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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (I)

Posted by on Giu 22, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (I)

Dovremmo smettere di definire certi storici “borbonici” e chiamarli semplicemente “preunitari” o “napolitani” nel nostro caso. Non si  capisce per quale motivo il Colletta che non scrive certo un trattato di obiettività scientifica sia considerato uno storico e i napolitani che scrissero al tempo di Ferdinando II siano considerati dei lacchè di regime.

Gli esuli pagati profumatamente in quel di Torino dal conte di Cavour per scrivere le loro ricostruzioni storiche antiborboniche che cos’erano? I depositari  della verità rivelata?

Buona lettura e soffermatevi sul profluvio veramente impressionante di innovazioni normative operate dal Re Ferdinando II.

CAPITOLO PRIMO.

INSURREZIONE DI PALERMO.

Sommario

Il principio dell’anno 1848 foriero di calamità. I siciliani tramata ed annunziata in varie guise la rivolta, non si tirano in dietro dal loro proposito a vista degli scarsi apparecchi dei Regii. L’alba del 12 Gennajo sorge sanguinosa e trista in Palermo. Manifestazioni amiche dapprima, ostili dipoi. Primi conflitti ed assalti. Forte ribollimento degli animi. Apparisce un Comitato che le ordite fila dirige. Il Luogotenente Duca de Majo spicca pei telegrafi la notizia a Napoli, e dispone variamente le sue truppe. La sollevazione progredisce. Si pubblica il Cittadino, prepotente mezzo di concitazioni. Infelice caso di militari famiglie. Cominciato il bombardamento se ne intimidiscon molti, sospeso poscia si rimette l’ardimento, ed a rischievoli imprese si spingono, in talune delle quali vincono, in altre son vinti. Giunge a Palermo una flotta portante un gagliardo Corpo di Armata, gl’insorti ne rimangono sgomentati.

Poche sventure in mezzo a moltissime cose grate e con fortevoli nelle precedenti pagine ho narrato, moltissime sventure e ruine in mezzo a poche cose grate e confortevoli ora mi ho a narrare. Per ben diciassette anni il Governo era andato applicando l’animo alla felicità al progresso, ed alla civiltà di questi popoli; né indarno, sì come si è dinanzi notato, avea spese le sue cure; pochi di bastarono per minare dalle fondamenta edilizio cotanto, e balestrare questo felicissimo Regno fra uccisioni ruine tutto sangue, ed altre più orrende calamità.

Fra perturbazioni lutto sciagure, e timori grandi volgeva al suo termine l’anno 47 del presente secolo, e fra più grandi timori sciagure, e lutto l’anno seguente incominciava.

I tumulti di Penne di Cosenza di Siracusa, le turbolenze di Gerace di Reggio e di Messina,

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i rumori di Napoli e di Palermo erano altrettanti rivi, cagioni o indizio di furioso torrente, che di breve ringorgato torbido, e rimugghiante sarebbe precipitato dalle Oretee sponde, e quasi tutta Europa con larga inondazione rattristato avrebbe. Taluni d’avidità di fortune, altri da sete di vendette, chi da odio, o da spirito di parte, e chi da furore settario, o da brutale istinto di sangue, o da passioni municipali o da altre cagioni spinto, tutti per diverse vie col medesimo furore, allo stesso scopo di subissare il Regno correvano. Feral nembo sugl’innocenti popoli delle due Sicilie le sfrenate passioni addensavano.

Già per noi si è narrato nel precedente libro quando e come in Sicilia ribollissero gli animi, e con quali modi la insurrezione imbastissero, e i loro proponimenti manifestassero. Ma ossia che le Autorità Principali dell’Isola incontrassero un argine nella corruzione dei subalterni, ossia che credessero che la rivoluzione stesse in pochi sconsigliati, i quali non si pruoverebbero a metterla ad effetto, ossia che una fatai paralisi nei loro animi albergasse, ossia che era ormai tempo in che l’ira di Dio percuoter dovesse le umane generazioni, nulla si fece di positivo da coloro che guidavan la pubblica cosa per ammorzare quelle prime scintille. Cionondimeno la Guarnigione di Palermo si era tenuta pronta e dì e notte nei proprii quartieri ad ogni evento; e si era ordinato, che in caso di allarme il Forte di Castellamare si mettesse nello stato di difesa; le quattro compagnie del secondo di linea si attelassero sullo spalto di esso Forte, mantenendo comunicazione col quartiere della Gendarmeria, e con la truppa accasermata ai Quattroventi, e spedendo una compagnia di rinforzo alle Finanze; la truppa dei Quattroventi garentisse la Vicaria, e l’Arsenale; e che le nove Compagnie del 1.° Granatieri, il 1.° di Linea, ed il 3.° Dragone stessero a tutela dei proprii quartieri, e del Palazzo Reale. Inoltre fin dai principii di Gennajo la Polizia avea spinto imprigionati nel Forte di Castellamare undici dei Capi della rivolta.

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Ad onta di tali disposizioni, e previggenze i Siciliani non si erano tirati in dietro, anzi con maggior fervore nella loro bisogna avanzavano; ed erano molto incuorati dall’estero favore; ché nel torno di quei dì apparve nelle palermitano acque un Vapore Inglese, il cui Comandante disceso a terra tenne abboccamento coi Capi dei Congiurati, e poscia rimbarcavasi ed in altri punti dell’Isola sediziosi semi trapiantava (1). L’incendio d’allora in poi più che mai si nutrì. Un Comitato già esisteva in Palermo composto dei più notabili Cittadini, il quale clandestinamente, e con molto calore dirigeva ed estendeva le file della sollevazione, molte armi e provvisioni si eran preparate, innumerevoli fogli di lusinghe d’invito di minacce pieni occultamente diramavano ai fratelli di Napoli, ed alle milizie, con lo scopo d’indurre i primi a pronta rivolta alfin di stabilire nei domimi continentali un gran punto di diversione delle forze del governo; e di spinger le seconde alla inazione, o al tradimento. In Corleone, in Carini, in Termini, in Cefalù, in Misilmeri, in Bagheria a pieno giorno si affiggevano cartelli turbolenti, si parlava della prossima rivoluzione, gli animi sì rinfocolavano a vicenda, e non altro mancava ad insorgere che il segnale, e la determinazione del tempo. All’una ed all’altra cosa provvidde Palermo addì 9 e 10 Gennajo, poiché pubblicamente si distribuivano cartelli stampati, ne’ quali con enfatiche parole fermavasi il giorno 12 di quel mese come principio della rivoluzione. Corsene sollecita la fama per le siculo contratrade, tutti al fatai proposito caldamente attesero.

L’alba del 12 Gennajo 1848 sorgeva tra feste e giulive salve in Napoli, sanguinosa e trista in Palermo sorgeva; poiché, sì come avean fermato, irruppero i Siciliani.

(1) Rossi. Storia dei Rivolgimenti Politici ecc. Voi..pag.54-Napoli 1851.

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Le milizie fin dalla prima aurora avean preso le posizioni summentovate. Un silenzio universale nunzio di calamità regnava per la sicola metropoli, la maggior parte delle botteghe chiose, nei larghi e per le strade qui e colà come sbadatamente, ma da un pensier comune predominati, vedeansi molti inermi che componevansi in crocchi in brigate si scioglievano si riannodavano, e sempre alla funesta opera scambievolmente s’infiammavano. Verso fieravecchia e via lattarini non mancava qualche pugno di armati ricinti da moltissimi inermi pronti a seguirli.

Intorno alle 8 a. m. confortevoli notizie aveva avuto il Luogotenente de Majo, ma contrarie se l’ebbe poco appresso; poiché spedito il tenente Armenio dello Stato Maggiore per la Città osservava molta gente dalle finestre come se stessero in aspettazione di gravi avvenimenti, trovava abbandonati i posti di guardia della posta e del palazzo di città, avvicinandosi alla casa municipale veniva applaudito con molto batter di mani dal Pretore e da molti Gentiluomini dal loggiato di quella, e da molti altri che nella strada erano, verso il palagio della Intendenza s’imbatteva in una turba di più di quattrocento persone inermi ed armate, le quali ornati i petti di nastri tricolorati, sventolavano bianchi fazzoletti, ed invitavanlo ad appressarsi; e domandate dall’Armonio cosa importar volessero quelle novità rispondevagìi il Capo, che bramavano le concessioni chieste indarno, e che la milizia pel comun bene ad essi si accostasse; e ripreso dignitosamente il chiedente che avrebbene riferito al Luogotenente, facea ritorno a Palazzo.

Poco dopo le infauste novelle di Armenio fu spedito il Capitano Grenet dello Stato Maggiore a perlustrare con un plutone di dragoni la strada che dal piano di S. Erasmo accenna a porta di Castro, e nel ritorno trovava in via Macqueda vicino la porta S. Antonino uno stuolo di gente taciturna, che agitava fazzoletti e bandiere, e tosto faceala dissipare dai dragoni; ma ritornato il perlustratore drappello

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si ebbe tratte due fucilate da alcuni popolani, i quali inseguiti di galoppo fuggendo faceva» fuoco, e si dispersero. Nessun segno rimmanea più di agitazione in quel punto, sì che Grenet ritornava a Palazzo.

Quasi contemporaneamente a tale spedizione era di nuovo mandato Armonio con fanti e cavalieri, il quale percorse varie strade tranquillamente, ma giunto in quella che conduce a porta Montalto una grandine di palle ed un continuo balestrare di materiali varii dalle finestre irruppe. Sì spinse avanti la bersagliata milizia, e fugati i ribelli dalle vie, ritorcea il cammino pel Palazzo, ritraendosi dal pericoloso luogo.

Questi due fatti segnarono il principio della insurrezione, la quale non ebbe più limiti. Cambiossi repente lo stato della città vi sorse un gridare una rabbia un correre contro i napoletani da non potersi dire, tutti i siciliani furono in armi, i più audaci formicavano per le vie, gli altri nelle case rimaneano pronti a concorrer con ogni mezzo di distruzione alla vittoria. Un suonare di campane a martello continuo e pressante accresceva terrore e sdegno; dalle finestre dai balconi dalle feritoje praticate nei muri, dalle grondaje usciva il micidial fuoco. I campanili i monasteri i palagi, ogni edilizio sacro o profano era luogo di guerra.

Assaltarono il gran locale delle Finanze, ferendo due della guardia esteriore, assalirono l’Ospedale Militare, e tutti gl’infermi come prigionieri menarono, disarmavano alcuni granatieri inconsideratamente usciti dal Forte di Castellamare, spedirono messi e lettere e concitatori nelle vicine contrade, tutti alla comune difesa appellando. Le quali piccole fazioni, sebbene non arrecasser veruna iattura al Corpo di Armata stanziante in Palermo, erano nondimeno di grande incitamento alla già concitata città, poiché interpetrato per fuga il ritorno dei militari drappelli, per vittoria la necessitosa dedizione di pochi o infermi soldati, oppressi da numerosi stuoli, e aggiuntivi i magnificamenti di gente entusiasta,

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o della bugiarda fama, ormai parea che la rivoluziono fosse incrollabile fino da quel primo momento, e che man mano si renderebbe più gagliarda e inespugnabile. Nella sera del fatai dì splendea per larga laminazione il palermitano Toledo, l’aere da voci di libertà era assordato, gli animi e le forze pei venturi dì si preparavano, e le armi si forbivano.

Surse la nuova aurora fra nuovi segni preparativi e fatti di conflitto, e mentre gli armati in varia guisa combattevano, i Capi dei Congiurati a tutte le bisogne della rivolta ferventemente vacavano.

Nella piazza della FieraVecchia palesa vasi un Comitato provvisorio volto alla difesa della città, il quale si recava presso i più cospicui cittadini per trarli nel baratro di già aperto; congregava la palermitana municipalità per la instituzione di altri comitati nei quali esso si fuse, provvedendo il primo all’annona, il secondo a somministrare le munizioni da guerra, e sopraintendere alla pubblica sicurezza, il terzo a racemolare tutte le possibili somme e disporne, il quarto a raccogliere tutte le notizie dei fatti e divulgarli per le stampe, e l’ultimo ad accorrere dove bisognassero pronti provvedimenti.

Intanto la fama, più nelle maligne che nelle buone cose sollecita, avea sparso in un baleno le concitazioni onde la siciliana metropoli travagliava, e in tutte le parti si preparavano ad imitarla. Venivano a strade calcate i combattenti dal contado e dai paesi prossimani, la città inondavano, ed allo sdegno ed al sangue i fieri animi aguzzavano. Le donne istesse da quella follia invasate le gemili membra al ruvido esercizio delle armi educavano, o dei loro feriti sollecita cura prendevano, o vestite di Amazzoni con parole e con l’esempio gli animi di già concitati concitavano.

Il Luogotenente Duca di Majo, veduti appena i primi lampi della procella, avea fatto volare sulle ali dei telegrafi

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che il Reggimento Dragoni occupasse il piano S. Teresa e borgognoni, e con un plotone perlustrasse il lungo stradone che accenna a Monreale; che il primo Granatieri della Guardia ed il primo di Linea al piano del Palazzo s’indrappellassero; che un distaccamento l’Ospedale Civico guardasse, e qualche altro il Papireto, il quartiere del Noviziato, e di S. Giacomo, che l’artiglieria stesse sui bastioni di Palazzo, e due pezzi da campagna la dritta Toledo spazzata tenessero; che la guardia delle Finanze si rendesse più gagliarda con l’arrota di un gagliardo distaccamento del secondo di Linea; che la guarnigione del Forte di Castellamare di tre compagnie della Guardia, e due del secondo di Linea, con buon numero di artiglieria si accrescesse; che ai Quattroventi si attelassero due battaglioni del decimo di Linea, uno del nono, distaccandone due partite per custodire la Vicaria ed il Castelluccio del molo; e che due batterie da montagna si ordinassero in battaglia nell’ampio largo della Consolazione per accorrere ove più il bisogno ne scadesse.

Intanto in ogni giorno montava la ribellione, poiché si moltiplicavano i mezzi, i già compromessi gli altri compromettevano, la inattività delle milizie tenuta per viltà oltre ogni credere gl’imbaldanziva, il vapore il Porcupjne arrivava come il fatal cavallo di Troja gravido di armi e di munizioni, la marina inglese faceva plausi, augurii, incitamenti, nel Giardino della Flora e nel Teatro agitavansi le bandierine tricolori in cima alle inglesi spade (1), molte altre circostanze concorrevano al progresso della sollevazione; si che molte cose nel giorno 14 mandavansi ad effetto. Cominciavasi la pubblicazione del Giornale il Cittadino, prepotente strumento di concitazioni. I fatti degli scorsi giorni con esagerate parole recava in luce, le quali pari a scintille fra infiammabili materie guizzanti, accrescevano oltre ogni credere la febbre

(1) D’arlincourt. L’Italia Rossa ecc. pag.169. Ediz. di Livorno.

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che tutti contaminava: le generose milizie eranvi avvilite e malmenate; la ribalda popolaglia magnificata; commendati alla pubblica riconoscenza gli Eroi e le Eroine, contorti i fatti; di laudi di vituperii di esagerazioni di conculcamenti, secondo che portavano le sbrigliate passioni, quel giornale era dispensiero. Blandivano i soldati prigionieri, con ogni maniera di lusinghe accettavano i pochi disertori, negli scritti e nei fatti grande amore ai militari prosternevano; il che per altro non da sensi umani, ma sì bene da scaltri menti e da arti derivava; imperciocché molto tempo non andò e dentro e fuori Palermo crudi fatti succedevano, e più tardi Messina videsi contaminata da barbara gente che la carne degli uccisi soldati masticacchiavano. Bene sei seppero le infelici famiglie militari rinchiuse nel quartiere del noviziato, dal quale, perché divenuto pericoloso, convenne trarle, e farle convoiare da una compagnia a palazzo: una grandine di palle fischiava intorno alle timide donne, le quali faceano schermo dei proprii corpi alle loro innocenti creature: lacrime dolori paure strida ferite la innocente carovana contristarono.

Ormai era tempo che la umanità si ponesse da banda;però il Luogotenente ordinava al Colonnello Cross Comandante del Forte di Castellamare che in ogni 5 minuti briccolasse delle bombe nella scovolta Città risparmiando strada Butera e porta Macqueda, tutte le volte che vedeva innalberata la bandiera sul real palazzo. Scorrevano per lo scosso aere i proiettili il terrore fu grande, e già molti del vicino contado volevano togliersi dall’impresa, quando i Capi fecero intendere, che nella dimane avrebbero trovato modo da impedire il bombardamento.

Ed infatti, il Commodoro Inglese ed i consoli francesi ed inglese ottennero una sospensione di 24 ore, la quale veramente rimise animo ai disanimati villanzoni, l’ardimento venne al colmo, pericoli non curavano, ad ogni più rischievole impresa si abbandonavano.

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Alquanti imprudenti, e forse avvinati osarono farsi innanzi al Castello e tirar colpi di fucile, ma una terribile scarica dei cannoni e della fucileria del lato molestato ogni ardimento spense. Salvadore Miceli, brigante, ardiva mostrarsi alla cavalleria che perlustrava lo stradone di Monreale, ma tosto dalla rischievole impresa ritraevasi. Nel 14 quegli stesso con ribollenti torme combatté il piccolo distaccamento che stanziava in Monreale, e dopo ostinata pugna facealo prigioniero. Nel tempo medesimo un Giuseppe Scordato, eziandio fuorbandito, capitanando gran numero di armati, vinceva dopo breve conflitto il distaccamento di fanti che era in Bagheria. Questi due campioni entravano nella sconvolta città con un confuso satellizio di armati, e quasi a trionfo con le vinte schiere. Gli applausi, le congratulazioni, l’entusiasmo al sommo.

Ardimento partoriva ardimento, e ogni azione di molte altre era cagione o sprone. Introdussersi i ribelli per una finestra nel Quartiere dei Gendarmi a piedi che stavano in armi nel piano inferiore: tosto si appiccò una pugna, ma questi molestati da fucilate e da materiali che dai sovrastanti balconi gittavano, man mano si ritraevano nella strada coperta del Forte, le di cui cannonate a scheggia tennero infrenati gli assalitori, e tempestarono i micidiali balconi; e guari non andò e la gendarmeria con laudevole coraggio discacciava i rivoltuosi, e riacquistava il perduto quartiere. La Guardia delle Finanze ormai stremata di viveri e di munizioni versava in gran periglio ove un assalto si fosse fatto; epperò una Compagnia del secondo di Linea dal Casello coraggiosamente si avanzò fra il fuoco dei popolani, e felicemente giunse in soccorso dei minacciati commilitoni; sì che le Finanze rimasero guarentite, anche perché dal Forte quando a quando lanciavansi nel vicino largo delle bombe.

Mentre tali cose succedevano in Palermo, nel giorno 14 Gennajo scioglieva una flotta di nove legni a Vapore dal porto di Napoli, comandata da S. A. R. e I.

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Il Conte

Viaggiava pel designato luogo la napolitana flotta, o nella seconda metà del giorno 15 vi arrivava. Palermo in veggendola di spavento si empié. Dei ribelli chi si ascondeva, chi ricoveravasi sui legni francesi ed inglesi surti nel porto, la piupparte dileguavasi nell’aperto delle vicine campagne, o su pe’ monti che le fan corona,le armate torme gittavan per le strade ogni guerresco arnese, infine pareva come per miracolo finita la ribellione. Frattanto il Maresciallo sbarcava le sue genti sulla banchina del palermitano Molo, le quali unite a quelle dei Quattroventi eran pronte nella dimane ad ogni guerresca fazione. Stavano in sospeso tutti gli animi intorno alle future sorti di Sicilia, ma per la maggior parte si riteneva, che la Palermitana rivolta senz’altro dovea essere postrata da un Generale, che avea a suoi cenni dicciotto battaglioni di fanteria, un reggimento di cavalleria, e ben trentadue bocche da fuoco, oltre a’ castelli, e ad una flotta a vapore, i quali non che sottomettere, avrebbero potuto inabissare non una, ma cento città. Tali erano i giudizi! degli uomini;ma i fatti avvenire furono da quelli assai diversi.

continua……….

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/02_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html

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