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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (X)

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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (X)

CAPITOLO IX.

SPEDIZIONE DI CATANIA.

Sommario

Le ingannevoli negoziazioni di pace, ricoprono apparecc-hi ostili in Sicilia. Ultimato venuto da Londra sulle sicule vertenze, contro il quale nobilmente protesta il Principe di Cariali. Magnanima condotta del Re. Ultime concessioni regie portate in Palermo dai Mediatori Inglesi e Francesi; e messe a conoscenza del Siciliano Ministero con una nota di Baudin. I Palermitani rifiutano la pace, e voglion guerra, e guerra hanno. Preparativi nimichevoli del Napolitano Governo. Arrivo, e proclami del General Filangieri in Messina; e voci e credenze che vi sorgono. Cominciano le militari mosse. Sei fregate a vapore cariche di troppe accennano a Cefali), fingendo uno sbarco. II resto dell’esercito volge i passi per la via che mena a Catania. Il General Zola combatte in Ali. I Siciliani scacciati da S. Alessio. Le reali milizie espugnano la forte Taormina; si menano innanzi. Apparecchi fatti in Catania, e cenno storico di questa Città. Aci Reale, e molti altri paesi tranquillamente si arrendono, e dichiaran sensi benigni. Le fregate a vapore si defilano per le acque di Catania, e le catanesi batterie tuonano ai loro danni. Furiosa battaglia di Catania, vinta dai Regii.

La mediazione anglo-francese per gli affari di Sicilia, quantunque da insidiosi fini nascesse, e con grave scandalo fosse imposta in prepotenti modi al napolitano governo; pure ebbe desio nel l’animo dei più non lieve compiacimento; poiché parca che il nobile e filantropico proposito schiverebbe gli orrori q”i una guerra accanita e desolante; e si vìvea nella certezza, che a due Potenze primarie del Mondo, quali erano appunto le mediatrici, mai non sarebbe fallito l’intento della pace. Lusinghiera espettazione!

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la umana malizia ogni lieta speranza frustrava; ché il non breve periodo di sette mesi non pure fu speso indarno per la pace; ma servì per far cancellare la grave impressione dei casi di Messina, per attizzare via mag

Vari cangiamenti erano intervenuti nel siculo ministero; immensa quantità di attrezzi ed istrumenti da guerra procurata dalle inglesi fucine; nuovo incremento, e continue istruzioni date al siciliano esercito; due fregate a vapore uscivano dagl’inglesi cantieri; meglio guardato le coste qui e colà; un battaglione francese unito all’armata; né avean mancato di assumer le redini delle preparate forze due generali stranieri, un Antonini Italiano, ed un Trobiant Francese, i quali per altro non ritardarono un sol momento, dopo scorta la materia inopportuna ai loro disegni, di ritrarsi fuori dell’isola; non così comportavasi il Polacco Mierostawskv, il quale dopo le patite sconfitte sul Reno, capitanando gl’insorti Badesi si era ridotto a quel fine in Sicilia; ed avea pasciuto gli animi con ogni maniera di speranze.

Nell’atto che questi apparecchi si facevano, e gli sdegni all’aspra tenzone si attizzavano, le negoziazioni proseguivano. Giungeva da Londra il Ministro Tempie, latore dell’ultimatum per la sicula quistione, il quale rinchiudea quasi gli stessi articoli proposti già da Lord Mintho, e rifiutati dal Re; vai dire, che Sicilia avesse un’amministrazione separata da Napoli, una costituzione particolare, un’armata terrestre e marittima propria, e che pel resto la sicula corona fosse unita a quella di Napoli. Si aggiungeva in ultimo, che le potenze mediatrici si sarebbero ritirate, serbando una stretta neutralità, ove tali condizioni non fossero dall’una delle parti accettate, e lasciando alla fortuna delle armi la decisione della quistione.

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Alle britanniche insidie fortemente e con decoro rispondeva il Principe di Cariati, Ministro degli Affari Esteri. Essere impossibilitato al momento di prendere ordini diretti dal Re, perché assente; ma poter bene rispondere secondo le reali intenzioni, ch’ei appieno conosceva:

» Questo primo punto essendo riconosciuto, voglio supporre per un momento che voi essendo meglio informato sull’oggetto di questa indipendenza, che mi assicurate di voler con tanto impegno difendere, diverrete partecipe della opinione che è creduto mio dovere di appalesarvi, non dovendo questo governo far altro che valersi della vostra gentile assistenza, onde comporre colla vostra ufficiosa concorrenza tutte le altre quistioni pendenti. È d’uopo però che vi domandi, che cosa farete, ove gl’insorti di Palermo ricusassero di sottomettersi al vostro ultimatum, della cui ragionevolezza siete perfettamente convinto? L’attitudine presa dalle forze della Francia e dell’Inghilterra nel giorno 11 settembre non può essere intieramente dimenticata, giacché gli ammiragli Parker, e Baudin minacciarono allora di arrestare colla forza la vittoriosa spedizione in Sicilia, lo sento dunque di aver dritto a dimandare, se in caso di bisogno prenderete un’ attitudine capace a troncare queste difficoltà».

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» Permettetemi ora di chiarire un errore che sembra di essere sfuggito alla vostra attenzione. Voi mostrate credere che avesse il Re per un momento acconsentito alle proposizioni che ci faceste. Mi affretto di protestare contro una supposizione di quella natura, che niente è auto

» La quistione non essendo né spagnuola, né inglese, ma esclusivamente napolitana, siciliana e dinastica, nessuna obbiezione può nascere dalle attuali relazioni diplomatiche eh’ esistono fra la Spagna e la Gran Brettagna. Sua Maestà siciliana non potrebbe da se stessa, ed in una volta risolvere questa pendente quistione, anche che avesse desiderio di farlo; dovrebbe dunque esser posta in tale situazione da poter rispettare questi dritti come reclami legittimi e giusti, o avere il potere di troncarli con u:t completo rifiuto».

In frattanto le trattative ognora continuavano, e gli Ammiragli francese ed inglese, tanto personalmente che per mezzo dei rispettivi Ministri vi si adoperarono in Gaeta presso il Re, il quale nel benigno scopo di evitare l’ulteriore versamento del sangue, si calava a tutte le condizioni, che la sostanza della cosa non addentassero, e con magnanimo tratto annientò perfino L’ ultima clausola dello esilio di un numero dei Capi della rivolta, come l’Ammiraglio Baudin per essi intercedè.

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Compiuto l’ultimato partivano gli Ammiragli e i Ministri Plenipotenziari Inglesi e Francesi, in sull’annottare dei 4 Marzo 1849 per Palermo, affin di renderlo alla

Ecco come andava dicendo il Re da Gaeta. «Siciliani.» Se gli errori di pochi han potuto per un momento far traviare qualcuno fra voi dall’avito vostro attaccamento alla dinastia, che con tanto affetto presiede ai vostri destini da più di un secolo, Noi che avemmo culla fra voi, e non abbiam mai cessato di amarvi con tenerezza di Padre, vogliamo non indugiar più oltre a dirvi, che soddisfiamo ad un bisogno del nostro cuore, adempiamo al più caro dei doveri che impone a Noi l’Augusta, la Santa nostra Religione, assicurandovi che dimentichiamo, e risguardiamo come non avvenuti e non mai commessi i falli ed i reati politici che tanto male vi hanno recato dallo incominciar dello scorso anno 1848 in poi».

» Ritornate quindi alle private vostre bisogne; coltivate in pace i vostri ubertosi campi; restituite alle terre di Cerere, mercé il vostro assiduo lavoro, l’antica loro fertilità, il che sempre la Divina Provvidenza concede all’uomo come ricompensa di prescritto travaglio; ridonale alla vostra industria, al vostro traffico, ai vostri commerci, alla vostra navigazione mercantile Ja pristina attività; chiudete le orecchie alle seduzioni di coloro che cercano d’illudervi per menarvi alla sedizione, alla ribellione, e di là all’anarchia, che di quelle è la inevitabile conseguenza».

» Dopo mature riflessioni ed accurata analisi de’ vostri bisogni, e de’ voti che possono con equità utilmente e praticamente soddisfarsi, ritenendo come non avvenuti e nulli di dritto e di fatto tutti gli atti i quali hanno avuto luogo in Sicilia dal 12 Gennajo 1848 in poi, concediamo alla stessa uno Statuto di cui è base la Costituzione del 1812,

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salvo le modificazioni richieste dalle mutate condizioni, e dalla vigente legislazione».

» Cotesto Statuto, che ci riserbiamo di formulare ampiamente prima della fine di Giugno del corrente anno, conterrà nella parte sostanziale le seguenti disposizioni:»

» 1. La Religione sarà unicamente e ad esclusione di qualunque altra la Cattolica, Apostolica, Romana».

» 2. La libertà individuale è guarentita, nessuno potendo essere arrestato o processato, che ne’ casi preveduti dalle leggi, e nelle formo da esse prescritte».

» 3. Nessuno può esser costretto a cedere la sua proprietà, se non per causa di utilità pubblica e previa indennità».

» Una legge speciale sarà fatta dal Parlamento di accordo col Re per determinare la competenza e la forma delle espropriazioni forzate per causa di utilità pubblica».

» 4. I Siciliani hanno il dritto di pubblicare e fare stampare le loro opinioni, conformandosi alle disposizioni che debbono reprimere gli abusi di questa libertà».

» Il Re riserba a sé nella pienezza dei suoi poteri di emanare siffatte disposizioni con una legge speciale».

» 5. La Sicilia, continuando a far parte integrante dell’unità del Regno delle due Sicilie, sarà retta a Monarchia costituzionale con la divisione de’ poteri nel modo che siegue» e qui in modo commendevole accenna le cose risguardanti la Religione, la Sacra Persona del Re e le sue attribuzioni; il Viceré; il Ministero Siciliano; le pubbliche Amministrazioni; L’ abolizione delia promiscuità; lo stato discusso; il Parlamento composto dalla Camera dei Pari e dei Comuni; gli Elettori; gli Elegibili; e infine terminava affermando; che tali concessioni s’intendono come non mai avvenute, né fatte qualora la Sicilia non rientri immediatamente sotto l’autorità del legittimo Sovrano; poiché se dovesse il Reale Esercito militarmente agire per rioccupare

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quella parte dei Reali Dominii, la stessa si esporrebbe a tutti i danni della guerra, ed a perdere i vantaggi che le assicurano le presenti concessioni. Gaeta 28 Febbrajo 1849.

Arrivati a Palermo i Latori dell’ultimatum atto di Gaeta che fu chiamato, immantinenti erane fatto consapevole il Principe di Butera, Ministro degli altari Estesi, dall’Ammiraglio Baudin con una nota così espressa.

» Il sottoscritto vice ammiraglio comandante in capo delle forze navali della repubblica francese nel Mediterraneo, ha l’onore di rimettere a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di Sicilia i seguenti documenti; cioè una copia autentica della nota del 28 febbrajo diretta dal Principe di Satriano al signor Rayneval, una copia autentica diretta dal signor Rayneval Ministro plenipotenziario della repubblica francese presso S. M. il Re delle due Sicilie all’ammiraglio Carlo Baudin in data del 4 marzo; due copie stampate della proclamazione di S. M. il Re Ferdinando II in data di Gaeta 28 febbrajo ultimo – Saranno sei mesi da che i vice ammiragli comandanti le forze navali di Francia e d’Inghilterra, mossi da un sentimento di pietà cristiana per le calamità di ogni genere che desolavano la Città di Messina, e che minacciavano di allagare ogni parte di Sicilia, s’impegnarono sulla loro personale responsabilità di opporsi alla continuazione delle ostilità cominciate dall’esercito napolitano. Da quel tempo i Governi Francese ed Inglese, approvando la condotta dei loro rispettivi Ammiragli, ed animati da sentimenti di benevolenza per la Sicilia, hanno tentato di portare a termine fra questo paese ed il Regno di Napoli una riconciliazione vantaggiosa alle due Nazioni, che assicurerebbe alla Sicilia la libertà costituzionale che da tanti anni desidera avere. Gli sforzi delle potenze mediatrici sono stati coronati da un felice successo. Essi hanno ottenuto dal Re Ferdinando II un atto che guarentisce alla Sicilia

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le basi della Costituzione del 1812, con un Parlamento, ed un’amministrazione separata, nella quale tutti gl’impieghi saranno occupati dai Siciliani. Tali vantaggi sono accompagnati da una precedente promessa di obliare qualunque colpa ed errore politico commesso dorante l’ultima rivoluziono Siciliana. Pare ai Governi francese ed inglese, che niuno ostacolo impedisca presentemente alla Sicilia ed al Regno di Napoli di rinnovare quei legami che per sì lungo periodo di tempo hanno unito i paesi sotto una stessa monarchia. In conseguenza il sottoscritto vice ammiraglio, è stato incaricato di trasmettere al governo siciliano le condizioni di un piano di conciliazione, e di rinnovata unione fra i due paesi. Spera sinceramente che queste condizioni che considera come perfettamente ragionevoli, ed onorevoli, siano accettate; e che in vece di ricorrere ulteriormente alle armi, ed impegnare le milizie napolitano in un incerto e disuguale combattimento, la Sicilia si affretterà a godere il beneficio delle istituzioni che sono così offerte senza pugna, e senza più costare una goccia di sangue, o una semplice lagrima. Il sottoscritto chiede al Ministro degli affari Esteri di Sicilia, di accettare l’assicurazione della sua alta stima – 7 Marzo – Carlo Baudin».

Il Consiglio di Stato Siciliano, avuti per mezzo del Ministro degli affari Esteri il regio ultimato, e tutti gli atti accennati, non emise veruna opinione, ritenendo che le Camere avessero il dritto di risolvere; sì che si propose al Parlamento cosa si dovesse fare: la risoluzione non potea non esser consentanea alle sregolate passioni che tuttora tenevan grama, ed agitata la infelice Isola, e in quella, che i proprietari, i negozianti, il clero e moltissimi altri avevano gli animi inclinati alla pace, tutti coloro che nella pace nulla speravano furono i fomentatori del rifiuto. Nell’atto che si tentennava fra i dubbi nella Camera un Deputato così disse: la risposta da darsi, l’ha data la Sicilia intiera;

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che perciò il parlamento non può darne altra, che quella già data: la guerra. Al che i Deputati si alzarono con le destre distese, e il popolo ripetè il grido di guerra; il quale grandemente stimolò le concitate turbe le quali andarou tosto gridando per le vie principali della Città in mezzo allo agitar delle bandiere vita la Sicilia, guerra, guerra. Nel ribollimento di quell’infernale tumulto si era ormai reso periglioso di parlare di pace, e inutile addurne le ragioni; il fantasma della indipendenza si era fitto in testa a tutti, ed ogni considerazione ottenebrava, eziandio quelle nascenti dalla disuguaglianza delle forze e dei mezzi della guerra. Diffidi cosa è rattemprare o spegnere le morali febbri tra popoli rinfuòcati dal clima meridionale! Gli Ammiragli però, secondo la data parola, allontanavano dai sconvolti liti le loro prue.

Sperata indarno la pace, e sendo ormai vicina la stagione opportuna al campeggiare, si venne allo sperimento delle armi, il quale mai non poteva esser dubbio per l’oste regia, poiché combatteva con mezzi regolari, ed abbondanti, ed eccellenti generali contro poche milizie stanziali, e molte torme collettizie, non da fede di giuramento, non da ordinanze, non da sensi giusti, ma da furore spinte, il quale pari ad ogni veemente passione, facile è a svolgersi, facile a dileguare. Perlocché nell’atto ispesso della sicula trattazione, il napolitano governo, subodorato, che nessun frutto sarebbesene ricavato, e conosciuti i preparativi di guerra, che in Sicilia si facevano, non si era rimasto dal provvedere alle sue forze; avea fatto aumentare in Messina le truppe di linea, la cavalleria, l’artiglieria da campo, le navi da guerra, le provvisioni, e tutto il bisognevole per le armate di terra e di mare, che dovevano mandare ad effetto questa seconda spedizione; e siccome avea conosciuto che due grosse fregate a vapore siciliane avrebber preso parte alla battaglia; così fece provvedere quasi tutti i bastimenti da guerra di palle incendiarie,

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le quali per fermo in un conflitto navale avrebbero arrecato immensi danni.

Reggeva eziandio questa seconda guerra l’illustre Tenente Generale Filangieri, il quale arrivava in Messina tulio Stromboli ai 23 di quel Marzo, e facea affigger per

Ma i segni della imminente guerra si rendevano incessanti e manifesti dal giorno 25 Marzo in poi. Le milizie addette agli avamposti nella linea di Barcellona ritirate, e portate in Messina dalle fregate a vapore che le aveano imbarcate nel porto di Melazzo: l’Ospedale militare di Messina disfatto, e gl’infermi, le lingerie, i letti, e tutte le altre masserizie portate in Reggio; finalizzati, e forniti di ogni maniera di provvisione i due forti Gonzaga e Castelluccio, i quali posti in luoghi opportuni tenevano in rispetto Messina; ed in questa città si stabilì un contingente di truppe puramente necessario per custodirla, e proteggervi l’ordine, le quali doveano rientrar tosto in Cittadella, ove casi gravi accadessero; medesimamente veniva statuito un nodo di milizia e di volontari siciliani, per difendere le già conquistate regioni da qualunque tentativo nemico dopo uscito l’esercito da Messina, ed ai suoi destini avviato: giunsero da Napoli la fregata a vela Partenone, ed altri bastimenti che dovean formar parte della spedizione: infine tutto era approntito per incominciare la guerra. L’armata di terra ascendeva circa a 20,000 combattenti fra quali noveravansi due reggimenti di cavalleria, altrettanti di svizzeri,

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e circa 80 pezzi tra artiglierie di montagna e da campo. Guidavan queste armi i Marescialli Pronio e Nunziante, duci delle 2 Divisioni; ed i Generali Busacca, Zola, Rossarol, e Murali, collaudanti delle 4 Brigate. La squadra componevasi di tre fregate a vela, sei a vapore, quattro corvette a vapore, fra quali una destinata a balestrare i razzi incendiari, e molti altri bastimenti da trasporto. Comandante di essa era il Coni: Vincenzo Lettieri; e della divisione dei vapori il Marchese de Gregorio. Tutte queste genti di mare, e di terra obbedivano a S. E. il Tenente Generale Filangieri.

Intanto il Generale in Capo fatto attelare ai 29 Marzo tutto l’esercito nella strada della marina di Messina,passavate a rassegna, inspirando e ricevendo fiducia da quegli agguerriti e forti drappelli, i quali nell’atto che si restituivano alle caserme fecero echeggiare l’aere di ripetuti evviva il Re. Però si conosceva, che i Siciliani si erano eziandio validamente apparecchiati a battagliare; e poiché aveano sospettato che Catania formerebbe il primo obbietto degli assalii, non si erano rimasti dal fortificare con opere e con uomini tutti i punti pe’ quali i Regi dovean passare. Era fama, che una grossa testa di combattenti avessero essi rannata nella piana di Catania per commettere ad una battaglia campale le loro sorti; che avessero validamente fortificato il passo di Taormina, per natura inaccessibile; che fossero muniti di reggimenti regolari di fanteria di cavalleria, ed anche di artiglieria da campo; e che uscirebbero in mare con quattro legni a vapore da guerra, fra i quali due grosse fregate. Tali erano le voci che correvano in Messina, e che il tempo in gran parte avverò.

In mezzo a tali dicerie, e a tali fatti gli animi si rimane ano in sospeso, quando ai 30 del cennato Marzo apparvero per le cantonate di Messina taluni proclami che dileguarono i dubbi.

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In uno di essi il Ten. Gen. Filangieri diceva, avere gli agitatori di Palermo rifiutate le largizioni politiche offerte loro dal Re; aggiunte le derisioni al rifiuto, e impedito che gli onesti cittadini conoscessero i sensi benigni del Re; doversi ricorrere alle armi affin di distruggere le mene degli anarchisti, che ad altro non intendono se non a suscitare gli orrori

Questa dichiarazione di guerra gittò in costernazione tutt’i Messinesi o perché consideravano, che la loro isola dovesse essere tuttavia lordata da sangue cittadino, o perché temevano, che per qualche capricciosa alzata d’insegne non avessero a gravare sulla loro infelice patria nuovi orrori e nuove miserie. Taluni sgomberarono dalla città; e tutti stavano in paurosa sollecitudine. Pertanto un avviso del Comando Generale riportava, che, rotta la guerra, era utile, per evitare i possibili trambusti, e rassicurare i buoni cittadini, guardare militarmente l’ordine pubblico e la sicurezza delle vite e delle sostanze;

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epperò stabilivasi Io stato di assedio per Messina e i suoi dintorni, ed un tribunale militare.

Bandita la guerra, le menti si rivolsero ben tosto al piano dell’attacco. Credevano i più, che il Generale Supremo avesse in animo di tagliare il nodo dirittamente in Palermo; e che ad evitare la effusione del sangue si limiterebbe a bloccarlo per terra e per mare; che tutta la

Tali erano le credenze, ora scendiamo a raccontare i fatti. Nell’annottare de’ 30 Marzo s’imbarcarono sulle sei fregate a vapore circa 5000 uomini di fanteria sotto gli ordini del Generale Busacca. Talune di quelle salparon presto, e si diressero fuori la sponda delle mortelle affine di aspettare le altre che avevano ritardato a distrigarsi dal porto. Al far del vegnente giorno riunite tutte si disposero in linea di battaglia difilando contro la costa che si distende dal Faro a Cefalù. nel fine di far divulgare in Sicilia uno sbarco nelle vicinanze di Palermo, e nel 1.° Aprile ritornavano, e imboccatesi nel faro dalla parte di Scilla

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si tragittavano dal lato opposto. Esse avevano avuto l’ordine di rasentare il lido, e proteggere le milizie, le quali scompartite in due divisioni si eran mosse nella notte da Messina e marciavano a scaloni per la volta di Catania. La prima divisione dal General Pronio era comandata, e, disposta in antiguardo, centro e retroguardo marciava per la via vicina al mare;

La divisione Pronio, il cui antiguardo aveva fugato alquanti ribelli a Scaletta, giunta nei dintorni di S. Alessio incontrò una testa di 800 Siciliani diretti da un Colonnello Polacco, i quali avean preso posizione per impedire il passo ai regi. Vi fu uno scontro, ma bentosto i Siculi si sbandarono. Il vapore Io Stromboli sul quale era imbarcato il Duce supremo, e che rasentava il lido operò con frutto balestrando bombe su quelle masse: i cannoni del capo di S. Alessio più volte tuonarono invano. La divisione si spinse innanzi a piede lento. Molte case di campagna andavano in fiamme: quelle case e quei paesi sui quali sventolava bandiera bianca erano rispettati.

In sul vespro si fecero e condussero 11 prigionieri sulla fregata a vapore il Roberto, dei quali due soltanto erano siciliani, i rimanenti piemontesi, francesi, e veneziani. Più tardi vi pervenne il Colonnello Polacco, presentatosi al General Pronio

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per essere condotto dal Comandante in Capo. Nel suo discorso asseriva, nato ed educato nelle armi, emigrato dalla sua terra natia, aver servito nell’armata di Affrica; scoppiata la ultima rivoluzione a Parigi esservisi menato; infine, premurato, aver preso servigio nella Sicilia: ma pervenutovi appena essersi grandemente sorpreso, quando non rinvenne che truppe a

Spuntò il giorno 2 aprile nel quale dovessi operare pel passo di Taormina. Un monte altissimo s’innalza a picco dalla sponda, ripido, e scosceso, sul dorso del quale si rinverga il sentiero per cui si va a Catania, anch’esso ripido e difficile; nel culmine del monte evvi un forte; ed un pò all’interno di esso la città di Taormina, la prisca Taoromenium, nota nelle istorie sì pei superbi avanzi dell’arte antica; sì per le sue lamentevoli catastrofi dietro i terremoti che in varie volte la distrussero, e segnatamente per le sue vicende guerriere; poiché tenne forte contro i Saraceni, anche quando Sicilia tutta si sobbarcava al loro dominio; e costituì l’ultimo propugnacolo dei Greci, intorno al quale spese ben sette intieri mesi in combattimenti il Califfo al Moezz coi suoi Àrabi nel 971, e per la riportata vittoria tanto inorgogliva,

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che volle fosse dal suo nome appellata Almoessia. Il taorminese passo era fortificato per moltiplici munimenti, e difeso da 4000 armati, cosicché il Generale in Capo avea disposto all’uopo un apposito piano di attacco. Si spingerebbero i cacciatori sui monti alpestri che dominano Taormina, e di là divallandosi di giogaja in giogaja riuscirebbero al fianco del nemico: camminerebber caute le divisioni per attaccarlo di fronte: i bastimenti briccolerebbero spesse bombe: la brigata Busacca, sbarcata sulla riva opposta, attaccherebbe alle spalle: il resto dagli eventi. Il giorno 2 era designato per le manovre di marcia, ed il vegnente per gli assalti.

Frattanto giovava che si forzassero i difensori di Taormina a smascherare i loro cannoni e le loro fortificazioni; perciò fu ordinato che le fregate a vapore bordeggiassero sotto al pie del monte, e talune di esse v’ ingaggiassero un’ attacco. In vero il Roberto, si appressò per quanto più era possibile, e data la massima elevazione alle sue artiglierie, aprì il fuoco contro il forte Taorminese: parecchie bombe caddero e si screpazzarono in mezzo e nelle vicinanze di esso; e pei Siciliani furono abbriccati alquanti colpi.

Mentre tali cose si operavano da mare, talune altre più utili a terra susseguivano. Due battaglioni di Cacciatori (1.°e 5.°) e alquante compagnie del 6.° guidati dai Ten. Colonnelli Marra e Pianelli, e una frazione del 6.° di linea retta dal Colonnello Grossi, e postata sul culmine di un colle, urtavano man mano i Siciliani, i quali disseminati per quei rotti e malagevoli sentieri con molto impeto faceano di oppugnare i Regi, però man mano pressati dal valore di questi, risalivano sugl’inaccessibili greppi, in quella che le loro artiglierie già tuonavano ai danni degli assalitori, i quali progredendo animosamente a traverso di mille ostacoli miravano ad occupare il passo fra Taormina e Mola, unica ritirata dei ribelli.

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Durava da più ore il bellico rumore, ma i Siciliani investiti da ogni parte, e sgomentati dall’audacia dei Regi man mano andavano in volta. Intanto il Tenente Bellucci con un pugno di 30 Cacciatori, si cacciava nel contrastato paese, il quale di breve era assiepato dal primo battaglione di quell’arma.

Per tal modo nel declinare del giorno 2 aprile cad

Nel romper dell’alba del 3 Aprile, siccome era stato ordinato nel giorno innanzi, tutte le fregate a vapore si accostarono al lido che si stende a mezzogiorno di Taormina, e sbarcarono la brigata Busacca, la quale formatasi in battaglia sul!’ arena de’ Giardini tolse a marciare per assaltare alle spalle il Taorminese passo; ma mossasi appena si arrestò; perché le truppe del lato opposto comodamente varcavano quel sentiero. Nessuna resistenza si era più fatta da parte de’ Siculi, i quali si erano appartati da quella regione Intanto molti edifici di Taormina, e parecchie case villerecce divampavano. Il fumo e le fiamme taorminesi divulgavano alle conterminali regioni la sorte di quelle che tuttavia indurate nella fatale lusinga di dar fiato alla ribellione curavano di contrastare le regie armi; epperò man mano s’incominciarono a vedere banderuole bianche sventolare di qua e di là,

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e molte deputazioni spedite dai paesi per attestare sensi di devozione al Re, e benigna volontà verso le milizie. Traevano a folla le popolazioni agitando il pacifico lino, o rami di ulivo, e riempendo l’aere di moltiplicati evviva al Re, al Duce Supremo, ed alle truppe, le quali anch’esse alla lor volta, deposto ogni livore per le ferite o le morti del compagni, mescolavano le proprie con le lacrime di quei loro fratelli,

La facile espugnazione del difficil passo di Taormina aveva in gran parte dileguati i dubbi intorno alle future sorti delle armi siciliane; imperciocché se nessun frutto avean raccolto là dove eran guarentite dalla naturale difficoltà dei luoghi, nessunissimo per certo avrebbero potuto raccoglierne là dove tali difficoltà, non che minorare, mancavano. Vero è che si eran fatti, siccome cenneremo, non pochi munimenti; ma non potevano equiparar quelli della natura; ed oltre a ciò guai alle armate che difettano del primo ed essenziale munimento, che sorge dal cuore. Circostanza alla quale avrebbero dovuto seriamente badare i Capi della siciliana rivoluzione prima di respingere il regio ultimato: ma la sbrigliata età no ‘l consentiva 1!

Al di là di Taormina corre il paese e si allarga per ampio tratto in larghi campi, dolci chine, e facili colli, in mezzo a’ quali spinge in altissima regione il suo nevoso capo la fumante e maestosa Etna. Innumerevoli abitazioni campestri, moltissimi paesi, e varie città vi sono qua e là sparse; e fra esse meritano menzione pel nostro proposito, AciReale Catania; la prima fortunatamente indifendevole, abbandonata dai Siciliani; l’altra atta alla difese, in vari modi munita.

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Il suo porto, che si apre a semicerchio irregolare, guardato da 4 fortini, due antichi e due nuovamente formati, dai quali 14 cannoni di vario calibro incrociavano i loro tiri; una poderosa e lunga concatenazione di grosse travi, validamente connessa ad ambo le braccia del porto, ne chiudeva la bocca. Le principali strade della città asserragliate da varie barriere;l’estremità della strada consolare, per la quale si

Ma prima che io descriva la catanese catastrofe non siano fuori di proposito alcuni ricordi intorno a quella inclita Città. Sull’abbronzata e adusta spiaggia, uscita già dalle ribollenti viscere dell’Etna con grande esterminio e spavento, quasi in piano si distende Catania. Talune vecchie leggende ne riportano la origine ai Ciclopi, altri a Deucalione e Pirro, ed altri ai Sicani. Checché sia di ciò egli è certo, che fiorente era Catania, allorché scacciatine i Sicani, cadeva in potere dei Tirreni, ai quali poscia la strapparono i Siculi, e a questi nel 730 i Calcidesi guidati da Evarco. Gerone la mise a sacco, e diedele l’attual nome; in seguito venne in mano degli Ateniesi, i quali rimpatriando la lasciarono a Dionigi, che seguendo suo reo tenore, la smurò, e ne trasse in Siracusa la piupparte degli abitanti. Sotto il romano imperio fu quasi totalmente smantellata

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dal figlio di Pompeo; indi presa e saccheggiata dai Saraceni, che si recarono al possesso di tutta Sicilia, e più tardi conquistata dal Normanno Ruggiero, il quale prese a murarla, bastionarla, e fortificarla, il che però non impedì che il secondo Federico non se ne insignorisse.

Catania non pure fu zimbello delle tristizie degli uomini, ma mollo più di quelle assai più esiziali della na

L’esercito napolitano al far del giorno 4 Aprile riprese cauto e rannodato le mosse; ma non poté più marciare a vista della flotta poiché la via che mena da Riposto a Catania s’interna e serpeggia fra le pianure e le colline etnee. Tutte le terre prossimane alla strada che battevano le reali milizie non si rimaneano un sol momento dal manifestare allegrezza nel vederle; faceansele all’incontro quelle popolazioni gridando Viva il Re, sventolando bianchi lini, scuotendo rami di ulivo,

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e portando talora secchie di acqua e vino affin di rifocillarle dai disagi della marcia.

La flotta a vapore intanto nel mattino dei 5 Aprile si era diretta e giunta nelle acque di AciReale, e avvicinatasi, ben tosto gli Acitani innalzarono il pacifico lino; ed inviarono una deputazione numerosa di ragguardevoli personaggi ad incontrare il Generalissimo e manifestargli sensi di devozione e di affetto al Re. Le milizie pertanto entrarono verso il mezzodì nella sottomessa città, la quale sbattezzata del nome di Aci-Nazionale, datole dai Siciliani, riprese quello di AciReale.

Furonvi trattate le truppe con ogni maniera di affetto, né a questo si rimasero gli Acitani; perché molte altre cose fecero nei giorni avvenire: indirizzarono al Generale Supremo una supplica per essere umiliata al Trono di Sua Maestà, nella quale esponevano gli antichi sensi di fedeltà serbati in altri tempi calamitosi; le amichevoli largizioni fatte ai regi impiegati, quando, scoppiato il turbine della rivoluzione, andavan raminghi di terra in terra per sicurezza di lor vita; le nuove forme politiche alle quali si eran sobbarcati per effetto della forza; e l’ospitale albergo dato or ora alle truppe: accompagnavan questa supplica la bandiera ricamata in oro ed in argento, e la spada dall’elsa di oro, che Catania avea donato ad AciReale per infiammarla, e renderla corriva al nuovo ordine politico. Così nel corso di breve ora questa Città mutava nome, e sentimenti; ed ogni vestigio della rivoluzione spariva.

Le fregate a vapore, dopo veduti i segni della pace in AciReale, e confirmate nella realtà, disposte al solito in linea di battaglia, abbrivarono per Catania a fine di osservare qual manifestazione si facesse. Furon brevi i dubbi; perché comparso appena il Guiscardo, capofila di quelle, tutti i cannoni delle catenesi batterie fecer fuoco vivo e nudrito, ed allora si ristettero quando l’ultimo vapore si era dileguato.

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I bastimenti contracambiati i colpi man mano si allargarono, perché non vi era ordine di combattimento: non fecero né patiron danni.

Chetato il cannoneggiare, vedeasi da mare un andare ed un venire di gente armata nella Città, un affollamento intorno ai forti, l’incesso regolare de’ reggimenti, un generale apprestarsi alla pugna, e per lo allontanamento de’ vapori

Le regie navi intanto, raggiunto il prefisso scopo, rivolsero le prue nelle acitane acque, dove si rimasero, nella vegnente notte. Lo Stromboli però dilungatosi alquanto nel ritorno osservò e prese due feluche stipate di fuggitivi; e toltele a rimorchio le trasse innanzi ad AciReale. Le milizie pernottarono in questa città. Il tempo che nel mattino si era mostrato benigno, si rabbruscò nella seconda metà del giorno; un denso nugolato si stese nel cielo; il vento soffiò dapprima moderatamente, e poi fresco; il mare si scommosse alquanto, e non poca spruzzaglia e pioggia caddero. ,

A tal modo finiva il giorno 5 Aprile, ben altra però fu la fine del vegnente. L’alba del 6 fu alba di sangue. I Siciliani e i Regi con assai fieri proponimenti, e sdegni micidiali, andavano a scontrarsi su qucll’arida e bruna regione dell’Etna. Due strade si aprivano al Generale Supremo Napoletano per sospinger le sue armi sulla nemica Catania, delle quali l’una scorre agevole e piana, non lunge dall’abbronzata spiaggia, e l’altra si addentra malagevole pei vicini monti, traversando Aci S.Antonio, Aci Buonaccorso, S. Giovanni la Punta, e Rattiati. Egli con arte sopraffina avea in modo disposte le cose nel giorno innanti, che pareva che volesse andare all’assalto per la maremmana via, sì che le sicule armi a tutta ressa, vi si erano affollate, ed avean preparate le insidie e la pugna; ma il prode Filangieri dischiusa appena la nuova luce,

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di tratto dirigeva i suoi urti per la montagnosa traccia; perlocché addatisine i siculi accorrevano nella minacciata regione, e come poterono il meglio compierono le posizioni già preparate, e validamente vi si postarono, aspettando l’inimico vicin di S. Gregorio, a sei miglia da Catania. Munivano il sito non poche artiglierie, lunghi muri a feritoie; e molti cordoni

l’Oste regia si mosse ai suoi disegni da AciReale, attraversò di quieto Aci S. Lucia, Aci S. Antonio, e pervenuto a Mocari il suo antiguardo vi rinvenne un nervo di Siciliani i quali, presa posizione sur un colle prossimano, abbriccavano spessi e furiosi colpi, in quella che irrompeva una carica di siculi Dragoni postati alla falde di quello. Titubò per un istante la percossa avanguardia, ma dispostasi in opportuno modo, e coronate le vicine alture, si scagliava con forte impeto contro il nimico, il quale di tratto andò in volta. Spazzata a tal maniera quella regione dai fanti e cavalieri siciliani, proseguiva la colonna il suo cammino; passò pacificamente Belvedere è S. Giorgio, ma uscita appena fuori di questo paese, e veduto il nemico grosso ed ordinato, si dispose a combattere. Cinque battaglioni di Cacciatori, e quattro compagnie del 3.° e 4.° di Linea si scompartirono per quella regione; e gli altri soldati direttamente vi accennavano. Fu cominciata la battaglia in tutte le posizioni. In fiammavansi a vicenda i Siciliani; gl’inanimavano i loro Capi, i quali andavan gridando, sostenesser l’impeto nemico, perché perdendo Catania, tutta l’Isola si perderebbe. Presagio avverato. I Napoletani pertanto con estremo valore pugnando si spingevano innanzi, e tutti gli ostacoli soperchiavano; e progredendo con validi movimenti di fianco faceano indietreggiare i Siculi, i quali, convergendo sempre, miravano a riconcentrarsi nella città, dove per altre opere ed altri armati si sarebbe rinfrescata la pugna.

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Mentre tali cose succedevano a terra, non si passava inoperosamente a mare. Alle 7. a. m. tutta la squadra, volte le poppe ad AciReale, indirizzavasi nelle acque di Catania. Le tre fregato a vela si teneano un pò lontano dalla terra; poiché il tempo mostrava d’imperversare

Frattanto il combattimento a terra proseguiva sempre con ammirabile fervore; i Siciliani infine, respinti da tutte le posizioni si erano rannodati nella città, quindi il turbine della guerra prese ad infierire sulla infelice Catania. Accostati i regi alla porta di Aci per addentrarsi nella strada Etnea, una improvvisa ed invisibil grandine di palle cominciò ad infuriare dagli edifizi e dalle barricate.

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Eran mietute le migliori vite, e i migliori corpi feriti. In mezzo a tanto sterminio fumigavan gli edifizi che nei contrastati luoghi sorgevano; scoppiavan talune casse di polvere rimaste in essi; ogni cosa volgeva

Era ormai innoltrata di molto la notte, e tuttavia si battagliava. Chi mai potrebbe appieno ritrarre quel quadro terribile ad un tempo e commiserevole?… Fracasso continuo e fitto di archibuseria; rumor cupo ed interrotto di cannoni; grida incuoranti alla pugna; lamenti di feriti e di agonizzanti; fiamme scoppiettanti e furiose; un nuvolame di fumo illuminato dalla sinistra luce degli incendi che divoravan palagi, case, e casine; e fra tante lugubri apparenze, tuttoché il cielo fosse stellato e sereno, l’Etna anch’essa di fosca nube si ammantò!! Finalmente la notte, benigna dispensiera di quiete, nella sua seconda metà poté sugli stanchi corpi e li trasse al riposo. Chetarono i bellici rumori.

l’aurora del 7 aprile spuntò mesta pei Siciliani, allegra pe’ regi, che gustavan le delizie del trionfo. La squadra a vapore si appressò ai forti per combattere; ma ormai le sicule bandiere non più vi sventolavano;

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poiché gli artiglieri col favore della notte eran fuggiti. Verso le 8 a. m. tutta la flotta si riposava sulle ancore nel porto di Catania. Il vapore inglese il Buldog, ed il francese il Descartes, i quali si eran tenuti in quelle acque, anch’essi detter fondo nella rada, e sbarcarono molte famiglie che avevano accolte nel giorno 5.

L’esercito napoletano tolse le stanze nella città. I feriti furon imbarcati sul Capri per a Seggio; ed i cadaveri bruciati. L’aspetto delle cose apparve più che mai affligente al sorger del novello sole. Dovunque si fosse volto lo sguardo l’animo si sarebbe inorridito ed afflitto. Le vie e i campi lordati di sangue; gli spenti tramescolati e giacenti in varie attitudini; uomini divisi in vita per sentimenti, aggruppati sullo stesso suolo e da comune sventura adeguati: il cadavere di un ufficiale, distintissimo per valore, e del valore vittima, con bestiale efferatezza smembrato: edilizi divampanti, o scrollati in parte, anneriti per fumo, e sgretolati: un puzzo ributtevole di arso; infine l’antica, la dulia, la industriosa, la galante Catania, fatta albergo d’infinita doglia II

Il numero de’ feriti e degli spenti, non si sa con precisione. Fu fama che dugento de’ regi, il doppio dei Siculi fossero mancati o feriti: scarso numero in uno scontro di circa 50,000 combattenti: fra i primi noveravansi 40 ufficiali, e si seppe che i ribelli avean precetto di prenderli particolarmente di mira. Cinquanta cannoni ed una immensa quantità di munizioni di ogni genere vennero in potere dei regi. Frattanto parecchi nemici eran rimasti rimpiattati in varie case di Catania: alcuni de’ napoletani passando corsero pericolo di vita per colpi invisibili che uscivan da quelle: scoverto il fatto, taluni furono fucilati, e molti imprigionati.

Apparvero successivamente per le cantonate dì Catania vari proclami ed ordinanze, che miravano a ristabilirvi L’ordine e la quiete.

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La prima ordinanza era diretta contro i ladri che andavan svaligiando le case degli assenti: quelli che fossero incolti in flagranza o quasi flagranza, sarebbero arrestati, e come scorridori di cam

Un altra ordinanza prescriveva il disarmo generale della città e de’ paesi conterminali, e pene gravi ai contravventori. Una terza determinava, che i consegnatari di vesti, carbon fossile, polvere, munizione, ed altri oggetti guerreschi dovessero al più presto rivelarli alla militare autorità, e chi trascurasse di farlo sarebbe punito. Fu ordinato eziandio, che a tutela e sicurezza della conquistata provincia fossero organate le antiche guardie urbane dagli antichi sindaci e capi urbani sul tenore dei tempi antecedenti al 1848. Un manifesto del cav. Alessi invitava i Catanesi a rientrare nella loro amata città, poiché già l’ordine eravisi restituito, e lo vite e le proprietà non aveano a paventar di nulla.

Nel giorno 8, il Principe di Satriano portavasi nella cattedrale con gran seguito di ufficiali di terra e di mare per assistere alla funzione, con cui la chiesa rimemora il nostro riscatto; passando per le strade salutavamo come liberatore i popolani, e molti faceano di baciargli le mani, e i piedi. Ammirabile singolarità!! protestavan sensi di affetto e di amicizia a’ napolitani quegli stessi, che ne’ precedenti giorni avevano i napolitani imprecati, e forse anche le fratricide armi a lor danno brandite!!

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#SPEDIZIONE

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