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CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (XII)

Posted by on Dic 10, 2023

CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (XII)

SECONDO PERIODO DELLA SESSIONE 1861

Tornata dei 20 novembre (n. 234 degli atti.)

Al deputato napolitano Zappetta, che accenna di dover muovere una interpellanza al Governo sulo deplorabili condizioni delle provincie napolitane, il Presidente de’ ministri Sig. Ricasoli, tra le altre cose, annuncia «le piaghe delle provincie napolitane non vi è medico, che le possa guarire.,… ed io credo, che il promuovere di nuovo questa quistione, sarà un perdere un tempo prezioso, sarà un ripetere una storia dolorosa di cose, che pur troppo tutti essi conoscono» — In quanto al chiesto armamento, osserva che non si possono avere soldati, allorché un brigantaggio feroce affligge le provincie su cui sono sparsi sei milioni di abitanti.

Indi prende la parola il deputato Francesco Proto, duca di Maddaloni, e depone sul banco della presidenza una sua mozione scritta su i gravi fatti, che accadono nelle provincie meridionali; mali che richiedono pronti rimedii.

Il presidente risponde di non occorrere, che si estenda su la proposta che verrà in seguito trasmessa agli ufficii, onde giudichino se sia il caso di proporne lo svolgimento, che sarà effettuato, qualora se ne ammetta la lettura ()

Al deputato medesimo, che insiste per la fissazione di un giorno vicinissimo per lo svolgimento dell’accennata interpellanza, risponde il deputato Boggio opponendo di esser più necessario discutersi le leggi di finanze e rinviarsi dopo di questa la interpellanza: nel rincontro dice: —«Mai le condizioni del nostro debito pubblico furono così infelici quali or sono: mai, neppure dopo il disastro di Novara. — In seguito deplora la intemperanza, e la inutilità delle discussioni dei mali delle provincie meridionali, la coi condizione, ciò non ostante, è sempre più peggiorate.

Sullo stesso proposito osserva il deputato Ferrari, «che in quelle provincie havvi la guerra civile… Io non voglio esagerare i mali del. brigantaggio: ma in fin de’ conti il malcontento continua e mentre i signori ministri molte volte ci dicevano momentanei i disordini, e fatti transitorii lievi, che il loro governo avrebbe fatti presto svanire; mentre i giornali e i loro amici moltiplicavano le assicurazioni, i mali si rinnovarono, e si aggravarono, e si mutarono i luogotenenti, ed in questo momento stesso si cambiava il Governo del regno di Napoli, e il tutto senza menomamente consultare la Camera…

«I rappresentanti del Governo hanno intrapreso nelle provincie meridionali de’ gravissimi atti, i quali mettono in dubbio la costituzione stessa. Vi furono dodici villaggi incendiati…

(Il presidente gl’impedisce continuare per non impegnare una discussione, che la Camera non ha ancora deciso se debba aver luogo)

Il deputato Brofferio dice: — «Il tempo per la quistione napoletana venne pure invocato: datemi tempo diceva un ministro, le provincie meridionali saranno pacificate. Trascorsero cinque, o sei mesi, ed invece di pace abbiamo sempre più fervida e dolorosa guerra».

Tornata de’ 22 novembre (n. 329)

Nella discussione del progetto, di legge per estendere il decimo di guerra ad alcune nuove provincie, il deputato Ricciardi. dimostra essere imprudente, impolitico, inopportuno di gravare ora con tale balzello le provincie napoletane, dove tutte le classi della società soffrono ne’ loro interessi per le avvenute mutazioni: orribile è il quadro che fa dello stato degli abitanti delle campagne. Passando poi a rassegna quello degli abitanti delle città dice: — «La miseria è grandissima a causa del ristagno delle industrie, e de’ traffichi; gli artigiani in molte località non hanno di che vivere. Si aggiunga il caro de’ viveri, che non è stato mai cosi grande. Nel tempo de’ Borboni il governo impediva che il prezzo del pane salisse oltre una certa misura, ed appena prevedeva la carestia, incettava grano; cosicché il prezzo del pane era sempre discreto. Invece noi che cosa abbiamo fatto? Abbiamo pubblicato un decreto, mercé il quale si concedeva libera la uscita de’ cereali. Questo decreto ha fatto salire il prezzo del pane; ed è certo che il popolo lo compra a molto più caro prezzo di prima, e fa intorno a questo fatto un poco lieto ragionamento, e dice: sotto i Borboni noi mangiavamo, ed ora mangiamo molto meno bene di quello che mangiavamo una volta.»

Dopo di ciò l’oratore passa a rassegna la trista attuale condiziono degli operai, de’ commercianti, de’ militari, ed in generale dimostra che tutti debbono essere malcontenti; come lo sono pure gli esercenti arti liberali, e sopratutto gl’impiegati, sia per la precaria loro situazione, sia per lo spavento di essere traslocati da Napoli a Torino, che da’ meridionali è ritenuto come la Siberia. Scontentissimi sono pure i proprietarii. Difatti egli dice «Signori, prima di venire a Torino ho percorse alcune provincie dell’ex-reame, e fra le altre la Capitanata… Posso dirvi quel che ho visto, e sentito. Sapete in quali condizioni trovansi i proprietarii di quella provincia? E credo si possa giudicare delle altre per analogia. I proprietarj non osano uscire dall’abitato; perché le strade sono infestate da’ briganti; ogni giorno hanno luogo i così detti ricatti; richiesta di denaro con minaccia di vita. Il più grave si è che le persone ricattate non osano ricorrere alle Autorità, per timore di veder distrutti i loro animali, incendiate le case ecc., è questo succede, perché le Autorità non hanno saputo finora prendere i mezzi idonei a proteggere i cittadini nella vita e nelle sostanze. Così per esempio nella stessa provincia vi sono circa duemila uomini di presidio, ma l’Autorità militare non ha saputo usare i debiti provvedimenti; l’autorità civile poi è inettissima, per modo che le popolazioni sono in certo modo abbandonate a se stesse.» — Propone quindi che attesa la lunga serio di motivi di malcontento nelle provincie napoletane, la cui esposizione non gusta troppo all’assemblea, si sospendesse quivi l’applicazione della legge in quistione pel pagamento del decimo di guerra; indicando col tempo si avrà colà una miniera d’oro colla prossima incamerazione de’ beni del Clero; colla vendita de’ beni demaniali; coll’affrancameuto del Tavoliere di Puglia, che solo basterebbe a dare immense ricchezze; co’ beni di Casa Reale, de’ Gesuiti; dell’Ordine Costantiniane, sul quale proposito dice: — «Ed all’oggetto vorrei domandare al ministro, da cui dipende questo ramo, quale uso si faccia di queste rendite?»— Non tacerò che in Napoli si dice, che molto spreco si faccia di pecunia pubblica, e si vorrebbe sapere quale uso siasi fatto fin qui di cotesto denaro… — La quistione italiana sta principalmente nelle provincie napolitane… Supponiamo, che la guerra scoppii sul Mincio, voi dovreste sagrificare 50mila soldati italiani a comprimere la reazione nell’ex reame di Napoli… non bisogna obliare la reazione Europea, la quale non aspetta che una dimostrazione armata sul Mincio per destare una controrivoluzione nelle provincie napolitane. — Credete voi che non esista, e non sia forte il partito Borbonico?… Signori, non ci facciamo illusione, io conosco il mio paese: il partito esiste, è potente, ed aiutato dagli sforzi di tutta la reazione europea, tenterebbe senza dubbio un colpo, e voi dovreste proteggere quelle provincie con 40, o 50 mila soldati tolti alla causa italiana.»

Nella stessa tornata discutendosi di aumentare il dazio sul sale, il deputato Plutino dice: — «io credo, che aumentando ora il dazio sul sale sarebbe un voler provocare nelle provincie meridionali un malcontento nelle masse per riuscire poi ad esigere pochissimo.» — E sul nuovo dazio da imporsi su la spedizione degli olii, e de’ cereali, come sovraimposta di guerra egli dice «oltre queste novelle imposte nelle provincie meridionali, oggi s’impone il registro, domani s’impone il bollo; noi pagheremo tutte le imposte come tutte le altre provincie del regno; ma d’altra parte desideriamo che il Governo abbia maggior cura alle condizioni anormali nelle quali si trova l’ex pegno delle due Sicilie.»

Ad una interpellanza dei deputato Ricciardi, il Presidente de’ ministri risponde, che la leva nelle provincie napoletane si deve fare colle leggi antiche ivi in vigore.

Tornata de’ 29 novembre (n. 333 degli atti.)

Tre deputati con lettere offrono la loro dimissione cioè Malmusi di Modena, Turrisi Colonna di Sicilia, e il duca Proto di Napoli. I due primi per motivi di salute, e il terzo per contrarietà sofferte in occasione della nota mozione d’inchiesta su lo Stato infelicissimo del suo paese, e nell’analoga lettera de’ 27 di questo mese, tra l’altro dice… «Io era ben lungi dal credere, che la mia mozione dovesse destar tanti sdegni, e che ciò ch’avevo scritto pe’ soli deputati e per leggersi negli uffizii,. dovesse diventare di ragion comune dell’universale, e subbietto alle diverse dicerie della stampa periodica… La lettura della mia mozione seppe di reo? Ciò m’è grave. Non pertanto io non posso ritirarla, e ritiro invece la persona mia dalla Camera elettiva, dolorosamente protestando contro un potere che pare non voglia sapere, né riparare i mali che travagliano le provincie napolitane… Frattanto ho già ordinato venga data a stampa la mia mozione, acciocché gli amici del vero, e la storia possano conoscerne le vere parole, e il senso; e però giudicare a loro agio tra me, ed i miei avversarli politici.»

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1862_DURELLI_condizioni_regno_Due_Sicilie_parlamento_torino_2019.html#Tornata_de_28_febbraio_1861_n_8._Atti

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