabinieri, di soldati spinti contro di lui, imboscati sul suo sentiero, che battevano i boschi, occupavano le alture, custodivano i villaggi ove era costretto a passare; tutti in piedi, coll’arme in pugno, coll’occhio attento, vigili, irritati e valorosi. Aveva in tal guisa traversato non so quante provincie, soffrendo e sfidando tutte le privazioni, dormendo la notte nella melma e nella neve: si era gettato negli Abruzzi, quasi toccava i confini, oltre i quali sarebbe stato libero sotto la paterna protezione di Pio IX. Poche ore ancora, e non avrebbe avuto nulla a temere. Fu preso e ucciso alle porte della terra promessa, nell’ultimo villaggio italiano.

Intorno alla sua cattura, abbiamo ragguagli completi in un rapporto del valoroso uffiziale che l’operò, il maggior Franchini. Ecco il documento indirizzato al generale La Marmora:

N. 450. Tagliacozzo, 9 dicembre 1861.

Alle ore 11 e Ij2 della sera dei 7, una lettera del signor sottoprefetto del circondario m’ avvisò che Borjès con 22 suoi compagni a cavallo era passato da Paterno dirigendosi sopra Scurcula, ed altra, alle ore 3 e 1\2  del mattino degli 8, del signor comandante i reali carabinieri, da Cappelle mi faceva sapere che alle 8 di sera dei 7, avevano i medesimi traversato detto paese, e che tutto faceva credere avessero presa la strada per Scurcola e Santa Maria al Tufo.

Dietro tali notizie io spediva tosto una forte pattuglia comandata da un sergente verso la Scurcula colla speranza d’incontrarli, ed altra a Santa Maria comandata da un caporale per avere indizii se mai i briganti fossero colà arrivati, ma costoro prima degli avvisi ricevuti avevan di già oltrepassato Tagliacozzo e traversato chetamente Santa Maria, dirigendosi sopra la Lupa, grossa cascina del signor Mastroddi.

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Certo del passaggio dei briganti, io prendeva con me una trentina di bersaglieri, i primi che mi venivano alla prima, ed il signor luogotenente Staderini che era di picchetto; ed alle due prima di giorno, mi metteva ad inseguire i malfattori.

Giunto a Santa Maria trovava la pattuglia colà spedita, e da questa e dai contadini aveva indirizzi certi del passaggio dei briganti, ed aiutato dalla neve, dopo breve riposo, celermente prendeva le loro tracce, per alla Lupa.

Erano circa le 10 antimeridiane allorché io giunsi alla cascina Mastroddi, ma nulla mi dava indizi che essa fosse occupata dai briganti, quando una cinquantina di metri circa da quel luogo, vedo alla parte opposta fuggire un uomo armato. Mi metto alla carriera, lo raggiungo e gli chiudo la strada, i miei bersaglieri si slanciano alla corsa dietro di me; ma il malfattore, vistosi impedita la fuga, mi mette la bocca della sua carabina sul petto e scatta; manca il fuoco; lo miro alla mia volta colla pistola ed ho la medesima sorte ma non fallì un colpo sulla testa che lo stese a terra. I bersaglieri si aggruppano intorno a me ed a colpi di baionetta uccidono quanti trovano fuori (cinque): altri circondano la cascina; ma i briganti, avvisati, fanno fuoco dalle finestre e mi feriscono due bersaglieri.

S’impegna un vivo combattimento, ed i briganti si difendono accanitamente. Infine, dopo mezz’ora di fuoco, intimo loro la resa, minacciando di incendiare la casa; ostinatamente rifiutano, ed io volendo risparmiare quanto più poteva la vita ai miei bravi bersaglieri, già faceva appiccare il fuoco alla cascina, quando i briganti si arrendevano a discrezione.

Ventitré carabine, 3 sciabole, 17 cavalli, moltissime carte interessanti cadevano in mio potere, 3 bandiere tricolori colla croce di Savoia, forse per servire d’inganno, non che lo stesso generale Borjès e gli altri suoi compagni descritti nell’unito stato, che tutti traducevo meco a Tagliacozzo, assieme ai 5 morti, e che faceva fucilare alle ore 4 pomeridiane, ad esempio dei tristi che avversano il Governo del Re ed il risorgimento della nostra patria.

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Alcune guardie nazionali di Santa Maria [col loro capitano che mi avevano seguito, si portarono lodevolmente, per i quali mi riserbo a far delle proposte per ricompense al signor prefetto della provincia.

Il luogotenente signor Staderini si condusse lodevolmente, e mi secondava con intelligenza, sangue freddo e molto coraggio.

I bersaglieri tutti grandemente si distinsero.

Rimetto alla S. V. illustrissima lo stato dei candidati per le ricompense, non che tutte le carte, corrispondenze interessantissime del nominato generale Borjès e suoi compagni, persuaso che da questo il Governo potrà trarre grandissimo vantaggio.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/Notizie_storiche_documentate_sul_brigantaggio_monnier.html#straniero

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