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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (III)

Posted by on Ago 27, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (III)

IL REGNO E IL RE D’ITALIA

NEL SENATO PIEMONTESE

Non si aspettino i nostri lettori molte riflessioni su quest’argomento. Pubblicheremo i documenti, e basta. I Re d’Italia sussisterono già ab antico per breve tempo; e il regno d’Italia nacque sotto il primo Napoleone per tempo brevissimo. Che cosa avverrà di noi, sallo Iddio. Ecco intanto le parole dette dal conte di Cavour al Senato del Regno, quando nella tornata del 21 di febbraio 1861 gli proponeva la legge per cui Vittorio Emanuele II assume ?per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia?.

Signori Senatori,

I maravigliosi eventi dell’ultimo biennio hanno con insperata prosperità di successi riunite in un solo Stato quasi tutte le sparse membra della nazione. Alla varietà dei Principati fra sé diversi e troppo soventi infra di sé pugnanti per disformità d’intendimenti e consigli politici è finalmente succeduta l’unità di Governo fondata sulla salda base della Monarchia nazionale. Il Regno d’Italia è oggi un fatto; questo fatto. dobbiamo affermarlo in cospetto dei popoli italiani e dell’Europa.

Per ordine di S. M. e sul concorde avviso del Consiglio dei ministri, ho quindi l’onore di presentare al Senato il qui unito disegno di legge, per cui il Re nostro augusto signore assume per sé e per i successori suoi il titolo di Re d’Italia.

Fedele interprete della volontà nazionale, già in molti modi manifestata, il Parlamento, nel giorno solenne della seduta reale, coll’entusiasmo della riconoscenza e dell’affetto, acclamava Vittorio Emanuele II Re d’Italia.

il Senato sarà lieto di dare per il primo sollecita sanzione al voto di tutti gli Italiani, e di salutare col nuovo titolo la nobile Dinastia che, nota in Italia, illustre per otto secoli di gloria e di virtù, fu dalla Provvidenza divina serbata a vendicare le sventure, a sanare le ferite, a chiudere l’era delle divisioni italiane.

Col vostro voto, o signori, voi ponete fine ai ricordi dei provinciali rivolgimenti, e scrivete le prime pagine di una nuova storia nazionale.

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Pubblichiamo la Relazione dell’Ufficio centrale del Senato, composto dei signori De Gori, Giulini, Giorgini, Niutta e Matteucci, sul progetto di legge per cui S. M. il Re Vittorio Emmanuele II assume il titolo di Re d’Italia.

Signori Senatori,

L’Ufficio centrale, cui affidaste l’incarico di riferire sulla proposta di legge, colla quale S. M. Vittorio Emanuele II deve assumere il titolo di Re d’Italia, è interprete dei sentimenti del Senato, lieto di poter dare il primo sanzione a quella legge che i rappresentanti della nazione, nel memorando giorno della seduta reale, avevano invocato con fervorosi segni di ossequio, di affetto e di gratitudine.

Il vostro ufficio fu unanime nel riconoscere che quella proposta di legge ha la sua origine e ragione in un fatto già solennemente compiuto dalla volontà nazionale, che la coscienza dei popoli civili acclama come un principio d’ordine e di progresso per l’Europa, e che la Provvidenza ha manifestamente promosso coll’aiuto di potenti alleati, e ispirando nell’animo degl’Italiani senno, ardimento, concordia pari alla grandezza dell’impresa.

Pochi sono i popoli che più di noi abbiano dalla natura ricevuto virtù tanto caratteristiche per un’esistenza propria; pochi i popoli che più di noi, rimanendo deboli e soggetti allo straniero, come per lunghe e note sventure già fummo, nuocerebbero alla pace europea, all’equilibrio politico dei grandi Stati, al progresso dell’ordine civile e morale del mondo. Né crediamo che amor di patria c’illuda affermando esser questo il più solenne esempio che offra la storia di un popolo, il quale per concordia mirabile di volontà è giunto a costituire un grande Stato, stringendo insieme i molteplici elementi della nazione, da tanti secoli divisi e dispersi, e contrapponendo alle violenze dei suoi nemici più che altro, l’influenza invincibile delle forze morali.

L’augusto nostro alleato, l’Imperatore dei Francesi, ben comprese questa verità, allorché ci assisteva colle-armi a liberare la Lombardia, e, unitamente all’Inghilterra, affermava nei Consigli europei che non doveva essere fatta violenza agli Italiani, né impedito loro di costituirsi in uno Stato forte.

Le varie provincie della Penisola non fecero che seguire le loro naturali inclinazioni, che spegnere gli antichi germi di debolezza, che provvedere ai supremi bisogni di un popolo libero, costituendo in mezzo alla Europa uno Stato potente che è per sé e per i vicini un elemento nuovo di pace e di civiltà.

Questo Stato ha un nome: è il Regno d’Italia; nome che comprende il territorio naturale occupato da ogni gente italiana e sta a significare la nostra costituzione politica; questo nome esprime che l’ultimo termine dei rivolgimenti italiani è la creazione di una monarchia nazionale.

Acclamando Vittorio Emanuele Re d’Italia, la nazione ha voluto premiare quella illustre Dinastia italiana che col senno civile, col coraggio militare, con spiriti indomiti d’indipendenza rendeva il popolo subalpino degno delle libere istituzioni e custode della bandiera nazionale, ha voluto rendere omaggio alla venerata memoria del magnanimo Re Carlo Alberto ed all’ardito patriottismo del Re.

Il titolo di Re d’Italia pone in atto il concetto intero della volontà

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nazionale, cancella i simboli delle nostre interne divisioni, è per l’animo d’ogni italiano un pegno di grandezza e di unione, accresce l’autorità del Governo del Re nei consessi europei, ed offre alle grandi Potenze, in mezzo alle quali il Regno d’Italia prende posto, degna occasione per accettare il risorgimento politico di un popolo che ha tanto contribuito alla civiltà universale. Salutando con questo nuovo titolo l’illustre discendente di una delle più antiche e nobili dinastie, i grandi Stati d’Europa stringeranno coll’Italia quei vincoli di concordia, di fratellanza, d’interessi comuni che sono oramai il solo fondamento delle relazioni diplomatiche fra popoli liberi e cristiani.

Questi Stati, al pari di noi, custodi gelosi della pace e dell’ordine, porgeranno in tal modo nuova forza all’autorità del Governo e del primo Parlamento italiano, affinchè con quella sapienza e moderazione che devono dominare nei consigli d’un grande regno, possano essere risoluti gli ardui problemi che interessano la pace dell’Italia e del mondo, non che la grandezza e la libertà spirituale della Chiesa.

Siffatte convinzioni persuadevano l’ufficio centrale a proporre al Senato l’adozione dell’articolo di legge presentato dal Ministero.

Questa adozione ha però implicita una disposizione legislativa, di cui sembra non possa essere contestata la ragione e la convenienza, e per la quale il fatto memorando ed il principio giuridico della novella Monarchia siano ognor presenti al popolo italiano e congiunti al nome de’ suoi Re.

La Provvidenza Divina che mai si rivela meglio nella sua bontà e nella sua giustizia che quando muove e dirige la volontà dei popoli a riconquistare dritti o manomessi o perduti; la virtù, la concordia e la perseveranza italiana che la mirabile opera hanno compito, debbono associarsi al nome del Re, siccome la ragione più sacra e la forza più salda del regno.

Perciò l’ufficio centrale vi propone l’aggiunta di un secondo articolo che completa la legge in questo intendimento.

L’Ufficio centrale vuoi anche esprimere la fiducia che il Governo del Re otterrà dall’animo affettuoso e benevolo del nostro augusto Monarca, che il figlio primogenito del Re d’Italia s’intitoli costantemente Principe di Piemonte.

Questo titolo rimarrà a ricordare ai nostri Re la terra nativa ed un regno glorioso e civile di otto secoli, sarà un segno imperituro di onoranza reso dagl’Italiani tutti a quella provincia che fu il primo scudo della loro libertà e della loro indipendenza.

Si augura il vostro ufficio centrale che vorrete accogliere il progetto di legge così ampliato, con quella unanimità di voti, con quei sentimenti di gratitudine e di riverenza che devono accompagnare il primo e il più grande atto che la volontà nazionale compie in cospetto del mondo.

Addì 24 febbraio 1861. Matteccci, Relatore.

Art. 1. Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia.

Art. 2. Gli atti del governo ed ogni altro atto che debba essere intitolato in nome del Re, sarà intestato colla formola seguente:

(Il nome del Re)

Per Provvidenza Divina, per voto della nazione.

RE D’ITALIA.

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DELIBERAZIONE DEL SENATO SUL REGNO D’ITALIA

Il 26 di febbraio dell’anno 1861 il Senato del Regno di Sardegna costituiva il Regno d’Italia con centoventinove voti favorevoli e due contrari. Abbiamo protestato di non voler discutere su quest’argomento, e manterremo la parola. Tuttavia ci sieno lecite due semplici osservazioni sulla votazione.

Quando il Senato votava il Regno Italico avvennero due fatti gravissimi. L’uno è che in un’urna si trovarono molti voti di più che non ne fossero nell’altra, e i voti dovevano essere eguali. Il secondo è che due Senatori del Regno Italico mostrarono una solenne paura, giacché in pubblico votarono favorevolmente, e in segreto deposero un voto contrario.

Il primo fatto avvenne, secondo il Diritto ?per inesperienza dei nuovi Senatori nel processo meccanico della votazione?. Ma del secondo non si può recare altra scusa che la paura. I due Senatori temevano, a torto certamente, di essere derisi nei giornali, proverbiati, lapidati, se non costituivano il Regno Italico. Quindi ricorsero ad una transazione: in pubblico votarono pel Regno, e in segreto contro del Regno.

Ora noi vogliamo fare un confronto tra le votazioni del Senato, e le votazioni dell’Italia centrale e meridionale. I Senatori sono gente provetta, gente educata, in gran parte letterati ed anche accademici, e tutti amicissimi delle libere istituzioni, per averle studiate, promosse, difese col massimo fervore. Tuttavia nel processo della votazione pigliano abbaglio, e mettono nell’urna un numero di voti favorevoli, a cui non risponde il numero dei voti neri nell’urna opposta.

Se questo sconcio è avvenuto nella votazione del Senato, possiamo credere che nessuno sconcio simile sia avvenuto nelle tante votazioni, che si fecero in Italia? Se i Senatori, così dotti e così attenti, pigliarono un granchio di questa fatta, che dire dei contadini e della plebe chiamata a votare improvvisamente? L’inesperienza dei nuovi Senatori non era comune anche alle popolazioni della Toscana, dell’Emilia, delle Marche, dell’Umbria e delle Due Sicilie? Quando mai queste si esercitarono a votare le annessioni o i regni separati?

Tutto perciò dà luogo a congetturare, che nelle votazioni italiane le cose non sieno procedute in piena regola. Però nel Senato del Regno la votazione fu ripetuta, trattandosi di pochi votanti; ma non sappiamo che nessuna votazione sia stata ripetuta nell’Italia centrale o meridionale. E intanto quale guarentigia abbiamo per sostenerne la legalità, e per dire all’Europa che questo Regno Italico, nato come è nato, è proprio la volontà degli Italiani?

Inoltre, in Torino, la città più tranquilla d’Italia, nell’aula stessa del Senato, due Senatori, difesi dal principio costituzionale dell’inviolabilità, hanno paura di farsi conoscere avversi al Regno d’Italia, costituito come tutti sanno, e non esitano a macchiarsi con una brutta menzogna per mettersi al sicuro.

E possiam credere che quanti a Bologna, a Firenze, a Napoli ed a Palermo portavano sul cappello, o scrivevano sulle porte delle loro case la parola

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annessione, lo facessero spontaneamente, liberamente senza mentire l’interno del loro animo, senza cedere alla paura di essere fatti segno agli improperii ed alle vendette della rivoluzione? Lo creda chi vuole; noi non possiamo.

Ma si dirà: — Il voto del Parlamento nazionale per la costituzione del Regno Italico risana tutto ciò d’irregolare che vi fosse stato nelle precedenti votazioni. 1 rappresentanti dell’Italia, gli eletti del popolo dicono apertamente, solennemente la sua volontà. —

I rappresentanti del popolo? Adagio un po’: I Senatori non sono al certo i rappresentanti del popolo, ma piuttosto i rappresentanti del Ministero. Imperocché i ministri se li hanno scelti come e dove volevano, e non vennero a cercarli davvero tra gli amici del nostro giornale. Sono dunque i Ministri che hanno fatto i Senatori, e sono i Senatori finora che approvarono i ministri. Come vedete è idem per idem.

Però verranno i Deputati, e questi rappresentano il paese. Scusateci ripetiamo: i Deputati rappresentano coloro che li hanno eletti, e non furono eletti, né da lutto il paese, né dalla maggioranza, né da una semplice frazione, e questo ci vien dimostrato matematicamente dalla verificazione dei poteri.

Apriamo gli Atti Ufficiali della Camera dei Deputati, N° 2 e 3, e vediamo un po’ chi rappresentano questi signori rappresentanti. La prima elezione approvata fu quella del conte di Cavour eletto dal 1° collegio di Torino. Questo collegio novera 1327 elettori. Sapete quanti volarono pel conte di Cavour? Votarono appena 620. Dunque ne restano 707 che non gli furono favorevoli. Dunque il conte di Cavour non fu eletto dalla maggioranza, ma dalla minorità del suo collegio.

Lo stesso si dica di quasi tutti gli altri Deputati eletti. Essi non sortirono che un numero di voti molto minore della metà degli elettori. Eccone un saggio.

Statistica degli eletti e degli elettori.

CollegioElettoVoti all’elettoElettori
Torino 1° collegioCavour6201327
VerolanuovaUgoni167940
AnconaCavour267660
VareseSperoni265660
AbbiategrassoCorrentir191780
VercelliBorella3291293
VigoneOytana4611077
AlessandriaRattazzi3761100
VignaleLanza5781433
Borgo S. Donnino.Verdi339978
BiellaLamarmora456425
Bologna 3° collegioBerti-Fichat4511339
Bologna 2° collegioPepoli5141338
BresciaDepretis5611810
BraChiaves4771422
ChietiFarini300900
MessinaNatali4271161
Napoli 3° collegioPoerio5941562
CollegioElettoVoti all’elettoElettori
Napoli 10° collegioPersico165631
BrenoCuzzetti247933
Bologna 1° collegioMinghetti6001596
VergatoAudinot176572
CastiglioneMelegari197898
BrivioSirtori349656
CesenaSaladini285786
ChiavariCastagnola266831
MorconeGiacchi176642
AversaMaza399952
CarmagnolaTeccbio5141465
ChivassoViora349949
GasattnaggioreBrofferio3781020
GavirateFerrari245685
S ArcangeloRegnoli180805
FanoRasponi118437
Genova 1° collegioRicci2741109
BibbienaFalconcini184739
PistoiaMacciò178674
Ravenna 1° collegioRasponi234768
Ravenna 2° collegioBeltrami213774
ForlìAlbiccini352982
SoresinaPossenti279833
Firenze 1° collegioPeruzzi7051719
Ferrara 1° collegioMayr3001001
TrescoreCamozzi311786

Qui poniamo termine a questa statistica non volendo infarcire di cifre il nostro foglio. Ma preso un termine medio nelle elezioni, si può dire che degli iscritti, un terzo convennero, e due terzi accettarono il partito del nostro giornale: né eletti, né elettori. Dunque la Camera non rappresenta l’Italia, ma un terzo dell’Italia, posto pure che questo terzo avesse votato regolarmente e liberamente. Restano ancora due terzi che sono la maggioranza, e che tardi o tosto trionferanno, non solo perché maggiori di numero, ma principalmente perché stanno dalla parte della verità, della giustizia e della religione.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_01_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html

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