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LA GUERRA “UMANITARIA” DEI SAVOIA, che permise una grande rapina

Posted by on Mar 19, 2024

LA GUERRA “UMANITARIA” DEI SAVOIA, che permise una grande rapina

IN SPREGIO DI OGNI REGOLA INTERNAZIONALE

Una guerra che… non fu mai dichiarata. Il governo sabaudo, infatti, non dichiarò mai guerra a nessuno degli stati preunitari, ma soltanto all’Austria. Nella logica di liberazione e unificazione dell’Italia, l’Austria era l’unico nemico ufficiale, perché invasore del Lombardo-Veneto.

Non poteva dirsi altrettanto per gli altri stati italiani. Per il Piemonte era indispensabile, quindi, dare all’intervento militare una veste di ‘guerra di liberazione’ o ‘guerra umanitaria’ agli occhi dell’opinione pubblica europea, altrimenti l’ingresso dei soldati piemontesi in territorio straniero sarebbe parso per ciò che era: un’invasione.

Le modalità con cui ciò avvenne ci vengono descritte da Filippo Curletti, un agente segreto di Cavour che, incarcerato dal conte quando non più utile, decise di vendicarsi rivelando per iscritto molti particolari scomodi sulle vicende ‘risorgimentali’. Coinvolto nei moti che portarono alla destituzione dei Lorena nel Granducato di Toscana, Curletti descrive la ‘rivoluzione’ fiorentina non come un moto popolare nato spontaneamente, bensì come un’operazione condotta da un gruppo di ottanta carabinieri travestiti da popolani, data l’indisponibilità dei fiorentini a ribellarsi ai Granduchi.

Scrive Curletti: “la propaganda secreta dei Piemontesi nelle Romagne e nella Toscana cominciava a produrre i suoi frutti; tutto era pronto per una rivoluzione; i comitati che agitavano gli spiriti in questi due paesi sotto la direzione del Conte Cavour, domandavano al ministro il segnale dell’azione e qualche uomo sicuro per operare il movimento”. Una guerra sotterranea, come si può notare, fondata sulla propaganda e l’organizzazione segreta. Di fatto, i ‘ribelli’ erano armati da una potenza straniera (il Piemonte), come conferma anche l’epistolario dell’ammiraglio Persano, che scriveva a Cavour: “noi continuiamo, con massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, a tergo delle truppe napoletane”.

A Napoli come a Firenze, il metodo è lo stesso usato dieci anni prima a Palermo dagli inglesi. Tornando a Curletti, l’agente spiega come le modalità con cui si sarebbero svolti i moti furono decise a tavolino da lui e dall’ambasciatore piemontese. Gli agenti, mascherati da popolani, avrebbero formato una compagine numerosa che, al grido di “Viva l’Indipendenza! Abbasso i Lorena!”, si sarebbe diretta verso Palazzo Pitti. Mentre il clamore così suscitato riusciva a coinvolgere alcuni fiorentini, Curletti ed i suoi uomini correvano a sequestrare le casse pubbliche del Granducato: “alle 4 del pomeriggio Buoncompagni era installato nel palazzo del Sovrano presso il quale era accreditato; alla stessa ora tutte le casse pubbliche erano vuote, senza che una sola lira sia entrata nel tesoro piemontese. Ma Firenze non è stato un caso isolato. Curletti fornisce i suoi servigi di stato in stato: Toscana, Parma, Modena, Stato Pontificio, Due Sicilie

Filippo Curletti, rifugiato in Svizzera e condannato in contumacia , dallo stesso governo che beneficiò dei suoi servigi, quale mandante di una banda di malviventi piemontesi, per vendetta verso coloro che lo avevano usato e poi tradito scrisse un memoriale dove rivela dettagliatamente le infamie che portarono all’unità d’Italia (in francese)

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