Alta Terra di Lavoro

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Vecchi cortili di Itri di Alfredo Saccoccio

Posted by on Ago 3, 2024

Vecchi cortili di Itri di Alfredo Saccoccio

La strada Civita Farnese è ricca di scorci incantevoli. Essa è un piccolo campionario delle bellezze naturali di Itri. Qui la natura e l’uomo si integrano armoniosamente, l’olivo e la quercia non si arrestano davanti agli orti, agli agrumeti, agli alberi da frutto, ma li circondano,.li sopravanzano. Dal belvedere del santuario dellla Madonna della Civita vi apparirà come una sublime glorificazione del Creato. Gli uccelli si beccano strillando sui rami del vecchio troncone della vite che allunga le braccia e i tralci su tutte le finestre. tappeti. Rimbombano da ogni latoe che allunga le braccia.

     E i tralci su tutte le finestre. Raramente abbiamo visto una vite-albero così nodosa e ruvida e prepotente. Da dove attinga vigore e linfa è un  mistero. Nessuno la coltiva e l’annaffia, eppure, di anno in anno, cresce a dismisura. Forse pesca le radici nelle fognature del caseggiato, che si affaccia con balconi e terrazze e piani rialzati sopra un’unica corte, pullulante di bimbi e rumurosa di lambrette e di incudini.

   Ed ecco l’ora dei tappeti. Rimbombano da ogni lato i colpi dei battipanni. E’ una gara violentemente orchestrata di bastonate sui drappi ele brave massaie, i capelli  ravvolti in reticelle e pezzuole e in fazzoletti, si sbracciano e si affaticano, con un accanimento quasi  sadico, in questa opera di spolveratura. Belle donne, giovani, di caldo sangue, ancora insonnolite e discinte, si sporgono tra sorrisi e frizzi, dalle finestre, sventolando bandiere sui balconi. Dagli interni, letti, specchi, tende, mobili sembrano esposti, in disordine, alla curiosità di tutti. Poi, di botto, le persiuane si accostano e comicncia il movimento del cortile, di porta in porta. Il ciabattino tira fuori il suo deschetto, la stiratrice soffia sul ferro a brace, il sarto cuce sulla soglia della sua abitazione.  C’è anche un pittore, un vecchio pittore, ormai dimenticato,  che rifà , ogni giorno, lo sesso quadro e, infine,lo cancella per ripigliarlo daccapo. E’ detto il maniaco del cortile e sbraita contro  “l’astrattismo” che gli ha tolto ol pane dalla bocca. Il sarto gli dà ragione, perché anche lui è vittima di queste   “ sporche mode del dopoguerra” che vestono gli uomini come le donne e le donne come gli uomini e tutto a furia di maccihinari.

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      Domenico Brasi, il mendicante, si è applicato alla gaba destra jn grosso batuffolo di stracci, ben avvolyolasto con bende e cordicelle e, assestatasi la atampella sotto il braccio, comincia la litania della questua. Una litania du sua invenzione, con acuti e bassi, gorgeggi da intererire le pitre. Tiene gli occhi sbarrati a mo’ dei ciechi e racconta, nel canto, tutti i particolari della sua disgrazia, come si trattasse della vita  di un martire, promettendo felicità e benessere a chiunque gku butti un po’ di fenaro nel cappello, che deposita, di volta in volta, per terra.

   Nessuno naturalmente abbocca. E allora Domenico Brasi iniaiia un lancio di maledizioni e di imprecazioni così paurose, che, da ogni parte, gli piove sul capo un diluvio di immondizie. Egli, però, imperterrito, rincara la dose, promettendo peste, colera e scabbia   a chicchessia, finché qualcuno, per toglierselo dai piedi, non gli ficca in tasca qualche moneta. Subito il pezzente leva le tende, anche perché fiuta nell’aria l’arrivo imminente dei monrllacci, dei quali ha un terrore morboso, perché, se lo pigliano d’assalto, ha un bel correre ed urlare, qua e là con la stampella alzata. Quei diavoli gli sfuggono,come anguille, dalle mani e gli svolazzano  attorno come pipistrelli, soprattutto se attaccano certe battaglie, da predoni del deserto, a colpi di pistola a polvere e che fanno fuggire su per i tubi piovani, i gatti impazziti e guaire i cani dell’isolato.                        

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   Il sole cade a picco sulle lastre di lava infuocata e tutti fanno il pisolino. Solo il venditore di stadere, gelosissimo  della moglie ossigenata, che legge fumetti, dietro la bussola del magazzino, sta con un occhio chiuso e l’altro aperto. Questa storia del maresciallo, che si è comprato un motociclo e va e viene, cacciando  trombonate di fumo di benzina dal tubo di scarico, gli attoscisce il sangue, Glielo  ha fatto sapere che, un giorno o l’altro, scoppierà la bomba, Ma le donne sono donne e la biondina è davvero di queller che mettono con le spalle al  muro qusmdo si lava i capelli nel catino e se li asciuga al vento! Le colombe si arrampicano sulla pancia della cupola lì, nella chiesa accanto, e svolano tra il campanile e i tetti, con lenta dolcezza d’ali, in un cielo chiaro e lucido come la seta. E’ l’ora del lupinaro che giunge con il suo asinello

 dalle bisacce gonfie; l’ora dei venditori ambulanti di carciofi bolliti; l’ora in cui gli stallieri scamiciati dormono sulla paglia pesta dei cavalli, inviando moccoli, tra uno scossone e l’altro, alla signorina del terzo piano, che studia l’arpa e strappa l’anima al vicinato, con i suoi lamentosi accordi:”dlì”, “ndlù”, “ndlin”, tutto il pomeriggio.

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   Al calare della sera, le donne si apparecchiano come se dovessero andare a festa. Non vanno, invece, in nessun posto. Dopo essersi azzimate, truccate, pettinate e liscfiate, si  siedono dinanzi agli usci o sui balconi o dietro il davanzale delle finestre e aspettano non si sa che cosa. Anche i vecchi si fanno trainare all’aperto e guardano come da un palchetto, il cortile. E’ sempre lo stesso scenario. Si conoscono tutti, ormai, da un angolo all’altro, ma non si salutano. Tuttavia, si sorvegliano e si osservano a vicenda, con una ossessionante e monotona indagine, carica si segreti rancori, la quale prepara il terreno a quelle clamorose zuffe di comari, che scoppiano all’improvviso , per un futile motivo qualsiasi. Allora vengono fuori con le scope in mano. Sembra che vogliano, tutte in una volta, fare a gara a chi meglio spazzi il cortile. E le contumelie volano per l’aria come stracci sporchi, tra un grande sbattere di usci e d’imposte. Per fortuna, gli uomini hanno altro da fare (o fingono) che non si muovono di casa, perché altrimenti ci sarebbe da stare allegri, come in una trincea.

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   A  notte alta, il cortile, che dapprima appare punteggiato di lumi,poco a poco, si affonda in un tenebrone fitto e denso. Solo le pupille dei gatti randagi luccicano sinistramente, cime in un pozzo. Le stelle girano così basse chr pare debbano poggiarsi sui tetti neri come la pece , ma non danno luce sulla terra. Il cortile sembra avvolto in una nebbia. Solo lassù una finestra improvvisamente si illumina e dietro i vetri si disegna il profilo di una ragazza dalle chiome di zingara. Chi guarda ? Chi attende ? Fa pensare ai misteri di una incantatrice egizia. Tutte le notti, silenziosa e immobile, questa stupenda figura sorge dall’oscurità, come la giovane  e verde palma, che improvvisamente apparve ad Ulisse nell’isola di Delo e lo lasciò tramortito di stupore.

Alfredo Saccoccio 

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