Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (VI)

Posted by on Dic 2, 2023

CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (VI)
Tornata de’ 29 maggio (n. 160 degli atti)

Tra le petizioni presentate alla Camera, ve n’è una segnata sotto il n. 7235, in nome di 45 pittori decoratori della Città di Napoli, i quali domandano al governo di Torino, onde provveda loro del lavoro per guadagnarsi il necessario sostentamento, venuto loro a mancare col nuovo ordinamento politico.

Nella stessa tornata discutendosi il progetto di legge relativo a militari privi d’impiego per titolo politico, il deputato Pisanelli osserva: —«Quasi tutti gli uffiziali napoletani sono stati messi al ritiro… il cui trattamento riesce a taluni così misero la non permetter loro di sopportare in nessun modo le spese della vita. — Ora ponete una quantità innumerevole di uffiziali, i quali, e per le pratiche antiche, e per le occupazioni abituali, non possono volgersi ad altre cure: e voi lascerete morir di fame. Ed io posso attestare, e lo attesteranno con me tutte le persone venute da Napoli, che là il sentimento generale si è commosso ed inasprito alla vista dello spettacolo miserabile offerto dagli antichi uffiziali dell’esercito napoletano.»

Tornata de’ 31 maggio (n. 164 degli atti)

Il deputato Ricciardi interpella il ministro della istruzione pubblica, se sia vero, che sia stata in Napoli sciolta l’Accademia delle Scienze: — e dice «Questo fatto sarebbe gravissimo, poiché le attribuzioni del governo di Napoli sono state, ristrette in modo considerevole, ed inoltre si potrebbe ciò appena tollerare quando fosse fatto per legge. Trattasi in fatti di una delle Accademie più illustri, non dirò d’Europa, ma certo d’Italia.»

(Il ministro risponde di non conoscere niente di preciso, e si riseria altro giorno.)

Nella seguente tornata () de’ 10 giugno (n. 180 degli atti) il medesimo deputato Ricciardi ritorna su lo stesso tema, e cita il decreto di scioglimento della detta Accademia delle scienze de’ 30 aprile, pubblicato nel giornale officiale de’ 31 maggio, mentre in quello del seguente giorno 1.° giugno si riordina l’Accademia stessa. Ma è interrotto dal Ministro di Pubblica Istruzione, che dice di attendere una dettagliata relazione dalla Luogotenenza di. Napoli: così fra 2, o 3 giorni sarà nel caso di dare più ampie spiegazioni.

In questa tornata de’ 10 giugno è approvata la légge per la riunione in un solo Gran Libro a Torino di tutti i Debiti Pubblici de’ varii Stati italiani annessi al Piemonte. ()

Tornata de’ 14 giugno (n. 189 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge, che accorda stipendii (dalle 1000 alle 1600 lire annue) a’ Commissari militari di quattro classi, incaricati di sorvegliare nelle Leve sul personale delle reclute, il deputato napoletano Pace osserva: — 1.° di essere la istituzione de’ commissarii di leva un provvedimento di niuna utilità politica cd economica per la nazione: 2.° di non esistere una tale istituzione nell’ex regno di Napoli, dove il reclutamento si è sempre eseguito in modo più semplice e naturale, avendone la responsabilità, e l’incarico il solo Comune…

Il già disciolto esercito Borbonico, non era forse fornito a sufficienza di buoni soldati, e meglio di ogni altro d’Europa? Eppure la leva si faceva da’ Comuni, senza commissarii. I commissarii di leva sono degl’intrusi nelle prerogative municipali, e non producono che scontento, e tolgono alla Leva il carattere nazionale e popolare, che dovrebbe avere; il di loro impianto è un trovato del dispotismo, non della libertà… Le sole provincie meridionali sarebbero tassate di oltre trecentomila lire pel mantenimento di questa nuova istituzione; un capitale di circa due milioni sciupato!»

E su lo stesse soggetto parla il deputato Ricciardi, e dice tra l’altro: — «Io non posso, come Deputato delle provincie napolitane, accettare questo sistema de’ commissari salariati por la leva; poiché il sistema adottato nello ex regno di Napoli è di gran lunga migliore di quello in vigore nel Piemonte; — migliore, perché più paterno; migliore perché economico; e però non veggo il perché si debbano pagare questi commissari di leva; mentre finora da noi napoletani la leva è stata fatta con la massima facilità, e senza nessun dispendio. Nel rigettare la legge io por esprimo il voto che il governo presenti un nuovo progetto di legge, fondato non già sul suo sistema de’ commissari, bensì sul sistema della leva per cura de’ municipii, siccome si pratica nelle provincie dell’ex regno di Napoli.»

Uniformemente al preopinante parla l’altro deputato napolitano Sig. Minervini encomiando ii sistema di leva da tanti anni in vigore nel reame delle due Sicilie; e censura il nuovo sistema che si progetta, come di origine tedesca, essendo quello di Napoli eminentemente lodevole, ed in pratica efficacissimo. Ciò non ostante la Legge è approvata, con le orali spiegazioni del ministro dell’interno, che nelle provincie napolitane la leva si farà coll’antico sistema.

vai su
Tornata de’ 17 giugno (n. 198 degli alti.)

Il deputato siciliano Marchese della discussione del progetto di Legge per la sospensione dell’ordinamento giudiziario nelle provincie napoletane, osserva tra l’altro… «Quello che sarebbe più doloroso, per molti articoli, e per molte teoriche, eseguendosi nell’ex regno di Napoli il codice Sardo del 1859, si verificherebbe un positivo regresso comparativamente al Codice napolitano del 1819, che è indubitatamente il più conforme alla scienza, ed alle idee universalmente ricevuti nella giurisprudenza.»

Ed il deputato Conforti su lo stesso argomento accenna: «Le modificazioni, che furono fatte al Codice sardo, in gran parte sono state, tolte dal Codice napolitano.»

Parimenti il deputato Minervini riprova, che a’ 17 febbraro (sei giorni prima dell’apertura del parlamento) i consiglieri di Luogotenenza in Napoli pubblicano una legge, non quella piemontese, non quella napoletana; ma un brano dell’una, un brano dell’altra… correndo con dannosissima fretta nel far cosa, che non poteva esser consentita dalla prudenza; né santificata dalla legalità… In quanto alla procedura penale, noi avevamo in Napoli delle cose, che nel codice Sardo non esistono ancora, cioè la libertà di presentarsi i prevenuti in giudizio, onde essere rilasciati liberi sotto un modo esteriore di custodia () Ed io prego i miei colleghi di accettare questa novità, che nella procedura sarda non esiste… Le Leggi si studiano, si maturano lungamente, e massime nella patria di Vico, dove non si può creare in otto giorni ma Commissione legislativa, e pubblicare una riorganizzazione giudiziaria, e nuove leggi; per cui non è senza ragione la impopolarità del Governo nel napoletano.»

Tornata de’ 19 giugno (n. 204 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge per la unificazione de’ debiti de’ varii Stati italiani annessi al Piemonte, il deputato napoletano Francesco de’ Luca muove interpellanza per chiarimento o rettificazione di un calcolo erroneo, cioè: «Il debito pubblico napoletano a tutto il 1859, ammontava all’annuo interesse di ducati 5 milioni, ottantaquattromila novecento dodici. Nel 1860 lo si vede figurare per l’annuo interesse accresciuto a sei milioni e più di ducati, (aumento di circa mezzo milione) cioè, lire 25,648,376. Nel 1861 la stessa cifra di annoi interessi vedesi ridotta a 5,534,912, e non se ne conosce il perché.»

Il deputato Crispi crede di dare una spiegazione a queste mutazioni di cifre col dire, che prima della partenza da Napoli del Re Francesco II, aveva contratto un debito colla casa Rotschild, e non giunse a riscuoterne le quote, che furono introitate dal Dittatore Garibaldi: ciò che per altro né pure spiegherebbe la differenza delle cifre tra il 1859, il 1860, e il 1861.

Il ministro dette finanze, cui incomberebbe fornire le debite dilucidazioni, risponde nel modo il più vago, ed incomprensibile, d’onde traluce, che non ha come sbarazzarsi dall’ardua obbiezione del preopinante de’ Luca. Dallo insieme si ha un altro argomentò dell’arbitrio con che sono state dilapidate le floride finanze del reame Napoletano.. Nella stessa tornata, il deputato Ricciardi parlando su gli schiarimenti da lui chiesti per l’arbitrario scioglimento della Reale Accademia delle Scienze in Napoli, tra le altre cose dice:… «L’accademia di Napoli era circondata da un lustro speciale. Fondata nel 1756 da Carlo III. Borbone, venne ampliata nei 1780:… Nel 1815 i Birboni nella restaurazione rispettarono quest’accademia: e notate che in essa si annoveravano molti fra i nemici più accaniti di Casa Borbone…

(E qui enumera le celebrità letterarie europee che vi erano ascritte, il conte Zurlo, il conte Ricciardi. Macedonio Melloni, Cavaignac padre, Àrago Humboldt ecc.) ..

«Si aggiunga, che coll’art. 4 del decreto luogotenenziale di scioglimento s’impone all’accademia reale di vendere i beni stabili, e di convertirli in rendita inscritta. —Or io domando, se una simile prescrizione sia costituzionale, o anche solo semplicemente legale? Chi può dire a me che ho un podere, di venderlo e convertirlo in rendita iscritta?… Fa d’uopo ancora sapere, che nel 1851, il re Ferdinando II per decreto reale, introdusse nell’Accademia delle scienze tre membri; ma nel momento stesso riconosceva di far cosa contraria agli Statuti dell’Accademia, e diceva per una colta, tanto… Bisognerebbe che il Governo centrale determinasse con precisione le attriburioni della Luogotenenza di Napoli, affinché sconci simili a quelli, di cui ora ci lagniamo, non si rinnovassero per l’avvenire. — A Napoli si domanda: ma 0 chi dobbiamo obbedire? A chi sottostiamo? Sottostiamo al governo locale, o pure dobbiamo dipendere da quello di Torino? — Bisogna assolutamente che cotesta quistione sia definita… se non altro per infrenare l’innovomania, che mi sembra invadere il governo; innovomania, che, lo confesso, mi farebbe quasi quasi rinunziare al mio istinto rivoluzionario, e diventare conservatore, come allorquando vedo che si vuole unificare l’Italia a vapore e a casaccio, starei lì per lì per divenire federalista… Signori, rispettiamo le antiche istituzioni de’ nostri municipii; rispettiamo le glorie municipali, le quali sono gran parte delle glorie italiane. Non v’è una città in Italia, e che non abbia una qualche antica e bella istituzione… Qui debbo riparare un oblio: non posso passare sotto silenzio un fatto assai grave. — Avevamo in Napoli una scuola militare delle più famose l’Europa, fondata su le basi della scuola politecnica di Parigi; Accademia militare detta della Nunziatella.» (È interrotto dal Presidente che lo richiama all’argomento.)

L’oratore continua: — «Parlavo del fatto dell’Accademia militare di Napoli, mutata in semplice collegio, a dimostrare vie meglio la necessità di ben definire le attribuzioni del governo luogotenenziale di Napoli, affinché non sieno abolite le istituzioni più belle di quel paese. Certo si è che l’effetto del mutamento della Nunziatella in collegio è stato pessimo.

Dopo le risposte del ministro per l’istruzione pubblica, il deputato Ricciardi replica: — «tutta la quistione sta in questo, che al governo attuale di Napoli non era lecito abolire la regia accademia, e fondarne una nuova. Quanto a coloro fra gli accademici, i quali ricusarono il giuramento potevano dichiararsi dimissionarii, siccome è accaduto ad un individuo che porta il mio nome (intende del fratello conte di Camaldoli) e la porta onoratamele, il quale, perché Borboniano, non ha voluto prestar giuramento, ed ha perduto un uffizio, che gli fruttava quattromila ducati all’anno!

Anche il deputato Liborio Romano parla contro il decreto luogotenenziale, che con abuso di autorità ha abolita in Napoli quell’Accademia Reale delle scienze, rispettata dallo stesso Garibaldi, che con risoluzione dittatoriale degli 11 settembre 1860 si limitò a svestirla del titolo dì Borbonica, e le sostituì quello di reale società d’archeologia, di scienze, e di belle arti, e poi aggiunge:

«Lo stesso… Borbone del 1799, lo stesso… Borbone del 1820 rispettò i corpi scientifici, comunque in esso si noverassero molti individui che pochi anni innanzi avrebbe voluti spegnere: rispettò i gradi militari concessi da’ due re francesi; gravò la finanza napolitana, spendendo meglio di sei milioni di ducati (pari a 26 milioni di lire) affin di ottenere la fusione dell’esercito da lui condotto con quello, che in Napoli esisteva. — E perché questi provvedimenti… non sono stati per noi ricordati, in ordine allo scioglimento dell’antica Accademia delle scienze di Napoli, riguardo agli eserciti meridionale, e Borbonico?»

vai su
Tornata del 22 giugno (n. 211 degli atti.)

Su la presentazione d’un progetto di legge organica per la Leva di mare fatta dal ministro della marineria, il deputato napoletano Duca S. Donato dice — «Pregherei l’onorevole ministro di volersi ricordare dei cantieri di Napoli, e dì Castellammare, che mi dicono ora abbandonati; e rammentare che da quei magnifici cantieri uscirono il vascello il Monarca, e la fregata il Fieramosca, con altri belli bastimenti da guerra della antica marina napolitano, sono avanti tutto stabilimenti nazionali e meritano incoraggiamento. Dunque raccomando que’ due cantieri, che mi dicono non essere guari in molta attività»..

Tornata de’ 24 giugno (n. 219)

Il deputato Ricciardi su la proposta fatta dal ministro de’ Lavori pubblici per una stazione ferroviaria in Torino, osserva: — Non posso fare a meno di manifestare l’immensa mia meraviglia nel vedere, che siasi potuto pur pensare a chiedere in questi momenti, due ff milioni settecentomila lire per una spesa non indispensabile. In un momento, in cui tutti parlano della necessità della più rigida economia; in un momento, in cui il tesoro di Napoli, in ispecie, è in tali strettezze, che, appena è dato sovvenire alle spese più urgenti».

Tornata de’ 26 giugno (n. 223.)

Sul progetto di legge per un prestito di 500 milioni, il deputato napolitano Minervini osserva, la contraddizione degli alti finanziarii del ministero; il quale prima disse che il disavanzo era di 314 milioni: poi la commissione parlamentare del bilancio lo ridusse a 80 milioni. Dopo presentati i bilanci, dopo date tutte le spiegazioni, dopo esauriti i dibattimenti, si vede che il Governo chiede più di 600 milioni per 500; e poi chiede 500 milioni per 314, e poi si accusa un disavanzo di 314 milioni invece di 80. Conchiude sembrargli una serie di ribussi poco regolare; un oscillazione, che oltrepassa la decenza () .

Indi parla io opposizione di tal progetto di legge l’altro deputato Ferrari, il quale tra le altre cose, dice: — «Non perdiamoci di coraggio; persistiamo nel proposito di difendere il governo contro la Commissione, che oltre a’ 25 milioni dell’ammortizzazione soppressa, vuol dedurre otto milioni di dote a banchi delle Due Sicilie Se sono depositati, se debbono servire di dote bisogna che si trovino, che manchino alle casse; che un imprestito le favorisca a difetto d’introito… La Commissione insiste per detrarre 154 milioni per l’Italia meridionale, dichiarandoli assolutamente straordinarii; ma le sue ragioni mi persuasero del contrario… Si tenevano tre anni fa 280 mila armati che fossero poi Borbonici, o altro, non conta questo; erano armati e pagati; ora non ne abbiamo forse 200 mila soldati, un esercito, una marina, inferiori alla forza degli altri popoli.

«La Commissione vuol detrarre dal debito meridionale altri 48 milioni per lavori pubblici…

E qui l’oratore si diffonde a dimostrare la incapacità del Governo nell’amministrare, lasciando soprattutto deperire i più importanti pubblici stabilimenti, come per esempio, la zecca, e la stamperia imperiale di Milano, e ripiglia «Se voi, o Signori, non amministrate bene, come Corrisponderete all’aspettativa generale, e propriamente politica?

«Avete voi sciolta quella terribile quistione dell’ex regno delle due Sicilie sì fastidiosa, si difficile, su la quale più non volevate interpellanze, ed alla quale voi ritornate tutti di continuo, senza volerlo, e direi quasi senza saperlo. In verità, voi non regnate, non sapete regnare».

«Comincerò da quattro sole righe del sig. del Re antico ministro del Bombone; quindi non vi attendete nulla di troppo lusinghiero: vi dice egli: in nessun periodo della storia delle due Sicilie fu mai osservato simile malcontento, simile irritazione, tanta crudeltà nelle repressioni: basterà il dire che in un sol giorno la Polizia ha ricevuto 250 telegrammi su i moti delle provincie; che il Governo disarmò intere compagnie di guardie nazionali; e che senza contar altro, più di 200 prigionieri sono stati fucilati dai piemontesi, e che le prigioni sono piene di sospetti».

«Voi dite, che io vi cito nemici. Ebbene citiamo un amico, che non vorrete disconoscere () , leggiamo il suo rapporto: vi dichiaro, che al vostro posto, io non l’avrei stampato, ma egli parla chiaramente:— «Lo scioglimento dell’esercito borbonico, le misure prese a riguardo dell’esercito meridionale, i capitoli di Gaeta, che permisero a Francesco II il soggiorno di Roma, contribuirono senza dubbio a suscitare al governo di queste provincia seriissimi imbarazzi…

«…La pubblica opinione qui esistente ha un carattere quasi esclusivamente negativo».

«Capite? In linguaggio officiale, e diplomatico, l’avere una opinione negativa, significa avere una opposizione più o meno decisa… del resto, lascio l’interpretazione a tutti e mi limito a stabilire che il sig. Nigra ha scritto tutto questo, proponendo come uno de’ primi rimedii la confisca e la vendita di tutti i beni ecclesiastici di quella regione, che così potrebbe sempre più godere de’ beneficii della unificazione…

«La incertezza del vostro regnare aumenta per la regola costante adottata da voi di non mai informarci della situazione dello Stato. Vi citerò alcuni esempii.

«Io ho saputo in questa Camera la soppressione dell’Accademia Ercolanese di Napoli. Ed in qual modo? Dalla interpellanza del sig. Ricciardi. Abbiamo una gazzetta officiale, e questa è abbastanza vasta per contenere molte cose… Io ho paragonato da una parte i dispacci telegrafici giunti dal giornale officiale ne’ mesi di novembre, decembre, gennaro, febbraro ecc.; dall’altra le notizie date da’ giornali più accreditati di Parigi. — Ecco il risultato del raffronto: — supponetevi un semplice borghese, un buon mercante nel rostro fondaco; leggete il giornale officiale e trovate in novembre «l’ingresso di Sua Maestà in Napoli; illuminazione, fuochi di artifizio» — «Voi siete contenti, inteneriti; ma il giornale officiale non vi lascia sospettare gli assassinii ne’ comuni di Carbone, di Castelsaraceno, nella Basilicata, dove vi erano case incendiate; di Montesarchio, e Latronico, di Carpinone, dove cadeva spenta una intera famiglia;— non una sillaba su le dimostrazioni borboniche di Napoli… — Passate al mese di dicembre: v’imparate, che la tranquillità è ristabilita ad Avezzano; che S. M. resterà a Napoli ancora 15 giorni; che Farini sta meglio — «siamo sempre buoni borghesi, prendiamo il giornale alla letterale ci felicitiamo della guarigione di Farini; — ma la situazione ci manca, perché il poco veridico giornale del Governo non v’insegna, né la scoperta della società filantropica; né l’assalto che duemila paesani danno a Cervinara; né i torbidi di Sora, di Caserta, di Maddaloni () — La medesima assenza di sincerità continua nel mese di gennaro: qui invero la gazzetta pubblica l’arresto di Libertini; la pugnalata data al Duca S. Donato, più una cospirazione Murattiana che parte da Gaeta… conche fine erano dunque scritte queste righe calcolate urgenti telegrafiche? Evidentemente, al fine di persuadere, che tutto il male si riduceva all’arresto di Libertini, alla ferita di S. Donato, a’ murattiani di Gaeta. — Or bene sappiate che il Giornale in apparenza sì minuzioso, fino a notare fatti in certo modo isolati, personali, staccati, ometteva poi la sommossa della popolosa strada di santa Lucia, delle donne, e della Cava, con le quali cominciava il nuovo anno; ometterà l’assassinio tentato sul generale Dunn, l’arresto di sei generali borbonici, la scoperta della cospiratone del distretto di Sora; ometteva in fine di dire, che si organizzava la reazione negli Abruzzi; che Catanzaro insorgeva contro il suo governatore; che Sora rimaneva in potere de’ banditi un giorno, e mezzo; che Bovino, Barra, Teramo, Campli, Civitella, Tagliacozzo Sansevero, Avezzano, erano teatri d’invasioni, di sedizioni, di brigantaggi spaventevoli; che a Palermo il tentato arresto di Crispi svelava la impotenza del Governo, la necessità di modificarlo, ed altre cose poco gradite.

«Lo stesso. sistema di reticenze continua in febbraro, marzo, aprile, maggio; e tanto ci basti per mostrare che ci vediamo costretti alla diffidenza sistematica in questi tempi in cui il Governo ha bisogno di essere creduto, e noi pure abbiamo bisogno di credere. — In vero ci resta il Parlamento, ultimo rifugio di ogni nostra speranza, e, dove esso svanisse, la patria mi parrebbe sconfitta. — Ma permettetemi, onorevoli colleghi, d’invitarvi ad imitare gli antichj pitagorici, che facevano qualche volta la loro confessione.

«Noi siamo riuniti, ma ad ogni appello nominale mancano 120, 150, 180 deputati… per un fatto sì straordinario, l’essere accompagnato da una specie di diserzioni, non è forse un sintomo strano? D’onde viene la diserzione? Da una sentita impotenza».

vai su
Tornata de’ 27 giugno (n. 228. degli atti)

Il deputato Ricciardi muove interpellanze al ministero su i fatti dell’ex regno delle Due Sicilie, e si esprime cosi: — «Nel giornale officiale di Napoli del 22 giugno corrente trovo un Decreto firmato dal principe di Carignano, e contrassegnato dal commendatore Nigra, con la data 17 febbraro; in virtù di questo decreto è disciolta la Camera di disciplina dell’ordine degli avvocati. Io domando al signor Ministro il perché d’un intervallo così straordinario fra la data de’ 17 febbraro, e quella della pubblicazione del Decreto. — Pregherei poi il signor Ministro dell’interno di riferire alla camera ciò che gli è noto dall’ultimo tentativo operato in Sicilia da’ borboniani. I giornali hanno parlato di 23 persone uccise, e di una banda di 120 briganti. Io desidero sapere se queste 23 persone sieno state uccise durante il conflitto, o dopo, ed in quale forma. Altri fatti gravissimi hanno avuto luogo in molte provincie del continente, ed in Napoli avvennero disordini nella notte de’ 24 a 25 giugno; disordini, che furono repressi immediatamente, secondo riferisce la stessa gazzetta officiale… La situazione delle provincie napolitane, ho l’onore di assicurarlo alla Camera, è la stessa oggidì 27 giugno di quello che era, ed ebbi l’onore di esporla nella tornata del 20 maggio».

L’altro deputato napolitano Capone dice di avere a fare una interpellanza uniforme a quella del preopinante.

Il ministro di giustizia risponde vagamente di ignorare le circostanze dello scioglimento della Camera disciplinare degli avvocati di Napoli; ma andarne a prender conto.

Il ministro dello interno si. tiene anche vagamente su i generalj, e si limita a dire, che gli asserti sbarchi di Sicilia si riducono a tre banditi rientrati ivi furtivamente da Malta.

Tornata del 28 giugno (n. 229.)

Il deputato siciliano Crispi si oppone alla legge pel prestito di 500 milioni, e lungamente espone lo stato finanziero della Sicilia, ridotto a mal partito per colpa del Ministero:— Accenna, che il Luogotenente ivi spedito da Torino prende un assegno di lire 165750, quasi il doppio di più di quello che era assegnato al luogotenente generale del governo Borbonico: parimenti i Segretarj Generali de’ dicasteri di Palermo (che per le loro modeste attribuzioni, egli dice: esser meglio di abolirli) prendono una cifra di lire 162,052; il doppio di quello che costano ì Segretarj generali di Torino. E nello stesso modo fa le sue critiche a tutte le altre spese di amministrazione, di cui propone la riduzione. Parla dell’incorporazione alle rendite della Sicilia dell’annuo assegno di 50 mila lire fatto dal cessato governo al Duca di Taormina, e del quarto delle rendite della Real Casa Borbonica sorpresa e sequestrata al Gran Libro dal ministro di Polizia napolitana Conforti.

E nella stessa tornata il deputato Petruccelli parlando contro il ministero, dice tra l’altro: — «Che cosa ha fatto il Governo? Non voglio dirlo; ma basterebbe solo di attirare il vostro sguardo su le provincie dell’Italia meridionale, ma nol farò. Perciocché so che questo parlamento deve sentire una nausea profonda di udire ulteriormente a parlare de’ martirii, e delle sventure di Napoli Ei sarebbe ben mestieri attirare la vostra attenzione su le grandi cause morali, che conturbano quelle popolazioni; ciò che potrebbe esser utile, cd interessante; ma io non voglio prestar materia alle comunicazioni diplomatiche dell’ex ministro e delI’ex Re di Napoli a Roma. — La biancheria sporca si lava in famiglia… La forza vera d’un Governo sta nella fede de’ popoli; — e voi, o ministri, non l’avete. Guardate la Francia! quante volte ha fatto appello al popolo, se domandò 100 milioni, n’ebbe 500; e se domandò una leva, raccolse un esercito. E voi? voi per un imprestito di 500. milioni di lire, in un paese di 23 milioni d’abitanti, dovete ricorrere agli usurai d’oltre Alpi!

Si versa poi analiticamente sul bilancio, e di proposito su quello di Napoli, e ne censura le varie partite di esito, conchiudendo: — «Il vostro sistema, è un sistema essenzialmente dissipatore. Guardate!… 150 milioni sciupati nello scorso anno; un deficit di 314 milioni; 500 milioni, che si domandano oggi. E che cosa avete fatto di questo monte d’oro?

vai su
Tornata de’ 29 giugno (n. 233)

Il deputato Petruccelli nella discussione del progetto di legge per l’esercizio provvisorio de’ bilanci (1861) censura codesta legge, che dice «venir presentata alla discussione come un nodo scorsojo» E scagliandosi su tutte le pensioni, gratificazioni, soprassoldi d’impiegati, ed ogni qualsiasi altra retribuzione che si paga agl’impiegati, dice così: «Questa specie di balzelli nel bilanciò delle provincie meridionali è stata messa con una prodigalità più che regale, pazza. So che, questa specie di onorarj ascende alla somma di venti milioni, vale a dire al sesto del budget».

In questa stessa discussione il deputato napoletano Persico si oppone formalmente a che il decimo di guerra sia esteso all’ex regno delle due Sicilie.

E il deputato Ricciardi appoggia la opposizione del preopinante Persico; ed aggiunge. «Sarebbe somma imprudenza lo estendere in questo momento le imposte ili guerra alle provincie meridionali le quali si trovano ih condizioni eccezionali, e sarebbe aggiungere esca al fuoco, se si facesse quello che si propone. In un momento in cui il brigantaggio imperversa da un capo all’altro del nostro paese, si bruciano le messi, si pagano con difficoltà estrema le imposte, in un momento in cui i nostri coloni con grandissimo stento ci pagano, come volete aggiungere alle nostre provincie il decimo di guerra? Sono sicuro, che la semplice notizia di una simile cosa, accrescerebbe esca al fuoco. Per conseguenza io combatto con tutte le forze la proposta che ne vien fatta.

Di voto uniforme sono gli altri deputati Mandoj, Albanese, Paternostro.

Nel momento in cui l’altro deputato napoletano Massari perorava a favore della imposta del decimo di guerra, è interrotto da’ deputati Polsinelli, e Schiavoni, avversi a tale imposta, i quali esclamano: — «Non vi è nelle provincie meridionali sicurezza pubblica, dobbiamo difendere gl’interessi del nostro paese, contro questa nuova imposizione». — Ed il Polsinelli in apposito ragionamento contende di doversi differire all’opportunità lo stabilimento di tale dazio, e dice: — lo stato delle provincie napoletane è cosi allarmante, che non si deve cercare di far nascer uno scompiglio maggiore di quello che vi è. Un dispaccio telegrafico di jeri mattina dice, che la Capitale stessa sia stata in pericolo… Conosco bene, che si dovrà all’anno nuovo, stabilire in tutta Italia, questa ed altre imposte ancora… A Che serve illuderci? Il Parlamento vuol chiudere gli occhi per non vedere lo stato allarmante delle provincie napoletane. Per esser sicuro quivi bisogna andare armato; mentre il Governo non garantisce come si conviene quelle provincie: noi paghiamo le imposte, e per garantirci dai briganti dobbiamo avere il fucile in ispalla. I ministri hanno l’obbligo di procurare la sicurezza. Non avete voluto organizzare la guardia nazionale, che colà potea mantenere, e mantiene ancora la poca tranquillità che esiste in taluni luoghi; non avete voluto organizzarla perché temete di mettere le armi in mano a’ liberali.

«Saranno cose odiose, ma sono vere. La unione di Napoli doveva aumentare la forza d’Italia, ed ora invece si debbono mandare colà 30 a 40 mila uomini per mantenere la sicurezza… Allorché trattavasi della leva dissi, che anche in tal maniera si doveva andare a rilento, perché comprendevo che nelle provincie meridionali la vostra leva serviva ad aumentare i brigarti nelle montagne. Difatti, vedrete in pratica, se sarete al caso di avere i 36 mila uomini che decretaste…

«Non conviene toccare tutti gl’interessi. Voi avete toccati gl’interessi della Chiesa; e mentre vi siete fatti nemici gli ecclesiastici, nulla avete guadagnato; avete messa tanta gente in mezzo alla strada con la brusca attuazione di sistemi, e leggi non adattati ad luogo, ed al tempo. In tal modo avete fatti una immensità di nemici al Governo… In questo momento nel regno di Napoli l’ordine, e la tranquillità sono scomparsi; nessuno vi può fare i suoi affari; tutto è incagliato, ed inceppato nelle provincie… La verità è questa o signori, colà si sta male e molto male. (Ciò non ostante le nuove imposte sono approvate a danno delle provincie meridionali.)

Parlano pure contro le stesse imposte gli altri deputati napoletani Schiavone e Minervini.

E’ notevole l’incidente del deputato napoletano Capone, che fa una confessione, anche da parte di tutti i rappresentanti delle provincie meridionali, cioè che le dizioni adoperate nel nuovo articolo proposto dalla giunta di deputati piemontesi non sono capite da essi napoletani, come le parole, riguardo, retinenze fiscali; come pure di una Legge Sarda del 1859 ad essi ignota. Prega quindi la Camera di far tradurre tali vocaboli del linguaggio comune a tutti, e dire cosa ordina la legge del 1859, che non è stata mai promulgata, né conosciuta nel regno di Napoli; affinché almeno dopo tali chiarimenti il loro voto possa essere dato con cognizione di causa. Protesta, che non si è dato tempo a riflettere su quanto ai domanda a’ deputati napoletani; e perché vogliosi obbligarli a votare una formola incomprensibile.

Il deputato Polsinelli replica su lo stesso argomento del preopinante Capone, e dice: — «La Commissione aveva avuto l’incarico di discutere su la legge per l’esercizio provvisorio de’ bilanci, ed ora si viene a discutere su le imposte. Dispiacevole sorpresa ci vien fatta, ignorandosi le leggi, e la materia di che trattasi. Ci si rimprovera di non conoscere la legge sarda de’ 5 luglio 1859. Ma quando mai è stata pubblicata nel nostro regno una tale legge? Io domando se le provincie meridionali debbono conoscere tutte le leggi del piccolo Piemonte per sottomettersi alle medesime.

Tornata dei 3 luglio (n. 248)

Il deputato Amicarelli parla contro lo schema di legge per la occupazione dette case Religiose e dice, che il decreto luogotenenziale de’ 17 febbraro in Napoli per l’abolizione de’ Conventi e Monasteri, fu uno de’ tanti che là piovvero a diluvio dal governo de’ Luogotenenti ed osserva: — «Come questo decreto riuscisse dannoso a alla pubblica tranquillità, come fosse inopportuno nelle provincie meridionali, non v’è alcuno che non lo sappia: come poi sia da aversi per illegale, e per nullo, finché non sia convertito in legge dal parlamento, si conoscerà di leggieri sol che si ponga mente di essere sfornito di autorità il Luogotenente per pubblicarlo». L’oratore invocando l’art. 29 dello Statuto, che dichiara inviolabili tutte le proprietà, senza alcuna eccezione proclama altamente, che la proposta legge per la occupazione delle case religiose pel bisogno del mitare servizio, viola manifestamente un articolo dello Statuto; viola il sacro diritto di proprietà; di quella proprietà che agli ordini religiosi è garantita dalla legge, come a tutti i singoli cittadini.»

In questo senso parla anche l’altro deputato Siciliano d’Ondes Reggio. (Ciò non ostante la legge è approvata.) ’

Tornata dei 4 Luglio (n. 25 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge per la ferrovia da Napoli all’Adriatico, il deputato Ricciardi in favore ed incoraggiamento degli artefici, ed operai napoletani, propone l’emenda all’articolo 28, col quale si permette a’ concessionarii d’introdurre ed immettere in franchigia di dazio e di qualsivoglia altro diritto i materiali, gl’istrumenti, i metalli, le locomotive, i tenders, i vagoni, e tutto ciò che è necessario alla costruzione e manutenzione delle ferrovie. E però esso deputato dice. «È incredibile il numero delle industrie, che si collegano allo stabilimento delle ferrovie. Per esempio, i carrozzieri, cui sarebbe naturalmente commessa la costruzione de’ carri (barbaramente chiamali vagoni) A questa industria de’ carrozzieri si legano al(re mollissime, quelle del falegname, fabbro, pittore, vetraio, tapezziere ecc. A Napoli questa industria è fiorentissima, tanto che i più ricchi signori fanno costruire quivi le loro carrozze, anziché commetterle a Londra, o Parigi. Ora, se voi ammettesse com’è l’articolo del capitolato, che cosa accadrebbe? Accadrebbe, che i concessionari, cui avete già dati tanti vantaggi, allettati massimamente dalla franchigia de’ dazii, farebbero venir tutto dall’estero, e specialmente dalla Francia, e tutto senza dazio. — Quindi danno pel nostro tesoro; danno per l’industria nostra, e tutto in vantaggio della compagnia de’ concessionarj. Non veggo perché non si debba fare per l’ex regno di Napoli ciò che si è fatto pel Piemonte, dove si fabbrica tutto ciò che è necessario per le ferrovie. Perché non si può fare lo stesso a Napoli, dove fra gli altri, abbiamo il magnifico stabilimento di Pietrarsa. () Io credo adunque, che per emendamento, si debba al detto articolo 28 aggiungere, che la compagnia concessionaria abbia a giovarsi di ciò che può avere da’ fabbricatori del paese.

Benché appoggiato dal voto dell’altro deputato napoletano Polsinelli, il cennato emendamento del Ricciardi, cotanto utile alla classe ammiserita degli operai, viene respinto.

Altra tempestosa discussione si suscita per l’emendamento proposto del medesimo deputato Ricciardi al seguente articolo 32 dell’anzidetta legge per la ferrovia da Napoli all’Adriatico, il quale articolo prescrive «che i concessionarii, per quanto è possibile, sceglieranno il personale de’ loro impiegati fra i regnicoli.»

Il Ricciardi dice: «Quantunque persuaso di riuscire in questa aula avvocato infelice di ogni più nobile causa, non recederò dal mio intendimento dì propugnare il mio emendamento…

«Vi sono in gran numero militari messi a riposo, vi sono moltissimi impiegati, di cui il Governo non sa che fare, perché sono fuori di pianta. Or bene, perché il Governo non si riserverebbe il diritto d’impiegarli in queste ferrovie? Perché non impone a concessionari servirsi de’ militari congedati? Se voi non ammetteste il mio emendamento accadrebbe che i signori concessionarii si servirebbero de’ nostri operai per la semplicissima ragione che li pagano assai poco; ma quanto agl’impieghi lucrosi, li darebbero tutti a’ loro clienti, alle loro creatore, com’è accaduto in simili casi. Vedreste inondato il nostro paese d’impiegati forestieri… É già troppo, che si concedano le nostre ferrovie a società estere; dobbiamo almeno stipulare qualche cosa a favore de’ nostri ()

L’emendamento è appoggiato dall’altro deputato Castellano; ma alle insisterne di talune voci, che chieggono votarsi per appello nominale, il ministro pe’ lavori pubblici si riscalda, e dice, che la quistione non solo si voglia elevare a quistione politica, ma anche sociale; e protesta formalmente col dichiarare anche da parte del Governo, di respingere energicamente la proposta di Ricciardi. Al quale perciò si fanno calde premure dal deputato ministeriale Massari di ritirare l’emendamento. Il Ricciardi è negativo; parlano i deputati, Plutino, ed Alfieri, il Presidente fa sentire la sua voce, scoppii di grida a sinistra, i cui deputati si alzano con impeto; e gridano «All’ordine!» rumori fortissimi e prolungati, il frastuono continua, il presidente si copre il capo, e dichiara sospesa la seduta. La quale si ripiglia dopo pochi minati: Il deputato Ricciardi dice: «Unicamente per amor di concordia, io ritiro il mio emendamento. Debbo protestare per altro contro le parole del ministro, il quale ha detto, che bisogna accettare tutte le condizioni de’ concessionarii, altrimenti la legge è compromessa; il che vorrebbe dire in sostanza, che ogni discussione è affatto inutile…

«Subisco la legge, perché vitale, perché indispensabile ad assicurare le sorti del mio disgraziato paese. lo credeva poter proporre qualche miglioramento; ma «. i miei sforzi sono riesciti infruttuosi.»

Alla obbiezione del deputato Pica su le marcate parole di disgraziato paese, adoprate dal Ricciardi, costui replica: ho detto disgraziato paese, «alludendo alle presenti miserie del Napoletano; miserie, che nessuno, io credo, potrà negare.»

vai su
Tornata de’ luglio (n. 253.)

Su la interpellanza del deputato Bixio relativamente allo insegnamento nautico, il deputato napoletano Maresca osserva: «Io so, che nel collegio della Reale Marina in Napoli, la nautica istruzione era quasi completa ne tempi andati, ed erasi resa perfetta. Scuole poi di nautico insegnamento per la marina mercantile sono nel Piano di Sorrento, ed in altri pochi punti del meridionale continente italiano.»

Il deputato Nisco ne vorrebbe in maggior numero, e più perfette; ma enuncia esservi sul littorale dell’Adriatico, a Bari, la scuola nautica mercantile; ed altre tre scuole in Sicilia, cioè una a Palermo, un’altra in Messina, cd una terza in Catania: la prima di esse è in ottime condizioni, fa menzione pure dell’altra scuola nautica fondata in Napoli detta de’ piloti, che ha per iscopo di somministrare alla marina de’ bassi uffiziali, da divenir poi piloti.

Tornata de’ luglio (n. 260)

Nella mozione per le spese di rappresentanza de’ Governatori, il deputato Petruccelli osserva: «Io respingo l’articolo… e fo riflettere, che in Inghilterra, e negli Stati uniti, dove non vi sono spese di rappresentanza, gli affari vanno bene, e meglio, che da noi. A che servono dunque queste spese di rappresentanza? Servono ad influire su le elezioni, e questo è il risultato a cui giungiamo, allogando delle spese straordinarie. Con le riunioni, co’ pranzi, con le feste, il Governatore s’indirizza più o meno a’ suoi amici per fare una pressione elettorale; quindi io domando, che le spese di rappresentanza non sieno allogate. Si può benissimo governare; anzi si governa meglio, quando non vi sono queste spese di lusso, perché il governatore potrà meglio badare agli affari».

In quanto all’aumento inconsiderato del numero degl’impiegati, il deputato siciliano Bruno fa osservare: «Mentre noi facevamo interpellanze, e si apponeva il numero esuberante degl’impiegati alla Prodittatura, che pel primo io ho accusato, ne avveniva, che a Palermo la luogotenenza creava impiegati, che non avendo dove collocarli, nominava, è vero con la condizione di doverli collocare alle nuove vacanze, ma facendoli fruire del soldo.

Tornata de’ Luglio (o. 264.)

Il deputato Ricciardi, appoggiato anche dall’altro deputato S. Donato, espone i richiami di moltissimi uffiziali dell’ex esercito delle due Sicilie, e dice: «Oltre la quistione di umanità relativa a questi poveri ufficiali, i quali muojono letteralmente di fame; evvi una quistione essenzialmente politica; poiché si tratta di persone languenti nella estrema miseria, le quali potrebbero perciò divenire pericolose per lo Stato, io insisto quindi sulla necessità d’una pronta esposizione.»

Nella stessa tornata l’anzidetto deputato Ricciardi muove interpellanze sul caso stranissimo del notaio certificatore Pascarelli, incaricato ab antico de’ contratti della marineria da guerra in Napoli, un bel dì è stato sostituito nel suo uffizio, da un Colonnello.

Il ministro di grazia e giustizia risponde di nulla saperne, ma ne prenderà conto.

vai su
Tornata degli 11 luglio (n. 274.)

Proponendosi la nuova legge, su la Leva di mare, il deputato Minervini osserva: «Vi sono più pronti mezzi per avere de’ marinari in Napoli, e Sicilia, perché la Leva colà si esegue con le buone leggi preesistenti… Distruggere queste per introdurre una legge intempestiva, e non ponderata, né che si può bene svolgere, mi pare, che sia un voler adoperare mezzi contro il fine, che si propone il Governo.

Tornata de’ 12 luglio (n. 278.)

Nella discussione del progetto di legge sull’applicazione del sistema metrico decimale nelle nuove provincie annesse, il ministro di agricoltura, e commercio (deputato siciliano) osserva: «Le tabelle fatte in Napoli, precisamente quelle che furono applicate all’epoca, in cui questo servizio fu affidato allo egregio generale Visconti (parlo delle tabelle di rapporto de’ pesi e misure del sistema decimale proprio di Napoli con legge del Governo Borbonico del 6 aprile 1840) furono accuratissime.

Ed il deputato Plutino fa rimarcare, che dal Governa Borbonico nel 1840 si attuò il sistema metrico decimale; e si mandarono finanche in ogni provincia i nuovi pesi, e le nuove misure. Non è quindi un miglioramento, o una novità che intende introdurre nel napoletane il governo di Torino.

Nella Seconda Tornata dello stesso dì 12 luglio (n. 279.)

Il deputato Liborio Romano sviluppa le interpellanze sugli affari di Napoli, già preconizzate da lui nelle precedenti tornate del 4 e 9 di questo stesso mese, non espletate per l’assenza de’ varii ministri, cui interessano. Desse furono allora accennate così: — 1.° Con due contratti 19 gennaro, e 13 febbraro 1861, si sono vendute in Torino due partite di rendita (una volta napoletana, ora italiana) della somma di ducati trecento settantamila, alla ragione del 74 per 100; mentre il corso in Borsa era quello del 79 e 80, il che procace alla finanza un danno di oltre 15 milioni di Lire. — 2.° Si è stipulato il 20 marzo 1861 un contratto di censuazione d’una cospicua proprietà urbana dello Stato, senza che il parlamento l’avesse autorizzata senza i pubblici incanti, e per un censo bassissimo: — 3.° Un decreto dittatoriale dei 12 settembre 1860 dichiarò beni nazionali quelli dell’ex Casa Beale; gli altri messi a disposizione dell’ex Re; i beni de’ maggiorati Reali, e quelli dell’Ordine Costantiniano; niuna rendita figura su i bilanci dello Stato: — 4.° Un contratto scandalosissimo, ed in aperta contraddizione del decreto de’ 17 Febbraro 1861, è stato conchiuso per la monetazione nell’ex regno delle due Sicilie, contratto enormemente lesivo, che mentre dà a’ concessionari il diritto di servirsi dell’ottima Zecca napolitana, si pagano loro 480 mila lire, ed un beneficio del 23 per cento. Dovrei pure parlare di tre decreti: l’uno de’ 6 dicembre 1860 sancito dalla Luogotenenza Farini; l’altro 8 gennaro 1861 dato fuori dal Re Vittorio Emmanuele; il 3.° de’ 23 del mese stesso del luogotenente principe di Carignano, co’ quali si stabilisce, che 25 milioni di franchi saranno invertiti in opere pubbliche comunali per dar pane e lavoro al popolo; ma tali decreti da otto mesi giacciono inseguiti.

Sviluppando tali enunciate proposizioni, il deputato Romano in questa tornata si diffonde lungamente a narrare tutto ciò ch’egli aveva operato stando in Napoli come Consigliere della dittatura, e poi della Luogotenenza per mantenere l’ordine, e prevenire la reazione, ch’egli chiama borbonico clericale; e lamenta di non essere stato mai corrisposto dal Governo di Torino. Passa poi minutamente a ragionare su gli anzidetti carichi d’interpellanza; e versandosi precipuamente su quello segnato di sopra al n. 2, dice così: — «Il contratto di censuazione, pel notaio De Vivo di Napoli, risguarda il cospicuo edificio posto in Napoli strada Ascensione, a favore di Eugenio Fabre di Marsiglia, dimorante in Firenze, dispensandosi da’ pubblici incanti, e per la tenue somma di ducati 460, pari a Lire 2460. L’edificio essendo di proprietà dello Stato, il direttore della Cassa di ammortizzazione faceva capire, che non se ne potea disporre dal potere esecutivo, senza il concorso, ed assenso del legislativo; ma il Segretario generale Nigra persistette a darvi corso, asserendovi un pretesto di pubblica utilità, cioè di stabilirvisi una sala idro terapeutica, che ben poteva dispensare dalle formalità… Il Decreto dittatoriale de’ 12 settembre 1860, dichiarò beni nazionali quelli dell’ex Casa Reale di Napoli, ed altri?… Or la cospicua rendita di più milioni di lire di tutte codeste proprietà nazionali non figura sul bilancio dello Stato… Ma non posso tacere degli abusi dell’attuale tesoreria napoletana nelle sue relazioni col Banco do’ privati, con la Cassa di ammortizzazione, e con la Banca di Sconto. Nel prestito di 500 milioni il ministro delle Finanze qui ha detto esservi in Napoli un deficit di 20 milioni di lire, per Boni della tesoreria a favore del Banco de’ privati, e Cassa di Sconto. Ora, si è questo un incomportevole abuso. Non si toglie a prestito il denaro de’ privati abusando della santità del deposito: non s’illude il pubblico, dotando la Cassa di Sconto d’una somma sotto le sembianze di favorire il commercio, concedendo a’ negozianti de’ prestiti a tenue interesse, e traendone poi una somma maggiore a titolo di prestanza, senza pensiero di restituzione… Vi è in Napoli una Zecca, superiore a quante n’esistono in Italia; e per essa lo Stato spende meglio di 480 mila lire fanno.

In considerazione di ciò un decreto de’ 17 Febbraro di questo anno dispose cosi: — La Zecca di Napoli è autorizzata a coniare le monete di bronzo italiane, e ritirare dalla circolazione le monete di rame del cessalo Governo Borbonico. — Ebbene! in marzo decorso, non più ricorda il Governo l’esistenza di quel Decreto, non più quella della Zecca napoletana, non più l’annua spesa di 4$0 mila lire, e ferma un contratto di appalto colla Casa Estiwant per la coniazione di 12 milioni di moneta in bronzo… E questo contratto, oltre di essere arbitrario, ed illegittimo, è stato stipulato a Torino a’ 19 gennajo di questo anno, senza pubblici incanti, senza le private licitazioni a’ sensi di legge; lascia al concessionario, non solo l’utile del 23 per cento; ma concede doro quattro lire e 45 centesimi per la coniazione di un chilogrammo di moneta…»

Il deputato S. Donato fa la mozione raccomandando la misera condizione degli ufficiali militari del disciolto esercito borbonico, messi tutti al ritiro, cioè alla più cruda povertà. Deplora lo scioglimento del Real Collegio militare della Nunziatella, e quel ch’è peggio nota ostante le rimostranze fattene dal senatore Vacca, cui il ministro della guerra Fanti, promettea tenerne conto, e nel dimani pubblicava il decreto di scioglimento. Ricorda gli altri Stabilimenti militari della fonderia di Napoli, di Mongiana, l’Opificio di Pietrarsa, un di cotanto fiorenti sotto il cessato Governo, ed ora abbandonati; il polverificio di Scafati, che è stato ritenuto sempre ottimo: ed i cantieri marittimi di Napoli, e di Castellammare, dolorosamente dimenticati. Fa menzione degli ottimi navigli costruiti in que cantieri. — Passa poi a lamentare su la ingiustizia con cui procede il gabinetto di Torino nella distribuzione degl’impieghi, preferendo sempre i piemontesi pe’ più lucrosi ed importanti nell’ex regno di Napoli in tutti i rami, e destituendone i regnicoli napoletani; ovvero chiamandoli con degradazione a servire nelle antiche provincie Sarde. Accenna allo scioglimento del ministero de’ lavori pubblici in Napoli, i cui impiegati sono ivi rimasti con mezzo soldo infimo. Conchiude implorando il disbrigo della causa del Duca di Cajaniello da più tempo imprigionalo come Borbonico. Da ultimo dice, che accorre a Napoli, dove la patria è in pericolo, e dove egli può essere di maggiore utilità estendo l’avvenire molto nebuloso.

Il deputato Mellana riprova tutte le minuzie di dettaglio in questa discussione, e dice: «Or sono trascorsi tre mesi da che fu altra volta trattata questa grave ed ardente quistione del mezzodì; ed io domando alla Camera se la quistione napoletana sia da quell’epoca mutata in meglio, o dolorosamente in peggio?… «La quistione di Napoli è la più vitale, e superiore a qualsiasi consideratone di persone e di gabinetti».

Il deputato Ricciardi osserva: — «Fra qualche giorno noi torneremo ne’ nostri paesi; e con quale fronte potremo presentarci a’ nostri elettori () ; a coloro i quali ci commisero un sacro mandato, se non avremo esauriti tutt’i mezzi possibili per migliorare le condizioni delle provincie napoletane? Or io credo, che noi non possiamo tornare a Napoli, se non dopo aver esposto al Governo, alla Camera, all’Italia le vere condizioni di quelle provincie… le quali a forza di soffrire potrebbero infine indispettirsi, sdegnarsi, ne potrebbe nascere un serio disordine».

Coordinatamente al preopinante Ricciardi parla il deputato Polsinelli, e dice: — «Le condizioni delle provincie napoletane sono così miserabili e ridotte a tale stato, ch’è impossibile poter tornare laggiù con animo tranquillo. e sicuro () .. Debbo aggiungere altresì, che le Comuni sono indignate dalla burla e dallo insulto fatto loro; dacché i 5 milioni di sussidii per opere pubbliche, furono dati solo in cifra; ma finora non ebbero neppure un centesimo…

Il presidente interrompe per dire, che esce dalla quistione; ma il deputato risponde: — «Mi perdoni: ma è necessario che questo sia riferito nel verbale di rendiconto, perché si sappia che almeno un deputato ha avuto il coraggio di dire al ministero, che non era ero si fossero dati 5’ milioni».

Il ministro delle finanze dice esservi errore in ciò, mentre per decreto del Luogotenente furono messi a disposizione de’ comuni 5 milioni di fr. ed aversi in mano la prova, che alcuni comuni rifiutarono l’offerto soccorso.

Il deputato. Polsinelli replica alzandosi con forza: «Mi credo in dovere di darle una solenne negativa circa il rifiuto».

Tornata de’ 13 luglio (n. 282.)

Il deputato Ricciardi insiste, perché nel verbale della tornata pomeridiana di ieri si facesse menzione che egli era inscritto pel primo a parlare sulle cose militari di Napoli, soprattutto de’ tremila e tanti uffiziali, molti de’ quali languiscono nella miseria; e quantunque le sue interpellanze fossero state accettate: pure gli fu troncata la parola ()

(Chiusura della prima sessione del Parlamento)

vai su

SECONDO PERIODO DELLA SESSIONE 1861

Tornata dei 20 novembre (n. 234 degli atti.)

Al deputato napolitano Zappetta, che accenna di dover muovere una interpellanza al Governo sulo deplorabili condizioni delle provincie napolitane, il Presidente de’ ministri Sig. Ricasoli, tra le altre cose, annuncia «le piaghe delle provincie napolitane non vi è medico, che le possa guarire.,… ed io credo, che il promuovere di nuovo questa quistione, sarà un perdere un tempo prezioso, sarà un ripetere una storia dolorosa di cose, che pur troppo tutti essi conoscono» — In quanto al chiesto armamento, osserva che non si possono avere soldati, allorché un brigantaggio feroce affligge le provincie su cui sono sparsi sei milioni di abitanti.

Indi prende la parola il deputato Francesco Proto, duca di Maddaloni, e depone sul banco della presidenza una sua mozione scritta su i gravi fatti, che accadono nelle provincie meridionali; mali che richiedono pronti rimedii.

Il presidente risponde di non occorrere, che si estenda su la proposta che verrà in seguito trasmessa agli ufficii, onde giudichino se sia il caso di proporne lo svolgimento, che sarà effettuato, qualora se ne ammetta la lettura ()

Al deputato medesimo, che insiste per la fissazione di un giorno vicinissimo per lo svolgimento dell’accennata interpellanza, risponde il deputato Boggio opponendo di esser più necessario discutersi le leggi di finanze e rinviarsi dopo di questa la interpellanza: nel rincontro dice: —«Mai le condizioni del nostro debito pubblico furono così infelici quali or sono: mai, neppure dopo il disastro di Novara. — In seguito deplora la intemperanza, e la inutilità delle discussioni dei mali delle provincie meridionali, la coi condizione, ciò non ostante, è sempre più peggiorate.

Sullo stesso proposito osserva il deputato Ferrari, «che in quelle provincie havvi la guerra civile… Io non voglio esagerare i mali del. brigantaggio: ma in fin de’ conti il malcontento continua e mentre i signori ministri molte volte ci dicevano momentanei i disordini, e fatti transitorii lievi, che il loro governo avrebbe fatti presto svanire; mentre i giornali e i loro amici moltiplicavano le assicurazioni, i mali si rinnovarono, e si aggravarono, e si mutarono i luogotenenti, ed in questo momento stesso si cambiava il Governo del regno di Napoli, e il tutto senza menomamente consultare la Camera…

«I rappresentanti del Governo hanno intrapreso nelle provincie meridionali de’ gravissimi atti, i quali mettono in dubbio la costituzione stessa. Vi furono dodici villaggi incendiati…

(Il presidente gl’impedisce continuare per non impegnare una discussione, che la Camera non ha ancora deciso se debba aver luogo)

Il deputato Brofferio dice: — «Il tempo per la quistione napoletana venne pure invocato: datemi tempo diceva un ministro, le provincie meridionali saranno pacificate. Trascorsero cinque, o sei mesi, ed invece di pace abbiamo sempre più fervida e dolorosa guerra».

vai su
Tornata de’ 22 novembre (n. 329)

Nella discussione del progetto, di legge per estendere il decimo di guerra ad alcune nuove provincie, il deputato Ricciardi. dimostra essere imprudente, impolitico, inopportuno di gravare ora con tale balzello le provincie napoletane, dove tutte le classi della società soffrono ne’ loro interessi per le avvenute mutazioni: orribile è il quadro che fa dello stato degli abitanti delle campagne. Passando poi a rassegna quello degli abitanti delle città dice: — «La miseria è grandissima a causa del ristagno delle industrie, e de’ traffichi; gli artigiani in molte località non hanno di che vivere. Si aggiunga il caro de’ viveri, che non è stato mai cosi grande. Nel tempo de’ Borboni il governo impediva che il prezzo del pane salisse oltre una certa misura, ed appena prevedeva la carestia, incettava grano; cosicché il prezzo del pane era sempre discreto. Invece noi che cosa abbiamo fatto? Abbiamo pubblicato un decreto, mercé il quale si concedeva libera la uscita de’ cereali. Questo decreto ha fatto salire il prezzo del pane; ed è certo che il popolo lo compra a molto più caro prezzo di prima, e fa intorno a questo fatto un poco lieto ragionamento, e dice: sotto i Borboni noi mangiavamo, ed ora mangiamo molto meno bene di quello che mangiavamo una volta.»

Dopo di ciò l’oratore passa a rassegna la trista attuale condiziono degli operai, de’ commercianti, de’ militari, ed in generale dimostra che tutti debbono essere malcontenti; come lo sono pure gli esercenti arti liberali, e sopratutto gl’impiegati, sia per la precaria loro situazione, sia per lo spavento di essere traslocati da Napoli a Torino, che da’ meridionali è ritenuto come la Siberia. Scontentissimi sono pure i proprietarii. Difatti egli dice «Signori, prima di venire a Torino ho percorse alcune provincie dell’ex-reame, e fra le altre la Capitanata… Posso dirvi quel che ho visto, e sentito. Sapete in quali condizioni trovansi i proprietarii di quella provincia? E credo si possa giudicare delle altre per analogia. I proprietarj non osano uscire dall’abitato; perché le strade sono infestate da’ briganti; ogni giorno hanno luogo i così detti ricatti; richiesta di denaro con minaccia di vita. Il più grave si è che le persone ricattate non osano ricorrere alle Autorità, per timore di veder distrutti i loro animali, incendiate le case ecc., è questo succede, perché le Autorità non hanno saputo finora prendere i mezzi idonei a proteggere i cittadini nella vita e nelle sostanze. Così per esempio nella stessa provincia vi sono circa duemila uomini di presidio, ma l’Autorità militare non ha saputo usare i debiti provvedimenti; l’autorità civile poi è inettissima, per modo che le popolazioni sono in certo modo abbandonate a se stesse.» — Propone quindi che attesa la lunga serio di motivi di malcontento nelle provincie napoletane, la cui esposizione non gusta troppo all’assemblea, si sospendesse quivi l’applicazione della legge in quistione pel pagamento del decimo di guerra; indicando col tempo si avrà colà una miniera d’oro colla prossima incamerazione de’ beni del Clero; colla vendita de’ beni demaniali; coll’affrancameuto del Tavoliere di Puglia, che solo basterebbe a dare immense ricchezze; co’ beni di Casa Reale, de’ Gesuiti; dell’Ordine Costantiniane, sul quale proposito dice: — «Ed all’oggetto vorrei domandare al ministro, da cui dipende questo ramo, quale uso si faccia di queste rendite?»— Non tacerò che in Napoli si dice, che molto spreco si faccia di pecunia pubblica, e si vorrebbe sapere quale uso siasi fatto fin qui di cotesto denaro… — La quistione italiana sta principalmente nelle provincie napolitane… Supponiamo, che la guerra scoppii sul Mincio, voi dovreste sagrificare 50mila soldati italiani a comprimere la reazione nell’ex reame di Napoli… non bisogna obliare la reazione Europea, la quale non aspetta che una dimostrazione armata sul Mincio per destare una controrivoluzione nelle provincie napolitane. — Credete voi che non esista, e non sia forte il partito Borbonico?… Signori, non ci facciamo illusione, io conosco il mio paese: il partito esiste, è potente, ed aiutato dagli sforzi di tutta la reazione europea, tenterebbe senza dubbio un colpo, e voi dovreste proteggere quelle provincie con 40, o 50 mila soldati tolti alla causa italiana.»

Nella stessa tornata discutendosi di aumentare il dazio sul sale, il deputato Plutino dice: — «io credo, che aumentando ora il dazio sul sale sarebbe un voler provocare nelle provincie meridionali un malcontento nelle masse per riuscire poi ad esigere pochissimo.» — E sul nuovo dazio da imporsi su la spedizione degli olii, e de’ cereali, come sovraimposta di guerra egli dice «oltre queste novelle imposte nelle provincie meridionali, oggi s’impone il registro, domani s’impone il bollo; noi pagheremo tutte le imposte come tutte le altre provincie del regno; ma d’altra parte desideriamo che il Governo abbia maggior cura alle condizioni anormali nelle quali si trova l’ex pegno delle due Sicilie.»

Ad una interpellanza dei deputato Ricciardi, il Presidente de’ ministri risponde, che la leva nelle provincie napoletane si deve fare colle leggi antiche ivi in vigore.

Tornata de’ 29 novembre (n. 333 degli atti.)

Tre deputati con lettere offrono la loro dimissione cioè Malmusi di Modena, Turrisi Colonna di Sicilia, e il duca Proto di Napoli. I due primi per motivi di salute, e il terzo per contrarietà sofferte in occasione della nota mozione d’inchiesta su lo Stato infelicissimo del suo paese, e nell’analoga lettera de’ 27 di questo mese, tra l’altro dice… «Io era ben lungi dal credere, che la mia mozione dovesse destar tanti sdegni, e che ciò ch’avevo scritto pe’ soli deputati e per leggersi negli uffizii,. dovesse diventare di ragion comune dell’universale, e subbietto alle diverse dicerie della stampa periodica… La lettura della mia mozione seppe di reo? Ciò m’è grave. Non pertanto io non posso ritirarla, e ritiro invece la persona mia dalla Camera elettiva, dolorosamente protestando contro un potere che pare non voglia sapere, né riparare i mali che travagliano le provincie napolitane… Frattanto ho già ordinato venga data a stampa la mia mozione, acciocché gli amici del vero, e la storia possano conoscerne le vere parole, e il senso; e però giudicare a loro agio tra me, ed i miei avversarli politici.»

continua….

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1862_DURELLI_condizioni_regno_Due_Sicilie_parlamento_torino_2019.html#Tornata_de_28_febbraio_1861_n_8._Atti

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.