Alta Terra di Lavoro

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L’UNITA’ CHE DIVIDE – Le contraddizioni di una patria matrigna

Posted by on Dic 2, 2023

L’UNITA’ CHE DIVIDE – Le contraddizioni di una patria matrigna

     Sono trascorsi circa due secoli dal fatidico 1861 e ancora oggi, nonostante l’impegno di un sempre crescente numero di ricercatori, di associazioni e di movimenti che continuano ad impegnarsi per ristabilire la verità sulle palesi falsità che costellano la storia scritta dai vincitori, questa verità stenta ad affermarsi, tanto tenace, insistente ed ininterrotto è stato l’accanimento esercitato per portare a compmento la cancellazione della memoria di un Regno che, dopo di essere stato assalito a tradimento, depredato e spopolato, non fu e non  è stato ritenuto nemmeno degno di far parte della nuova entità politica, alla pari degli altri Stati della penisola, cui è stato riservato un trattamento ben diverso.

Questo dato, già di per sé, ha un significato preciso: la volontà di annientare in tutte le sue espressioni lo Stato invaso, in modo da eliminarne ogni traccia dalle pagine di quella che sarebbe diventata la storia ufficiale della nuova entità politica. Infatti, che questo fosse il vero intento  che motivò l’aggressione lo si può riscontrare dalla tabula rasa  scientificamente condotta, che riguardò non solo gli impianti industriali di cui lo Stato invaso disponeva (altro elemento a favore della volontà annientatrice), parte dei quali venne distrutta, parte trasferita al Nord, ma interessò tutte le sfere dell’organizzazione sociale su cui si reggeva, dai più alti gradi dell’amministrazione pubblica ai più bassi livelli del bracciantato. A chiunque non si fosse mosso con intenti esclusivamente predatori non sarebbe  sfuggito che, così facendo, si sarebbe creato un grave problema sociale: quello di milioni di disoccupati, di cui poi ci si sarebbe dovuti fare carico (origine dell’emigrazione meridionale). Ma poiché le intenzioni che avevano motivato l’aggressione non erano quelle falsamente pubblicizzate di fraternità e affrancamento, il problema  così creato non interessò minimamente né la mente né l’animo di quelli che la retorica avrebbe presentato come i “padri” della nuova entità politica. Purtroppo i  danni prodotti da questa pseudo liberazione e da questa altrettanto pseudo unità  sono visibili ancora oggi ed interessano la vita dell’ex regno in tutti gli aspetti: primo fra tutti quello di essere diventato, da Stato autonomo, indipendente ed autosufficiente, una umiliata provincia della nuova entità, e la sua ex capitale, un mortificato capoluogo di regione, ridotta allo stato di colonia e di mercato di consumo, adesso, sì, arretrata e bisognosa d’aiuto. E’ naturale, quindi, che, alzando lo sguardo oltre la siepe, chi ha modo di constatare e di sperimentare sulla propria pelle  queste palesi contraddizioni cerchi di spiegarsene le ragioni, per  stabilire se per caso non vi sia, anche del tutto inconsapevolmente, un concorso di colpa da parte sua. A questo punto il cervello prende a turbinare. Si comincia a scendere nei particolari, a spaccare il capello in quattro, ad analizzare il singolo vocabolo. Ed in questa analisi, il primo termine su cui si appunta l’attenzione  è quello di “unità”, ragionando intorno al quale, si notano subito  discrepanze ed incongruenze. L’analisi, infatti, porta a concludere che – proprio come un matrimonio – questa unità avrebbe dovuto portare gli stessi benefici o gli stessi disagi ad entrambe le parti. Invece un semplice sguardo alla realtà permette  di constatare che le cose non stanno così e la tanto sbandierata “unità” nazionale si rivela un vuoto slogan  utilizzato in modo improprio dai vincitori e dai loro epigoni come quello usato per la mistificata epopea risorgimentale ed i suoi falsi eroi. Questo modo di “raccontare” l’unità portato avanti senza soluzione di continuità si è talmente sedimentato da diventare inattaccabile, rendendo impossibile perfino un sereno confronto con ricercatori impegnati nel processo di revisione, sostenendo non essere essi abilitati ad occuparsene in quanto privi di un titolo accademico specifico. Eppure si tratta di laureati: presidi di istituti superiori, avvocati, medici, magistrati: persone non illetterate, che con i processi mentali hanno una certa dimestichezza! Non si può ammettere che costoro, trovandosi tra le mani un documento d’archivio, pur non essendo specializzati, siano incapaci di intenderne il significato. Ma, anche volendo transigere su questa decisione, che può essere definita senza tema una violenza, non ci si può regolare allo stesso modo quando coloro ai quali è affidata la custodia della storia patria arrivano al punto di contestare perfino i risultati  delle ricerche condotte da docenti specializzati proprio in archivistica [1] o in metodologia dalla ricerca[2].

     Il lavoro di questi ricercatori ha lo scopo di scoprire e mettere in evidenza eventuali forzature,  inesattezze o addirittura  falsi per recuperare frammenti di storia celata o manipolata, che, poco alla volta, come minuscole tessere di un mosaico, permettano di riportare alla luce quanto si era tentato di nascondere. Appena i contorni cominciano a definirsi più chiaramente, con questo mosaico – seppure ancora incompleto – sentiamo di avere qualcosa in comune. Ed allora, entrando in empatia con esso, sentiamo il bisogno di appropriarci del nostro passato, delle nostre radici, della nostra memoria. E, poiché abbiamo potuto stabilire di non godere degli stessi diritti degli altri connazionali, sentiamo il bisogno di trovare una nostra collocazione sia spaziale che temporale per avere un punto di riferimento per la nostra vita di relazione. Nessuna fine, infatti, può immaginarsi e verificarsi senza un punto iniziale. Gli avvenimenti che si verificano nell’arco di tempo compreso fra questi due estremi costituiscono “ la storia “: individuale, se riferita ad un singolo individuo; collettiva, se interessa popoli o nazioni intere. Per cui non disponendo dell’elemento essenziale rappresentato dall’inizio (ossia il passato, la memoria, le radici) non è possibile dare avvio al proprio cammino nella storia e si è costretti, quindi, a non poter programmare il proprio futuro. E quale vestito potrebbe rivelarsi più adatto per noi se non proprio quello delle nostre radici? Ma il tentativo di riappropriarci della nostra memoria incontra una certa resistenza da  parte di alcuni “fratelli”, che, ignorando probabilmente le atrocità e le efferatezze compiute dai loro antenati a danno dei nostri, persistono nel contrastare e nell’ostacolare questo nostro anelito. A questo punto a chiunque riesca a ragionare fuori da gabbie ideologiche saltano subito agli occhi  le contraddizioni di una nazione che per alcuni è madre e per altri matrigna, visto che permette che alcuni suoi figli vengano impunemente ed ininterrottamente offesi da altri. Perché un meridionale non può sentirsi orgoglioso delle proprie origini, come un ligure, un veneto, un toscano? Perché ancora oggi ad alcune città vengono associati degli attributi come “superba”, “serenissima”, “patria della cultura”, quando il Regno proditoriamente invaso non temeva confronti per quanto riguarda  cultura e progresso? A questo punto, pur consapevoli di correre il rischio di essere additati come  nostalgici, non  possiamo evitare di citare quella lunga teoria di traguardi definiti “primati” raggiunti in ogni campo dello scibile e dell’organizzazione sociale proprio dal Regno definito retrogrado ed oscurantista. E ciò non per sostenere di essere superiori  ad altri (un tale atteggiamento non fa parte della nostra cultura, non rientra nel nostro costume), ma per dimostrare che non eravamo e non siamo quelli dipinti dalla falsa storia divulgata dai vincitori. Di tutti questi “primati” ne scegliamo appena due, ripeto, solo per dimostrare che non eravamo secondi a nessuno e, certamente, non quelli fatti conoscere al mondo intero dai “profondi” studi lombrosiani.

     Tra questi “primati” vogliamo ricordare che la prima nave da crociera al mondo fu il lussuoso piroscafo Francesco I, battente bandiera del Regno delle Due Sicilie, costruito nei cantieri navali di Castellammare di Stabia nel 1831, con cui, nel giugno del 1833, si inaugurò la  moda delle crociere – quindi prima crociera in assoluto –   con il tour Napoli – Costantinopoli .  Il piroscafo salpò da Napoli, che, all’epoca, era la capitale di uno stimato regno, e l’evento fu preceduto da una campagna pubblicitaria molto simile a quelle di oggi, che la dice lunga sulla presunta arretratezza  sia della Casa regnante che sulla genialità e sulla inventiva del popolo napolitano. Infatti la crociera fu pubblicizzata con articoli di giornale, cartelloni pubblicitari e réclame sulle fiancate dei mezzi pubblici, proprio come avviene oggi a distanza di circa due secoli. Però, nonostante l’eccezionalità e la grandiosità dell’evento, che, si voglia o no, dovrebbe rappresentare motivo di orgoglio per la nazione Italia, esso, nonostante la bella pagina di storia che ha scritto, è confluito nell’immenso inceneritore della damnatio memoriae, proprio perché  gloria di un Regno che i vincitori hanno voluto sprezzantemente non accogliere, non condividere e cancellare dalla storia della nazione. Per parlare della stima e del rispetto di cui il Regno presunto retrogrado ed arretrato godeva tra le varie nazioni, i partecipanti alla crociera provenivano da tutta Europa: Inghilterra, Francia,  Russia, Spagna, Prussia, Baviera, Olanda, Ungheria, Svizzera, Svezia, Grecia, come riportato dallo scrittore Francesco Li Volti, che scrive: “… tre mesi nei quali non ci fu spazio per la noia, viste le gite organizzate nelle prestigiose località scelte per ormeggiare momentaneamente la Francesco I, e le feste, i balli, e i giochi con i quali si intrattenevano gli illustri ospiti a bordo della nave, durante la traversata. Giunti a Costantinopoli, si dice che il sultano Mahmud II si affacciò dalle sue stanze e, osservando il piroscafo in lontananza con il binocolo, rimase estasiato dalla Francesco I.” Oltre la testimonianza del Li Volti c’è anche quella contemporanea dell’architetto francese Marchebeus, che, al termine della crociera, annotò nel suo diario: “ Riassumendo, la prima crociera turistica che sia stata fatta, data l’epoca in cui ebbe luogo, per le persone che vi presero parte, pel programma-itinerario, per gli svaghi brillanti che l’accompagnarono, malgrado qualche inconveniente, può benissimo far dire: non si fa meglio oggi “.

     La crociera ebbe la durata di circa tre mesi. Terminò, infatti, il 9 agosto dello stesso anno. Ciò che colpisce è che un evento all’epoca di rilevanza mondiale e che la dice lunga sulla lungimiranza di una Casa regnante che si continua a definire retrograda ed oscurantista, sia finito anch’esso nell’oblio decretato dai barbari invasori. Oggi, infatti, con gli strumenti a disposizione e le migliaia di agenzie turistiche esistenti, non si riuscirebbe ad organizzare un evento di quella portata al livello raggiunto dalla crociera organizzata dall’ “oscurantista e retrogrado “ Ferdinando II. In ogni porto che si toccava (Taormina, Catania, Siracusa, Malta, Corfù, Patrasso, Delfi, Zante, Atene, Smirne e Costantinopoli) ai “crocieristi”, lasciati gli svaghi di bordo e sempre molto in anticipo sui tempi, venivano assicurate escursioni e visite guidate. L’esperimento  non fu replicato, ma costituì comunque il seme che sarebbe sbocciato oltre un secolo più tardi.

Sempre per rimarcare le menzogne contenute  nella vulgata che i vincitori hanno imposto, è il caso di ricordare che nel 1800, la Marina borbonica era tra le più potenti del Mediterraneo e utilizzava navi a vapore, che partivano da Napoli per ogni parte del mondo. E … ciliegina sulla torta. Chiudiamo con quest’ultimo “primato”: nel 1854, una nave borbonica, la “Sicilia” – prima nave a vapore al mondo e prima nave italiana a raggiungere un porto americano –  compì la traversata da Napoli a New York in soli 26 giorni. Ma questi traguardi (vogliamo dire “primati”?) furono raggiunti da un Regno di cui si doveva perdere la memoria! Ed allora, via dalle pagine della storia!

Castrese Lucio Schiano – 30 nov. 2023


[1] professor Gennaro De Crescenzo

[2] professor Giuseppe Gangemi

1 Comment

  1. Temo che perfino il primato crocieristico della splendida nave napolitana sia sfruttato come “italiano” data la tendenza dell’Italia, dimentica della sua storia, a depredare i popoli che ha costretto nel suo recinto, attribuendosi tutto quello che ha potuto per farsene vanto, e costruendo così una leggenda che ci umilia tutti. caterina

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