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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (III)

Posted by on Lug 19, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (III)

CAPITOLO II.

RIORDINAMENTO DELLE CALABRIE.

Sommario

Si appressa il termine del calabrese rivolgimento, e perché. I Generali Busacca, I.anza, e Nunziante arrivano in vario tempo, in varii luoghi, e con varie schiere in Calabria. Proclami del General Nunziante, e risposta dei liberali. Tornate indarno le trattative di pace, si viene Silo sperimento delle armi. 11 General Busacca tenta il campo di Spezzano-Albanese, e tosto si riduce nella minacciata Castrovillari.

Combattimenti attorno a questa città. Pensieri di Busacca, perché non eseguiti. Il Generale Lanza scaccia gl’insorti dalla valle di S. Martino, e da Campotenese; poscia si congiunge col General Busacca. Accuse ed ire scambievoli fra i Capi dei liberali per le toccate disfatte. Ribotti riferisce al siciliano ministero la stremiti dei casi, e chiede ritirarsi. Inutili industrie per soffermare le mine della rivolta. Il Comitato abbandona il suo seggio di Cosenza. Le milizia tolgono le stanze in questa città. Il Generale Nunziante spinge le sue schiere contro i ribelli. Fiero combattimento in Campolongo. Casi miserandi di Filadelfia e del Pizzo. Altre operazioni del Generale Nunziante. Ribotti fugge coi suoi per Corfù. Il Vapore Io Stromboli va in caccia dei fuggitivi, e li cattura. Estreme venture dei Capi del calabrese rivolgimento. Ultimi tentativi di rivolta.

Volgeva al suo fine il calabrese rivolgimento; imperciocché non era chi non vedesse, che poco fondamento poteasi fare in quei rumori, e in quegli sforzi; mentre è ormai conosciuto, che un pugno di organizzate milizie, coi loro calcolati e regolari urti valgono a sgarare gl’incomposti e disordinati impeti delle masse, eziandio numerosissime; daltronde, sì come ho più innanzi accennato, la rivoluzione era imposta alla piupparte

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dei Calabresi colla forza e col terrore, epperò, non nascendo da sentimenti generosi, tanto dovea durare 1’effetto, quanto la causa durava. Inoltre non essendovi alcun patto, non alcun giuramento, che ligasse quella gente raccogliticcia,

In mezzo a questo stato morale erano giunte le regie milizie da Napoli, e cominciate le operazioni per lo spegnimento della rivolta.

Una colonna guidata dal General Busacca (1) sopra tre vapori, sbarcava in Sapri ai 10 Giugno, e serenava su quella spiaggia. Quindi, ripreso il movimento, per quei rotti ed aspri sentieri, si portava a Rivello, poscia a Lauria, a Castelluccio superiore ed inferiore, a Rotonda: al 15 Giugno, appressatasi già nel luogo delle insidie e del fermento, procedea riguardosa, epperò riconoscea dappprìma, e poi occupava la valle di S. Martino e Campotanese, dove già si cominciavano a mostrare le deputazioni palesatici di devozione verso il Re, e di desìo di quiete; si divallava a Morano, e infine occupava Castrovillari, circondandola di numerosi avamposti; poiché gl’insorti avean bandito: l’estenuino su quella città ove non si opponesse alle sopravvegnenti truppe. In tanto veniva al General Busacca ai 18 Giugno l’annunzio ufficiale

(1) Si componeva di un battaglione del 2. di linea, quattro compagnie del 4. altrettante del 13 il 8. cacciatori, una sezione di artiglieria di montagna.

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della partenza del Generale Lanza da Napoli, e l’ordine di ritorcere il cammino per attenderlo in Campotenese; ma conosciuto che ormai quella posizione era stata occupata dai calabresi, si continuò la dimora in Castrovillari, intorno a cui le concitate turbe fremeano, o minacciavano.

Allo stesso fine l’altra colonna capitanata dal Generale Lanza (1) muovevasi a grandi giornate alla volta delle turbate regioni per congiungersi con quella del General Busacca; e poiché fenomeni di concitamenti apparivano per le provincie da traversare, procedea sempre accorta e riguardosa, e intorno al cadere di Giugno si avvicinava a minacciosi luoghi.

Una terza colonna, composta di tre mila combattenti, ai cenni del General Nunziante disbarcava al Pizzo, e posava il Quartier Generale in Monteleone.

Dalle quali mosse e posizioni delle reali milizie bene appariva, che le sollevate masse venivano manmano ad essere costrette e urtate; poiché i Generali Lanza e Nunziante da punti opposti accennavano a Cosenza, nodo della rivolta, ed il General Busacca, benché ricinto all’intorno dalle ribollenti turbe, era pronto ad accorrere dove meglio la bisogna ce scadesse. D’altronde se le squadre unite avrebbero potuto in alcun modo nutrire alcuna speme, divise, e minacciate da tre parti diverse, dovean senza fallo andare in rotta. Infine i movimenti dei Napolitani Duci eran diretti ad una congiunzione fra loro, la quale sarebbe stata inespugnabile da qualunque forza, che non ordinata fosse.

Intanto i Generali pria di venire al funesto esperimento delle armi curavano di richiamare al retto sentiero le traviate menti con inviti, parole, promesse, e proclami, dei quali ultimi riferirò quelli del Nunziante, poiché gli

(1) Risaltava dal 1. battaglione cacciatori, da alcune Trazioni del 3., da 3 squadroni di carabinieri a cavallo, e da uno dei 3. dragoni, e da due pezzi di campagna.

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sì rannodano lo parole dei sollevati, le quali palesano di essi il desio, e le tendenze. Adunque così andava dicendo il Generale.

» Cittadini – Una colonna mobile di operazioni, composta di truppe nazionali sotto il mio comando, giungo nelle Calabrie d’ordine del Re e del governo per mostrarsi ove sarà d’uopo. 11 suo scopo è di rassicurare gli animi de’ buoni e pacifici abitanti, di raffermare e coadiuvare il potere delle autorità civili, e per la esecuzione delle leggi. Non porgete orecchio alle false voci allarmantialle suggestioni pericolose di mal intenzionati, né prestate fede alle mostruose menzogne che di concerto spargono certi giornali frivoli e sovvertitori sugli avvenimenti ultimi della capitale, e sullo stato attuale delle cose. La Dio mercé tutto è rientrato nell’ordine e nella calma: le prave intenzioni de’ tristi furono deluse, i loro tentativi abbattuti: la mano della Provvidenza salvando la capitale dai disordine e dall’anarchia, salvò il regno intero. Possa essa far rientrare in se stessi tutti i traviati se ancor ve ne sono, ove non sia stato sufficiente a farlo il magnanimo procedere del Sovrano, che per le illegalità commesse e tentate, ritrar potea quanto avea concesso, nel momento in cui per forza delle armi il buon ordine era ristabilito».

» lo renderò pronto ed esatto conto al Re ed al governo de’ risultati della mia missione, paratamente encomiando que’ paesi, i cui abitanti, e sopratutto la guardia nazionale si saran mostrati benevoli alla truppa, e d’accordo con essa sostenitori dell’ordine e della legge. I soldati, credetelo, bramano mostrarsi a voi veri fratelli, e uniti alla maggioranza, che è per certo de’ buoni e leali, mantenere il giuramento dato al Re ed alla costituzione; e quando si trovassero oppositori a sì retti sentimenti, tenete per fermo che useranno della forza solo per farsi rispettare e per guarentire l’ordine pubblico».

» Calabresi! Nelle vostre Provincie taluni scaltri se

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Alle quali parole del Generale i novatori punto non si tirarono in dietro dai loro disegni; ma via maggiormente vi s’incamminavano, e nel seguente modo a lui rispondevano.

» Signor Generale.»

» Dopo i tremendi fatti avveratisi in Napoli nella metà dello spirato maggio, non era punto a sorprendersi il vedere una colonna mobile di truppe nazionali sbarcare sul nostro Calabro suolo. Quel che sorprende si è il vedersi annunciare, che questa truppa nazionale comandata

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» Signor generale, bando una volta alle inutile ciance, ed alle vane promesse: fiori seducenti che nascondono l’aspide infido, il suo potente veleno: ora si presta fede ai fatti, non alle vuote parole. Fra noi lo statuto costituzionale per conservarsi non è d’uopo della punta delle baionette, o della bocca de’ cannoni; questo apparato di guerra mal si addice ad una missione di pace, e i fratellevoli sentimenti che si sforza a voler esprimere la di lei proclamazione de’ 7 stante mese, non troppo bene possono essere ascoltati tra il frastuono delle trombe e de’ tamburi soldateschi.»

» Dolorosa esperienza ci addottrinò a qual meta conducono mezzi siffatti: il 15 maggio fu una scuola di sangue ma in pari tempo una scuola che svolse ogni ambage, e svelò ogni mistero.»

» Ella conosce quei fatti che a noi non sono punto ignoti: inutile è quindi tenerne proposito. Inutile però non è signor generale, che ella ed il mondo tutto sappia aver noi imbrandite le armi a sostegno delle nostre libertà costituzionali violentemente attaccate, ed in massima parte distrutte, non già perché spinte da false voci allarmanti, da suggestioni pericolose de’ mali intenzionati, o da mostruose menzogne sparse da frivoli giornali; ma sibbene per aver veduto la sacra e rispettabile rappresentanza nazionale minacciata ne’ suoi membri, e disciolta col mezzo della forza brutale; per aver veduto il sangue cittadino sparso, e le proprietà cittadine saccheggiate, incendiate, distrutte da quelle mani medesime che avean giurato difenderle; per aver veduto pubblicamente premiati gli strumenti di tali opere nefande; per aver veduto infine, che questi stranienti stessi si preparavano a venire, ed ora son

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» ne’ petti calabresi non tacque, non tace, ne tacerà mai il sentimento di attaccamento alla franchigie costituzionali, all’ordine pubblico; questo non venne mai turbato nelle Calabrie, né a sostenere quelle vi à d’uopo di altre armi, che calabresi non siano. Se ella signor generale à veramente a cuore la tranquillità ed il benessere di questo suolo, ove par che si compiaccia aver passato la sua infanzia, senza formarsi a considerazioni personali, che or son coperte da un velo, ne à nelle mani facilissimo il mezzo. Ritorni la colonna mobile alle stanze d’onde mosse per qui: si assicuri il mantenimento della legge costituzionale de’ 10 febbraio corrente anno sulle basi dichiarate col programma del ministero Trova. Si richiami all’alte sue funzioni quella camera de’ deputati, in onta alle franchigie costituzionali, con tanta brutalità minacciata e sperperata.»

» Come ella ben vede, dritto e ragione sostengono si regolari domande: la legge del 10 febbraio fu accordata dal re, il programma Trova fu l’opra de’ suoi ministri, e la camera dei deputati fu eletta e convocossi in esecuzione di apposite disposizioni. Il rinvio immediato della colonna mobile, è l’unica guarentigia e l’unica piuova che ella potrà dare della sincerità delle sue intenzioni, della lealtà delle sue parole. Si allontanino le armi, e le armi cadranno in pari tempo dalle nostre mani. Ma fino a tanto che il soldato minaccioso calpesterà la nostra terra; fino a tanto che in guerresco apparato pretenderà di percorrerla; fino a tanto che si vorrà tenere il linguaggio dell’agnello, mostrando le zanne e le unghie del leone; le armi de’ calabresi ferme rimarranno nelle di loro mani, i loro pelli a prezzo della propria vita manterranno quo sacri dritti che solenni giuramenti li guarentiscono; la forza si respingerà colla forza, il sangue si pa

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Il General Nunziante, non pago del primo proclama, un altro ne facea nel modo seguente, sperando che si schivasse la funesta pruova delle armi.

» Cittadini.»

» I fatti àn reso evidente la lealtà di quanto io vi esprimeva col mio proclama del 7 di questo mese. Ma con dolore veggo che l’audacia de’ pochi tristi si spinge sempreppiù ad azioni deplorabili, ed aumentano con avventurate minacce la perplessità di tutti i buoni.»

» Prima di usar la forza, come il dovere mi delta, alzerò di nuovo la voce, non rispondendo al certo a ciò che si è scritto in Cosenza, dove si dovrebbe comprendere, che di tutte le monotonie la più nauseosa è quella di ripetere con sempre fresca impudenza le più assurdo calunnie; né potrò sperare che tre o quattro, che falsamente credono non poter per i loro delitti contare su l’inesauribile clemenza del Re (N. S.) mettan senno.»

» Ma è fiducia che si ravvedan tutti gli altri che o per momentaneo predominio di passione, e passaggiero ottenebramento d’intelligenza, o per mire private, ripetono la menzogna di esser lesa quella costituzione, alla quale essi si stanno con tutt’i modi opponendo.»

» La libertà non può sussistere senza la ragione. La follia e la libertà non si trovano mai insieme. Comandante di truppe nazionali per sostenere la costituzione che abbiamo giurata, io non posso, né debbo al certo entrare in discussione su i futili pretesti con i quali i rivoltosi cercano ricovrire le loro inconcepibili azioni. Ma solo pregherò dirmi con quanta buona fede si è stampato in Catanzaro che si allontanino le armi, e le armi cadranno dalle loro mani? Come se prima di venire la truppa, non solo non si fosse procurato colà di emanciparsi in tutto dal governo costituzionale, e usando le maggiori minacce, non si fosse mandato (inutilmente per altro nella maggior parte)

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eccitando i paesi alla rivolta, e non si fosse col fatto riunita, adoprando il terrore, molta gente per sostenersi colle armi.»

» Per quanto si aggiunge che io usi il linguaggio dell’agnello mostrando le zanne del Icone, è ben chiaro che il real governo è forte, assai forte, ed à dovere di essere eminentemente forte; e prima di dimostrarlo io con fatti a’ rivoltosi, possan le replicate mie premure, e i miei voti esser da loro sentiti, col rientrare senza ulteriore ritardo nell’ordine, e per godere della giurata costituzione.»

Questa seconda proclamazione sortì il medesimo risultamento della prima, e forse servì a far credere ai sollevati, che muovesse da debolezza o scuoramento, quandoché da sentimenti nobili, filantropici e generosi derivava; per la qual cosa convenne venire al duro sperimento delle armi; e le armi dal vallo di S. Martino fino all’Angitola risuonarono.

Il General Busacca fu esposto ai primi furori della incomposta guerra. Intorno a Castrovillari, ove egli sì era posato e si tenea guardingo, aggiravansi frementi i calabro-siculi. Il Generale per cominciare a distrigarsi dalle imbastite insidie, dopo aver profittato delle spie, venne nel pensiero di tentare il campo di SpezzanoAlbanese, e se occorresse assalirlo, epperò ai 21 di Giugno si muovevano da Castrovillari pel designato luogo il 5.° Battaglione Cacciatori, ed il 13.° di linea, con un cannone da 4.°, e nell’alba del vegnente dì ingaggiavano la pugna, nella quale con furore da amendue le parti si durò per circa due ore, ed in quella che i sollevati faceano dì circondare le milizie, queste rientravano in Castrovillari, con alquanti feriti, e menomate di 10 prigionieri.

Si mostrarono nel giorno gli armati intorno alla minacciata città; ma poi si dileguarono, riprendendo le antiche posizioni. Intanto quella fazione mise animo allo inacerbite squadre,

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scuoramento negli abitanti di Castrovillari; sì che quelle ad imboscate, ed attacchi ardimentosi, e questi alla propria salute intendevan gli animi. Il Sottointendente, il Sindaco, il Capo della Guardia Nazionale, e molti proprietari svignavano dalla città, su cui eran diretti i furori della guerra. Dichiarossi pertanto lo stato di assedio; fu imposta una tassa ai proprietari in conto dei pubblici balzelli, si declinavano tutte le difficoltà per la somministrazione dei commestibili, si raddoppiavano le scolte, si faceano perlustrazione, infine ogni cosa si adoperava, la quale potesse contribuire alla comune sicurezza.

Intanto le ribollenti squadre tutto all’intorno nei monti fornicavano, e nella metà del 26 di quel mese si appressarono a Castrovillari. Il Generale Busacca facea rinforzare gli avamposti, distendea cordoni di cacciatori, e spinge tutta la sua colonna fuori la città. Venner quelle all’attacco, tuonavano coi loro cannoni, infuriavan colla fucileria, le percosse milizie ogni furore con furore riscontravano; quando tutto il cordone dei cacciatori con un cambiamento di fronte a dritta negli Oliveti rincacciava il nemico il quale più che di fretta si riparò nei vicini monti, mentre il Capitano Greneteon due Compagnie si spinse di tratto nella consolare verso Morano per attaccarne l’ala dritta, e impedirne il passo verso Campotenese, e nel proposto scopo riusciva.

Finì il combattere con ferite, e morti scambievoli, assai più numerose da parte dei sollevati, perché le truppe si fecero schermo degli alberi, agendo per lo più in ordine aperto. I morti qui e colà pel campo prostesi eran tristo documento del guerresco furore. Molti si ebber sepoltura dai militari, moltissimi furono arsi dai sollevati. Le ire scambievoli a quella vista si aizzavano.

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Nei susseguenti giorni andavano le Calabre squadre sul monte S. Angelo, minacciando Castrovillari, ma lo milizie, abilmente operando fra quelle dirupate balze, ben presto le metteano in fuga.

Intanto considerando il General Busacca che pel giorno 30 di quel mese dovea agire di concerto col General Nunziante sopra Cosenza, che la colonna del Generale Lanza per quel dì mai non potea innoltrarsi in Campotenese, che essa era del tutto sicura perché non avea nemici alle spalle né popolazione avversa, che cotidianamente aumentava la penuria dei viveri in Castrovillari, perché le bande intendevano a intercettarli; che la inazione delle truppe in quella città non solo ne rendeva critica la posizione, ma benanche potea fare andar fallito le operazioni concertate dal Governo su Cosenza, donde cotidianamente uscivano rinforzi pera Campotanese; che un’ardito e pronto colpo sopra Spezzano-Albanese scompiglierebbe, e annienterebbe quel campo, e porrebbe in fuga il Comitato, si decideva di marciare all’alba vegnente sopra Spezzano, e Cosenza.

Pertanto prima che si eseguissero le stabilite mosse giungevan nunzi del Generale Lanza, i quali portavano, che egli era arrivato in Rotonda con la sua colonna, e che il General Busacca non si muovesse da Castrovillari; per la qual cosa si sospese la partenza.

In frattanto i furori della guerra si dileguavano da Castrovillari, ed andavano a rumoreggiare nella valle di S. Martino. Si è per noi detto in qual modo gl’insorti si fossero fortificati nelle vicinanze di quella valle, e come avessero distrutto il ponte del Cornuto; ora il Generale Lanza venne nel pensiero di far tracciare una nuova via per lo passaggio della sua colonna, e nel tempo stesso ordinava al tenente colonnello de’ Cornè, il quale era sbarcato in Maratea con 1500 uomini, ed attrovavasi vicino a Rotonda,

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di spingersi per Laino a Mormanno, e quindi

Tracciavasi la nuova via nell’atto istesso, che alcune partite di fanti e cavalieri tenevano in rispetto le masse, che al sopraggiungere delle milizie, si eran tratte sulla sommità della valle, e traevano a furia.

De Cornè si era già recato nel possesso di Mormanno, dopo averne scacciati gl’insorti, i quali conosciutene le mosse per quel paese, erano accorsi ad oppugnarle; il Generale Laoza si tragittava di là dal Cornuto, e vi serenava. In sull’aurora del nuovo di udivasi il segnale convenuto con De Cornè, per la qual cosa si eseguivano i prestabiliti movimenti, e dopo non guari Campotanese fu inondato di truppe, le quali per diverse vie vi giungevano, e di tratto furono sulle pesta dei sollevati, che dal minacciato luogo a tutta fretta si dileguavano, dirigendosi per Saracena, Lungro e Firmo a Spezzano-Albanese»

Intanto il Generale Lanza si calava a Morano, e nel giorno 3 Luglio si univa in Castrovillari col Generale Busacca; un frapponendo indugio, spediva il Maggiore Marra con un nervo di truppe per Saracena, Lungro, e Firmo, ed il Tenente Colonnello Esperti con altra milizia per Cassano, affine di snidarne compiutamente la ribellione, e ritornar tutto all’ordine primitivo. Le colonne riunite accennavano a Cosenza per distruggervi il nodo della rivolta.

Grave turbamento il progresso dei Regi arrecava nelle innacerbite torme. I capi s’incusavano scambievolmente, addebbitandosi l’un l’altro della infausta piega degli eventi.

Mauro, Commissario del Potere Esecutivo, dirigeva al Cosentino Comitato il seguente rapporto ai 29 giugno.

» Signore – Avanti ieri notte giunse qua Eugenio de Riso, ci annunziò che si era impegnato il conflitto tra i nostri ed i regi di Castrovillari,

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e domandò un rinforzo di 300 persone; il momento era critico, e fu man

» Mileti non fu veduto nel conflitto, ed i nostri rimasti senza capi fecero molto a disperdersi con calma per le diverse colline circostanti. Aggiungasi a quel che è detto, che i nostri credeano di trovare i siciliani e gli altri calabresi intorno a Castrovillari, ma questi erano in Cassano, cosicché i nostri si trovarono nel pericolo di affrontare tutte le forze regie. Questa imprudenza ci dee rendere più attenti, ed io credo ch’elleno debbano richiamare dal comando il Sig. Mileti, poiché in qualunque punto, non farà altro che succidezze, e comprometterà la nostro causa».

» Qui recandosi da Lungro si mise avanti ad una gregge del signor Gallo di Castrovillari, e la condusse in questo campo. Io non la volli ricettare, perché era stata presa fuori di questo campo, e perché si diceva che i siciliani siansi comportati nella stessa guisa con Gallo, riputandolo come nostro nemico. Non vorrei però che questi esempi si ripetessero, ma sino a quando sono tra noi uomini come Mileti, questi avranno sempre la virtù di demoralizzare la massa, la quale dopo un esempio è infrenabile, solo l’avvezza al furto, ma il sig. Mileti in un giorno fu sul punto di far fucilare tre o quattro individui, se io non lo avessi proibito».

» Si è fatto tutto da cotesto comitato perché le nostre genti sbandassero, ed il nemico entrasse vittorioso. Voi avreste dovuto provvederci di tende, e noi dormiamo sopra i nudi sassi, come gli uccelli di rapina.

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Voi avreste dovuto provvederci di scarpe, ed i nostri soldati

camminano a piedi nudi: avreste dovuto provvederci di munizioni,e se il nemico redesse le nostre giberne, gelerebbe le armi e ci vincerebbe colle sole braccia. Voi ci avete fatto mancare di tutto quello di cui non manca un campo di selvaggi. Direte che questo è debito nostro, ma il vostro debito è darci i mezzi per procurarci tali cose. Io vi chiamo responsabili di tutte le nostre possibili sciagure».

» Prendete adunque il partito che solo vi conviene, mandate danaro, munizione non solo qui, ma in tutti i campi, altrimenti il comitato resterà solo, come al primo giorno della sua istallazione».

Lo stesso Mauro scrivendo a delli Franci nel 4 Luglio, così diceva.

» Signore – Si è avverata la mia trista profezia. Ieri giunsero a Mormanno oltre 1500 regi, ed assediarono il paese, cercando di occupare i posti difesi da un cento dei nostri. Questi nei giorni antecedenti erano aiutati e caldamente secondati dalle guardie nazionali di detto paese, ma da un giorno quella guardia non si vedeva più».

» La stessa popolazione che sembrava risoluta prima ad una forte resistenza, cominciò fin da quando intese l’avvicinarsi delle nuove truppe a mormorare contro inostri, chiamandoli autori della loro ruina, e poveri e ricchi disertavano i loro focolari, ritirandosi nella campagna. Questo mutamento non scuorò i nostri, ma il tradimento di alcuni fu compiuto, perché occupato che ebbero le truppe le vicinanze di Mormanno, una mano di guardie nazionali, che sembravano i più caldi della nostra causa, uscirono incontro alle truppe per gratularsi del loro arrivo, recando il pallio, e dopo questo fatto vergognoso un ragazzo del paese avvertì il sig. D. Saverio Toscano che comandava la nostra compagnia stanziata, che le truppe regie aveano circondato tutt’i posti. Allora il bravo sig. Toscano cominciò ad indietreggiare a vista del nemico,

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a seconda che questi si avvanzava. Giunse immantinenti la notizia nel campo di S. Martino, distante solo un’ora e mezza da Mormanno, e non può ella immaginare quali impressioni di sconforto sentissero gl’individui di quella stessa compagnia che sono stati e saranno sempre prodighi del loro sangue a prò della patria, poiché la novella della presa di Mormanno mise loro innanzi lo spettro della fame, più terribile dei battaglioni. Ed in verità la sola Mormanno avea provveduto a dovizia le nostre genti, ed era il solo paese vicino che non avesse mostrato ripugnanza a ciò fare; ora essendo caduto in mano de’ reg! Mormanno, quale speranza a’ nostri rimane di provvisioni?Non poteva sperare in Rotonda, perché anche in potere delle truppe, non in Morano, perché situato tra i soldati di Busacca e quelli di Mormanno e Rotonda. In breve in un colpo d’occhio io vidi abbandonati tutti i posti occupati da’ nostri, e intesi un grido: non possiamo più stare qui, vogliamo unirci a’ siciliani».

» Io fui colpito come da un fulmine a questa risoluzione; tentai far vergogna a quella gente, ma non vi fu modo in farla rimanere».

» Senza che io ne dessi il segnale si misero a marciare, abbandonando la valle di S. Martino, e allora montai a cavallo e parti, lasciando un mio fratello, che con altri sei individui temerariamente si era spinto, come dicesi, fino a Rotonda, e faceva fuoco col nemico».

» Ora la nostra gente è in Lungro, domani sarà costà. Signore, se in vece di chiedere forza da Campotenese Te ne fosse mandata, se in vece di rimanere in Spezzano si fossero da coteste forze occupate le posizioni che sono tra Busacca e noi, e ci fosse stato lasciato Morano libero dagli assalti del nemico, noi non avremmo abbandonato il posto più importante. Ora io manderò le genti al sig. Ribotti, e cesserò di essere commissario civile».

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Petruccelli, rapportando allo stesso delli Franci, addebitava al Mauro le ruine di Campotenese.

» Mio caro delli Franci – Saprai già la vergognosa ritirata dallo sciocco e vigliacco Mauro provocata. La rabbia mi soffoca, e non mi permette dirne parola. Fammi sapere francamente che condotta terranno i Siciliani. Io non voglio, non debbo scompagnare la mia dalla loro sorte, e Dio ti perdoni di avermi allontanato. Se essi partono, partirò anch’io, se restano ancora a Spezzano, io resto dne giorni qui, perché infermo, ed è sofferto moltissimo nel viaggio. Dunque definiscimi le loro mosse; se essi partiranno domani per Cosenza, o per altrove; ritornando indietro, io vi seguirò».

Né Carducci si rimanea di riversare sugli altri gli eventi contrari di Campotanese. Così scriveva da Lungi al Ribotti.

» Sig. Generale – Se io avessi potuto persuadere la masse a restare nella valle di S. Martino, ove con 50 uomini mi era io compromesso di custodire quel passaggi», l’assicuro che tale importante posizione non si troverebbe, ora in braccio a’ regi, che si anno aperto la loro comunicazione colle truppe stanzionate in Rotonda al numero di 1200, ed in Mormanno in simile numero con quella di Castrovillari; con più aggiungere a’ due piccioli cannoni di Castrovillari altri due di Rotonda, cioè uno di dodici ed un obice».

» Le masse anzidette decimate di due terzi, comandate da un commessane poeta, generale che non à mai conosciuto l’arte della guerra, e nello stesso tempo di un timore senza pari, praticò nella circostanza quello che altra volta fece in Spezzano, e che l’egregio comitato di Cosenza non seppe rimediare a tempo. Le stesse masse piene di timore non sanno militare, se non alla sua presenza, ed in unione de’ buoni siciliani, ed è per questo che per mezzo del tenente colonnello de Simone gliele spedisco,

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con ordine di restare in S. Lorenzo, fino a che riceverà i suoi ordini; prevenendola, che le truppe costà sanzionate potrebbero occupare Cosenza senza quel luogo».

» Io intanto parto per la mia missione, e son certo di avere de’ buoni risultati, e ne attenderà i ragguagli. Non già per farle da maestro, conoscendo quant’ella è perita nell’arte della guerra, ma per semplice suggerimento le fo conoscere, che tenendo ella il campo in Spezzano, le truppe regie passando da’ confini del territorio di Spezzano, cioè circa otto miglia distante da Spezzano, si potrebbero recare in Cosenza, e serrare le sue truppe in mezzo, come fecero i francesi nel 1806».

» Dalle premesse crederei nelle attuali cose, ed opinerei che il campo generale lo riconcentrasse in Cosenza, (dove mercé le cooperazioni del sig. tenente colonnello de Simone, che ne’ casali à molta influenza, potrebbe colà riunire molta gente: tanto più se la mercede di ciascuno la porta a grana 40 invece di 25, come con 10 persone che io meco porto nella provincia di Salerno è fatto; prevenendola che in Cosenza potrebbe tra gli arrestati in quelle carceri centrali, scegliendone un paio di centinaia, che potrebbe armare con i fucili de’ particolari di Cosenza, accrescere di molto le sue forze».

Però il Ribotti non si era illuso sulla rivolta calabrese avea già preveduto quelle disfatte; epperò così aveva scritto al Ministro Siciliano della Guerra» Signor Ministro – Quando il popolo di Palermo domandava al governo che si fosse spedita una forza in ajuto de’ fratelli di Napoli, quando il governo cedeva a questo generoso sentimento e con alacrità straordinaria apparecchiava con infinite spese la progettata spedizione, il popolo e il governo stabilivano un fatto, quello della rivolta nelle Provincie ove i nostri si sarebbero presentati per combattere. Disgraziatamente questo fatto non esiste, e secondo tutte le probabilità non potrà esistere per molto tempo.

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Si era promesso un movimento nella provincia di Catanzaro, che seguito subito dai paesi limitrofi della provincia di Reggio avrebbe potuto mettere in cattiva posizione le truppe regie in Reggio, occupando con forte mano di armati la posizione dei piani della Corona, ove i nostri avrebbero dovuto raggiungere i Calabresi. 17 giorni si atteso in Milazzo l’arrivo dei Calabresi, ed in questo intervallo i comitati di Cosenza e Catanzaro si sciolsero, il nemico occupò Monteleone, la rivolta per dir così si soffogò da se stessa. In seguito la lentezza del governo di Napoli fece si che i pochi liberali ripresero il di sopra, costituirono nuovamente i comitati, ed allora fu che noi muovemmo da Milazzo, e a traverso a mille pericoli giungemmo in Paola, nel tempo che il colonnello Lungo per altra via si portava nella provincia di Catanzaro ove raccoglieva uomini per opporli a Nunziante in Monteleone, formando un campo in Filadelfia».

» Giunta la nostra colonna in Cosenza, si cominciò a capire lo stato del paese quasi quasi simile a quello in cui fu trovato da’ Bandiera e compagni. Si doveva marciare sollecitamente per unirsi a Lungo e attaccare Nunziante, ed invece avendo i Calabresi fatto passare il generalo Busacca con la sua gente per le gole di S. Martino, si dovette cambiar proposto e correre contro il nuovo nemico. Si promettevano 10,000 uomini, e se ne trovavano appena 2000 mal disposti. Si (arda a marciare verso Filadelfia ed il corpo di Longo si scema ogni giorno di uomini che disertano, di compagnie intere di guardie nazionali, che con gli uffiziali intesta abbandonano il campo. In tutti i paesi per dove si passa non si trova che freddezza per la causa, e paura per l’avvenire; scarsi i mezzi di trasporto; usciti da Cosenza non si è più in un paese in armi per difendere la libertà; tutti spauriti, tutti avviliti, e financo i ladri che infestano armati le pubbliche vie.

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Si giunge in faccia al nemico, il quale credendosi forte ci attacca; è respinto, ma non si può profittare della vittoria mentre due corpi Calabresi ben postati per prendere l’inimico in fianco restano con le armi al braccio. Un comandante di questi corpi prima protesta di non volere ubbidire, poi dico chiaramente che non può guidare le sue genti. Dopo il piccolo vantaggio, il campo non si accresce, e forse scade in morale e si scema, ed il perché sta che le truppe sono guardie nazionali obbligate a marciare e non persone decise ad impugnare le armi per la difesa dulia patria. Il nemico forte e trincerato in Castrovillari; i nostri senza marcate simpatie, inferiori del terzo alle forze avverse, con capi non ubbidienti, con scarse munizioni, senza la speranza di trovarne in paesi in rivolta. A Cosenza un comitato fiacco e che non comanda. I distretti di Rossano e Cotrone tranquilli. Monteleone e tutta la provincia di Reggio nelle mani del nemico. Il campo di Filadelfia che scema di forze ogni giorno e messo a 8 lunghe miglia da noi. La vicina Basilicata tranquilla. Le truppe di Lombardia già rientrate nel Regno: ecco lo stato delle cose nel teatro della guerra, da dove ella può capire qual’è la posizione della nostra divisione. Si voleva attaccare il nemico in Castrovillari, ma non tutte le truppe vi si prestano, ed essendone l’esito più contrario che felice per noi si è deciso attendere; ma l’attendere per noi è un male maggiore, mentre il nemico cresce in forza, il partito retrogrado alza la visiera, i liberali paventano, e noi non possiamo attendere soccorsi di Sicilia».

» E però troviamo indispensabile ritirarci; né si può dire che abbiamo mancato al nostro impegno. Noi dovevamo appoggiare la rivolta cominciata, e non rivoltare il paese, anzi conquistarlo, né si potrà mai pretendere che 509 uomini senza disciplina, 7 cannoni senza mezzi di trasporto e con soli 70 tiri a pezzo, fossero bastevoli per conquistare un paese».

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» Ammessa la necessità della ritirata sorgeva l’altra

Intanto i ribelli punto non disgomentati dagli occorsi eventi s’industriavano di sostenere la loro agonizzante fortuna, sia raggranellando armati nei punii in cui avrebbero potuto ostare, sia trasportando in altre provincie le favilla della insurrezione. A SpezzanoAlbanese affluivano armati ed armi da ogni parte, dove il Ribotti gli avrebbe sotto ai suoi cenni guidati a ristorare le patite sconfitte. Il Comitato procedeva in tanto affare accesamente.

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Richiamavansi gli armati dal Campo di Paola affine di rannodarsi in Spezzano-Albanese, venivano estorte varie somme dai

Le quali però punto non sortirono if loro effetto; poiché le truppe man mano ai loro disegni progredivano, si che il Ribotti, veduto appressarsi il temporale, abbandonava le stanze di Spezzano-Albanese, e si riducea coi suoi in Cosenza, dove sperava di meglio propugnare le milizie, anche perché parca che si dovessero rinfrancare gli animi per la disfatta che si dicea toccata al General Nunziante, e che appunto i quei dì appositamente divulgavasi, e con isvariate feste si celebrava. Cosenza adunque era ritenuta come il cardine della vittoria, o come la tomba in cui la fortuna dei Regi si seppellirebbe.

Vide la straziata città scene di terrore. Si parlava di barricate, e di altri preparativi ostili; la vita di coloro che teneano pel Governo era ad ogni pie sospinto minacciata. Frattanto, veduta inutile ogni resistenza, e in pericolo la esistenza di una bella città, che al certo sarebbe stata guasta o arsa in mezzo ai furori della guerra, il Cosentino Comitato abbandonava Cosenza, divolgando il seguente avviso.

» Agli abitanti di Calabria Citra – Il comitato di salute pubblica di Cosenza».

» Per cagioni, ch’ è inutile il riandare, le nostre forze avendo dovuto retrocedere in questo capoluogo, desiderosi di evitare al paese gli orrori di una guerra accanita, e le conseguenze di una invasione per parte dei regi, invasione che il sito sfavorevole di Cosenza renderebbe probabile, questo comitato à risoluto ritirarsi spontaneamente da questa città».

» Fermo però sempre mai nei principi da lui proclamati fin dai 2 giugno, giorno della sua istallazione,

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trasporterà nella vicina Calabria la sua bandiera, che anzi,

» Forti schiere di calabri e fratelli della Sicilia faranno siepe al governo, e secondandone energicamente i dettami, lo porranno ben presto nel grado, non solo di rioccupare questa provincia, ma d’allargare la rivoluzione nel rimanente del regno».

» Cosenza 3 luglio 1848».

Partiva il Comitato, partivano i suoi consorti, nella conterminale Calabria catanzarese i tristi germi si proponevano di trapiantare. Di tratto il Crati e il Buscato, deposta la torbida mota, limpide acque portarono. Che una Deputazione di personaggi conti, a cui era capo e guida l’Arcivescovo, tosto si avviò per a Castrovillari, e presso il Generale Boiacca istava, perché sì fosse renduto nella cosentina città, ormai sgombera e spazzata dai ribelli, la quale devoti sentimenti avea sempre nutriti pel Re, eziandio quando era oppressa dall’impelo della sollevazione; goder l’animo a tutti i buoni Cosentini di vedere le conservatrici milizie fra le loro mura, aspettarle con ansia. Il Generale pertanto, aggiustata fede alle manifestazioni della solenne Deputazione, e sicurato dalle notizie delle ruine estreme che oggimai toccavano alla sollevata consorteria, si calava al cennato desìo, e dopo non guari fra la festante Cosenza con le sue genti si ridusse.

Lieti eventi si ebbero i Regi nella cosentina provincia, lieti se l’ebbero nella catanzarese. Ormai dappertutto il turbolento vessillo si sbarbicava. Il General Nunziante portatosi, come si è più innanzi cennato, io Monteleone, avea attesamente vagliato le forze della ribellione, epperò si spingea a prostrarle, sì con le sue truppe condotte da Napoli, sì con altre milizie arrivale di fresco dalla Lombardia, e sì con un buon nervo di calabresi,

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che egli,

Scompartite le sue genti in due colonne, giva il napolitano Duce all’assalto del campo di Filadelfia, dove sì eran rannodati i Calabresi. Una colonna di 1200 fanti e due pezzi da montagna, guidata dal Maggiore Grossi, s’incamminava pei monti affin di trovarsi alle spalle del filadelfiese campo; l’altra composta dal rimanente della fanteria e da due pezzi da campagna, e da altrettanti da montagna, capitanata da lui medesimo, accennava per la strada regia ad assalirlo di fronte. Perveniva egli in sul far della sera vicino all’Angitola, e quivi ponea il campo, affin di spingersi ai suoi disegni al sopravvenire della nuova luce; poiché già le sentinelle nemiche, gli ostili proponimenti fino a quella non breve distanza dal campo annunziavano.

Intanto gl’insorti abbandonato quasi totalmente il campo di Filadelfia, si erano affoltati vicino all’Angitola per combattere i Regi, ed avean preso tutte quelle posizioni ed espedienti che per loro si seppero e poterono il meglio, traendo partito dall’asprezza, dalle boscaglie, e dagli altri incidenti che in quei luoghi esistono.

Le notturne tenebre tennero infrenate le preparate insidie, e gli scambievoli sdegni, i quali allo schiarire della nuova aurora (27 Giugno) impetuosamente irruppero. Tuonavano i cannoni dei Regi, tuonavan quelli dogl’insorti; le navali artiglierie dei Vapori Archimede, e l’Antelope, costeggianti il vicino lito, sfolgoravano; vari cordoni di cacciatori, in ordine aperto sui vicini monti bersagliavano; alla lor volta i liberali impeto con impeto rendevano: quelle silenziose, e pacifiche valli di guerresco rumore echeggiavano.

In frattanto l’arte ed il coraggio militare prevalevano: la colonna si spingeva innanti, allorché in grave ostacolo a Campolongo s’imbatteva;

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poiché quivi era fermato un forte nodo di Calabresi, i quali dalla opportunità dei luoghi garantiti, e da estremo sdegno spinti, resero gagliardo ed esiziale il combattimento. Le milizie da simile ardore mosse, contro di quell’ostacolo furiosamente traevano. Ormai le morti eran molte, moltissime le ferite, infinite le ire, la terra bevea largamente il sangue, quando i liberali gravemente percossi e menomati si diedero al disordine, e poscia alla fuga, «In quel punto pertanto (così è detto in un rapporto) più ardente e accanita fu la pugna. Parecchi dei sollevati scesero a combattere fin sulla strada dove incontrarono la morte e fra questi il Mazzei ed il Morelli ricevitore di Catanzaro. Ei fu sì fiero conflitto che taluni soldati, sgomentati, si precipitarono a sinistra della Consolare cercando uno scampo verso le marine, altri imitando il tristo esempio, si diedero a seguitarli trascinando seco loro i cavalli dello stato maggiore e quelli del Generale, il quale per viemeglio inanimire i soldati a penetrare nei boschi per snidarne il nemico, era disceso a piedi ed erasi inoltrato a quella volta. I fuggenti si avviarono al Pizzo dove per giustificare il loro fallo asserivano aver la loro colonna toccato una compiuta rotta, a stento aver dessi potuto salvarsi; la vista dei cavalli del Generale aggiungendo fede a tali detti, fe’ che la falsa nuova si divulgasse rapidamente da per ogni dove: or ora diremo quali terribili conseguenze produsse al Pizzo codesto incidente». Si disser moltissime le morti; infiniti i danni scambievoli; ma nulla di positivo si conosce. Certo è bene, che il combattimento fu sanguinosissimo, e che fu vinto per le milizie, le quali serenarono all’aperto.

In frattanto la fierezza, e la durata della orribil pugna, e più ancora lo sbandamento della partita che recavasi al Pizzo, fecero invalere la voce di una rotta dei Regi,

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fra le più enfatiche parole, asserendosi benanche la morte del prode Condottiero di quelle armi.

Mentre tali fatti succedevano alla colonna del General Nunziante, altri fatti compieva il Maggiore Grossi; o casi miserandi avvenivano in Filadelfia e nel Pizzo, che io con le stesse parole del cennato rapporto narro.

» La mattina del 29 Giugno pertanto il Generale Nunziante levò il campo da Maida indirizzandosi al Pizzo, dove pervenne la sera; trovò le milizie del Maggiore Grossi che bivaccavano fra la Consolare e la strada trasversale del Pizzo. Fatto chiamare il Maggiore Grossi conobbe da lui com’egli, partito da Monteleone la sera del 26 Giugno per la vecchia strada delle altare, e diligentemente visitati i paesi pei quali transitava, nessuno ostacolo avesse incontrato, da che i sollevati, non sospettando di esser presi alle spalle, si erano tatti portati sul lato occidentale delle montagne per opporsi al cammino della colonna principale; come, giunto presso Filadelfia, eragli venuto incontro una deputazione protendendo parole di pace, ma egli, postatosi ciò non ostante militarmente fuori

Il paese e mandato dentro una mano di truppa, le si fece fuoco addosso dalle soprastanti abitazioni; ond’egli comandò che la città si prendesse di assalto, e dopo breve contrasto fosse riuscito a porre in fuga i sollevati conquistando cinque cannoni che inutilizzò momentaneamente, e poscia fe’ trasportare al Pizzo giusta le istruzioni. Fece altresì perquirere le case e raccolse buona copia di munizioni da guerra e di armi da fuoco e da taglio. Ma la malagevolezza delle strade per le quali aveva dovuto transitare fra balze o montagne, il fatto d’arme e il disarmamento di Filadelfia, la stanchezza dei soldati e degli animali del treno ed altrettali ostacoli gli avevano impedito di trovarsi la sera del giorno 27 in sulla Consolare innanzi Filadelfia per congiungersi alla Colonna principale,

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giusta le istruzioni ricevute: ciò aver prodotto ch’ei mancasse di vettovaglie nel giorno 28, e per provvedersene alla meglio si spendesse assai tempo tanto che non potò giungere sulla Consolare prima del declinare del giorno 28. Nessuna notizia vi trovò della colonna principale, ond’egli, in tanta incertezza di avvenimenti, risolvé d’indrizzarsi al Pizzo; ma prima di giungervi s’imbatté nei soldati che eransi colà rifuggiti e seppe da costoro la falsa novella della patita sconfìtta; laonde ei giudicò sano consiglio di fermarsi al Pizzo per venire in cognizione dello stato vero delle cose.»

» Sopravvenne allora un funestissimo caso. Stavano lo soldatesche in riposo dentro il paese, quando un colpo di archibugio scagliato, come poi si disse, dal castaldo di un signore Stillitano (lo Stillitano era stato condotto al Pizzo fra prigionieri presi in Filadelfia), uccise una sentinella del sesto Reggimento Cacciatori; allo scoppio, alla, vista del compagno ucciso, i soldati credendosi sopraffatti, traditi, si precipitarono alle armi e furiosamente scagliaronsi sui cittadini; indarno gli Uffiziali s’interponevano, indarno gridavano, pace, pace. Orribile ad oltremodo miseranda fu quella giornata per la infelicissima città del Pizzo.»..

Le vittorie, la maschia attitudine delle regie armi, e i casi miserevoli di Filadelfia e del Pizzo; ormai facean ritrarre gl’illusi da quei giudizi, che, troppo leggiermente comportandosi, avean fatto sulla fiacchezza delle forze del Governo, e sulla valentia di quelle della rivoluzione. Perlocché tutti i paesi, e le città all’antica obbedienza si riducevano. Catanzaro sulla quale avean fatto disegno gli avanzi delle sconfitte cosentine, e catanzaresi, chiuse udito ad ogni loro proposta, e minacciò di respinger la forza con la forza, ove le sue parole non fossero tenute in cale, né tardò un solo istante a invitare le regie armi fra le sue mura in tutela dell’ordine, e di

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Guari non andò e quella Città si vide rinverdita, poiché disparvero i timori che vi regnavano, le guardie nazionali furono disciolte l’amministrazione riordinata.

Intanto i Capi della rivolta, perduta ogni speme di salute, fuggivano il temporale, che gli rumoreggiava d’intorno, lasciando alle Calabrie trista eredità di sangue, di lacrime, e di dolori.

Ribotti, si come fu antecedentemente detto, già aveva inclinato l’animo ad una ritirata, ed augurandosi, che non fosser sì tostani e violenti i precipizi della calabra rivolta, nutriva speranza, che il siciliano Comitato, calandosi ai suoi voleri, manderebbe le salvatrici prue; ma ormai arrandellato dalla ressa degli eventi, pensava a mettere se e i suoi in salvo, e con questo proponimento nei catanzaresi liti dell’adriatico si tragittava; dove avvenutosi in un brigantino, ed un trabacolo, di tratto insignorivasene, e alzate le ancoro abbrivava per a Corfù. Lieto fu il principio, tristo il fine: la imbelle fortuna prima benigna, e poi accigliata secolui mostravasi. Ché venuta a conoscenza del General Nunziante la fuga, tosto mandava lo Stromboli in traccia delle fuggenti navi. Nel 9 Luglio il Comandante Salazar spingeva a corso lanciato il suo naviglio, e due giorni dappoi, solcato accortamente il mare, raggiungeva le svignate prue di qua da Corfù, e traevate a rimorchio dopo aver tolte le armi, ed assicurati i Capi. In Reggio andavan captivi 500 delle ribottiane squadre, ed in Napoli erano portati 30 dei capi, e fra essi Ribotti, Longo, e delli Franci, i quali dannati nella vita da un consiglio di guerra, si ebber grazia da quel Re istesso, che avean cercato in mille modi intristire ed agitare!

Pietro Mileti dalla sua Calabria non si apportò; cosicché rimpiattandosi or là or qui, traeva innanzi la sua

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Costabile Carducci, svignato di Calabria con alquanti suoi fidi, dirigevasi a Torraca per innalberarvi l’infranto vessillo, ed avvenutosi in un nervo di Regi, susseguì una zuffa, nella quale duo dei suoi rimaneano uccisi, ed egli ferito, e dopo non guari spento.

Gli altri variamente alla loro salute intendevano, sia errando pavidi e silenti di luogo in luogo, sia contumaci ed arrischiati percorrendo in armi la campagna, facendo tallire la rea pianta del brigantaggio, sia volontariamente spatriando dal Regno, sia in altri modi. Né mancavan quelli che a novelle sedizioni inclinavan gli animi; tenendo in continuato sentore le Autorità, e la pubblica forza.

Pertanto fu tentata una sollevazione nei distretti di Vallo e di Sala da due torme che minacciavan la vita, le proprietà dei particolari, e l’ordine gevernativo. Andavano sulle loro orme due forti partite di armati ai cenni del Maggiore Manzi, e del Colonnello Recca, dirigendosi quegli per Diano, e questi per Capaccio. Ed ecco ai 12 di Luglio apparire gl’insorti nella ripida e sassosa Trentinara, poco discosto da Capaccio, i quali aveano guarnito e fortificato il paese, e le vicine vette. Giva Recco all’assalto, spartendo i suoi in tre colonne, i quali irritati oltre a modo per l’ingannevole gragnuola di palle che ebbero vibrate nell’atto stesso, che sventolavano nel paese bianche banderuole, e le campane squillavano a festa, irruppero per quella rotta regione, e dopo soverchiati incredibili ostacoli, s’impossessarono del paese, disperdendone i difensori, dei quali la piupparte, traendosi dal periglio, si era gittata pei vicini dirupi.

Un’altra turba erasi rannodata in Postiglione, ripidissimo paese, torreggiante nel colmo di un’erta montagna, la quale dietro di esso spinge fra le nubi la più alta vetta.

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Pertanto i casi di Trentinara, e Io appressarsi delle troppo, misero sgomento nei ribelli, e più che di frettasi sbandarono.

Per tal modo, spenti in sul nascere i riverberi, o le reliquie dal calabro sconvolgimento, che come altrettanti tizzi si erano portati in altre provincie acciocché l’incendio divampasse; sopravvegliate attesamente tutte le mosse dei novatori, disarmata e sciolta la guardia nazionale, dato ai Tribunali l’ampia e rea materia delle colpe, l’idra del rivolgimento era in tutti i suoi capi mozzata e morta. Ella pertanto tutto, con la sua pestifera bava contaminando, rimanea molte regioni addolorate e triste.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#INSURREZIONE

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