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Mafia e poteri pubblici: contiguità politiche e sviluppi istituzionali (II)

Posted by on Gen 24, 2024

Mafia e poteri pubblici: contiguità politiche e sviluppi istituzionali (II)

2. «Quegli esseri che durante il governo borbonico additavansi a terrore dei pacifici cittadini»

Le squadre che fanno il loro ingresso a Palermo in occasione dell’insurrezione scoppiata il 12 gennaio 1848 sono uno degli effetti più evidenti di quei mutamenti cui si è accennato in apertura.

Coacervo di elementi a vario titolo dediti ad attività criminali (abigeato, furto campestre, componenda, sequestro di persona), tra cui numerosi galeotti liberati/fuggiti dalle carceri borboniche, prezzolati o agli ordini di un capobanda o di un notabile di provincia, esse rappresentano, però, anche l’espressione di una mobilitazione popolare in una fase in cui le élite rivoluzionarie sono in evidente difficoltà, il patriziato e il notabilato cittadino attendono incerti e timorosi l’evoluzione degli eventi, e la popolazione urbana tarda ad attivarsi17. Considerate tali premesse, non stupisce che uno dei principali protagonisti del 12 gennaio, il democratico Giuseppe La Masa18, nel tentativo di qualificare e nobilitare questa modalità di intervento dal basso, la faccia derivare proprio da un atto di ribellione contro gli abusi del passato regime, che portava i soggetti coinvolti a vivere ai margini della società, dandosi al brigantaggio, e che proprio per queste ragioni venivano inseriti nelle «liste di fuorbando», preludio alla loro definitiva espulsione dal consorzio civile:

I gendarmi, i birri, gli Ispettori di polizia nei giorni del regnante dispotismo sfuriavano a man salva nell’isola l’antica libidine dei tirannetti […]. I più fieri, ed impieghevoli popolani spesso rompevano soli ai loro piedi i ceppi che premevano un popolo, e lo tenevano bersaglio di tutte le barbarie. Invece di chinare il collo sotto la scure dei carnefici ricorrevano essi all’archibugio, ed al trombone, e giuravan guerra a tutta oltranza agli sgherri borbonici. Ma la vita che affrontavano per sostenere la difficile impresa era quella delle fiere – le cime dei monti, le grotte, i burroni, i boschi, i cespugli, erano loro d’asilo – a sostenere i bisogni della sussistenza e delle bande armate cadevano essi nel delitto e nel furto, quindi di trascorso in trascorso passavano agli orrori, a cui portava quel passo disperato; e per l’esistenza selvaggia, violenta, e lionina di mesi, e di anni giungevano infine all’odio, alla rabbia contro l’umana società19.

Infatti, secondo il decreto del 22 agosto 1821, «per effetto del fuorbando gl’individui iscritti sulle liste sono dichiarati rei di morte, e possono essere dalla forza pubblica e da chiunque impunemente uccisi»20. Il provvedimento, però, piuttosto che deprimere il fenomeno contribuì ad alimentarlo: «Così moltiplicavansi, e si riversavano a piene mani sull’isola nuove, e mortifere sciagure; e fra le nequizie e l’ardire nascevano i Bruno, i Scimeca, i Testalonga, i Palumbo, i Fradiavolo, i Giambattista Scordato»; tuttavia, nonostante «Giuseppe Scordato, fratello dell’ultimo, fuoribandito, Miceli, Vincenzo Pagano [fossero] allora sul principio di quella via di spine», ciò non ostacolò la loro “conversione patriottica”, e così, «quegli esseri che durante il governo borbonico additavansi a terrore dei pacifici cittadini, in quei giorni luminosi furono ribattezzati colle gesta dei prodi, e rafforzarono le speranze dell’isola»21. L’irruzione sulla scena delle squadre – e in particolare di quelle agli ordini dei succitati briganti-patrioti Scordato e Miceli – rappresenta un momento decisivo per le sorti della rivoluzione. Rimangono però diversi nodi irrisolti: si tratta di un intervento preordinato? Chi sono i referenti che hanno mediato questo intervento? Al di là delle ipotesi prese in considerazione, è indubbio che da questo momento in poi si stabilisca un intreccio tra due mondi che la polizia borbonica, consapevolmente e a fini propagandistici22, assimila indistintamente perché entrambi sovvertitori dell’ordine legittimo: quello dell’opposizione politica e quello della delinquenza comune23. Nei mesi rivoluzionari i due mondi, che si trovano ad interagire sulla stessa scena, troveranno un difficile compromesso, motivato dalla ricerca di un sostegno armato alla causa patriottica da una parte, e dall’altra dalla volontà di legittimazione. Sarà un accordo dalle basi instabili, destinato a venir meno da lì a breve, quando il governo rivoluzionario, dopo aver sciolto le squadre, tenterà invano di imporre un barlume di ordine pubblico.

È possibile individuare, anche negli elementi disfunzionali e meno riusciti, alcune costanti nelle rivoluzioni siciliane dei decenni preunitari. Nicolò Palmieri riporta alcuni episodi verificatisi a Palermo nel 1820, quando «un corpo di mille o più uomini, che avrebbe potuto dar soggezione alla città di Palermo, mise basso le armi e si rese a sessanta villani del villaggio di Belmonte», che per modalità ed esito hanno molti punti in comune con quelli del 1848: «Generali, uffiziali, soldati, tutti fuggirono in infinito disordine, lasciando sul campo le armi e quanto avevano in dosso; e tutti furono o presi o massacrati dai contadini della campagna di Palermo e dei vicini villaggi»24. Analogamente Michele Amari:

Torme di armati d’aspetto feroce e sinistro che seguendo capi da masnade giravano per la città pazzamente gridando e scotendo fazzoletti in segno di vittoria. Gli abitanti del contado gente tutta armata e non mite traeano in città e nel resto di questo giorno e nella notte che seguì gli uffiziali e i soldati che rotti e spicciolati fuggiano come li cacciava il timore senza saper dove, furon tutti presi e tratti con villania in città e in prigione25

che così prosegue:

Stuoli di contadini armati si ragunavano, scendeano alle spalle dalle montagne gente usa alle armi e feroce la quale avrebbe combattuto negli orti e ne’ giardini bersagliando i nemici senza poter essere offesa dagli ordini loro. […] Da Misilmeri e d’altri comuni che sono su i monti vicini all’Abate eran cominciati a muovere per la capitale quelle torme ch’io descrissi26.

La mobilitazione si ripeterà (con caratteristiche differenti quanto all’organizzazione) dopo lo sbarco di Garibaldi nel 1860, quando gruppi di volontari già usi alle armi, al seguito di notabili del posto, si metteranno a disposizione della rivoluzione, generando timor panico tra le file nemiche27. Memorabile rimane la descrizione di Giuseppe Cesare Abba: «Le squadre arrivano da ogni parte, a cavallo, a piedi, a centinaia, una diavoleria. […] Ho veduto dei montanari armati fino ai denti, con certe facce sgherre, e certi occhi che paiono bocche di pistole. Tutta questa gente è condotta da gentiluomini, ai quali ubbidisce devota»28. É questo, ad esempio, il caso del barone Sant’Anna di Alcamo ricordato da Bandi nelle sue memorie29. Tali dinamiche dimostrano come, soprattutto nei frangenti rivoluzionari, si riattivino e si consolidino non solo quelle relazioni verticali interclassiste di cui si è detto, ma anche i canali tra le diverse aree territoriali, segno che i notabilati urbani, affermatisi grazie alla riforma dell’amministrazione civile, continuano a mantenere saldi rapporti con le aree rurali, dove la gestione della terra si fonda su meccanismi di esercizio privatistico della forza.

  • 17 Questa interpretazione è sostenuta in ROMANO, Salvatore Francesco, Storia della mafia, Milano, Arno (…)
  • 18 LODI, Giuseppe, Giuseppe La Masa e il suo arrivo a Palermo la sera dell’8 gennaio 1848, in Memorie (…)
  • 19 LA MASA, Giuseppe, Documenti della rivoluzione siciliana del 1847-49 in rapporto all’Italia, vol. I (…)
  • 20 Decreto col quale si stabilisce una Commessione in ciascuna delle sette valli minori della Sicilia (…)
  • 21 LA MASA, Giuseppe, Documenti della rivoluzione siciliana, cit., p. 84.
  • 22 Sulle contromanovre messe in atto dalla polizia borbonica si veda l’Archivio triennale delle cose d (…)
  • 23 In relazione a questa forzatura compiuta dalle autorità borboniche (ma in seguito anche da quelle d (…)
  • 24 PALMIERI, Nicolò, Storia della Rivoluzione di Sicilia nel 1820. Opera postuma con note critiche [di (…)
  • 25 AMARI, Michele, Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820, a cura di CRISA (…)
  • 26 Ibidem.
  • 27 Cfr. MERENDA, Pietro, «Contingente delle squadre siciliane d’insorti nei combattimenti di Palermo d (…)
  • 28 ABBA, Giuseppe Cesare, Da Quarto al Volturno (noterelle d’uno dei Mille), in TROMBADORE, Gaetano (a (…)
  • 29 BANDI, Giuseppe, I Mille. Da Genova a Capua, Milano, A. Salani Editore, 1903, pp. 121-124.

Fabrizio La Manna

continua…….

https://journals.openedition.org/diacronie/11764?lang=fr#tocto1n2

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