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Corsari e banditi contro la contea di Fondi di Alfredo Saccoccio

Posted by on Ago 24, 2024

Corsari e banditi contro la contea di Fondi di Alfredo Saccoccio

   Fondi, nei secoli scorsi, poteva considerarsi il capoluogo di tutta la parte della regione littoria, che estende i suoi confini fino alle vette degli Ausoni e della parte più desolata degli Aurunci, ebbe periodi di floridezza nell’età romana (e anche prime, a giudicare dalle sue mura megalitiche) e poi ancora nel Medioevo e nel Rinascimento, quale capoluogo di un contado di vaste dimensioni, che si spingeva sino alle vallate del Sacco e del Liri.

Fondi salì all’importanza di una vera capitale, quando venne in eredità da casa  dell’Aquila  a Roffredo Caetani, pronipote di Bonifacio VIII. Ciò soprattutto per opera di Onorato I, soprannominato “il despota”, che fu uno dei più potenti e indipendenti baroni del regno di Napoli e rappresentò una parte notevolissima, con Giovanna I, nello scisma d’Occidente. Fu proprio qui, nel cosiddetto “Palazzo del Principe”, che presenta, ancora oggi, specie all’interno, eleganti colonnine di stile durazzesco,che, il 20 settembre 1370 i rcrdinali dissidenti, pentiitisi dell’elezione di Urbano VI, l’itrano Bartolomeo Prignano, gli contrapposero quel Roberto da Ginevra, con il nome di Clemente VII, per estendere e approfondire la produttività della sua terra. Eppure il poeta e scrittore Goethe, giunto nella “ridente pianura di Fondi”, potè scrivere : “Questo angolo di terra fertile e ben coltivata,  racchiuso da montagne non troppo aspre, non può mon sorridere a chiunque lo percorra. Le arance pendono tuttora dagli alberi Gli alberi ne sono stracarichi, quanto è possibile  immaginare. In alto, il fogliame tenero è di color giallognolo, ma in basso e nel centro è del verde più marcato. Mignon non aveva torto di sentir   la nostalgia di questo paese”.

   Fondi si presenta al viaggiatore con i più smaglianti colori di natura  e di opere. Il Goethe passò di qui il 27 febbraio 1787, registrando nelle sue note di viaggio la sua gioia per essere finalmente giunto davvero nel paese “ove fiorisce l’arancio”. E questa campagna allora si può dire che produceva tutto da sé, tanti erano gli ostacoli che i poveri fondani, nella loro tenace volontà di bonificare la terra, trovavano nei loro feudatari. La storia di questo comune nel Settecento è appunto tutta in una lotta per costringere i feudatari s favorirlo o almeno a non ostacolarlo  nei suoi sforzi.

   Che direbbe ora il poeta, dopo che gli aranceti si sono estesi ancora di più verso Terracina e  fin nelle valli un tempo desolate di S, Magno ? Qui oggi è tutto in rigoglio di vita. La città vecchia, pur con le sue  viuzze strette, dai nomi troppo impegnativi, di Corso Dante Alighieri, di Alessandro Manzoni e simili, è piena fi movimento, pulita, gentile: Però, fuori della cinta antica,si sta sviluppando la città nuova, fatta di villini civettuoli e di strade larghe e ben tenute Detto dello sviluppo della cittadina, è doveroso sottolinearne l’importanza del il duomo, dedicato a San Pitro Apostolo , sede episcopale sino al 1818, quando Fondi fu unito a Gaeta, chiesa originalissima risalente sostanzialmente alla metà del secolo XII, con modificazioni del secolo dopo, ricca di elementi ogivali cosmateschi, Fra gli altri oggetti ammucchiati in una cappella, possiamo vedere una sedia marmorea, quella che servì alla consacrazione del cardinale di Ginevra.

     Nella seconda metà del Cinquecento mperversava, sulla strada di Formia il bandito Marco Sciarra, che mandò cavallerescamente ad offirire  un salvacondotto a Torquato Tasso, che sdegnosamente lo rifiutò. Tanti anni dopo, il Gasparone, all’epitaffio, catturò un colonnello austriaco. Si comprende allora lo squallore di queste vallate, pur così splendide dal punto di vista naturale.

                         La corte di Giulia Gonzaga

   Onorato I Caetani, che lottò contro i pontefici di Roma per ventudue anni, ha legato il suo nome,oltre  che a un paese da lui fondato verso Minturno (Casstellonorato) , alla chiesa e al convento di San Francesco, da lui qui  ricostruiti nello stile ogivale, allora tanti di moda in tutti questi luoghi. La chiesa, restaurata da Onorato Caetani nel 1472, era stata tutta deturpata, ma era stata restaurata cin grande amore da Gino Chierici, ssovririntendente all’arte medioevale e moderna per la Campania , e anche questo per  iniziativa e a spese del Comune. Nella  navata centrale fu rifatto il soffitto di legno e nell’unica navata laterale, di destra, furono riaperti gli ampi archi ogivali. In questa navata fu collocata una lampada votiva perpetua per i Caduti, ai  quali  è dedicato un monumento nella quale su cui dà la chiesa, piazza Littoria.

   Ad Onorato II Caetani si deve anche il restauro del vecchio convento dei Domenicani, che vantava di aver avuto, per qualche tempo, per insegnante San Tommaso d’Aquino e di averne custodito le ossa fino al 1368,quando Urbano V ne ordinò  il trasporto a Tolosa.Nella sala capitolare del convento c’è un’epigtrafe , che attesta che l’Aquinnate ha ivi insegnato. Accanto , c’è la cappella in cui, secondo un’altra iscrizione, furono deposte le ossa del santo negli anni in cui furono qui custodite. Inoltre si deve allo stesso Onorato II la chiesa di Santa Maria Assunte o S. Maria a Piazza, ce fece rifare in puro stile Rinascimento, da romanica che era prima, come si vede in alcune parti dell’interno.

   Non pare, invece, che si possa risalire ai Caetani l’insieme del castello, forse opera diu Prospero Colonna, che fu loro sostituito, nel 1504, da Ferdinsando  il Cattolico, a ricompensa di servigi militari. Del resto più che della costruzione di sana pianta a  din un castello si trattò di riunire e di integrare edifici preesistenti :il Palazzo del Principe, che domina oggi con la sua mole la città o il castello vero e proprio. Unite, un tempo, da un cavalcavia, queste tre parti sono ora  del tutto separate dall’aria negletta. Eppure  questo castello ebbe una sua epoca di splendore  e di fama, quando Giulia Gonzaga vi insediò una delle più brillanti corti del Rinascimento. La bella e virtuosa Giulia venne a Fondi che aveva appena              quattordici anni, sposa a Vespasiano Colonna, e rimase vedova  a quindici. Giulia mon si maritò più e non diede mai ascolto alle facili seduzioni di un’epoca e di una società  di manica assai larga, accontentandosi di fare di questa sua piccola corte un ritrovo di letterati e di artisti, i quali si compiacevano, come scriveva nel 1535 il Valdes  al Card. Ercole Gonzaga, “della sua divina conversazione et gentilizza, che non è punto inferiore alla bellezza”.

Alfredo Saccoccio

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