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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO

Posted by on Lug 13, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO

LIBRO III LA RESTAURAZIONE TERZO PERIODO DAL 15 MAGGIO 1848 A TUTTO MAGGIO 1850.

CAPITOLO PRIMO.

PRINCIPI DELLA RISTAURAZIONE. Sommario

Il Real Governo intende con fermo proposito a perseguitare la rivolta, e ristaurare il regno. Pensieri varii intorno alla catastrofe di Maggio. Disposizioni governative intese a ricondurre l’ordine nella disordinata Città. Nota del Principe di Cariati al Conte di Rignon pel richiamo delle milizie terrestri e navali spedite per la guerra di Lombardia. Gesta memorabili del Decimo Reggimento di Linea. Breve descrizione dei luoghi in cui avvennero. Congiunzione dei Napolitani con gli altri Italiani. Il ponte di Goito. Fatto d’armi di S. Silvestro. Bello ardimento dei Napolitani in Marmirolo. Gli Alemanni scacciati dalla Grazie. Gl’Italiani assaliti in Montanara, mandano a vuoto i disegni con estremo valore. Il Feld-Maresciallo Radetzky con un gagliardo corpo di armata si avventa furiosamente contro Montanara; combattimenti che vi succedono. I Napolitani, guidati dal prode Giovannetti, sfondano la linea nemica in mezzo ad una impetuosa guerra. I Tedeschi padroni del campo. Battaglia di Goito vinta dagl’Italiani. Giungono in Bologna gli ordini del rimpatrio dei Napolitani; e divulgati appena vi nasce un rumore incredibile. Cosa facesse il General Pepe. Il Brigadiere Klein mantiene gli animi nella fede del Re. L’esercito si ritira nel Regno. La Flotta rientra nei nostri porti lasciando l’adriatico, dopo tolto il blocco a Venezia, e bloccata Trieste.

Sguainata ormai la spada il Real Governo, veduta inefficace la via delle concessioni, e della bontà, ed oltremodo sregolate le pretese dei novatori, tolse con fermo animo a perseguitare la ribellione dovunque ella si annidasse, e comunque si manifestasse, ed a ricondurre la sovvertita società nel posto e nella maniera

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più opportuna olla conservazione dell’ordine e della pace, e quindi allo sviluppo di tutte quelle sociali condizioni che indarno fra le intemperanze della rivolta si potea sperare.

Dal quale proponimento governativo surse un’altra era o periodo, che fu veramente quello della ristaurazione, in cui, all’opposto del precedente si osserva l’azion governativa preponderante e dirigente, qual dev’essere, non prostrata e diretta dalle passioni, e quindi guarentiti i dritti, le proprietà, le vite, le leggi, tutte le vene del civile benessere riaperte, I edifizio Sociale rassicurato dalle furie che minacciavangli suprema ruina.

Trista orma la catastrofe del 15 Maggio negli animi lasciava, tristissimi presentimenti destava; imperciocché liberi tuttora i Cupi della rivolta, e dileguati dalla Città, per fermo avrebber trapiantato i funesti germi nelle Provincie, dove manchevole o men gagliarda la forza compressiva, il terreno era alla sollevazione più opportuno. Un raggio di speranza pertanto rifulgea nell’attitudine ferma presa dal Governo, il quale ormai certo della fede militare potea con maggior franchezza intender l’animo a ciò che il pubblico bene richiedesse, quantunque non pochi né lievi fossero gli ostacoli con che la ribellione se gli attraversava.

Varii pensieri, passioni varie i casi di Maggio risvegliarono. Il solito suono delle stemperatezze non mancava; giacché nell’atto istesso in coi gli autori di tanto danno avean tinte ancora le mani del fraterno sangue, non si rimaneano dalla ingiustizia di andarne incusando il Governo, né di affermare che agenti regii avessero edificate le barriere, e perfino vibrato il primo colpo.

Troppo lunga e grave fatica sarebbe lo accennare soltanto le intemperanze, le menzogne, le esagerazioni di cui la stampa periodica italiana e di oltremonti ridondava. Le immaginazioni riscaldate non mancarono per inventare, non gli animi maligni per aggravare e falsare

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le interpetrazioni, non le carte per imbrattarsi di cosiffatta melma istorica. Di tal che, ove tante enormità non fossero oppugnate dalla verità e imparzialità della Storia, certo che non vi sarebbe alcuno dei nostri posteri che non vergognerebbe di appartenere a noi, e che non rimuoverebbe inorridito lo sguardo dalle pagini della presente istoria.

Impertanto diversamente riguardavano gli avvenuti fatti dai pacifici Cittadini, i quali sì come avean veduto nella lassezza governativa una non lieve cagione del ribelle rigoglio; così vedevano ora nella fermezza del governo il più saldo fondamento dell’ordine e della tranquilli.

Imperciocché le passioni punto non si correggono né si propugnano con la ragione, ma sì veramente con la forza.

Il Governo intanto, fiaccato l’impeto della rivolta, e prese misure di prevenzione contro ogni possibile tentativo, pubblicava in sul vespro del giorno 16 un proclama e vari decreti che rinfracaron gli animi.

Dimesso il Ministero Troya, ne fu creato un altro (1); sciolta la Guardia Nazionale di Napoli ed ordinato al Ministro dell’Interno di proporre i mezzi opportuni per riordinarla; imposto a tutti i componenti di quella di restituire immediatamente, pene severe ai renitenti, le armi al Comando della Piazza avute già dal Governo (2); dichiarato lo stato di assedio per la città; instituita una Commissione temporanea di pubblica sicurezza (3), la quale

(1) Fu cosi composto. Il Principe di Cariati, alla Presidenza ed agli Affari Esteri; il Cav. D. Francesco Paolo Pozzetti all’Interno ed alla Istruzione Pubblica; il Principe di Torella all’Agricoltura e Commercio, ed agli affari Ecclesiastici; il Generate Carascosa ai Lavori Pubblici, l’Avv. F. Paolo Ruggiero alla Finanza e Grazia e Giustizia, il Principe d’Ischitella alla Guerra e Marina.

(2) Ordine del 17 Maggio 1848 del Maresciallo Labrano, Comandante le Armi nella Provincia e Real Piazza di Napoli.

(3) Era formata dal Direttore del Ministero dell’Interno

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per tutti i reati contro la sicurezza interna dello stato, e l’interesse pubblico, commessi dal 1 Maggio, e durante lo stato di assedio, di rimettere i processi alle Autorità Ordinarie competenti a norma delle leggi di procedura penale; e con la facoltà di poter mettere in carcere le persone per misure preventive, e ritenervele per un periodo non maggiore di 15 giorni, dopo i quali dovrebbe rimetterle alle Autorità competenti per giudicarle (1).

Intanto fu disciolta la Camera dei Deputati 1.° perché si era rilevato da documenti autentici, che nel disastroso giorno gli eletti a far parte della Camera dei Deputati raunavansi indossando il carattere di Assemblea unica rappresentante della Nazione, scegliendosi un Presidente, procedendo a deliberazioni, creando un Comitato di Sicurezza Pubblica dal quale dovesse dipendere la Guardia Nazionale:

2. Perché non essendosi ancora prestato da quelli il giuramento voluto dalle leggi, l’assunto potere era di tanto più arbitrario, illegittimo, e sovversivo d’ogni principio d’ordine civile, in quanto esso traripava dalle attribuzioni di un Collegio meramente legislativo:

3. Perché da malvagi fini era unicamente suggerita una si turbolenta condotta, poiché la voce di moltissimi onesti Deputati non mancò di farsi udire per biasimarla come assurda ed illegale, quantunque ogni grido di ragione fosse stato soffocato dai clamorie da ogni genere di minaccia dal canto di coloro che avean risoluto di apportare una funesta mutazione nello Stato,

D. Gabriele Abatemarco, Presidente, dall’Avv. presso la Suprema Corte di Giustizia D. Stanislao Falcone, dal Cav. D. Ferdinando Paragallo, Procuratore Generale del Re presso la G. C. Civile di Napoli, e dai Commissarii di Polizia Farina e Silvestri.

(1) Decreto del 16 Maggio 1848.

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ed eccitare i disordini di una guerra civile

(1).

Frattanto le Milizie, passato il tempo della pugna, curarono di evitare il ladroneggio, al quale si eran mostrati corrivi taluni della popolaglia durante il combattimento; e di ricuperare ai legittimi padroni le perdute masserizie. Andavan rifrugando gli abituri, e trovatavi mobilia o altri oggetti furati, li faceano trasportare a Montoliveto, dove le persone, sotto guarentigia potean riprenderli.

Nel giorno 17 furono dischiusi parecchi caffè, e botteghe, le strade si andavan rattoppando, la popolazione circolava con maggior franchezza, gli affari riprendevano il loro corso; i prigionieri furon tutti liberati, ed in sul far della sera le milizie, suonato a raccolta, rientrarono nei quartieri, lasciando i luoghi in cui si eran rimaste fin dal momento della vittoria.

Il Maresciallo Labrano, Comandante la Piazza di Napoli, volse la mente a far tosto ripristinare l’ordine e la calma nella Città, e quindi disponeva. I pubblici spettacoli dover essere autorizzati da lui: le riunioni di popolo mai non potersi effettuire senza permesso dell’Autorità militare, in contrario si dissiperebbero con la forza (2): esser vietato agli editori, e tipografi di mettere a stampa giornaletti, o abissi fino alla pubblicazione degli opportuni regolamenti (3): i permessi d’arme cessare di aver vigore, coloro che li aveano dovessero presentarli una con le armi nella Prefettura di Polizia fra 4 giorni, e ne riscuoterebbero un ricevo (4): essere richiamate in pieno vigore le disposizioni penali della legge del 28 Settembre 1822 affinché tosto si consolidasse l’ordine pubblico.

(1) Decreto del 17 Maggio 1848.

(2) Ordine del 18 Maggio 1848.

(3) Ordine del 19 Maggio 1848.

(4) Ordine del 19 Maggio 48.

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A queste disposizioni varie altre ne seguirono con cui si venne man mano riordinando e rassicurando la disordinata e spaurita Città, delle quali io non parlerò si per vaghezza di brevità, e sì per non allontanarmi di molto dal mio principale proponimento.

Se non che, non potrò passare sotto silenzio un’ Atto del Governo per lo quale si menò tanto scalpore in Italia, e riguarda il richiamo delle milizie terrestri e navali spedite per la guerra di Lombardia.

Il Principe di Cariati, Ministro degli Affari Esteri, faceasi a scrivere al Conte di Rignon, Inviato di Sardegna, in questi sensi: non ignorare il Signor Conte i gravi avvenimenti cui tenne dietro la luttuosa catastrofe del 15 Maggio; esser chiaro in essi lo svolgimento continuato di un Partito, il quale dopa tentato di struggere ogni legame sociale, avea fatto l’estremo sforzo d’insanguinare, e mettere in ripentaglio una delle prime Capitali di Europa: il Beai Governo essere stato astretto per salvare la pubblica pace a raggranellare in Napoli il nerbo delle sue forze, sguarnendone quasi totalmente le provincie, nelle quali il disordine e la dissoluzione si erano portati tant’oltre che la proprietà, la sicurezza personale erano io vario modo offese: punto non valere a reprimer tanta iattura la sola forza morale delle non temute Autorità, le quali pertanto istantemente pressavano per lo invio di forze attive e numerose affin di ridare pace alla società, sicurtà alle persone, rispetto alle proprietà, tributi al Governo, esecuzione alle Leggi: per colmo aggiungersi la nemica Sicilia, la quale minaccia con tutta possa i domini continentali, insinua fraudolentemente nelle irrequiete Calabrie la cospirazione, e mira a calarvisi con le armi in pugno e far fondamento alla guerra civile: non essere ignote le tendenze del Partito, che il Real Governo ha curato indarno di blandire

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con concessioni sempre crescenti, forse pericolose ed imprudenti, e non per tanto respinte, sol che si ragguardi alle dottrine pubblicate, alle cospirazioni imbastite, alle dimostrazioni, alle intemperanze, all’aperta ribellione, la quale spenta ormai in guerra giusta nella Capitale, si ripiega nelle Provincie con le arti della seduzione, delle minacce, delle cospirazioni, e col ferro e col fuoco.

In tale stato dì cose, proseguiva il Principe di Cariati, esser manifesto, che al Governo di Sua Maestà corre il debito di menare le sue forze nelle provincie per garentirvi la pace, la proprietà, le persone; di correre il mare sia per guardare ben 700 miglia di costa su terraferma, sia per trasportare in un attimo le necessarie forze nelle maremmane provincie, più esposte delle altre, si pel soqquadro dei tempi, e sì per le insidie delle vicine sponde, sia per la guerra che rumoreggia nel faro, e per lo probabile svolgimento di una marina qualunque nei siculi porti; e in fine di apparecchiarsi forte e gagliardo in tutela e sostegno dei dritti suoi e del suo popolo: apparire quindi la necessità di aver presenti tutte le sue forze, e di richiamarle dai punti dove si erano per determinati disegni sospinte: agevolmente vedere il Governo di S. Maestà Sarda quanto le presenti fosser diverse dalle circostanze passate, allorché il Governo di Napoli si facea di tutto animo a spinger le sue schiere e le sue navi in sostegno dell’Italia superiore, e quanta necessità premesse pel tostano richiamo di quelle.

Egli, il Principe di Cariati, terminava, ammirare le generose gesta dell’Esercito Sardo, ma dolergli di osservare che al Napolitano Governo tornava impossibile imitarle; poiché posto a 600 miglia del Teatro della guerra con basi, e linee militari da prendersi in paesi indifendenti, senza piazza e senza appoggio di stipulazioni, l’esercito napolitano attrovarsi in circostanze molto diverse dal Piemontese: non esservi chi non vede,

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che un Corpo di Ar

Cuoceva pur troppo al Piemontese Governo vedersi trarre d’innanzi un sì valevole appoggio ai suoi preconcetti disegni, qual’era appunto il fiorente Corpo di Armata Napolitano; doleva pur troppo ai seguaci della Giovane Italia il vedere vicino a scrollare il preconcetto edilizio per la emancipazione del Napolitano Governo; funne menato infinito e grave scalpore, non parean bastevoli le parole e le penne a denigrare e maledire un Governo, il quale pressato dai propri casi, richiamava il proprio esercito per garentirsi dalle gravi catastrofi, che in più parti del suo regno minacciavano. Più regolare sarebbe stato, che gl’Innovatori avesser volta la penna e il ferro contro di loro stessi, perché non paghi giammai delle reali concessioni, portarono i pensieri a disegni ed attentati, nella cui collisione era certo che tutto l’edilìzio andasse in rottami.

Intanto correvano gli ordini pel rimpatrio delle milizie; ma prima che io racconti tutto ciò che a tal riguardo intervenne, fa luogo qui narrare in succinto le imprese, gli avvenimenti, e le sorti dell’Esercito e della Flotta nel periodo guerriero da essi corso in Italia.

Gli Alemanni (1) dopo le memorande giornate di Milanoabbandonata questa Città, si erano rannodati

(1) Viglia. Il Decimo di Linea napolitano nella guerra ecc.

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nelle piazze di Mantova e Peschiera che stanno sul Mincio, ed in quelle di Verona e Legnago che sono sull’Adige. Il lago di Garda, in cui si specchiano le gole del Tiralo Italiano, dà origine al Mincio, partendolo in tre rami, dei quali uno traversa il centro della piazza di Peschiera, e gli altri due, scorrendo a destra ed a manca della cinta, completamente la ricingono. Fuori lo spallo il Mincio rauna i suoi sparti rami, solca i campi Lombardi, e pervenuto a Goito li divide in due, e poi li riunisce a Mantova, allargando le sue acque in un Lago che lambisce quei forti e celebrati baluardi, per ultimo prosegue il suo cammino, e va a spegnersi nel Po, vicin di Governolo.

Copiosissime acque fra strette rive fanno del Mincio un fiume rapidissimo, minaccioso, ed in pochi punti guadabile. A Solionzo, a Monzabano, Borghetto e Goito quattro ponti gli s’inarcan sopra, dei quali i primi tre di legno, e l’altro di fabbrica.

Punto non era sperabile che i Tedeschi uscissero in campo dalle mentovate piazze; sì perché avrebbero mutata in dubbiosa vittoria la presente sicurtà, e sì perché troppo lacerato era l’Imperio, troppo divise le sue forze. Quindi alle italiche armi caleva occupare la linea del Mincio, recandosi nel possesso di Peschiera e di Mantova, ed indi fare lo stesso dell’Adige e delle sue fortezze. Daltronde l’armata italiana avendo una ristretta base di operazioni fondamentali, era necessitata a spingersi avanti con cautela, perché non le fossero rammezzati il ritorno e le comunicazioni con Milano e Torino, fonti precipui di sua sussistenza.

La mantovana piazza messa a cavaliere sul Mincio, presenta a chi la possiede il sommo vantaggio di manovrare a suo libito sull’una o sull’altra sponda; mentre che il nemico se rannoda le sue forzo in una parte lascia sguernita l’altra, e se vuol dominarle amendue delove dividersi,

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e quindi indebolirsi, ed esporsi ad essere battuto separatamente; ovvero esser provveduto di due gagliarde armate, che sulle due rive campeggino. Fra le porte che danno ingresso alla fortezza sono da ricordare principalmente quella di Pradella che mena alla riva destra, e l’altra di 5. Giorgio che accenna alla stanca. Fronteggiano la prima le posizioni di Grazie, Cariatone, Montanara, B S. Silvestro, la di cui occupazione porta il blocco a metà, dappoiché per porta S. Giorgio si può aver libera comunicazione con la Venezia e con Verona. Il possesso dell’Isola della Scala toglierebbe compiutamente il commercio di queste due piazze.

Su tali luoghi andavansi a compiere le fasi della guerra italiana. Re Carlo Alberto già fin dal cadere di Marzo, lasciato il Real Seggio di Torino, erasi calato nei campi lombardi con 30 mila soldati, e 40 bocche da fuoco ai cenni del General Sonnanz, e varcato il Ticino si spingeva sopra Milano, e per Cremona e Brescia, dopo occupato Goito, si sprolungava sulla linea del Mincio, accennando con la dritta a Mantova, e con la sinistra a Peschiera.

Il Tenente Generale Ferrari con una divisione toscana di circa 5 mila combattenti, fra volontari e soldati, occupava Bozzolo nel Mantovano, ed a lui dovea congiungersi il 10° di Linea napoletano, il cui 1.° battaglione agli ordini del Colonnello Rodriguez, sbarcato in Livorno, passato il confine toscano, attraversati i più alti Appennini, toccato il modanese, si divallò nelle pianure di Lombardia, e pervenuto alle rive del Pò in Brescello, sur un ponte volante passò all’altra sponda, dove già era il teatro della guerra, e mandava ad effetto la cennata congiunzione.

Rimase il battaglione napolitano in Bozzolo, indi, varcato l’Oglio, occupava Marcaria, e poscia Ospetaletto, e dopo il villaggio delle Crocette, e finalmente nell’

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Posizione interessantissima; poiché non era chi non vedesse, che occupato quel ponte dal nemico, tutta la linea del Mincio, in cui poco strategicamente rimaneasi l’armata piemontese, sarebbe presa di rovescio, e si metterebbero in periglio tutte le comunicazioni dei Piemontesi con la base. Quindi il Battaglione Napolitano, compresa tutta la importanza di quella posizione, si tenea in una perenne vigilanza, visitando accuratamente tutti i luoghi vicini, scandagliando i punti guadabili del fiume, alzando parapetti, tagliando o barricando strade, abbattendo alberi, e provvedendo in mille altri modi alla sicurezza del luogo, per compensare con l’arte il poco numero degli armati.

Guari non andò ed il secondo battaglione del 10.° di Linea, tenendo lo stesso cammino, prese le stanze in S. Silvestro, dove successo ai 3 Maggio il primo fatto d’armi; imperciocché uscito un nervo di Tedeschi da Mantova ingaggiava la pugna con gli avamposti livornesi e napolitani, i quali respinsero il nemico fin sotto i baluardi mantovani, che già tuonavano per proteggerne la ritirata.

Il giorno appresso tornavano al combattimento gli Austriaci, ma più grossi e provveduti del precedente, perché forti di 3 mila uomini con due pezzi di artiglieria ed alquanta cavalleria, situati in colonna sulla strada maestra. Gli avamposti livornesi, sebbene rinforzati dal loro battaglione, dopo valida difesa ripiegarono in ritirata.

Allora i Napolitani, spiegatisi in parte in ordine aperto, e in parte con soldati toscani formati incolonna, si spingevano arditamente innanzi., cercando di avviluppare il nemico, e nel mentre che erano per cogliere il frutto della coraggiosa ed abil manovra, un inganno lo disperse; poiché la colonna tedesca, non vedendo in altro modo salute, poste le armi al riposo, mandava innanzi un Uffiziale sventolando una bandiera tricolare, e gridando in buono italiano viva l’Italiaviva Pio IX.

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A tal mostra, e a tali accenti fu di credere il Comandante, che quella colonna si componesse d’Italiani cupidi di abbandonare le tedesche insegne, e venirsene alle italiane, epperò fece battere in ritirata, e rompere il corso alla gloriosa azione.

Ben presto però successo il disinganno; poiché gli Austriaci, nell’atto istesso della pacifica ritirata, tirarono a scheggia, fecer fuoco di strada per plotone, e si renderono incontanente sotto le mura della fortezza, apportando nove morti, e varie ferite. Il giorno 5 la colonna di S. Silvestro volse il passo alle Grazie, dove già era rannodata la divisione toscana.

Intanto il Battaglione di presidio alla testa del ponte di Goito seppe, che una colonna di ben due mila Tedeschi, uscita di Mantova erasi portata nel villaggio vicino a Marmirolo, minacciando quella posizione. 1 Napolitani spediti tostani avvisi al Quartier Generale Piemontese, ed alla divisione toscana, delle mosse e dei disegni del nemico, ed avuta risposta che non era possibile mandar loro alcun soccorso, si disposero a difender sino all’ultimo sangue il posto ad essi confidato, ed avuto sentore che il nemico si appressava corser tosto all’armi. Nel dì vegnente, conosciuto che altri Tedeschi da Mantova, si eran portati a ingrossare la colonna di Marmirolo, instavano fortemente al Campo Toscano, perché fosser confortati da qualche rinforzo, e per tal modo fu mandato il 2.° Battaglione, che durante la notte si postò alle spallo della posizione.

L’inimico non ardi spingersi alla pugna, e i nostri pensarono di eseguire una gagliarda riconoscenza. In fatti quattro compagnie si avanzarono arditamente fin presso a Marmirolo, e creduta avanguardia, i Tedeschi senza frapporre indugio si ritirarono a Mantova, lasciando i viveri che si stavan preparando. Le ardimentose compagnie, en

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Il General Ferrari, avuta contezza che la guarnigione di Mantova era stata ingrossata di 14 mila uomini, venne nel pensiero di abbandonare la posizione delle Grazie, e trasferire il suo Quartier Generale a Goito, ma eseguito il proponimento nel giorno 10 Maggio, e conosciuta nella dimane la falsità della notizia, si volse al riconquisto dell’abbandonata posizione. Sì che spediva cinque battaglioni, fra quali uno del 10.° di Linea, per una ricognizione a Castelluccio, quivi giunti senza ostacolo si passò alle Grazie con due battaglioni toscani, i quali, soccorsi e sostenuti dai Napolitani, ben volentieri misero in rotta il nemico, che lasciò sul campo non pochi morti o feriti, e ritornarono al possesso delle Grazie.

Nella vegnente notte il Maggior Generale Conte de Leuzier, rioccupò di quieto Montanara con una colonna la cui avanguardia era formata da un battaglione napoletano. Nel giorno 12 l’armata italiana avea già riconquistate tutte le antiche posizioni, e stabilì tre campi il primo col Quartiere Generale alle Grazie, il secondo in Curtatone, e ‘I terzo a Montanara, dove nel giorno appresso succedeva un fatto d’Armi. Il campo di Montanara sì componeva di due battaglioni toscani di Linea, due altri di volontari, quattro Compagnie Napolitane, cinque pezzi di campagna ed un plotone di Cavalleria toscana, in tutto due mila uomini ai cenni del Generale Conte de Laugier.

Intorno al mezzodì furono attaccati gli avamposti, od il Generale ordinò, che due pezzi fossero collocati sulla strada maestra dietro un trinceramento, con due battaglioni volontari a dritta e a manca sprolungati alla cacciatori dietro un lungo parapetto, ciascuno dei quali aveva in sostegno un battaglione toscano in colonna in massa dietro il centro, tre compagnie napolitane stavano alla sinistra

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che accenna a Curtatone, affin di mantenere la comunicazione fra i due campi di Montanara e Curtatone: il plotone di cavalleria era mascherato dietro una casina alla, dritta dei napolitani.

Gli Alemanni con molta artiglieria e 4 mila uomini, assalirono di fronte il campo, e spedirono tre battaglioni, girando per la loro dritta a fine di molestare la sinistra della posizione italiana. In questo le tre compagnie napolitane e due toscane si spinsero per una stradetta ascosa nei campi, per colpire l’ala destra nemica. La compagnia dei Cacciatori Napolitani occupò a passo di carica una Casina militarmente tenuta dai Tedeschi, i quali pressati alla bajonetta l’abbandonarono più che di fretta. Simile sorte ebbero gli assalti tedeschi contro di una Casina vicino a S. Silvestro guardata dai Napolitani, i quali non contenti di averli rincacciati più volte, con estremo valore se gli serraron sopra alla carica con la bajonettae li dispersero. Per tal modo si compieva il primo fatto di Montanara con la ritirata dei Tedeschi, rimanendo le posizioni in possesso degl’Italiani; ma più eclatante fu l’altro fatto avvenutovi ai 29 Maggio, del quale ora dirò.

Il Feld Maresciallo Radetzky, ricevuto ormai il tanto aspettato aiuto del Corpo d’Armata del Generale Nugoli, che si avanzava sopra Verona per le vie di Treviso e Vincenza, uscì il giorno 28 da Verona con circa 20 mila uomini e formidabile artiglieria, prestamente marciando di fianco, pose il campo sotto Mantova, minacciando l’estrema alla destra della Linea italiana, che era la più debole, come quella che si componea di circa sei mila fra Toscani e Napolitani, scompartiti nei tre campi di Montanara, Curtatone e delle Grazie.

Il Maresciallo spinse una gagliarda divisione fin presso al tiro del cannone di Montanara, e poco stante avvic

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Nello stesso tempo fece occupare da un’altra colonna il Camposanto, ed una Casina,postandovi due cannoni.

Gl’Italiani, comandati dal prode Tenente Colonnello Giovannetti, al primo sentore nemico si eran messi in armi, e venuto il tempo della pugna, furore per furore rendevano. Quattro Compagnie Napolitane, spinte da somma audacia, assaltarono il Camposanto, affine di snidarne il nemico, ma la mole della colonna non gli consentì pieno risultamento, e solo infuriando con fuoco di fila, pervennero a contenerla, o a impedire che sboccasse sul fianco dritto. Si combatteva aspramente in ogni sito con pari coraggio, sebbene il numero dei Tedeschi fosse di molto Superiore.

Il Maresciallo Barone d’Aspre, recato in suo potere Curtatone, spingevasi nel fianco dritto di Montanara, e tagliata la comunicazione, e chiusa la ritirata da quel punto, mirava ad assiepare del tutto Montanara. In questo il Giovannetti ordinava il ritorno per la via di Castelluccio, facendo disporre la truppa in colonna, e mettendo le Compagnie Napolitane in dietroguardia per garentire la ritirata. Ma uscito appena dal paese si vide in un tristo caso; poiché un’altra colonna tedesca avea preso posizione alle spalle, postando quattro cannoni sulla strada e due reggimenti di Cavalleria Ulani, ed Ussari. Il prode Giovannetti, vedutosi compiutamente circondato, gridò a me i Napolitani, e tosto gittatosi nei Campi, si spinse innanzi onde sfondare la linea nemica, e dischiudere un varco di salute a viva forza.

Le Napolitane Compagnie si fecero coraggiosamente innanzi, ed in mezzo al turbine dei tiri a scheggia, e della moschetteria, tutte lacere e sanguinose sfondarono la linea tedesca, e da quella insidia militare trassero buona parte degl’Italiani; ma non tutti perché molti vi restaro

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ne lasciarono sul campo 104; né diversamente dovea succedere in un combattimento in cui 6 mila Toscano-Napolitani propugnarono una mole di ben 20 mila Tedeschi. Fu molto per essi lo aver tenuto il campo per ben sei ore in mezzo a ferale tempesta, fu assaissimo pei Napolitani di avere sfondato le poderose linee nemiche; salvando così buona parte di quella truppa, che sarebbe stata tutta prigioniera, e portando vittoriosa la borbonica bandiera, la quale, segno di ammirazione, sventolava per le vie di Castelluccio e Spedaletto.

L’avanzo di Montanara passato il ponte in Marcheria si ritraeva di là dall’Oglio, mettendo a guardia del ponte il prode drappello napolitano. Nella dimane si presero le stanze in Bossolo, donde dopo la battaglia di Goito, si portarono in Brescia, ove si era rannodata tutta la truppa toscana.

Mentre gli accennati Napolitani gli accennati fatti compievano, altri Napolitani per altri fatti valorosi compiuti in Goito degni di laude si rendevano. Il 30 Maggio succedeva la battaglia di Goito, la quale sarebbe stata vinta per gli Alemanni, ove il Feld Maresciallo Radetzky avesse spinto i suoi su quel punto o in sull’imbrunire di quel giorno, o in sul nascer del venturo. Ma il ritardo, ch’è mai sempre funesto in guerra, fece abilità a Re Carlo Alberto di raccogliere intorno a Goito tutto intiero il primo Corpo d’armata piemontese, una innumerevole artiglieria, e quattro reggimenti di Cavalleria.

Il 1.° Battaglione Napolitano, comandato dal Maggiore Viglia, sotto gli ordini del proprio Colonnello Cav. Rodriguez, stava a guardia ed a tutela dell’interessantissima posizione della Testa di ponte in questo modo. Tre compagnie sul parapetto di essa con un’altra di sostegno: un’ altra era postata dietro un muro di giardino crivellato di feritoie

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e guardava alla linea del fiume verso il molino: un’altra occupante due case alle spalle del ponte, e le rimanenti tre alla sinistra della linea di battaglia piemontese, e particolarmente sprolungantisi nella riva destra del fiume.

Alle 3. p. m. gli Austriaci si faceano all’assalto del ponte, e i napolitani prevenendoli si spinsero avanti, e dopo furiosa pugna gli sloggiarono da una Casina gagliardamente occupata. Si proseguiva nel combattimento, dei nostri taluni battevano di fronte, altri costeggiando il fiume facevano di girare la dritta nemica: pervenuti ad un punto in cui il terreno si solleva in rialto ristettero, poiché dagli esploratori si era saputo, che sul culmine di quello molta truppa nemica era in agguato: in questo i Tedeschi si avanzarono a passo di carica; ma i nostri confortati da un’altra Compagnia napolitana, e da un Battaglione Piemontese, li contennero furiosamente, epperò schivando l’ala dritta, rannodaron quelli tutto il loro sforzo sulla sinistra, ai danni del nerbo della Truppa Piemontese, la quale alla sua volta sfolgorando opportunamente con le artiglierie gli apportò danni e disordini, astringendoli alla ritirata, in cui furono inseguiti da un reggimento di Cavalleria Piemontese fin presso al Villaggio di Rivalta.

Così fu guadagnata la battaglia di Goito, commessa il 30 Maggio, durata dalle 3 alle 7 e mezzo p. m. nella quale si distinsero grandemente i soldati del 10 di Linea napoletano.

Qui finivano le gesta di quella nobil parte dell’Esercito Napolitano; poiché in quel punto arrivava l’ordine del rimpatrio del quale ora dirò.

Nella notte del 16 al 17 Maggio partivan per Bologna, Quartier Generale dei Napolitani, il Brigadiere Scala, ed il Capitano de Angelis dello Stato Maggiore, latori degli ordini, che prescrivevano il tostano rimpatrio

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la rimozione del General Pepe, ove fosse repugnante, e l’assunzione del Generale Statella al Comando Supremo.

Il primo Generalericevuti appena gli ordini, mosso da particolari fini, rassegnava il Comando nelle mani dell’altro, il quale issofatto diramò gli ordini opportuni in tutti i ponti dure le milizie si attrovavano.

Intanto divolgati in Bologna i proponimenti, e le date disposizioni, vi nascea un incredibile sdegno contro il napolitano Governo. Parole, villanie, intemperanze a più non posso; tutta Bologna ne andava a rumore. Per la qual cosa persuasero facilmente il General Pepe, che per carità della Terra comune dovesse riprender le redini dell’Esercito, e tosto spingerlo là dove gl’itali fati si andavano a compiere. Volentieri il Pepe poco stante facea il desiderio dei Bolognesi, il quale era Certamente anche il suo, e si rimettea nell’or ora ceduto posto. Intanto il Generale Statella, perché si era calato alla obbedienza, che in milizia è il primo e principal pregio, venne in punta delle ire bolognesi, veduta la freddezza con cui il suo Collega tratta vaio, e volendo obbedire ai regi ordini, elasso qualche giorno, si partiva da Bologna per a Livorno, ed indi a Napoli.

L’operato dal General Pepe fu in mille modi festeggiato. L’accalcato popolo rendevagli centuplicati evviva; la Guardia Nazionale defilava sotto al palazzo ove stanzia va; una larga illuminazione tanto tripudio per tutta la notte rischiarò.

Frattanto la Truppa napolitana, conosciuto il fatto, e vedutovi un abuso del loro Duce Supremo, apertamente dichiarava; non volere disobbedire alla volontà del Re. Per la qual cosa il General Pepe da un lato spinto dalle istanze dei Comitati di Guerra di Venezia, Rovigo, e Padova, che invocavano aiuto, e temendo dall’altro che nulla concluderebbe ove si desse luogo alle riflessioni col

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Brigadiere Klein, successo nel Comando della 2. divisione al brigadiere Nicoletti, ricevuto l’Ordine del Giorno, e varie altre istruzioni, e conoscendo che tutto era in opposizione ai comandi del Re, congregava in consiglio i Capi dei Corpi, e discusso tanto affare, si fece ad emettere un Ordine del Giorno, nel quale questi sensi andava sponendo.

Conoscer tutti lo scopo che fuora dal proprio regno tanti prodi e valorosi soldati avea spinti, i quali in nobil gara fervevano; ammirabile esser tanta generosità, ma più ammirabile la disciplina cotanto necessaria in milizia, ed elogiata cotanto, e dovunque nelle sue schiere; a questa far egli al presente formalo appello, perché ciascuno

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nulla curando le insidiose parole del General Pepe, il quale, messosi in aperta ribellione col Governo nostro, e fattosi strumento degl’Innovatori di Bologna, punto non meritava né fiducia, né obbedienza di chicchessia: il Re pressato dai casi del proprio Stato richiamare il suo Esercito, e l’Esercito doversi rendere al suo Re. Nissuno osasse di appartarsi dalle proprie bandiere e dal suo posto, e tutti ai presenti ordini ciecamente obbedissero: i renitenti come disertori al nemico si riterrebbero. Infine date opportune disposizioni e provvidenze pel ritorno, ed obbedito pienamente in tutto, statuiva per la dimane il suo Quartier Generale in Cento, ove radunava le sue schiere, ed al proposto fine si accingevano, seguendo l’esempio della 1. Divisione giunta a Ferrara, la quale, conosciuti i casi del 15 Maggio, si struggeva del desiderio di rimpatriare per correre in aiuto della propria patria e delle proprie famiglie, e miselo ad effetto come ebbe contezza per mezzo del Generale Scala, degli ordini del Re….

Il General Pepe rimasto in tal forma disconcluso, si offriva a Carlo Alberto come semplice Volontario, ma invitato in Venezia ed in Ferrara, si facea a togliere il comando delle schiere rannodate in Venezia, e di quelle pontificie che campeggiavano sulla sinistra del Po.

L’esercito continuò la sua ritirata non senza opporre la propria virtù a lusinghe minacce, ed insidie che gli Agitatori ad ogni pie sospinto tentavano. Intorno alla metà di Giugno rientravano in Giulianova le partite schiere.

Medesimamente era richiamata la flotta, intorno alla quale dobbiamo alquanto intrattenerci. La napolitana flotta ai cenni del prode Barone de Casa, valicato il turbolento Faro, nelle adriatiche acque ingolfava, dirigendosi a Pescara affine di sbarcarvi le truppe; ma consentito, sì come si è altrove accennato, il passaggio dei napolitani

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che lo sbarco si facesse in Ancona, sì che si prese l’abrivo per le anconitane acque, e tra il confine di Aprile e i principi di Maggio le napolitane schiere metteano il piè in quella città fra incredibile tripudio.

In questo l’ammirevole Venezia era stretta da blocco dall’austriaca flotta, la quale noverava 3 fregate, 5 brik, 2 corvette, ed un vapore, per la qual cosa una deputazione veneziana confortata da quei di Ancona, facea premura appo il Napolitano Duce, affinché avesse spinto le sue prue per la liberazione della bloccata città. Il Barone de Cosa, avutane licenza da Napoli, preparato a battaglia, si menava innanzi verso Venezia, quando l’austriaco naviglio, benché più forte del napolitano, sì scostava da quel luogo, abbrivando per a Trieste, dove gittò le ancore.

Resa a tal modo libera Venezia sorgevavi un’indicibile tripudio, poiché finirono la stremiti dei viveri, e tutte le altre noje che i blocchi sogliono arrecare: i napolitani vi erano portati a cielo, la compiuta impresa, ed il fraterno amore molto commendati.

Intanto le austriache vele uscirono dal porto forse col disegno di attaccare la napolitana flotta; epperò il Barone de Cosa si spinse coi vapori all’incontro del nemico, e poco poscia mandava a rimorchiare le fregate a vela, ed ove la notte fosse ritardata a sopraggiungere un combattimento navale sarebbe per certo avvenuto. Gli austriaci bastimenti però rientravano nel triestino porto.

In frattanto una flotta Sarda agli ordini del RetroAmmiraglio Albini, composta di 3 fregate, 1 corvetta, 2 brik, ed un vapore, giungeva nelle adriatiche onde, ed univasi alla napolitana, ed alla flottiglia veneziana, comandata dal Capitan di Vascello Bua, epperò fecesi delle tre flotte una squadra di meglio che venti legni, la quale solcava quelle acque a tutela delle italiane sponde.

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Si tese un blocco a Trieste, nel di cui porto l’austriaca flotta era rincantucciata; più volte tirarono i triestini forti ma senza danno alcuno. Si attendeva a questa bisogna quando arrivava in quelle acque il General Cavalcanti, messaggiero degli ordini del ritorno, epperò dopo alquanti giorni la flotta rientrava prima nel porto di Brindisi, e poi nella reggiana spiaggia si ancorava.

A tal modo il Governo, rannodate le proprie forze nel proprio regno, voltava l’animo più francamente ed ordinare la pubblica cosa, e a spegnere le ribellioni, che in vari punti, e precise nelle Calabrie sommamente minacciavano.

continua

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