Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Ceprano e i suoi costumi tipici descritti da un francese ‘casalingo’ (avec quelques notes en français)

Posted by on Giu 17, 2024

Ceprano e i suoi costumi tipici descritti da un francese ‘casalingo’ (avec quelques notes en français)

Alphonse Karr odia i viaggi, sta volentieri a casa, preferisce una vita casalinga dove poter esercitare la cosa che ama di più: stare in pantofole, fare il casanier. Ma poi ci ripensa e tra il 1872 e il 1875 intraprende alcuni viaggi che lo porteranno anche in Italia: Genova, Milano, Brescia, Venezia, Bologna, Napoli e Ceprano, con la ferrovia inaugurata da pochi anni. Si, avete letto bene, Ceprano è stata una delle tappe del percorso italiano e, unica in Campagna, è presente nel libro Notes de voyage d’un casanier (Calmann Levy, Editore in Parigi, 1877), occupando tutto il capitolo XVII. Il nostro dunque, nonostante il suo carattere ‘pantofolaio’, parte e poi racconta quel che vede e pensa; e noi vogliamo cogliere il motivo della partenza tra le righe della dedica a stampa nelle pagine iniziali, da lui firmata:

“Alla signora Anna De Bésobrasoff*, nata De Soukhosaneth

Permettetemi, signora, di dedicarvi questo libro che, in realtà, già vi appartiene. Odio viaggiare, e probabilmente non avrei mai visto i bei paesi e le belle cose di cui parlano questi appunti, se, per me, all’attrattiva che gli uni e le altre esercitano su tutto il mondo, non si fosse unito l’incantevole onore di accompagnarvi, o la speranza di rincontrarvi.

Alphonse Karr”

Abbiamo già conosciuto il giornalista e scrittore Alphonse Karr (Parigi, 1808 – Saint Raphaël, 1890) in Immaginando Ceprano. Memorie, Mappe e Rappresentazioni (F.Arcese, M.Martini, P.G.Monti, O.Ruggeri, Edizioni MAF, Ceprano 2014), nel capitolo Passaggi e paesaggi di frontiera. Ceprano e dintorni nelle memorie dei viaggiatori dell’800, dove Mauro Martini tratta dei costumi, della bellezza femminile e delle feste di piazza a Ceprano in particolare, e dove cita il famosissimo quadro di Léopold Robert che ritrae l’arrivo dei mietitori ciociari con gli stessi abiti che Karr vede a Ceprano in occasione del suo viaggio. Una vera testimonianza oculare. Aggiungiamo che Karr si dedicò anche alla vita politica, ma senza grandi successi. Dopo il 1851 si ritirò in Costa Azzurra a Saint Raphaël nei pressi di Nizza, dove all’attività di scrittore affiancò quella di imprenditore florovivaistico di successo.

Oggi proseguiamo l’omaggio al libro Immaginando Ceprano, nel decennale della pubblicazione, con l’edizione integrale del capitolo XVII de Notes de voyage d’un casanier, da noi tradotta per l’occasione. Degne di nota sono le riflessioni che Alphonse Karr dedica ai cambiamenti sociali e tecnologici in corso in Europa e nell’Italia post-unitaria e che sembrano scritti oggi, al netto di qualche passaggio antiprogressista.

In appendice il testo integrale in lingua francese del capitolo XVII.

Appunti di viaggio di un casalingo
Capitolo XVII
Ceprano – Le cose al loro posto – Un monumento della più alta antichità – Il Liri – Le ferrovie – Il progresso – La vera ricchezza – Sui muratori di Babele che mancavano di pazienza
di Alphonse Karr

A Ceprano ho trovato l’intera popolazione, uomini e donne, con i costumi che a noi sono piaciuti tanto in Les Moissonneurs, di Léopold Robert: gli uomini con la giacca rossa, blu o verde, senza maniche, una seconda giacca marrone sulle spalle, un largo cappello sulla testa. Le donne, a piedi nudi, con una camicia di tela, un corsetto verde, blu, rosso o viola, una collana di corallo, e in testa un piccolo fazzoletto bianco che sanno disporre con civetteria e pittorescamente in venti modi diversi. Non mi è dispiaciuto di rivedere per qualche istante le forme femminili più o meno al loro posto, cosa alla quale mi aveva quasi disabituato la tirannia delle mode parigine.

Les Moissonneurs (Ritorno dei mietitori) di Léopold Robert

Altro contrasto, la città di Roma, così piena di magnificenza e ricchezza, è infestata da mendicanti che rattristano e intralciano le passeggiate. A Ceprano, dove molti bambini restano senza maglietta o si accontentano di pochi frammenti molto incompleti, non ho visto un solo mendicante. Lì ho incontrato questa povertà felice che ho notato durante le mie altre passeggiate in Italia.

Avevo anche un certo bisogno di stare per qualche tempo senza vedere i monumenti, che non cessano di raccontarti la morte non solo di uomini, ma di popoli e di nazioni, e dove tutto attesta che cammini su un terreno interamente fatto di umana polvere. La padrona della Locanda nuova di Ceprano mi disse con aria di umiliato dolore: “Qui non abbiamo monumenti da mostrare agli stranieri”; mi sono affrettato a rassicurarla indicandole la scala del suo albergo, una delle più ripide e più terribili scale che abbia mai visto: “Vi sbagliate, signora, la vostra scala è un monumento, e forse una delle più antiche che Roma possa vantare; senza dubbio è stata costruita molto tempo prima dell’invenzione delle scale, che già le miglioravano e risalgono alla più alta antichità”. Ma Ceprano ha altro, e diciamolo sottovoce, meglio dei monumenti antichi, più o meno grandi, opere degli uomini più o meno riuscite, lotte più o meno seguite da vittorie con la pietra e con la tela; imitazioni più o meno esatte, più o meno felici della natura; Ceprano ha la natura stessa, con i suoi splendori, le sue magnificenze, le sue armonie, non antiche, ma eterne e sempre giovani. Un fiume abbastanza forte, il Liri, circonda per più della metà il paese; all’orizzonte si levano alte montagne blu scuro, contro le quali si stagliano, con il loro verde vivo e allegro, i pioppi, i salici, gli ontani che si ergono con i piedi nell’acqua; intorno ai salici si arrampicano grandi convolvoli bianchi (‘belle di giorno’, n.d.r.); qua e là ci sono oleandri, non gracili arbusti di bosso come quelli che vediamo sotto cieli meno favorevoli, ma veri e propri grandi alberi, carichi di fiori profumati. Tra queste sponde verdi e fiorite scorre il Liri, a volte calmo e profondo, a volte rapido, spumeggiante, rumoroso, quando passava sotto i mulini, e cantava in coro con i mulini il canto bello ed eterno del lavoro e del pane. Anche il grano e il mais, portati dai campi, dove sono stati irrigati dalla pioggia del cielo e dal sudore dei lavoratori e dei mietitori, sui carri trainati da questi grandi buoi grigi dalle enormi corna dritte, mescolano le loro voci a questo canto mentre la macina li schiaccia e li trasforma in farina bianca o dorata.

Perché questa povertà calma e felice avviene solo nei paesi notoriamente poveri, dove l’uomo resta a diretto contatto con la natura, con la terra, e non aspetta altro che il cielo, e questa felicità non si trova nelle città arricchite, si dice, dal progresso? Eh! è che in realtà sappiamo ben poche cose con certezza; non è affatto dimostrato che quello che chiamiamo progresso sia, in realtà, un passo avanti verso il benessere, verso la felicità. Con certi mezzi utili a soddisfare più facilmente e più piacevolmente i tre o quattro bisogni reali che la natura ci ha dato, ciò che chiamiamo progresso ci porta allo stesso tempo altri e nuovi bisogni, e quando, grazie ad esso, le nostre risorse aumentano di una volta, i nostri bisogni aumentano di tre. Questa grande rivoluzione ferroviaria, che annulla le distanze, mescola i popoli, confonde usi e costumi, ha già eliminato la varietà dei costumi, e creerà, col tempo, una lingua poliglotta, fatta di tutte le lingue mescolate e confuse, quella che i muratori di Babele avrebbero parlato se non si fossero separati. Questa rivoluzione sacrifica le piccole località ai grandi centri; prima delle ferrovie, non c’era villaggio, città o borgo che non avesse le sue grandi o piccole ricchezze, dovute alla natura, che rendeva la vita facile e piacevole ai suoi abitanti; questi avevano caccia e selvaggina, quelli pescavano, pesci del mare o dei fiumi, quegli altri grano e frutta in abbondanza, ecc. Le ferrovie vengono a raccogliere tutto e portano tutto nelle capitali e nelle grandi città. Qui qualcuno mi potrebbe interrompere per dire: “Sì, ma le capitali e le grandi città restituiscono in denaro ciò che prendono, e il prezzo delle merci che assorbono cresce ogni giorno a vantaggio di chi le produce, e questo prodotto li arricchisce”.  Sembra vero, è addirittura vero, eppure è vero solo sotto un aspetto: porta soldi, ma porta anche nuovi bisogni e costose abitudini.

Il vero progresso incontestabile sarebbe che tutti vivessero nel modo più agiato e con il minor lavoro possibile. È un progresso felice quello che richiede ogni giorno una maggiore quantità di lavoro per provvedere alle necessità della vita, senza contare le inquietudini, le preoccupazioni, le ansie, le disperazioni di coloro che non riescono, perché le necessità aumentano ogni giorno, perché il ‘progresso’ ne aumenta il numero e le esigenze, sempre più di quanto fornisca i mezzi per soddisfarle? La domenica, questo giorno di riposo gioioso che prima ritornava ogni settimana, è quasi ovunque eliminato per l’operaio; oppure lo passa stupidamente e solo al cabaret, leggendo o sentendo leggere e commentare i giornali, e bevendo liquori adulterati e malsani, lasciando a casa la moglie e le figlie, le quali, dal canto loro, non si accontentano più dei loro ornamenti semplici, puliti e graziosi di un tempo, e preferiscono non passeggiare, non ballare, non divertirsi, ma ostentare gli occhi e le crocchie finte, e le gonne doppie, e le tuniche, e i grembiuli che vedono sulle donne borghesi e che non hanno altro risultato che renderle brutte, quando le acquistano a tutti i costi.

Citerò solo un esempio, e lo prenderò dalla mia esperienza personale: la cittadina di confine nella quale vivo, Saint-Raphaël, è soprattutto una colonia di marinai e pescatori; si racconta che trent’anni fa, vent’anni fa, come oggi, sui loro fondali si pescava dell’ottimo pesce, e questo pesce lo si vendeva a poco prezzo, perché, per quanto abbondante fosse la pesca, il pesce non poteva essere trasportato e venduto che in tempi molto brevi e in un raggio ristretto intorno a loro. Oggi, grazie alle ferrovie, il raggio si è notevolmente ampliato; si estende venti volte più di prima; il prezzo del pesce di Saint-Raphaël, che rifornisce le grandi città lontane, è decuplicato. Progresso! Dite voi. Aspettate un po’, ora arriva davvero molto più denaro a Saint-Raphaël. Bene!…progresso!… Aspettate… quindi pensate che gli abitanti siano più ricchi e più felici di prima? Senza dubbio. Ebbene, è vero il contrario; in passato trovavamo cibo sano, facile ed economico nel pesce, venduto a basso prezzo, e nella selvaggina uccisa nella foresta; oggi gli abitanti di Saint-Raphaël non possono più mangiare pesce o selvaggina a causa dei prezzi troppo alti. Lo ammetto, dite voi, ma i pescatori guadagnano molto di più. Guadagnano di più, risponderò, ma spendono molto di più, e qui troviamo la proporzione di uno a tre di cui parlavo prima. Nello stesso tempo in cui aumenta il prezzo del pesce che vendono, aumenta in proporzione almeno uguale quello di tutte le derrate alimentari che devono acquistare, così come altre abitudini, altri bisogni, certi piccoli lussi si sono insinuati e sono diventati necessari; In una parola, tutti sono d’accordo su un punto e cioè che siamo a Saint-Raphaël, mentre vediamo circolare molto più denaro, più poveri e meno felici di prima. Deve essere così, è così ovunque. La vita, per usare l’espressione popolare, diventa ogni giorno più cara, vale a dire ogni giorno ci vuole più lavoro, con un’incertezza più toccante, per nutrire tua moglie e i tuoi figli. Deve essere così, è così ovunque. È triste, è preoccupante, ed è mia opinione che non siamo abbastanza preoccupati al riguardo.

Una cosa mi ha spiacevolmente colpito a Ceprano, è che la figlia della padrona della locanda, che a volte vede passare ricchi viaggiatori, già cerca di conciarsi in modo stravagante e diverso dalle altre ragazze del paese; ha già adottato questo modo brutto e stupido di tagliare corti i capelli sulla parte anteriore della testa e di farli cadere in una frangia rigida, attaccata alla fronte; e la vidi non perdere di vista una giovane viaggiatrice della sua età, di cui evidentemente studiava il costume con il desiderio di prenderne in prestito qualcosa. È un inizio, e continuerà, si diffonderà, per contagio; tra dieci anni, forse prima, le donne di Ceprano saranno vestite alla parigina, si crederanno eleganti, e saranno povere, brutte, infelici, forse peggio, e i viandanti saranno assaliti dai mendicanti.

*Madame Anna De Bésobrasoff

Due rose sono dedicate ad Anna Bésobrasova. Una di queste è stata creata da Gilbert Nabonnand nel 1877 e si chiama ‘Madame Anna De Bésobrasoff’. Questa varietà ha fiori bianchi con il rovescio rosa e il centro rosa. Un’altra rosa, creata dall’allevatore francese Jean-Marie Gono, si chiama ‘Anna De Bésobrasoff’. Creata probabilmente nel 1878, ha fiori di colore viola-ciliegia. Entrambe le rose non sono sopravvissute. Nabonnand viveva sulla Costa Azzurra e Gono viveva a Lione.

Ma chi è Anna Bésobrasova, in onore della quale qualcuno ha fatto creare due nuove varietà di rosa? I Bésobrasoff sono un’antica famiglia nobile russa. Anna nacque nel 1826 nella famiglia dell’eroe della guerra patriottica del 1812, il generale di artiglieria Ivan Onufrievich Soukhosaneth (1788-1861). La prima moglie di Ivan Onufrievich, Reina Ivanovna Godymin-Belozor, morì nel 1823. Si sposò una seconda volta con Ekaterina Aleksandrovna Beloselskaya-Belozerskaya. Nel 1844, all’età di 18 anni, Anna Soukhosaneth sposò Nikolai Aleksandrovich Bésobrasoff, entrando così in una famiglia molto ricca e nobile. Ben presto la coppia Bésobrasoff ebbe due figlie: Maria ed Ekaterina; quest’ultima sposò il principe Nikolai Nikolaevich Khovansky, mentre Maria rimase celibe. Nel 1861 il padre e la madre di Anna morirono uno dopo l’altro. Il marito di Anna Ivanovna, Nikolai Aleksandrovich Bésobrasoff (17/10/1816 – 15/10/1867), è noto nella storia russa come una persona straordinaria e creativa. Morì improvvisamente a Carskoe Selo. Al momento della sua morte ricopriva il grado di consigliere di Stato. Dopo la morte di suo marito, Anna Ivanovna iniziò a ricostruire la sua vita, che divenne notevolmente più vivace. Anna Ivanovna aveva due figlie: Maria ed Ekaterina; quest’ultima morì nel 1913 a Ginevra. La seconda figlia di Anna Ivanovna Bésobrasova, Maria, dichiarata malata di mente, aveva bisogno di cure costanti che, secondo Anna Ivanovna, potevano essere fornite meglio all’estero. Così, madre e figlia si trasferirono in Francia e vissero a Nizza per molti anni, non lontano da Saint Raphaël.

Nel 1877, l’allevatore francese Gilbert Nabonnand creò un’altra varietà di rosa che portava il nome di Maria: ‘Mariette De Bésobrasoff’, con fiori rosa, di media grandezza e debolmente profumati. Anche questa varietà non è sopravvissuta. Pertanto, entrambe le rose, ‘Mariette De Bésobrasoff’ e ‘Madame Anna De Bésobrasoff’ sono state allevate nello stesso anno dalla stessa persona; lo stesso anno della pubblicazione del libro di Alphonse Karr. Il vivaio di Gilbert Nabonnand (Les Roses du Golfe-Juan), dove tra il 1850 e il 1941 condusse esperimenti sulla selezione delle rose, si trovava nella città di Golfe-Juan, vicino a Nizza. Sfortunatamente le rose non sono sopravvissute. Il 21 aprile 1895 Anna De Bésobrasoff morì a Losanna. Il suo corpo fu trasportato in Russia e sepolto nel cimitero Bolsheokhtinsky di San Giorgio a San Pietroburgo (la sepoltura è andata perduta).

fonte

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.