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Mafia e poteri pubblici: contiguità politiche e sviluppi istituzionali (III)

Posted by on Gen 26, 2024

Mafia e poteri pubblici: contiguità politiche e sviluppi istituzionali (III)

3. Interclassismo e subordinazione

Semplicisticamente è stato scritto che la rivoluzione del 1848 «partì, com’era logico, dall’elemento intellettuale. Solo la classe intellettuale poteva interpretare gli oscuri sentimenti che animavano la massa, stabilire un programma, dirigere l’azione […] e, al caso, ravvivare con scritti, opuscoli, foglietti, gli animi scoraggiati, i timidi, gli incerti»30.

L’affermazione anticipa (involontariamente) un dato di fatto circa il rapporto intercorrente in quei frangenti tra la classe pensante e le masse popolari: gli «oscuri sentimenti» covati da queste ultime necessitavano, infatti, di una mediazione, e non solo di tipo culturale, che fosse in grado di incanalarne la spinta entro argini socialmente e politicamente accettabili, dirigendone poi l’azione in vista del fine auspicato. Il legame, tuttavia, non è così lineare come può apparire ad un primo sguardo. Innanzitutto perché non contenibile all’interno di uno schema diadico, in quanto la mediazione avviene sul piano delle prassi attraverso network complessi di relazioni che legano le diverse componenti sociali per il tramite di soggetti che operano come canali di trasmissione e di connessione interclassisti.

Sebbene la rivoluzione (europea) del ’48 abbia avuto uno slancio ideale particolarmente rilevante, e in questo la storiografia è concorde31, occorre però discernere le costanti dalle specificità dei casi presi in considerazione32. Le società di primo Ottocento presentano una forte connotazione classista anche nelle loro componenti di matrice democratica33. Tuttavia, nonostante permangano taluni elementi di continuità con il passato34, nella società per classi viene a mancare il sostegno istituzionale degli ordini di antico regime, e le nuove gerarchie si costituiscono prevalentemente nella dialettica interna alla società civile, in cui la borghesia, «classe di classi»35, collocata in una posizione intermedia e per sua natura instabile e provvisoria, è soggetta ad avanzamenti o arretramenti, e la nobiltà, deprivata del suo status secolare, viene profondamente ridimensionata e ridefinita nei suoi connotati tradizionali36. In alcuni contesti, dove le élites portatrici di istanze autenticamente politiche sono visibilmente minoritarie, e le scelte di fondo si piegano a dinamiche polarizzate su contrapposizioni extraideologiche, questo assetto sociale assume connotazioni peculiari. Paolo Macry, ad esempio, ribadisce come quella meridionale sia una realtà con una struttura sociale fortemente dicotomizzata, composta da élite (poco coese e strutturate anche dal punto di vista politico) e popolo: «Al di sotto del fiume Garigliano, la nazione dei liberali diventa un fenomeno decisamente minoritario sul piano politico, sociologico e culturale. Non che nel resto della penisola sia un’istanza di popolo, ma è qui che incontra adesioni estemporanee, disillusioni, rancori e infine una vera e propria reazione armata»37. E prima di lui Giuseppe Giarrizzo aveva parlato di una società polarizzata «a due classi», riferendosi alla struttura sociale e, in particolar modo, a quella territoriale, laddove si oppongono aree prevalentemente rurali ad altre più vitali ed economicamente progredite, caratterizzate da una significativa identità urbana, osmotiche però rispetto al territorio circostante38.

Soprattutto in considerazione di questi ultimi aspetti, la modellistica sociologica mostra vistosi limiti nello spiegare, e quindi nel ricondurre ad uno schema lineare e chiaramente intellegibile, i reali meccanismi di gerarchizzazione che agiscono da elementi strutturali nella definizione dei rapporti infrasociali. La fine della società per ceti non comporta di per sé l’estinzione dei fattori di gerarchizzazione sociale – la «proprietà», ossia il possesso della terra, rimane il requisito fondamentale per accedere alle «liste degli eligibili» per le cariche pubbliche, e solo in subordine rispetto a questa lo svolgimento di un’«arte» o di un «mestiere», a condizione, però, che siano in grado di fornire entrate certe39 –, ma questi coesistono accanto a codici distintivi più fluidi e meno vincolanti rispetto al passato. Gli studi socio-demo-antropologici, pur con una certa approssimazione, segnalano alcuni di questi fattori identitari immateriali: mentre Jane e Peter Schneider, ad esempio, nel sostenere che contadini, pastori e imprenditori rurali «non si conformano all’immagine convenzionale di classe sociale in una società tradizionale», individuano tre «codici culturali», l’onore, l’amicizia e la furberia40, John Davis, invece, riferendosi più in generale alle società mediterranee41, distingue tre principali «idiomi della stratificazione», la burocrazia, la classe e l’onore42.

Tuttavia, a parere di Pezzino, le analisi degli scienziati sociali che si sono dedicati al tema scontano un grave limite interpretativo in quanto, piuttosto che evidenziare gli elementi di contraddizione insiti nel processo di modernizzazione, puntano su una lettura arcaizzante: «Tipici di una Sicilia del latifondo e della pastorizia, […] i codici omertà, onore, amicizia o sono decisamente considerati un residuo feudale, […] o comunque, pur se finalizzati a forme specifiche di imprenditoria, […] connotano una società arretrata e periferica»43. Sugli stessi aspetti insiste anche Lupo, per il quale la realtà meridionale sfugge a gran parte degli schematismi socio-antropologici, soprattutto perché manca nella realtà il suo «oggetto primo, il villaggio»; mentre si è, al contrario, in presenza di un territorio disseminato di agro-town (grossi nuclei urbani che possono superare anche i ventimila abitanti), che vivono «già da molti secoli in un’intensa relazione con il mercato delle merci, della forza-lavoro, dello strumento principe della produzione: la terra»44. Secondo questa prospettiva, l’agro-town si presenta come «una realtà socialmente stratificata ma cementata verticalmente dai legami familiari e clientelari. In essa è antico il rapporto con il potere su base locale, regionale, nazionale: nei confronti cioè dei gruppi dominanti paesani, delle famiglie della grande aristocrazia, dello Stato»; inoltre, la presenza al suo interno di «uno strato di borghesia professionale politicizza profondamente il significato dei conflitti, come nel caso della questione demaniale», mentre «l’esperienza di vita associata tipica del grosso paese rende tutti i gruppi sociali più adusi al rapporto con la politica, pur attraverso il filtro deformante del clientelismo»45.

Queste dinamiche interclassiste, oltre che caratterizzarsi come atti di generica deferenza, si connotano anche come pratiche di effettiva subordinazione (ma condizionata), che una volta divenute sistemiche sono alla base di quel fenomeno (cripto) criminale che Franchetti definirà «manutengolismo»46, manifestazione complessa caratterizzata da una relazione di illecita reciprocità tra le parti coinvolte nello “scambio”: «Da questo stato anormale dei rapporti sociali fra la classe che possiede tutto e quella che possiede nulla, […] nasce l’abitudine dei signori Palermitani di proteggere e garentire, quelli tra i loro temuti lavoranti e custodi di terre che son ricercati dalla giustizia per delitti commessi»47. Ciò deriverebbe, secondo alcune condivisibili interpretazioni, anche da una peculiare condizione della società siciliana, in cui la lotta tra i ceti rimane nella maggior parte dei casi latente, e la conflittualità orizzontale – tra i membri del gruppo di appartenenza – impedisce la «verticalizzazione del conflitto»48. Seppur in presenza di una fenomenologia varia, la sussistenza di alcuni caratteri comuni rende comunque possibile l’ascrivibilità a categorie euristiche convenzionali. Secondo Luigi Musella sono tre i fattori che definiscono il rapporto patrono-cliente: «Il legame […] si instaura tra due parti di differente status, ricchezza ed influenza; […] la formazione e la conservazione della relazione dipende dalla reciprocità nello scambio di beni e servizi […]; lo sviluppo e la conservazione delle relazioni […] si basa esclusivamente su un contatto faccia a faccia tra le due parti»; in quest’ultimo caso «gli scambi compresi nella relazione, essendo questa piuttosto intima ed estremamente particolaristica, dipendono molto dalla vicinanza»49. Tuttavia, se appare abbastanza chiara la finalità del sodalizio, alquanto problematica risulta la precisa definizione delle dinamiche intercorrenti tra le parti, in special modo nelle fasi che precedono e che seguono la rottura rivoluzionaria. Infatti, nel corso delle rivoluzioni questa relazione si riattiva, e con essa quella tra centro (città) e periferia (agro-town e campagna), producendo, però, risultati non sempre controllabili. Lo si era già visto nel 1820-21 ed emerge in modo dirompente nel ’48, quando il processo di «progressiva autonomia dei violenti di origine popolare»50 dalle classi dirigenti (prima aristocratiche e poi borghesi) si materializza nel fenomeno delle squadre, attraverso un’evoluzione delle comitive armate51.

Tuttavia, anche in questo caso, il fenomeno rimane frastagliato e non ascrivibile né ad una sola fattispecie e neppure ad una ben precisa componente sociale. La sua complessità, non riducibile ad una spiegazione univoca, ha spinto Paolo Pezzino a formulare una casistica che vede nell’esercizio della violenza tre caratteri fondamentali: per i grandi proprietari terrieri e per l’aristocrazia è un «elemento di conferma del proprio prestigio e di difesa delle proprietà»; per i civili serve a sostenerne i «processi di ascesa sociale, all’interno dei quali viene usata con funzioni complementari di altri strumenti»; per gli individui provenienti dalle classi inferiori costituisce «un’alternativa, spesso l’unica, alla miseria e un rapido mezzo di arricchimento»52. La stratificazione socio-ambientale delle componenti coinvolte è un elemento ineludibile, che caratterizza in maniera sostanziale la natura del sodalizio. A questo riguardo, Giovanna Fiume individua tre livelli gerarchici all’interno delle grandi bande organizzate dei decenni preunitari: al vertice gli «organizzatori», civili che occupano le cariche comunali e garantiscono le coperture e le protezioni necessarie all’organizzazione, i quali agiscono sul territorio per il tramite di «mediatori» che si occupano di mantenere i rapporti con l’ultimo livello, quello degli «esecutori»53. Tuttavia, una rigida gerarchizzazione non sempre appare adeguata a definire la natura autentica del rapporto. In maniera molto opportuna Marcella Marmo, nel descrivere questa tipologia di relazioni, parla piuttosto di un «rapporto da élite criminale ad altre élites», nel senso che la deferenza della prima rispetto a queste ultime si basa su una strategia intenzionalmente perseguita, all’interno della quale può però «pericolosamente mostrare la corda il funzionamento dei consueti meccanismi di controllo verso il basso»54. Tale chiave interpretativa appare alquanto efficace nello spiegare il fenomeno di progressiva autonomia da parte delle squadre nei confronti delle istituzioni rivoluzionarie sorte dopo il 12 gennaio, quando l’arruolamento dei loro membri nei corpi preposti alla pubblica sicurezza se da un lato si rivelò essere un percorso obbligato, dall’altro produsse effetti disastrosi55.

Fabrizio La Manna

note

30 CURATO, Federico, La rivoluzione siciliana del 1848-49, Milano, Vallardi, 1940, p. 

  • 31 Si vedano a titolo di esempio FRANCIA, Enrico, 1848. La rivoluzione del Risorgimento, Bologna, Il M (…)
  • 32 La bibliografia sul tema è sconfinata. A titolo esemplificativo si vedano i recenti volumi di BRUNE (…)
  • 33 Cfr. LOVETT, Clara Maria, The Democratic Movement in Italy, 1830-1876, Cambridge, Harvard Universit (…)
  • 34 Cfr. MAYER, Arno Joseph, Il potere dell’Ancien Régime fino alla prima guerra mondiale, Bari, Laterz (…)
  • 35 ROMANELLI, Raffaele, Ottocento. Lezioni di storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 57.
  • 36 Cfr. SIGNORELLI, Alfio (a cura di), Le borghesie dell’Ottocento: fonti metodi e modelli per una sto (…)
  • 37 MACRY, Paolo, Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi, Bologna, Il Mulino, 2012 (…)
  • 38 GIARRIZZO, Giuseppe, L’Ottocento: il secolo grande, in ID., La Sicilia moderna dal Vespro al nostro (…)
  • 10Sebbene la rivoluzione (europea) del ’48 abbia avuto uno slancio ideale particolarmente rilevante, e in questo la storiografia è concorde31, occorre però discernere le costanti dalle specificità dei casi presi in considerazione32. Le società di primo Ottocento presentano una forte connotazione classista anche nelle loro componenti di matrice democratica33. Tuttavia, nonostante permangano taluni elementi di continuità con il passato34, nella società per classi viene a mancare il sostegno istituzionale degli ordini di antico regime, e le nuove gerarchie si costituiscono prevalentemente nella dialettica interna alla società civile, in cui la borghesia, «classe di classi»35, collocata in una posizione intermedia e per sua natura instabile e provvisoria, è soggetta ad avanzamenti o arretramenti, e la nobiltà, deprivata del suo status secolare, viene profondamente ridimensionata e ridefinita nei suoi connotati tradizionali36. In alcuni contesti, dove le élites portatrici di istanze autenticamente politiche sono visibilmente minoritarie, e le scelte di fondo si piegano a dinamiche polarizzate su contrapposizioni extraideologiche, questo assetto sociale assume connotazioni peculiari. Paolo Macry, ad esempio, ribadisce come quella meridionale sia una realtà con una struttura sociale fortemente dicotomizzata, composta da élite (poco coese e strutturate anche dal punto di vista politico) e popolo: «Al di sotto del fiume Garigliano, la nazione dei liberali diventa un fenomeno decisamente minoritario sul piano politico, sociologico e culturale. Non che nel resto della penisola sia un’istanza di popolo, ma è qui che incontra adesioni estemporanee, disillusioni, rancori e infine una vera e propria reazione armata»37. E prima di lui Giuseppe Giarrizzo aveva parlato di una società polarizzata «a due classi», riferendosi alla struttura sociale e, in particolar modo, a quella territoriale, laddove si oppongono aree prevalentemente rurali ad altre più vitali ed economicamente progredite, caratterizzate da una significativa identità urbana, osmotiche però rispetto al territorio circostante38.
  • 39 Istruzioni della lista degli eligibili per l’adempimento dell’articolo 162 del real decreto degli 1 (…
  • 40 SCHNEIDER, Jane e Peter, Classi sociali, economia e politica in Sicilia, Soveria Mannelli, Rubbetti (…)
  • 41 FIUME, Giovanna (a cura di), Onore e storia nelle società mediterranee. Atti del seminario internaz (…)
  • 42 DAVIS, John, Antropologia delle società mediterranee. Un’analisi comparata, Torino, Rosenberg & Sel (…)
  • 43 PEZZINO, Paolo, Onorata società o industria della violenza?, cit., p. 439. Secondo Mangiameli, gran (…)
  • 44 LUPO, Salvatore, «Storia e società nel Mezzogiorno in alcuni studi recenti», in Italia contemporane (…)
  • 45 Ibidem, pp. 75-76.
  • 46 Cfr. FRANCHETTI, Leopoldo, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Roma, Donzelli, 200 (…)
  • 47 MAGGIORANI, Vincenzo, Il sollevamento della plebe di Palermo e del circondario nel settembre 1866(…)
  • 48 Cfr. POMPEJANO, Daniele, FAZIO, Ida, RAFFAELE, Giovanni, Controllo sociale e criminalità. Un circon (…)
  • 49 MUSELLA, Luigi, «Clientelismo e relazioni politiche nel Mezzogiorno fra Otto e Novecento», in Merid (…)
  • 50 PEZZINO, Paolo, Mafia: industria della violenza, cit., p. 14.
  • 51 Cfr. FIUME, Giovanna, Le bande armate in Sicilia, cit., pp. 10-11.
  • 52 PEZZINO, Paolo, Nascita e sviluppo del paradigma mafioso, in AYMARD, Maurice e GIARRIZZO, Giuseppe (…)
  • 53 FIUME, Giovanna, Classi pericolose, in BENIGNO, Francesco, GIARRIZZO, Giuseppe (a cura di), Storia (…)
  • 54 MARMO, Marcella, «Ordine e disordine: la camorra napoletana nell’Ottocento», in Meridiana, 7-8, 198 (…)
  • 55 [CALVI, Pasquale], Memorie storiche e critiche della rivoluzione siciliana del 1848, vol. I, Londra (.

fonte

https://journals.openedition.org/diacronie/11764?lang=fr#tocto1n2

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